LA GESTIONE DEI RIFIUTI

XXI Secolo (2010)

La gestione dei rifiuti

Renato Gavasci
Raffaella Pomi

Generazione e controllo dei rifiuti

La produzione di rifiuti da parte dell’uomo costituisce un’inevitabile conseguenza delle attività che egli compie, siano queste di tipo puramente metabolico ovvero più complesse, quali estrazione, captazione, lavorazione o trasformazione di risorse naturali per la produzione di energia, di beni e di servizi. In una visione più ampia, la produzione di rifiuti come conseguenza delle attività dell’uomo e degli altri esseri viventi discende dal secondo principio della termodinamica e può essere considerata come l’incremento del contenuto entropico dei sistemi naturali. I problemi connessi alla produzione di rifiuti e alla individuazione di modalità appropriate di gestione hanno pertanto riguardato tutte le epoche storiche, nonostante siano stati affrontati con modalità (e sensibilità) alquanto differenti.

A contraddistinguere l’epoca contemporanea dalle precedenti, intervengono fattori quali il notevole incremento dei consumi, l’elevata diversificazione dei beni in circolazione e la continua formulazione di nuove sostanze chimiche di sintesi. Tali fattori si ripercuotono sia sui quantitativi sia sulle caratteristiche qualitative dei rifiuti solidi, espressione con la quale viene di regola indicata la frazione solida dei residui prodotti dalla collettività, cioè dall’insieme di ambienti domestici, servizi, attività artigianali, commerciali e industriali, aree agricole e così via, mentre i residui di tipo liquido e gassoso vengono detti, rispettivamente, reflui ed effluenti (ma quest’ultimo termine può anche essere utilizzato per indicare residui liquidi). A rigore, i rifiuti di origine umana dovrebbero comprendere anche i residui di natura metabolica; tuttavia, la dizione rifiuti solidi viene utilizzata per indicare soltanto i beni e i materiali dei quali il detentore si sia disfatto (ovvero manifesti anche soltanto l’intenzione di disfarsene). In una simile accezione, il termine rifiuto non esprime alcun giudizio in merito all’effettiva funzionalità del bene (o materiale) e alle relative caratteristiche qualitative, che potrebbero essere ancora adeguate all’uso, ma rappresenta piuttosto la volontà del detentore di disfarsene, volontà che di solito si manifesta molto prima che il bene (o il materiale) abbia raggiunto la condizione di fine vita.

Proliferazione nella società dei consumi

Per molti dei beni in circolazione, il periodo dopo il quale le quantità vendute risultano dimezzate ha subito una notevole riduzione nel corso degli ultimi cento anni, passando per molti prodotti da un valore di vent’anni circa, tipico degli anni Sessanta del 20° sec., a un valore di cinque anni negli anni Novanta. I rifiuti possono pertanto presentare, in tutto o in parte, caratteristiche idonee al riutilizzo, riciclo o reimpiego, eventualmente previa applicazione di adeguati trattamenti per l’eliminazione di materiali estranei, la regolazione delle caratteristiche qualitative e/o il ripristino della corretta funzionalità. Il caso dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), quali elettrodomestici, riproduttori musicali, apparecchi per la telefonia e computer, la cui produzione aumenta di una quantità pari a circa tre volte quella dei rifiuti urbani, riassume una simile situazione: nei Paesi industrializzati la dismissione di tali apparecchiature avviene di norma per ragioni del tutto diverse da quelle connesse all’integrità e alla corretta funzionalità. La sostituzione delle apparecchiature si verifica, piuttosto, per la continua immissione sul mercato di nuovi modelli in grado di fornire prestazioni sempre più evolute e con caratteristiche, anche estetiche, tali da risultare più attraenti per i cittadini/consumatori. Alla dismissione di apparecchiature, che la rapida evoluzione delle tecnologie e gli ancora più veloci mutamenti del senso estetico fanno apparire come obsolete, contribuisce altresì un fattore di natura economica: il costo associato alla riparazione di eventuali malfunzionamenti o alla sostituzione di parti in avaria risulta di frequente superiore (oppure equiparabile), al costo di acquisto di un nuovo apparecchio, anche dalle caratteristiche più evolute, cosicché il cittadino/consumatore viene di conseguenza incentivato a sostituire piuttosto che a riparare e conservare.

Considerazioni analoghe possono essere estese a larga parte dei beni e dei materiali in circolazione, con una ricaduta diretta sull’entità e la rapidità dell’incremento della parte di rifiuti prodotti, ivi compresi gli scarti e i residui alimentari. Nei Paesi industrializzati, questi ultimi risultano costituiti non soltanto dagli scarti della preparazione dei pasti ma, in larga misura e di frequente, da alimenti ancora integri e confezionati, per i quali risulta superata la data di scadenza, nonché da cibi avanzati, così come dimostrato da indagini effettuate in alcune città europee a partire dall’anno 2000. Un contributo significativo alla produzione di rifiuti deriva poi dall’ampliamento continuo dei mercati e dalla loro dimensione sempre più globale: ne discende, infatti, il trasporto, su distanze molto elevate, di materie prime e merci della più svariata natura la cui integrità, igiene e sicurezza vengono garantiti, nelle fasi di trasporto, stoccaggio temporaneo e di successiva manipolazione, con l’impiego di notevoli quantità di imballaggi, i quali divengono a loro volta rifiuti non appena conclusa la funzione di imballo e protezione della merce. Le informazioni riguardanti un campione di Paesi europei evidenziano che, nel corso degli ultimi trent’anni, la produzione di rifiuti da utenze domestiche risulta incrementata di un valore intorno al 3% per anno; la quantità di rifiuti prodotti dall’insieme dei Paesi dell’OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development) è cresciuta di circa il 54% nel corso degli anni compresi tra il 1980 e il 2003 (OECD 2005). In aggiunta all’incremento dei quantitativi, è stato osservato un aumento della pericolosità intrinseca dei rifiuti prodotti, con particolare riferimento a quelli di origine industriale (rifiuti speciali). Nel settore produttivo trova, infatti, utilizzo un numero sempre più ampio di materiali e sostanze, cui corrisponde l’immissione sul mercato di prodotti caratterizzati da una complessità crescente che spesso ne riduce la possibilità di reimpiego, riutilizzo e riciclaggio e ne aumenta il potenziale inquinante. Al contempo, nel corso degli ultimi decenni si sono verificate la continua creazione di nuovi prodotti e una crescita incessante del numero e della varietà di quelli già in circolazione.

