La musica alla corte del Re Sole

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giorgio Monari
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La musica svolge all’interno della politica di autarchia culturale, voluta e promossa da Luigi XIV, una funzione assai importante di sostegno e consolidamento del potere assolutistico senza precedenti nella storia europea. In essa si riflette la grandezza e lo splendore della nuova età dell’oro politica e culturale inauguratasi con l’ascesa al trono del Re Sole.

Premessa

Che le arti fossero un potente mezzo per celebrare il potere e per propagandare un’immagine, fittizia o reale, di benessere economico, culturale e spirituale della nazione, anche in periodi tutt’altro che prosperi, è un fatto di cui bisogna tener conto nell’interpretazione di molti prodotti d’arte del Seicento.

Che le arti potessero divenire anche un mezzo efficace per glorificare un monarca e mitologizzarne il regno è invece un’intuizione che trova consapevole e splendida attuazione con Luigi XIV. Sotto il suo regno le arti divengono essenziali alla creazione di una mistica del potere, simbolica della forza e dell’unità del regno.

La musica in modo particolare, sia essa connessa alla celebrazione religiosa, alla vita di corte o a forme spettacolari come il ballet de cour e l’opera in musica, è chiamata ad assolvere un compito in cui funzione estetica e funzione ideologica si compenetrano, rivestendo così un ruolo primario nel progetto propagandistico culturale messo in atto dal Re Sole e dal suo primo ministro Colbert.

Antecedenti storici

Secondo le teorie neoplatoniche, la musica, ricreazione terrena e umana dell’armonia celeste, esercita, grazie alla sua capacità di suscitare delle passioni, un forte potere didattico e morale sull’ascoltatore. Unita all’elemento visivo e gestuale proprio dello spettacolo teatrale, portatore di simbolismi e allegorie, essa diviene poi un mezzo di suggestione, seduzione e persuasione intellettuali di rara efficacia.

Già nelle feste organizzate nel 1581 da Enrico III in occasione del suo matrimonio con Margherita di Lorena, culminate nella rappresentazione di Circe, ovvero il Balletto comico della regina, si intravedono i fondamenti ideologici che staranno alla base dello spettacolo in musica all’epoca di Luigi XIV.

Il sontuoso e costosissimo allestimento del Balletto comico della regina assume, in quel particolare momento della storia di Francia (si era da poco conclusa la settima guerra di religione combattuta da Enrico III contro il partito protestante capeggiato da Enrico di Borbone) il valore di un messaggio rivolto ai nemici del re: lungi dall’esser ridotta alla povertà, la Francia cattolica è ancora una nazione tanto prospera e ricca da potersi permettere lo sperpero di ingenti somme per rappresentare magnifici spettacoli.

L’allegoria contenuta nella vicenda rappresentata dal balletto è poi leggibile con chiari riferimenti all’attualità politica: la vittoria del bene sul male, culminata nella disfatta di Circe ad opera di Ulisse, rappresenta scenicamente la vittoria di re Enrico sui suoi nemici, del cattolicesimo sul protestantesimo.

La pratica di allestire ballets de cour continua alla corte di Francia prima con Enrico IV, quindi con Luigi XIII, e col tempo si affina sempre più il tipo di messaggio affidato allo spettacolo. Nello spettacolo i cortigiani contemplano da spettatori la raffinatezza e lo splendore cui partecipano quotidianamente e non di rado possono riconoscere, sotto forma di allegorie, situazioni ed eventi della vita di corte o della vita politica a loro ben noti. Lo stesso Luigi XIII in più di un’occasione ha modo di prender parte agli spettacoli in prima persona dimostrando di possedere buone doti di ballerino.

Lo spettacolo musicale a corte

Durante il regno del Re Sole lo spettacolo musicale amplia la gamma delle sue finalità, e diviene uno degli strumenti con i quali viene mantenuta e consolidata l’unità dell’apparato statale.

Lo spettacolo musicale allestito con sempre maggior frequenza a corte diviene il sontuoso passatempo con cui l’aristocrazia (sulla quale dal fallimento della Fronda è sempre più forte il controllo esercitato dal re) è distratta da eventuali propositi ribellisti, è impressionata dallo splendore regio che lo spettacolo fastoso emana, è dissanguata economicamente dalla necessità imposta dall’etichetta non solo di assistervi, ma, spesso, di parteciparvi, gareggiando per sfarzo nello sfoggio di costumi e di mascheramenti.

