La medicina ebraica: la filosofia, i medici e le pratiche

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

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La medicina ebraica: la filosofia, i medici e le pratiche

Stefano Arieti

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La medicina ebraica va ricondotta ad una serie di pratiche, in gran parte di natura igienica, testimoniate in un’ampia quantità di fonti bibliche e talmudiche, il cui interesse è sostanzialmente volto a risolvere problemi di natura giuridica e legislativa. Comune a questa trattatistica è il concetto di malattia di tipo ontologico, ovvero l’idea che il medico sia il servitore della divinità, e il carattere sostanzialmente preventivo delle prescrizioni mediche.

Le fonti della medicina ebraica

Per medicina ebraica antica si intende quella del periodo biblico (XIV/XIII-III sec. a.C.) e quella del periodo talmudico (II-IV/VI sec.): in questo lunghissimo arco di tempo le caratteristiche peculiari rimangono sostanzialmente immutate, presentando alcuni caratteri comuni:

- la mancanza di una trattatistica medica: Bibbia e Talmud sono le uniche fonti a nostra disposizione per lo studio della medicina in questo periodo; in esse, però, le questioni mediche non sono affrontate in quanto tali, ma sempre in quanto causa di problemi giuridico-legislativi;

- il concetto di malattia;

- la medicina intesa essenzialmente come rimedio “sociale”.

Sebbene da varie fonti ebraiche venga indicata l’esistenza di una letteratura medica in epoca biblica, come per esempio un catalogo di piante medicinali con relative indicazioni terapeutiche compilato da re Salomone o un non meglio identificato Trattato medico, a noi non ne è giunta la minima traccia: ciò può far dubitare dell’effettiva esistenza di tale letteratura e far credere che essa sia il frutto dell’immaginazione di storici ebrei come Giuseppe Flavio. Il dubbio è che si tratti di fantasie nate dal contatto con la cultura greco-romana e dalla consapevolezza che questa possieda, nel campo della medicina, assai più vaste conoscenze. Occorre poi precisare che la medicina ebraica tradizionale resta impermeabile a tutte le influenze esterne, in primo luogo a quella ippocratica (semmai si ritrovano elementi provenienti dall’area assiro-babilonese) e non influenza nessuna delle antiche medicine: la legislazione igienica, estremamente innovativa e moderna rispetto a quelle coeve non è, da queste, per nulla recepita.

Divinità e malattie

Malattia e salute sono attribuite, nell’antico Israele, al potere divino: è Dio che assegna, come punizione, la malattia; è a Lui che ci si deve rivolgere per essere guariti, e per questo è bandita ogni pratica magica. Fondandosi sul racconto biblico, è Dio che provoca la sterilità in casa di Abimelek (Gen. 18-20) e che fa scoppiare le malattie descritte nel Deuteronomio (28, 20-35); è sempre Dio che rende Anna sterile (I Sam. 1-5.), che affligge gli Asdodiesi con tumori (I Sam. 5-6.) e provoca la malattia mortale del figlio di Betsabea (II Sam. 12-15 e sgg.). Di conseguenza, quando un ebreo si ammala non ricorre a nessuna forma di terapia razionale, ma si rivolge a Dio, accompagnando la sua invocazione (molte volte infarcita anche di elementi mistico-magici, che, sconosciuti al mondo religioso ebraico, vi sono penetrati in seguito agli stretti contatti con la civiltà assiro-babilonese) con sacrifici propiziatori.

La figura del medico

Ci si deve chiedere allora quale sia – se ve ne è uno – il ruolo del medico in una società così rigidamente teocratica, in cui Dio è l’unica speranza di guarigione e se sia possibile affidarsi alle cure di un essere umano. La questione rimane aperta per lungo tempo all’interno della società ebraica e, anche quando essa viene risolta considerando il medico come lo strumento attraverso il quale Dio apporta la guarigione (vedi Siracide 38, testo molto amato, anche se non fa parte del canone biblico), vi sono sempre correnti di pensiero contrarie ai medici.