Sviluppo delle politiche gestionali

Partendo dalla comprensione e dall’analisi di un simile contesto, con ogni evidenza caratterizzato da una complessità particolarmente elevata, è stato avviato un percorso volto a orientare la gestione dei rifiuti verso obiettivi di sostenibilità ambientale. A partire dagli anni Novanta del 20° sec., a livello europeo, ciò si è tradotto nella definizione di un sistema di gestione dei rifiuti che agisse sia ai fini della prevenzione della loro produzione sia nella direzione della riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti da avviare a smaltimento definitivo in condizioni controllate. Già alla fine degli anni Settanta, nella Comunità europea venne introdotto il concetto di gestione integrata dei rifiuti, che prevede l’opportuna integrazione di diverse azioni strategiche; in ordine di priorità decrescente: prevenzione della produzione dei rifiuti; incremento delle azioni di recupero di materia e, ove questo non fosse possibile per limiti di natura tecnica ed economica, di energia; smaltimento in discarica controllata delle sole frazioni non ulteriormente valorizzabili. Oltre al ruolo prioritario assegnato alle azioni di prevenzione, l’approccio proposto in ambito europeo si basa sull’adeguata integrazione tra le fasi di raccolta delle frazioni differenziate e della frazione residuale da raccolta differenziata, di trasporto e stoccaggio temporaneo, di recupero di materia e del contenuto energetico della frazione combustibile non ulteriormente valorizzabile per il recupero di materia. Allo smaltimento finale in discarica controllata dovrebbe pertanto essere avviata solo la parte di rifiuti che non può essere destinata a recupero (di materia e di energia), nonché la parte di residui inevitabilmente prodotti dagli stessi trattamenti di recupero.

Il concetto che la realizzazione di un efficiente sistema di gestione dei rifiuti passi dall’integrazione tra le diverse fasi e non dalla loro mutua esclusione, è avvalorato dal fatto che nei Paesi ove la raccolta differenziata e il riciclaggio risultano particolarmente ben organizzati ed efficaci, sono sempre presenti impianti di recupero energetico dalla cosiddetta frazione residuale da raccolta differenziata, costituita da carta e cartone di modesta qualità, imballaggi multifilm (quali quelli utilizzati per la conservazione dei cibi), plastica leggera non riciclabile e altri materiali, e caratterizzata da un elevato potere calorifico che ne rende attraente l’utilizzo come combustibile. In Paesi come Danimarca, Svezia e Paesi Bassi viene avviato a riciclaggio, rispettivamente, il 42, il 44 e il 66% dei rifiuti urbani, e la frazione residuale viene interamente avviata a termovalorizzazione; in Germania, la percentuale di frazione residuale avviata a termovalorizzazione negli ultimi anni sta crescendo ben oltre il 40%. Per quanto attiene alle singole tecnologie applicabili per l’implementazione di ciascuna fase del sistema di gestione dei rifiuti, molte di esse risultano mature e dimostrate (nel senso che l’ampia diffusione ha consentito di verificarne e misurarne, per un numero significativo di casi e per periodi temporali sufficientemente lunghi, sia le prestazioni sia le criticità, nonché di individuare e verificare i sistemi di mitigazione di eventuali impatti negativi), mentre altre risultano di più recente sviluppo. In accordo ai principi della gestione integrata dei rifiuti, assegnato l’insieme delle opzioni tecnologiche a disposizione, l’individuazione delle modalità più appropriate per la loro integrazione, ai fini della riduzione dei quantitativi e della pericolosità dei rifiuti da avviare a smaltimento finale, risulta condizionata dalle peculiarità territoriali, sociali ed economiche dell’area che si sta considerando, poiché queste influenzano sia la quantità sia le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti.

Considerando due situazioni alquanto diverse per condizioni territoriali, sociali ed economiche, si osserva che in Europa la produzione giornaliera media pro capite di rifiuti urbani si attesta attorno a un valore medio di 1,1 kg, mentre nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa subsahariana ed equatoriale si stima una quantità media giornaliera di circa 0,7 kg per abitante. Differenze tra i quantitativi di rifiuti prodotti, peraltro, emergono anche nell’ambito di contesti apparentemente più omogenei, ove possono essere spiegate considerando densità abitativa e vocazione tipiche di ciascuna porzione del territorio. Le condizioni sociali ed economiche di un’area si ripercuotono, come già sottolineato, anche sulle caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti, determinandone in particolare la composizione merceologica. Questa viene definita come la quantità (in peso o in volume) di ciascuna categoria merceologica costituente l’unità (in peso o in volume) di rifiuto, ed esprime pertanto le quantità relative di frazione organica (ovverosia di scarti e di residui alimentari), carta, plastica, metalli, nonché degli altri materiali che compongono i rifiuti. Rispetto alla situazione europea, nei Paesi in via di sviluppo i rifiuti prodotti dalle utenze domestiche risultano in prevalenza costituiti dalla frazione organica, composta da scarti della preparazione e della cottura dei cibi, essenzialmente vegetali, e presentano un elevato contenuto di acqua. In relazione a ciò, e considerando altresì le modeste capacità di gestione degli impianti sia in termini di risorse economiche sia di disponibilità di forza lavoro altamente specializzata, le indicazioni più recenti emerse in ambito internazionale tendono a considerare soluzioni, quali la valorizzazione per il recupero energetico, poco adatte ai Paesi in via di sviluppo. Per quanto attiene, infine, all’insieme delle tecnologie con cui possono essere realizzate le fasi del sistema integrato, la mitigazione dell’impatto ambientale di ciascuna può essere realizzata e regolata attraverso limiti specifici alle emissioni (per es., per la concentrazione e la quantità di sostanze inquinanti emesse in atmosfera o nelle acque reflue), così che sia il trattamento sia lo smaltimento in discarica controllata rispettino i principi di tutela e conservazione dell’ambiente e della salute.