L’uso del potenziale allegorico contenuto nelle vicende narrate sulla scena viene sfruttato al massimo. Luigi XIV, anch’egli come il padre eccellente ballerino, si esibisce ripetutamente in ballets de cour nei panni di Apollo o del Sole, introducendo e consolidando visivamente (complice una concezione eliocentrica dell’universo sempre più diffusa) l’associazione ideale della sua persona con l’astro benigno e vivificante attorno al quale tutto gira.

La religiosità di Versailles e il grand motet

La pubblicazione nel 1684 e nel 1686 “per espresso ordine di Sua Maestà” di due raccolte di grands motets rispettivamente di Pierre Robert e Jean-Baptiste Lully, e di Henri Du Mont, fissa una volta per tutte un genere di composizione chiesastica che, in quanto gradita al re, si impone come modello imprescindibile per le composizioni destinate alle cappelle reali di Parigi e Versailles.

All’affermazione di una chiesa gallicana, soggetta al re di Francia prima che al papa di Roma, corrisponde in campo artistico l’affermazione di una pratica musicale sacra affatto particolare e nazionale, il cui effetto è l’affermazione di una musica sacra che apostrofa il sovrano dei cieli a tu per tu, con un’alterigia concessa solo al monarca-pontefice.

Privo di una reale motivazione liturgica, il grand motet diviene il mezzo attraverso il quale nella Cappella Reale di Versailles si attua il dialogo privilegiato tra sovrano celeste e sovrano terreno: l’etichetta che regola gerarchicamente i rapporti sociali all’interno della corte si estende alla cerimonialità religiosa, così che solo al re è consentito rivolgersi all’altissimo conservando tutta la dignità di un pari.

Nelle cerimonie pubbliche di ringraziamento, occasionate da eventi importanti nella vita della nazione (nascite o guarigioni di membri della famiglia reale, vittorie, paci), il monarca, avvolto nella pompa dell’apparato sonoro grandioso, enfatico e magniloquente tipico dei Te Deum composti dai musicisti della Cappella Reale, rende omaggio al creatore.

La sinfonia introduttiva del Te Deum, articolata in solenni fanfare (caratterizzate timbricamente da trombe e timpani, gli strumenti marziali per eccellenza) alternate a più delicate sezioni affidate agli archi, è il ritratto sonoro del sovrano, guerriero vittorioso sui campi di battaglia di mezza Europa, raffinato e benigno uomo di pace in patria.

Tutto questo apparato è finalizzato alla celebrazione pubblica della maestà e della gloria regale. E l’immagine della grandeur che ne deriva suscita nel popolo, ammirato nel vedere il sovrano dialogare da pari con il re dei cieli, un sentimento in cui timore e devozione si fondono.

La deificazione terrena del Re Sole

La celebrazione del monarca terreno è intensa e capillare anche nella vita quotidiana di Luigi XIV. La banalità di alcuni momenti, quali la sveglia, la cena, o il coricarsi del re (le lever, le souper, le coucher), è solennizzata da un complesso apparato cerimoniale. Luigi XIV ha perfetta coscienza dell’importanza del cerimoniale in quanto tale.

Si pensi, ad esempio, all’organizzazione del rituale che accompagna nella cena del re l’arrivo del piatto forte: la carne. Se una certa attenzione rivolta al pasto del monarca aveva avuto nel passato la funzione reale di salvaguardare il monarca da possibili tentativi di avvelenamento, ciò non è più vero per il Re Sole. Il complesso cerimoniale che trasforma in evento la quotidianità diviene il rito di deificazione di un uomo a cui è dedicato un culto con una propria liturgia e una propria casta sacerdotale (sempre regolata gerarchicamente dal complesso sistema dell’etichetta di corte).

All’interno di cerimoniali tanto complessamente articolati la musica riveste di magnificenza l’evento, diviene paramento sonoro della “liturgia” che divinizza il sovrano. Nascono così composizioni strumentali come le Sinfonie per la cena del re (Symphonies pour les soupers du roy) di Delalande o i Trii per il coricarsi del re  (Trios pour le coucher du roy) di Lully, vere e proprie suites eseguite di frequente in occasione di tali eventi.

L’opera mitologica e la mitologia del monarca

È con la nascita di un’opera nazionale e con l’apertura in Francia del primo teatro d’opera pubblico, l’Académie Royale de Musique, che la musica attinge l’efficacia massima in quanto strumento di propaganda ed elogio del sovrano e del suo regime.

Lo spettacolo non è più rivolto, come accadeva per il ballet de cour, al solo ristretto pubblico dei cortigiani, ma al ben più numeroso e socialmente variegato pubblico che affolla i teatri del regno (nel 1685 a Marsiglia si inaugura il primo teatro d’opera della provincia francese).

