La lotta al terrorismo e le altre sfide alla tutela dei diritti umani

ATLANTE GEOPOLITICO (2012)

Tania Groppi

La reazione agli attentati dell’11 settembre 2001 ha posto nuove sfide alle democrazie occidentali, spingendo verso direzioni prima inesplorate la tradizionale riflessione sul diritto costituzionale dell’emergenza. Si è parlato, da più parti, di una vera “guerra” al terrorismo, svoltasi nella maggior parte dei casi senza far ricorso ai poteri eccezionali, pure previsti da molti ordinamenti per situazioni di guerra o di emergenza. Piuttosto, nel tentativo di fornire una risposta a tali nuove esigenze, la legislazione della maggior parte dei paesi, è andata nel senso di “normalizzare l’emergenza”, introducendo nell’ordinamento giuridico, in via permanente, nuovi istituti e strumenti, finalizzati essenzialmente alla prevenzione dei reati e, pertanto, rivolti non tanto contro i “terroristi”, quanto contro coloro che, per molteplici ragioni, non ultima l’appartenenza a determinati gruppi etnici o religiosi, potrebbero essere “sospetti terroristi”.

Ne è conseguito il moltiplicarsi di “grey holes”, ovvero di situazioni nelle quali una parvenza del principio di legalità è stata mantenuta, pur essendone svuotata in gran parte la sostanza. In numerosi casi l’intervento del legislatore è avvenuto in modo precipitoso, attraverso decisioni adottate in poche settimane, quando non in pochi giorni, come risposta a singoli attentati (l’esempio più clamoroso è quello del Patriot Act statunitense), sotto l’impulso dell’emotività dell’opinione pubblica. La probabilità di una reazione eccessiva del legislatore nei momenti immediatamente successivi a un attacco terroristico è elevata: ciò può condurre a una vera “tirannia della maggioranza”, specialmente quando ci si trova di fronte ad un fenomeno agevolmente riconducibile a minoranze identificabili.

Elementi comuni alle misure normative adottate in quasi tutti gli ordinamenti democratici dopo l’11 settembre 2001 sono: la detenzione indefinita dei sospetti terroristi, la limitazione della privacy, il massiccio ricorso alle espulsioni di stranieri sospettati di terrorismo, l’indebolimento delle garanzie processuali. In tutti i casi, un ruolo privilegiato è stato assicurato all’esecutivo, che viene ritenuto il potere più idoneo fronteggiare il nuovo pericolo, in quanto è il solo che, grazie all’intelligence, può disporre delle informazioni necessarie per realizzare un’azione preventiva. In tale ambito, il principio di segretezza nonché lo spazio accordato agli esperti di antiterrorismo e all’intelligence hanno rappresentato altrettante, ulteriori sfide allo Stato di diritto. Il potere giudiziario rimane comunque titolare del controllo di costituzionalità delle misure antiterrorismo, così come della possibilità di intervenire sulle singole decisioni di limitazione dei diritti, usualmente assunte dalle autorità di pubblica sicurezza che fanno capo al potere esecutivo. In particolare, l’evoluzione della legislazione antiterrorismo negli anni più recenti (anche sotto l’impulso delle decisioni giudiziarie di “primo livello”, ovvero quelle rese sulle leggi antiterrorismo) pare aver portato ad una nuova fase, nella quale i giudici, o altre istanze indipendenti, vengono sempre più frequentemente inseriti all’interno dei procedimenti di limitazione dei diritti: la pretesa di insindacabilità assoluta delle decisioni politiche è venuta meno e si assiste al tentativo di “coinvolgere” le corti, allo scopo di legittimare sul piano dei principi dello Stato di diritto le misure adottate.

I giudici sono quindi chiamati a un difficile compito, almeno sotto due punti di vista. Da un lato, in quanto si tratta di proteggere i diritti di alcune minoranze, sovente impopolari, a fronte di una opinione pubblica impaurita, propensa ad individuare il nemico nello straniero di fede islamica, e spesso favorevole, in nome della sicurezza, alle misure limitative volute dai governi. Dall’altro, tali pronunce giudiziarie, coinvolgendo la sicurezza pubblica, implicano un insieme di valutazioni su scelte di natura “tecnica”, che debbono essere supportate da elementi conoscitivi coperti da segreto e che trovano molti ostacoli ad essere trattati, in un aperto contraddittorio, nelle aule dei tribunali, ponendo delicati problemi procedurali.

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