Prevenzione della produzione dei rifiuti

Le problematiche connesse all’individuazione di sistemi per un’appropriata gestione dei rifiuti possono essere affrontate seguendo due approcci distinti, ma complementari, che considerano momenti diversi dell’organizzazione sociale ed economica della società e la cui implementazione è caratterizzata da diversi scenari temporali. Il primo approccio, alla base della normativa che attualmente regola il settore dei rifiuti a livello europeo, si fonda sullo sviluppo e sulla diffusione di sistemi per la prevenzione della produzione dei rifiuti (attraverso, per es., l’implementazione di tecnologie a basso impatto ambientale e il sostegno alla diffusione di prodotti facilmente recuperabili e riutilizzabili), e sostiene gli interventi orientati alla massimizzazione del recupero di materia e di energia dai rifiuti. Gli interventi di riduzione della produzione di rifiuti vengono di solito intesi con riferimento ai cicli produttivi e considerano lo sviluppo, l’applicazione e la diffusione di tecnologie e di beni più efficienti, ovverosia capaci di ridurre la quantità complessiva di residui di processo e rifiuti, e in grado di agevolare e supportare le azioni di riuso e riciclaggio dei rifiuti stessi. In tal senso, viene sostenuta la diffusione della prospettiva della triplice linea di fondo, strumento che consente a un’impresa di misurare le proprie prestazioni aziendali in funzione del raggiungimento simultaneo di tre obiettivi: prosperità economica, qualità ambientale ed equità sociale. Nel corso degli ultimi decenni è in parte già stata avviata la realizzazione di un sistema basato su tali principi, sicché una tale strategia può essere ritenuta applicabile nel breve-medio periodo, sebbene alcuni processi di modifica dei sistemi produttivi e delle abitudini dei cittadini richiedano comunque tempi elevati di realizzazione.

Teoria della nuova crescita

Questa teoria, coerentemente con il secondo approccio gestionale, considera prioritarie le azioni volte a modificare la relazione che esprime crescita e sviluppo in funzione dell’entità dei consumi, ritenendo che gli interventi di riduzione della produzione dei rifiuti e di applicazione di processi efficienti dal punto di vista tecnico, economico e ambientale, possano soffrire di alcune limitazioni derivanti dal significato attribuito a tali concetti. Secondo questa visione, anche quei processi più sostenibili dal punto di vista ambientale, caratterizzati da un minor consumo di materie prime ed energia e in grado di produrre rifiuti in quantità (e di pericolosità) inferiore rispetto ai processi tradizionali, si trovano a dover rispondere a requisiti quali l’assenza di costi aggiuntivi rispetto ai processi più convenzionali e la capacità di stimolare una continua crescita dei consumi. Per i sostenitori della teoria della nuova crescita, l’adozione di strumenti di prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti potrebbe addirittura provocare effetti complessivamente negativi, potendo essi stessi rappresentare uno stimolo ai consumi.

Il caso della produzione di autovetture in grado di consumare quantitativi inferiori di carburante e di generare al contempo emissioni inferiori per unità di distanza percorsa può essere assunto per la descrizione di quella che appare come una contraddizione in termini. L’evoluzione tecnologica che porta all’ingresso sul mercato di autovetture più ecocompatibili in questa prospettiva potrebbe non essere in grado di apportare un beneficio ambientale netto laddove essa spinga il detentore a un incremento dell’uso della vettura. L’evoluzione del sistema produttivo in accordo ai principi della triplice linea di fondo può pertanto essere foriera di vantaggi ambientali nella direzione della sostenibilità e può essere considerata come un’azione complementare, non esclusiva, rispetto al­l’esplorazione di vie alternative di sviluppo nelle quali i cittadini possano svolgere il ruolo di consumatori responsabili e consapevoli. Rispetto al precedente, questo secondo approccio richiede un notevole impegno e livelli di consapevolezza largamente superiori, e coinvolge altresì ampiamente i governi, i settori produttivi e commerciali nonché i cittadini (ai quali è richiesto di agire in un ruolo diverso da quello di semplici consumatori), aprendo nuovi scenari di crescita e sviluppo rispetto a quelli attualmente in essere. L’avvio e l’implementazione su larga scala di un simile sistema ha bisogno di tempi intrinsecamente più lunghi e di percorsi più complessi. Ne consegue che, allo stato attuale, larga parte dell’attenzione rimanga concentrata sugli aspetti strettamente connessi alla sola individuazione dell’insieme di misure volte a ridurre almeno l’impatto ambientale e, in particolare, a prevenire la produzione dei rifiuti, prescindendo dall’intervenire sulla relazione sviluppo-consumi.

Politiche normative e misure di mercato

L’evoluzione della legislazione comunitaria dagli anni Ottanta del 20° sec. evidenzia lo sforzo verso l’isti­tuzionalizzazione della prevenzione della produzione dei rifiuti e della riduzione dei quantitativi prodotti. Nel 1975, dopo aver definito le singole fasi costituenti un sistema di gestione dei rifiuti, l’Unione Europea ne fornì un’organizzazione gerarchica, nella quale la priorità più elevata venne assegnata alla prevenzione. Benché i termini prevenzione e minimizzazione dei rifiuti risultino largamente impiegati, non esiste una definizione in senso stretto e la distinzione tra i due, sulla base del significato, può risultare piuttosto difficile. Nel 1996, l’OECD ha stabilito che la prevenzione rappresenta una delle fasi della minimizzazione dei rifiuti e comprende misure quali riduzione alla fonte e riutilizzo; la minimizzazione include invece anche le misure di miglioramento delle caratteristiche qualitative e di riciclaggio.