Quantunque l’aristocrazia costituisca la maggioranza del pubblico che affolla le sale dei teatri d’opera, allo spettacolo possono accedere, e non solo virtualmente, anche esponenti dei ceti borghese e artigiano.

Nell’opera il re non prende più parte in prima persona allo spettacolo, come poteva accadere nel ballet de cour. Né potrebbe più farlo in un sistema di produzione teatrale pubblico. La sua presenza, la sua missione, la sua gloria sono evocate nelle mitologie che costituiscono l’ossatura narrativa della tragédie lyrique, attraverso i mezzi poetico, scenografico e musicale.

L’impiego della mitologia nella tragédie lyrique, così come nel ballet de cour, trova la sua motivazione nell’idea neoplatonica secondo la quale ogni mitologia racchiude verità nascoste, che, sfuggendo alla ragione, sono accessibili solo intuitivamente.

Robert M. Isherwood

I simboli visivi

La musica al servizio del re

I simboli visivi, secondo i neoplatonici della tarda antichità e del rinascimento, erano riflessi dell’invisibile mondo incorporeo, ed una forma della rivelazione divina; essi si potevano celare sotto le spoglie di creature naturali (...), ovvero potevano comparire negli antichi miti poetici e nelle favole, nei quali erano dissimulate idee e verità profonde analoghe a quelle della scrittura. (...) Queste antiche idee e verità potevano ancora essere percepite per mezzo dell’intuizione, che i neoplatonici consideravano come una via verso la conoscenza più diretta della ragione, le immagini e i simboli contenenti verità nascoste essendo accessibili più alle subitanee illuminazioni dell’intuizione che alle facoltà raziocinative della mente. (...) Sebbene sia possibile che i pittori, poeti e musicisti del regno di Luigi XIV continuassero ad usare immagini allegoriche in quanto ormai convenzionali e decorative, essi operavano tuttavia partendo dal presupposto che tali immagini allegoriche penetrano nella mente istantaneamente ed indirizzano le emozioni verso le idee rappresentate. Artisti e pubblico apprezzavano più di ogni cosa le rappresentazioni di virtù e di vizi in forma di personaggi leggendari.

R.M. Isherwood, La musica al servizio del re, Bologna, Il Mulino, 1988

L’ambientazione mitologica consente che si ricrei quel meccanismo simbolico-allegorico già ampiamente sfruttato nel ballet de cour, ma non solo: l’immagine del monarca, della sua corte e della sua reggia, nel momento in cui è proiettata nella mitologia, viene destoricizzata e partecipa del tempo assoluto, senza dimensioni, del mito.

Il prologo, un vero e proprio breve spettacolo, drammaticamente autonomo e slegato dal resto dell’azione, diviene nella tragédie lyrique lulliana il momento deputato alla celebrazione del sovrano. Vi si fa riferimento alla gloria, al valore, all’accortezza, alla benignità di Luigi, alle campagne di guerra da lui condotte vittoriosamente, agli eventi politici importanti nella vita della nazione.

L’encomio del sovrano può presentarsi mediato dall’allegoria, come ad esempio in Cadmo e Armonia, oppure esplicitato verbalmente da riferimenti a fatti ed eventi puntuali, come in Alceste o Teseo. Ecco come il passaggio del Reno da parte dell’esercito francese (giugno 1672), è evocato in Alceste da una ninfa della Senna disperata per l’assenza dell’“Eroe”.

Philippe Quinault

La Ninfa della Senna

Alceste

LA NINFA DELLA SENNA

E non ritorna ancora l’eroe che aspetto e bramo?

Dovrò penare ognora?

Ah, quando tornerà?

E non ritorna ancora l’eroe che aspetto e bramo?

Tra queste verdi piante io più non odo de’ garruli augelletti

né gli amorosi concenti; e questi prati

che de’ più vaghi fiori eran prima smaltati, or sono orrori.

E non ritorna ancora l’eroe che aspetto e bramo?

Dovrò penare ognora?

Ah, quando tornerà?

[...]

LA GLORIA

A me questi si fanno rimproveri.

E perché?

Credilo, o ninfa, ti lagni in van;

Vedere l’eroe che servi tu non puoi senza di me

Se tanta pena la lontananza sua reca al tuo cuore

Assai col suo valore delle dolcezze tue la perdita compensa.

Allor che guida

i suoi passi la Gloria, osserva un poco

quello ch’ei fa per te. Vedi alla Senna

come ei sommesse il più orgoglioso e altero

fiume che sia nell’universo intero.

[...]

Quando la Gloria vedi, di’ che lungi ei non è.

E non ritorna ancora l’eroe che aspetto.

[...]