L’evoluzione della figura del medico e la sua crescita di importanza nella società ebraica possono essere studiate alla luce della terminologia. Mentre, infatti, il termine rophè, presente nella Bibbia, è riferito a medici stranieri (per esempio i medici egizi chiamati ad imbalsamare il corpo di Giacobbe), tale vocabolo nel Talmud è usato anche per medici ebrei in alternativa a un altro lemma, asse (’aiutante’ in aramaico). Al mondo giudaico rimane estraneo il concetto del medico sacerdote, tanto caro al mondo greco: tutt’al più i sacerdoti hanno il compito di far rispettare le leggi sulle norme igieniche e profilattiche. In epoca talmudica i medici si riuniscono in una corporazione avente come simbolo il ramo di palma o il cespuglio di balsamo. Il Talmud prescrive che nelle comunità, accanto alla presenza di un rabbi (maestro), vi sia anche quella di un medico, rophè, e di un chirurgo, rophè umman. A differenza dell’uso greco, il medico visita i pazienti nelle loro residenze o in locali esclusivamente deputati a questa funzione e, sebbene non si possa parlare ancora di ospedali, alcune stanze, nelle sinagoghe, sono riservate a coloro che necessitano di cure. Nel Talmud si ricorda inoltre l’obbligo da parte dei chirurghi di indossare speciali grembiuli durante la loro attività e si prescrive, per maggior pulizia, l’utilizzo di rivestimenti in marmo alle pareti dei locali in cui operano. Fra i compiti del medico vi è anche quello di compiere perizie legali o di accertare il grado di sopportazione fisica delle persone condannate a pene corporali. La figura del medico diventa sempre più importante nella società ebraica post-biblica e la medicina entra a far parte delle materie di insegnamento delle scuole talmudiche. Nel Talmud viene anche ricordata un’altra figura legata al mondo sanitario: l’askan-bi-devarim, quasi un omologo del medico biologo, che tralascia la pratica per dedicarsi allo studio dell’anatomia e della fisiologia umana e animale.

Le malattie

Le malattie sono ricordate nel Tanach (Bibbia ebraica) senza un preciso ordine sistematico. Si descrivono, ad esempio, difetti teratologici (acromegalia con sindittalia, II Sam. 20-21), l’aborto (Giob. 3-16; Qo. 6-3), l’insolazione, con probabile edema cerebrale (II Re 4, 18-21), le carie ossee (da tubercolosi? Ab. 3-16), le piaghe purulente (Os. 5-13) e così via. Peraltro il loro inquadramento è sempre molto vago e approssimativo. In proposito si consideri l’affezione indicata dal lemma zara’ at, vocabolo accompagnato spesso da un altro termine, nega’, che probabilmente implica il concetto di contagio per contatto; orbene, il termine zara’at si riferisce a una patologia cutanea e/o sistemica abbastanza importante, ma non certamente la lebbra, come vuole una inveterata tradizione. Nel Talmud sono menzionate alterazioni patologiche polmonari, poliposi nasale, tamponamento del cuore, perforazioni dell’esofago e dell’intestino, volvolo, atrofia e ascesso renale, criptorchidismo, ernia scrotale, varie forme di ipospadia ed epispadia, numerose condizioni patologiche degli occhi e della cute eccetera. L’emorragia emofilica viene descritta, per la prima volta, da Rabbi Simeon ben Gameliel II nei trattati talmudici Yevamoth (64a) e Chullim (47b), precorrendo così l’arabo Abul Kassem, che osserva la malattia intorno al 1000. Inoltre Rabbi Simeon è conscio della trasmissione ginecofora della malattia anche se solo con Nasse, nel 1820, se ne avrà una prima conferma scientifica.

Igiene e profilassi

La medicina tradizionale ebraica deve comunque essere considerata essenzialmente come una medicina preventiva. Infatti delle 613 mitzvot, i precetti a cui un ebreo deve attenersi, 213 sono di natura igienica: igiene e profilassi sono intesi come dogmi religiosi (per esempio l’obbligo, il mattino e la sera prima di coricarsi, di abluzioni per viso, mani e piedi; la prescrizione del lavaggio delle mani con acqua corrente prima di toccare cibo o del lavaggio dopo un salasso e così via). Il principio guida di questa concezione, che predilige la prevenzione della malattia al trattamento terapeutico, è ribadito anche nel Talmud quando si afferma: “la pulizia del corpo porta alla pulizia dello spirito”. Il legislatore biblico adotta anche provvedimenti per contrastare il diffondersi di malattie infettive non solo mediante il contagio interumano, ma anche tramite oggetti e utensili. Rientrano in queste misure cautelari accorgimenti come la quarantena per chi proviene da luoghi infetti, la distruzione, mediante combustione, di oggetti, indumenti e persino abitazioni di persone infette, ma anche l’obbligo della disinfezione delle armi dopo una battaglia; la proibizione di scarico di rifiuti vicino ai pozzi, lo scavo di essi vicino ai cimiteri e la proibizione di attingere acqua da pozzanghere.

Infine, quale curiosità, si può ricordare che i talmudisti sono stati sicuramente i primi e gli unici sino all’età moderna a procedere all’esame chimico delle macchie in caso di sospetto stupro: a tal fine utilizzavano sette reattivi il cui uso serviva a stabilire se le macchie fossero di sangue o di vernice rossa.

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