I primi passi sulla strada della prevenzione della produzione di rifiuti di fatto erano stati diretti proprio alla riduzione dei quantitativi degli stessi, attraverso la riduzione del peso e del volume, come nel caso degli imballaggi leggeri; tuttavia, l’effetto sull’ambiente dipende, oltre che dalla quantità, anche dalla pericolosità dei rifiuti sicché, tra gli obiettivi di prevenzione, è stato successivamente incluso anche quello connesso alla riduzione della pericolosità. Nonostante occupi la posizione gerarchica più elevata nel sistema di gestione integrata, l’adozione di interventi per la riduzione della produzione dei rifiuti e per il contestuale incremento dell’efficienza tecnica ed economica dei cicli produttivi non ha generato effetti significativi, almeno nella direzione dell’obiettivo primario. Nella gran parte dei Paesi europei, a partire dai primi anni Novanta, è invece aumentata la quantità di rifiuti avviati a trattamento di recupero e valorizzazione. La discrepanza tra il grande rilievo dato alla prevenzione dei rifiuti e l’assenza di risultati in tale direzione può essere spiegata considerando le difficoltà nel quantificare il risultato della prevenzione, l’assenza di interventi strategici e la presenza di interessi divergenti. Gli interventi di prevenzione della produzione di rifiuti, e più in generale di tutela ambientale, possono essere percepiti come un onere aggiuntivo e gravoso per il comparto industriale, e molti interventi di ridefinizione di alcuni processi produttivi, che hanno consentito di immettere sul mercato prodotti più facilmente valorizzabili, sono risultati antieconomici.

Nel recente passato, più che da interventi di natura normativa, l’innovazione delle tecnologie per la riduzione del consumo di materie prime e della produzione di rifiuti è stata stimolata dalla crescita dei costi delle materie prime e dello smaltimento dei residui. Al fine di promuovere e monitorare le misure di prevenzione dei rifiuti nel medio e nel breve termine, l’OECD (2004) raccomanda l’utilizzo e l’analisi di alcuni indicatori quali il numero di aziende dotate di un sistema di gestione ambientale certificato, l’impiego di materiali riciclati come vetro, plastica e metalli, la presenza di limitazioni alla diffusione di pubblicità su carta stampata. Al contempo, sono stati proposti schemi dalla cui applicazione può derivare una riduzione della produzione dei rifiuti nel medio-lungo periodo e modelli per la sensibilizzazione degli utenti. Alcune misure di prevenzione della produzione dei rifiuti possono essere particolarmente semplici e molto efficaci, per es. la sola riduzione delle dimensioni degli inserti pubblicitari di un noto quotidiano londinese potrebbe determinare una diminuzione della quantità di carta stampata pari a quattro milioni di chilogrammi l’anno (Porteus 2005).

Pur nell’imperfezione e nei limiti che li caratterizzano, l’implementazione di sistemi di gestione dei rifiuti indirizzati alla prevenzione e alla riduzione, nel sistema economico così come attualmente configurato, può essere comunque considerata uno strumento perfettibile per contenere e ridurre, nell’immediato, l’impatto globale sull’ambiente degli ingenti quantitativi di rifiuti prodotti. Si consideri che, soltanto in Italia, si producono circa 32,5 milioni di tonnellate di soli rifiuti urbani all’anno, corrispondenti a una produzione pro capite (media nazionale) di circa 550 kg (ISPRA 2008). Nell’ipotesi ottimistica che si riesca ad avviare a recupero il 60% di tale quantità e che ciascuna tonnellata di frazione residuale occupi 1 m3 (nella realtà, il peso per unità di volume del rifiuto è, all’origine, inferiore a tale valore e pari circa a 0,4 t/m3), il volume della sola frazione residuale prodotta da un centro urbano di 500.000 abitanti sarebbe tale da riempire completamente il Colosseo in soli tre anni. Aggiungendo i quantitativi di rifiuti di origine industriale e i materiali naturali (quali i suoli e i sedimenti marini e portuali), che per effetto della presenza di sostanze inquinanti devono essere considerati come rifiuti, si desume che ai fini della sostenibilità ambientale dovranno certamente essere intraprese vie di sviluppo alternative ma che nel brevissimo termine, accanto all’accelerazione della progressiva modifica dei cicli produttivi per la prevenzione della produzione dei rifiuti, devono essere messi in opera sistemi di recupero di materia e di energia, per i quali sono disponibili nell’immediato processi e tecnologie collaudati.

Raccolta e trasporto dei rifiuti

L’organizzazione dei sistemi di raccolta e trasporto dei rifiuti rappresenta un momento critico del sistema della loro gestione in particolar modo nel caso dei rifiuti urbani, in quanto dall’efficienza del servizio dipende il mantenimento di adeguate condizioni igienico-sanitarie. La rilevanza che la raccolta dei rifiuti riveste ai fini della tutela della salute pubblica era già riconosciuta in epoca greco-romana, quando furono sviluppati i primi sistemi di conferimento e trasporto dei rifiuti che, con alterne fortune, hanno attraversato le diverse epoche.

A partire dagli albori del 20° sec. iniziarono a delinearsi i primi sistemi di raccolta differenziata e venne introdotta la meccanizzazione delle fasi di raccolta e trasporto; a Berlino, nel 1907, fu introdotta la raccolta differenziata dei rifiuti basata sul conferimento, in contenitori stradali dedicati, delle seguenti frazioni separate: residui alimentari, frazione riciclabile (carta, tessili, vetro e metalli) e frazione costituita da ceneri e altri materiali. Lo svuotamento di tali contenitori veniva effettuato con mezzi dotati di vasca a tre scomparti. Per la separazione dei singoli componenti da avviare a successiva valorizzazione, ovverosia carta, tessili, ve­tro e metalli, vennero realizzati impianti di selezione molto simili a quelli ancora oggi utilizzati. Dalla fine del secolo scorso, alla fase di raccolta dei rifiuti è stato riconosciuto un ruolo per l’incremento della parte di rifiuti da recuperare, sicché vengono sviluppati e messi in opera sistemi in grado di preservare le caratteristiche dei rifiuti e limitare gli errori di conferimento e i comportamenti scorretti degli utenti. Oggi, la raccolta dei rifiuti coinvolge direttamente i cittadini i quali, nel ruolo di utenti dei servizi di igiene urbana, sono chiamati a conferire in modo responsabile i rifiuti prodotti, con modalità caratterizzate da una complessità crescente in funzione degli obiettivi di raccolta differenziata. I sistemi di raccolta dei rifiuti attualmente utilizzati derivano pertanto dalla necessità di incrementarne le quantità da avviare a recupero di materia e di energia. Essi possono essere distinti in sistemi di raccolta stradale e sistemi di tipo porta a porta.