Testo originale:

LA NIMPHE DE LA SEINE

Le Héros que j’attends ne reviendra-t-il pas?

Serai-je toujours languissante

dans une si cruelle attente?

Le Héros que j’attends ne reviendra-t-il pas?

Je n’entend plus d’oiseau qui chante,

On ne voit plus de fleurs qui naissent sur nos pas?

Le Héros que j’attends ne reviendra-t-il pas?

Serai-je toujours languissante

dans une si cruelle attente?

[...]

LA GLOIRE

Porquoi tant murmurer?

Nymphe, ta plainte est vaine;

Tu ne peux voir sans moi le Héros que tu sers:

Si son éloignement te coûte tant de peine

Il récompense assez les douceurs que tu perds:

Vois ce qu’il fait pour toi, quand la gloire l’amène;

Vois comme sa valeur a soumis à la Seine

Le fleuve le plus fier qui soit dans l’univers.

[...]

Puisque tu vois la Gloire

Le Héros n’est pas loin.

[...]

P. Quinault, Recueil général des opéra, Paris, Ballard, 1703

La lode del sovrano e il riferimento alle sue gesta in guerra o in pace diviene in breve un elemento obbligato nel prologo della tragédie lyrique da Lully in poi, una specie di tópos poetico irrinunciabile (se non addirittura inevitabile), anche quando la monarchia non sarà più in grado di offrire materia degna di venir immortalata nell’opera.

L’immagine della magnificenza della monarchia, committente di fatto dello spettacolo, si rispecchia anche nella scenografia e nella musica, che agiscono sullo spettatore-ascoltatore (in modo ben più sottile, e forse ben più efficace) quasi a livello subliminale. Nel prologo di Teseo la didascalia scenica ci avvisa che “il teatro rappresenta i giardini e il palazzo di Versailles”, e nell’atto V di Ati i “giardini ameni” e il palazzo che si intravvede sullo sfondo, sui quali l’atto si apre, ricordano, fin troppo fedelmente perché la cosa appaia casuale, il parco e la reggia del Re Sole.

Dal punto di vista musicale, le danze che animano i divertissements sono le stesse che risuonano nei saloni di Versailles: minuetti anzitutto, ma anche gavotte, sarabande, bourrées, e gighe. E le fanfare che accompagnano i trionfi degli eroi mitici sono le stesse che festeggiano il ritorno dalle campagne militari del re vittorioso.

Il controllo regio sull’attività musicale

Luigi XIV intuisce che il personaggio che porti in scena un’istanza morale positiva rappresenta agli occhi del pubblico-spettatore un modello da imitare. Si comprende allora perché fin dalle origini della tragédie lyrique egli stesso intervenga in prima persona nella scelta e nella definizione del tema che verrà rappresentato di fronte alla sua nobiltà e al suo popolo.

Tra i temi favoriti quello della rinuncia all’amore per il dovere e la gloria riscuote maggiormente i consensi di Luigi XIV, perché offre la possibilità di suggerire la sua identificazione con il personaggio positivo maschile.

Come il re non esita ad abbandonare i dolci ozi di Versailles per compiere il proprio dovere e combattere i nemici della Francia, così in un’opera come Armida di Lully, Rinaldo abbandona l’amata bellissima Armida per una missione di ordine superiore, la liberazione del santo sepolcro. Il tema della rinuncia all’amore per il compimento del dovere e il perseguimento della gloria assume inoltre, di fronte alla nazione spettatrice, un valore didascalico: fate anche voi quello che fa il re.

Infine, la tragédie lyrique è lo spettacolo che, nato per il re e da lui stesso promosso, LuigiXIV offre magnanimamente ai suoi sudditi, rendendoli partecipi e orgogliosi della sua munificenza, nella quale la nazione va a identificarsi.

Data l’importanza del messaggio affidato all’opera nelle sue componenti visiva e musicale, Luigi XIV affida il monopolio creativo delle opere da rappresentarsi all’uomo che più di ogni altro egli ritiene possa soddisfarlo, Lully, cui conferisce il privilegio per la creazione dell’Académie Royale de Musique.

Opinione di Luigi è infatti che “in un grande stato, vi sono persone adatte per ogni cosa, e l’unico problema è trovarle e metterle al posto giusto” (Luigi XIV, Mémoires).

Divenuta un vero affare di Stato, la musica di Lully non potrà venire né stampata, né copiata, pena una forte ammenda, senza l’autorizzazione dell’autore. E la ricchezza e gli onori di cui godrà l’umile figlio di mugnaio sono la tangibile dimostrazione di come venga in fine ricompensata una totale dedizione al servizio del re.

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