Nei sistemi di raccolta stradale, il conferimento dei rifiuti dev’essere effettuato all’interno di contenitori di assegnata volumetria, localizzati in modo permanente all’interno delle aree urbane. In commercio sono disponibili contenitori stradali di diversa volumetria (compresa tra le centinaia e le migliaia di litri) e di materiali, forma e colore diversificati in funzione della frazione di rifiuto cui sono dedicati (per es., le campane per la raccolta del vetro) e dei sistemi utilizzati per il loro svuotamento (automezzi con gru, mezzi compattatori a carico laterale o a carico posteriore ecc.). Nei sistemi di raccolta stradale, a fronte di costi più contenuti per l’implementazione e la gestione del servizio, si osserva in genere una qualità più scadente delle frazioni differenziate: nonostante le aperture dei contenitori siano di regola configurate in modo tale da limitare l’ingresso di rifiuti e materiali non conformi, gli errori di conferimento da parte degli utenti possono essere particolarmente frequenti e difficile risulta il controllo di un corretto comportamento. Da ciò deriva che la quantità e la qualità dei rifiuti differenziati possono essere piuttosto modeste se confrontate con sistemi di raccolta più capillari, quali quelli di tipo porta a porta, nei quali sia agli utenti sia ai gestori del servizio sono richiesti maggiore partecipazione e impegno. In questi sistemi, gli utenti sono chiamati a conferire i rifiuti differenziati soltanto in precise fasce orarie e in giorni stabiliti, in prossimità della propria abitazione. Gli incaricati della raccolta provvedono poi al controllo visivo della qualità dei rifiuti smaltiti, procedendo a segnalare eventuali infrazioni oppure comportamenti scorretti.

La diffusione dei sistemi di raccolta porta a porta è progressivamente aumentata nel corso degli ultimi anni, anche in relazione alla necessità di incrementare in maniera significativa la quantità dei rifiuti raccolti in modo differenziato ed effettivamente avviati a recupero di materia. Indipendentemente dal tipo di raccolta, stradale ovvero porta a porta, il sistema dev’essere dimensionato al fine di intercettare anche la frazione residuale da raccolta differenziata, in prevalenza costituita da carta (contaminata da cibi e residui di alimenti), imballaggi multifilm (quali quelli utilizzati per la conservazione dei cibi) e plastica leggera non riciclabile.

La gestione della frazione organica biodegradabile

La frazione organica (umido) rappresenta la parte più rilevante dei rifiuti prodotti dalle utenze domestiche. Essa è costituita da scarti e residui alimentari, da sfalci e potature e dai residui della manutenzione del verde ornamentale. In condizioni aerobiche (ovverosia in presenza di ossigeno molecolare in quantità non limitante rispetto alle esigenze metaboliche), la frazione organica dei rifiuti viene utilizzata come alimento dai microrganismi aerobici che ne operano la conversione in anidride carbonica e vapore acqueo. In condizioni anaerobiche, ovverosia in assenza di ossigeno molecolare, la sostanza organica biodegradabile viene convertita, attraverso una serie complessa di reazioni biochimiche operate da diversi gruppi di microrganismi anaerobici, in una miscela gassosa costituita da metano (CH4) e anidride carbonica (CO2) in parti pressoché uguali, e da gas in tracce, quali l’acido solfidrico (H2S), riconoscibile per il caratteristico odore di uova marce quando presente già a basse concentrazioni. Entrambi i processi di degradazione biochimica (aerobico e anaerobico), danno altresì origine a una matrice solida il cui grado di stabilità biochimica dipenderà dal grado di completamento delle reazioni di degradazione.

Nel recente passato, larga parte della sostanza organica contenuta nei rifiuti urbani veniva avviata a smaltimento, senza alcun trattamento preliminare, in impianti di discarica controllata. I principali problemi connessi a tale pratica comprendono le ingenti volumetrie richieste per lo smaltimento, la necessità di captazione e gestione appropriata del biogas che si sviluppa nelle condizioni anaerobiche tipicamente presenti negli ammassi di rifiuti costituenti il corpo di una discarica, le scadenti e disomogenee caratteristiche geotecniche e meccaniche della frazione organica, nonché il rilascio di inquinanti nelle acque di percolazione. La necessità di limitare le quantità di rifiuti da avviare a discarica controllata e di incrementarne al contempo la stabilità (ovverosia di ridurne la reattività chimica e/o biologica che ne complica la gestione) ha una ricaduta diretta sulla gestione della frazione organica biodegradabile dei rifiuti: nella implementazione dei più moderni sistemi di raccolta differenziata è di fatto sempre presente il circuito di intercettazione dell’umido prodotto dalle utenze commerciali e/o domestiche. La frazione organica biodegradabile raccolta in modo separato viene successivamente avviata a trattamenti di biostabilizzazione che ne riducono la reattività biochimica e ne regolano le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche sì da consentirne il riutilizzo in agricoltura in qualità di ammendante (compost), ove risultino rispettati i requisiti imposti dalla normativa di settore.

La produzione di compost viene di norma ottenuta mediante processi di biostabilizzazione in condizioni aerobiche, anche detti processi di compostaggio, che possono essere realizzati in impianti molto semplici dal punto di vista tecnologico (aie di compostaggio) ovvero all’interno di unità di impianto a maggiore complessità dotate, per es., di sistemi per l’aerazione, l’umidificazione e la miscelazione del materiale durante il processo. Possono altresì trovare applicazione processi di digestione anaerobica con produzione di compost, più complessi dal punto di vista impiantistico e gestionale ma caratterizzati da alcuni rilevanti vantaggi, quali il minor volume di reazione richiesto e la possibilità di valorizzazione del contenuto energetico del biogas prodotto, previa eventuale applicazione di opportuni trattamenti di depurazione per la eliminazione di vapore acqueo, acido solfidrico e altri inquinanti in tracce. Tuttavia, a fronte di tali vantaggi, essi presentano una complessità maggiore e richiedono un’attenta gestione sia per la sensibilità che il processo dimostra nei confronti delle diverse condizioni ambientali sia per i requisiti di sicurezza che devono essere garantiti in presenza del biogas combustibile ottenuto dal processo. Le unità di digestione anaerobica sono, inoltre, di solito seguite da unità di stabilizzazione aerobica, nelle quali vengono completate le reazioni di biostabilizzazione (fase cosiddetta di maturazione) della frazione organica. Indipendentemente dal tipo di processo e tecnologia, la produzione di compost può essere ottenuta soltanto a partire da matrici organiche selezionate alla fonte e intercettate attraverso raccolta differenziata.

La frazione organica biodegradabile residuale deve comunque essere avviata a trattamento prima dello smaltimento, così come stabilito dalla direttiva europea sulle discariche controllate (1999/31/CE), recepita in Italia nel 2003, che impone ai Paesi membri di raggiungere, per la quantità di rifiuti biodegradabili da avviare in discarica controllata, una riduzione del 75% entro il 2016. In tal caso, il processo di biostabilizzazione dà luogo a una matrice stabile dal punto di vista tecnico, di qualità tale da non poter essere destinata a uso agricolo, denominata frazione organica biostabilizzata (FOS). Gli impianti di biostabilizzazione e compostaggio possono essere completati da unità che consentono la separazione dei materiali estranei, la regolazione del contenuto di acqua e della pezzatura e la miscelazione con elementi strutturanti, come il cippato di legno, che migliorano le caratteristiche fisiche e meccaniche della miscela nella fase di trattamento. Possono trovarsi inoltre sistemi di captazione e trattamento delle arie esauste volti all’eliminazione delle polveri e dei composti osmogeni in esse presenti. Devono essere altresì avviate a trattamento le acque di processo e di percolazione, nonché quelle di lavaggio dei piazzali e delle unità di impianto.

Valorizzazione delle frazioni per il recupero di materia

L’avvio delle singole frazioni merceologiche verso opzioni di riciclaggio e recupero di materia, ovvero di riutilizzo, impone il rispetto di requisiti di qualità delle stesse, che devono risultare omogenee, prive di contaminanti e di materiali estranei, la cui presenza potrebbe compromettere le qualità dei prodotti ottenuti ovvero complicare le operazioni di lavorazione dei rifiuti per la valorizzazione del contenuto di materia. A tal fine, è necessario che le frazioni valorizzabili vengano selezionate a monte, attraverso sistemi di raccolta differenziata, nei quali l’unificazione di diverse frazioni di rifiuto risulti consentita solo se non interagenti, trasportabili nelle medesime condizioni e facilmente separabili, come nel caso della raccolta congiunta di plastica e metalli. La valorizzazione del contenuto di materia dei rifiuti può essere realizzata previo opportuno pretrattamento per l’eliminazione di materiali estranei e per l’adeguata regolazione delle caratteristiche. Il vetro presente nei rifiuti può essere avviato a fusione previa miscelazione con le materie prime naturali utilizzate per la produzione di nuovi manufatti. La carta può essere avviata a riciclaggio/recupero fintanto che il progressivo accorciamento delle fibre, generato dalle stesse operazioni di riciclaggio, non renda troppo scadente la qualità della carta prodotta. Nel caso di carta stampata, oltre alla separazione dei materiali estranei, il pretrattamento prevede uno stadio di eliminazione dell’inchiostro e di sbiancamento. La carta di qualità più scadente viene avviata a produzione di cartone. In analogia al caso della carta, anche i tessuti possono essere avviati a riciclaggio fintanto che ciò risulta consentito dal progressivo accorciamento delle fibre. L’acciaio viene destinato a recupero previa fusione e successiva formatura, dove si può utilizzare anche il ferro che, in alternativa, può essere avviato ad altoforno dedicato. I contenitori realizzati in latta di acciaio, destinati alla conservazione di cibi e bevande, vengono utilizzati per la produzione di acciaio, dopo aver separato lo stagno, anch’esso avviato a recupero per fusione. Il riciclaggio dell’alluminio, che ne consente il recupero completo, presenta costi netti notevolmente più contenuti rispetto alla produzione di manufatti a partire dalla bauxite. I materiali plastici, previa separazione in gruppi omogenei, possono essere avviati a riciclaggio per via meccanica (macinazione e successiva estrusione di plastica in forma di bricchette) o per via chimica (rottura dei polimeri nei monomeri di partenza e successiva nuova polimerizzazione, come avviene nel caso del polietilentereftalato o PET).

Lo sviluppo delle tecnologie ha permesso di avviare a recupero anche miscele di diversi tipi di materiali plastici, mediante un processo per la produzione di etilene. Il riciclaggio e il recupero dei componenti valorizzabili dei RAEE, nati anche dalla necessità di mitigare la potenziale pericolosità ambientale di tali rifiuti attraverso l’implementazione di circuiti di raccolta specifici, avvengono previo trattamento in impianto dedicato nel quale le apparecchiature sono disassemblate e successivamente avviate a separazione meccanica, macinazione e granulazione.

Valorizzazione energetica dei rifiuti

L’effetto della presenza di circuiti di raccolta differenziata che consentono di realizzare una prima selezione a monte delle diverse frazioni merceologiche, si traduce in un incremento del potere calorifico della frazione residuale da raccolta differenziata, che risulta costituita in prevalenza da materiale secco non riciclabile, ovverosia da una miscela di carta, cartone, plastica, tessili e frazione organica residua, all’interno della quale è ancora rilevabile la presenza di quantità ridotte di materiali inerti rispetto alla combustione, come vetro e metalli. La separazione di questi ultimi consente di incrementare il potere calorifico del materiale secco non riciclabile e può essere conseguita mediante l’applicazione di processi di selezione che sfruttano le diverse caratteristiche fisiche delle singole frazioni merceologiche, quali la vagliatura, la ciclonatura, la separazione aeraulica e quella elettromagnetica. Le caratteristiche della frazione secca combustibile possono essere ulteriormente migliorate mediante eventuale regolazione della pezzatura e del contenuto di acqua. Il potere calorifico dei diversi costituenti del rifiuto, presenti nella frazione residuale da raccolta differenziata, si attesta attorno ai seguenti valori: 1-2 MJ/kg per la frazione organica, 12-14 MJ/kg per la carta e il cartone, e 29-35 MJ/kg per le plastiche. Sulla base del potere calorifico delle singole frazioni, si può stimare che il potere calorifico medio risulti dell’ordine di 10 MJ/kg.

In Europa, il recupero del contenuto di energia dei rifiuti avviene in prevalenza mediante processi di combustione diretta in impianti dedicati dotati di unità di recupero di calore ed energia. Un altro tipo di approccio, di più recente sviluppo, è rappresentato dai processi di gassificazione attraverso i quali, con l’applicazione di processi a elevata temperatura e in condizioni di ossigeno limitante, si ottiene la produzione di gas combustibile. La valorizzazione del contenuto energetico dei rifiuti rappresenta dunque una nuova prospettiva di applicazione dell’incenerimento, la cui origine in Europa continentale va collocata in rapporto con l’esplosione di un’epidemia di colera nella città di Amburgo nel 1892. Di conseguenza nel 1896 venne qui avviato il primo specifico impianto e successivamente molte altre città europee seguirono questo esempio. Nella città di Copenaghen, in particolare, fu realizzato e messo in funzione il primo impianto di incenerimento di concezione moderna nel quale, oltre alla eliminazione della carica patogena e alla riduzione del volume dei rifiuti, veniva effettuato il recupero di calore ed energia nonché la valorizzazione dei residui solidi (scorie) generati dal processo di combustione: seppure con standard qualitativi di molto inferiori a quelli attuali, l’impianto era in grado di sostenere il fabbisogno di energia elettrica e calore del vicino ospedale e le scorie prodotte venivano avviate a riutilizzo come sottofondi stradali. Nei moderni impianti di termovalorizzazione, basati su processi convenzionali di combustione diretta e recupero di energia e calore, i rendimenti di recupero termico ed elettrico raggiungono, rispettivamente, valori pari all’80 e al 20-30%. Attualmente, si preferisce operare nella configurazione di cogenerazione per la produzione combinata di calore ed energia, così da garantire una maggiore elasticità di funzionamento, anche in relazione alle esigenze delle utenze.

I severi, e sempre più stringenti, limiti alle emissioni in atmosfera hanno prodotto lo sviluppo di una sezione di trattamento dei fumi che negli impianti di moderna concezione risulta particolarmente sofisticata, consentendo di ridurre la concentrazione delle sostanze inquinanti e di effettuarne altresì un monitoraggio continuo. In analogia con i combustibili solidi tradizionali, dalla combustione vengono prodotti i seguenti inquinanti: particolato solido (organico e inorganico), monossido di carbonio, gas acidi (acido cloridrico, anidride solforosa e solforica), monossido e biossido di azoto, metalli e metalloidi, nonché microinquinanti organici (policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani e idrocarburi policiclici aromatici). I sistemi per la riduzione della concentrazione di inquinanti nei fumi consistono nelle misure cosiddette primarie e secondarie. Le prime comprendono gli interventi progettuali e gestionali di controllo e regolazione delle condizioni di combustione (quali il tempo di residenza dei fumi e la temperatura di combustione), particolarmente efficaci per garantire il completamento delle reazioni di combustione, e dunque limitare la presenza di monossido di carbonio e particolato incombusto, e per contrastare la formazione di policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani. Le seconde comprendono i sistemi di rimozione dei contaminanti a valle della loro generazione, e sono articolate nelle unità di depolverazione e di rimozione dei gas acidi, di abbattimento degli ossidi di azoto, di adsorbimento di metalli pesanti e metalloidi, diossine e furani. La combustione diretta della frazione combustibile dei rifiuti dà luogo alla produzione di residui solidi, quali le scorie estratte dal fondo della camera di combustione, che rappresentano circa il 35% dei rifiuti in ingresso e risultano costituite da materiale di dimensioni grossolane di solito classificabili come rifiuti non pericolosi.

In Europa, le scorie prodotte dalla termovalorizzazione possono essere riutilizzate in applicazioni tipiche dell’ingegneria civile, per es. in sostituzione degli aggregati naturali impiegati nei sottofondi stradali. Le ceneri volanti rappresentano la frazione fina incombusta e gli ossidi di metalli e metalloidi in uscita dalla sezione di combustione assieme ai fumi, mentre le ceneri da trattamento dei fumi risultano costituite dai sali prodotti dalla eliminazione dei gas acidi. Entrambe sono trattenute di norma mediante elettrofiltri; le ceneri da trattamento dei fumi vengono in particolare rimosse mediante filtri in tessuto caratterizzati da elevate prestazioni, collocati a valle delle unità di rimozione dei gas acidi e adsorbimento. Le ceneri costituiscono circa il 2% in peso del rifiuto alimentato a combustione; esse sono classificate come rifiuti pericolosi e di frequente vengono smaltite previa applicazione di trattamenti che ne riducono il potenziale inquinante.

Smaltimento finale in discarica controllata

Se il primo sito pubblico destinato allo smaltimento dei rifiuti di cui si abbia notizia è stato rinvenuto ad Atene ed è datato attorno al 500 a.C., nell’Antico Testamento è citata più volte la valle di Geenna, in prossimità di Gerusalemme, quale luogo ove venivano abbandonati rifiuti e cadaveri, sede di incendi diffusi e di condizioni insalubri. Un esempio di smaltimento di rifiuti organizzato con criteri più moderni è invece rappresentato dalla discarica, giunta sino a oggi, del Monte dei Cocci, o Monte Testaccio a Roma, costituita da strati ordinati di anfore, ancora ben visibili, provenienti dal vicino porto fluviale sul Tevere. Nel passato, anche più recente, per smaltimento dei rifiuti in discarica si intendeva pertanto semplicemente la pratica dell’abbandono dei rifiuti all’interno di aree scelte in funzione delle caratteristiche topografiche, strutturali e di contiguità con i centri abitati e i punti di produzione dei rifiuti. Una discarica controllata di moderna concezione rappresenta invece un vero e proprio impianto industriale per lo smaltimento, in condizioni di sicurezza, della sola parte dei rifiuti non ulteriormente valorizzabile e che, eventualmente a seguito di appropriati trattamenti, risulti quanto più possibile stabile dal punto di vista fisico, chimico e biologico. Le discariche di moderna concezione, oltre a prevedere l’abbancamento ordinato e organizzato dei rifiuti, sono dotate di sistemi volti all’isolamento degli stessi dall’ambiente circostante e, in particolare, dal sottosuolo e dalle falde sotterranee. A tal fine, le discariche vengono dotate di sistemi per il contenimento dei due principali flussi di inquinanti da esse prodotti: il percolato, ossia la corrente liquida che si raccoglie sul fondo della discarica e che deriva principalmente dalle acque meteoriche che si infiltrano e migrano attraverso l’ammasso dei rifiuti, e il biogas che, costituito da metano e biossido di carbonio, è generato dall’insieme delle reazioni di mineralizzazione della sostanza organica biodegradabile e contiene altresì gas prodotto da sole reazioni chimiche.

Se realizzati con metodi appropriati, tali sistemi di contenimento possono consentire di mitigare in modo significativo l’impatto ambientale di discariche controllate ricadenti in aree che presentano, per es., criticità di natura idrogeologica. In linea di principio, infatti, una discarica controllata dovrebbe essere localizzata all’interno di aree caratterizzate da condizioni idrogeologiche naturali che impediscano la migrazione del percolato verso il sottosuolo, dall’assenza di fratturazioni e di fenomeni di carsismo, dall’assenza di sismicità e al di fuori delle aree inondabili. Tuttavia, la spiccata urbanizzazione che contraddistingue molti territori, unitamente alla necessità di localizzare le discariche controllate a distanze non troppo elevate dai centri urbani per limitare il trasporto dei rifiuti su lunghe distanze, in aggiunta alle caratteristiche geomorfologiche delle aree, fanno sì che sempre più spesso le discariche controllate debbano essere realizzate in aree critiche, nelle quali è necessario porre particolare attenzione alla progettazione delle diverse unità funzionali. Queste sono costituite da barriera di base, barriera laterale, sistema di intercettazione ed estrazione del biogas, sistema di copertura giornaliera e copertura finale dei rifiuti.

La barriera di base, la cui complessità varia in funzione della pericolosità dei rifiuti abbancati, viene costruita per impedire la migrazione del percolato verso le acque sotterranee e il sottosuolo. Essa viene realizzata mediante l’accoppiamento di una barriera fisica, costituita da materiale a bassa permeabilità, e di un sistema di tubazioni per l’intercettazione e l’estrazione del percolato che si va ad accumulare sulla barriera di fondo. Quest’ultima presenta strati minerali compattati, di solito realizzati con argilla e bentonite, che vanno a formare uno strato a bassa permeabilità dello spessore minimo di un metro; tale strato viene ricoperto con fogli a bassissima permeabilità, in genere di polietilene ad alta densità, tra loro giuntati a costituire una copertura continua del fondo della discarica. Lo strato di impermeabilizzazione è completato da geomembrane (strati sovrapposti di tessuto e bentonite), che assolvono anche la funzione di protezione dei manti di polietilene. Al di sopra delle geomembrane viene posto il sistema di tubazioni forate, circondate da pietrisco e sabbie, per il drenaggio, la raccolta e l’estrazione del percolato. In modo analogo, viene realizzata la barriera laterale, che costituisce il sistema di impermeabilizzazione delle sponde. Il sistema di captazione del biogas è formato da pozzi, di solito collegati a un sistema di aspirazione e a una torcia per la combustione, in condizioni controllate, del gas captato. Di frequente, la combustione del biogas è accompagnata da una sezione di recupero energetico. Al termine della fase di coltivazione della discarica (fase nella quale sono abbancati i rifiuti) viene realizzato un sistema di copertura finale mediante l’alternanza di strati drenanti e strati minerali a bassa permeabilità, nonché manti di polietilene, la cui funzione è quella di limitare, almeno fintanto che l’integrità strutturale rimane tale, l’ingresso delle acque meteoriche nel corpo rifiuti e, dunque, la formazione di percolato.

Il sistema di copertura giornaliero, con il quale a fine giornata i rifiuti vengono coperti da uno strato sottile di terreno o compost, ha invece la funzione di limitare la diffusione degli odori molesti e il contatto tra i rifiuti e gli animali, che potrebbero divenire vettori di inquinanti. Al termine della fase di coltivazione, tanto l’estrazione del biogas quanto la raccolta del percolato devono essere proseguite fino a che l’emissione di inquinanti non risulti compatibile con la capacità di autodepurazione dell’ambiente circostante.

Bibliografia

Handbook of solid waste management, ed. G. Tchobanoglous, F. Kreith, New York 20022.

OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), Towards waste prevention performance indicators, Paris 2004.

OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), Environmental indicators, Paris 2005.

A. Porteus, Why energy from waste incineration is an essential component of environmentally responsible waste management, «Waste management», 2005, 25, 4, pp. 451-59.

Si veda inoltre:

Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), Rapporto rifiuti 2008, 2008, http://www.apat.gov. it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Rapporto_rifiuti/Documento/rapporto_rfi08.html#Sommario (3 giugno 2010).

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