La poesia latina

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giuseppina Brunetti

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La poesia latina del Quattrocento, fiorita all’insegna del recupero dei poeti classici, interagisce profondamente con quella volgare, in primo luogo petrarchesca, all’origine della grande tradizione poetica italiana. La dimensione “nazionale”, che dalla poesia romana si trasferisce alla neolatina, funziona da collante tra i principali centri di produzione poetica moderna latina e volgare, contribuendo in notevole misura alla creazione di una base umanistica per la sorgente letteratura italiana.

La poesia latina umanistica: imitazione letteraria e sostanza di vita

Angelo Ambrogini, detto Poliziano

Sono Giotto

Epigramma LXXXVI a Giotto, pittore

Io sono colui che fece rinascere la pittura scomparsa, che ebbe mano sicura e feconda. Quello che mancò alla mia arte, mancava alla natura: nessuno poté dipingere né più, né meglio di me. Ammiri quello splendido campanile che risuona del sacro bronzo? Anch’esso si leva fino alle stelle su un modello disegnato da me. Infine, sono Giotto. Che bisogno c’era di ricordare le mie opere? Questo nome vale una lunga epigrafe.

in Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. Arnaldi, L. Gualdo Rosa, L. Monti Sabia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964

Antonio Marrasio

Umanesimo di Siena

Angelinetum

Si spiega, pertanto, e si giustifica nei limiti di queste considerazioni l’elaborazione a Siena di una cultura umanistica a volte fervida ed entusiastica, ma naturalmente portata verso manifestazioni e generi in gran parte diversi dal “dialogo” o dal “trattato” che l’assidua meditazione morale del Petrarca aveva trasmesso alla cultura fiorentina attraverso il magistero del Salutati, o dalla storiografia, spesso impegnata a giustificare ideologicamente un dato ordine politico-sociale, fosse esso la oligarchia mercantile fiorentina o la monarchia meridionale o la “tirannide” milanese. A Siena, invece, fuori dalle severe aule dello Studio, i giovani umanisti erano naturalmente disposti a cogliere della nuova notitia vetustatis l’aspetto più appariscente e vivace, impegnandosi a far rivivere i moduli non già della lezione etica e civile ciceroniana o della prospettiva retorica ed eroica della storiografia liviana, ma quelli della splendida forma della elegia latina, che non aveva ancora trovato in quel primo scorcio di Quattrocento validi esiti letterari.

A. Marrasio, Angelinetum e Carmina varia, a cura di G. Resta, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1976

Risparmiati i vertici espressivi individuati in poche grandi personalità poetiche come Angelo Poliziano, Giovanni Pontano, Iacopo Sannazaro (1455-1530) e Michele Marullo, Benedetto Croce giudica la poesia quattrocentesca in latino un prodotto di pura imitazione (e ripetizione) letteraria, privo di vera ispirazione e originalità ma confezionato al tavolo della ricerca filologico-letteraria sui modelli antichi, ovvero generato dall’amore per la poesia stessa. Oggi si riconosce viceversa a questa produzione un valore artistico oggettivo, insieme al ruolo fondamentale svolto nelle dinamiche di sviluppo della cultura poetica italiana ed europea. Essa apporta un contributo innegabilmente forte alla comune “base umanistica” nutrita di tradizione classica su cui fiorisce la nuova letteratura italiana nazionale, in una situazione politico-culturale frammentaria e conflittuale, anche instaurando un profondo rapporto di reciproca interferenza con la poesia volgare recente e coeva, segnatamente quella di Francesco Petrarca e dei petrarchisti, fecondo di sviluppi successivi.

Raffinata eleganza, completezza e perfezione dell’imitazione letteraria degli antichi fanno parimenti parte dell’eredità trasmessa alla nascente poesia italiana in volgare, insieme al rilancio e all’interpretazione originale e innovativa di generi poetici che il Medioevo ha trascurato o quasi del tutto ignorato. Ma la poesia latina del Quattrocento è anche in grado di esibire manifestazioni, non così infrequenti, di un riuscito connubio tra letteratura e vita. La capacità di esprimersi all’interno di un codice letterario e con lingua, moduli e motivi classici si coniuga talora assai felicemente al racconto della realtà esistenziale, storico-politica, culturale e di costume in atti creativi compiutamente poetici, nel nome di una “varietà, che è poi verità” (Francesco Arnaldi, Introduzione a Poeti latini del Quattrocento, 1964) e che offre nel complesso l’affresco mosso e vivace della vita osservata dagli occhi dei poeti umanisti e raccontata con le parole dei poeti antichi.

La rinascita della lirica latina: epigramma ed elegia

A Siena, negli anni Venti-Trenta del secolo, l’atmosfera spensierata, goliardica e raffinata della città universitaria favorisce all’ombra dello Studio l’esperimento libero e ardito del pioniere dell’epigramma umanistico.

È un coraggioso, o, meglio, sfrontato giovane siciliano guadagnato alla città come studente di diritto, Antonio Beccadelli detto il Panormita, a rifondare l’epigramma latino classico in distici elegiaci con la pubblicazione della raccolta intitolata Hermaphroditus (1426). Dominata da un’esplicita, insistita e cruda oscenità adottata a fini canzonatori e sarcastici, essa si costituisce di componimenti di tono comico-burlesco e ambientazione goliardico-cittadina i cui protagonisti sono talora figure storicamente determinate. Modello principale sono gli epigrammi di Marziale e i licenziosi Carmina Priapea (I sec.); in seconda battuta il Catullo più mordente e malizioso, ma anche i poeti elegiaci augustei, Properzio, Tibullo e Ovidio, in linea con la già classica ingerenza reciproca tra epigramma ed elegia che perdura in età umanistica. L’opera del Panormita, che stravolge la fisionomia soprattutto pedagogico-moralistica dell’epigramma medievale riconsegnandolo alla modernità in una forma genialmente innovata e attualizzata, subisce numerosi e aspri attacchi per la sua oscenità. Ma rimane per la poesia latina umanistica, epigrammatica e non, un costante e imprescindibile modello a cui afferire nel segno dell’adesione o del rifiuto, accanto e al pari degli esponenti antichi del genere.

L’epigramma è molto coltivato da tutti gli umanisti per la sua virtù di forma versatile aperta a contenuti e caratteri vari da convogliare nei moduli di volta in volta più adeguati (epitaffio, epicedio, encomio o, viceversa, vituperio, invettiva; oppure carme letterario o d’occasione). Le prove migliori si riconoscono a Firenze con Poliziano e alla grande stagione classicistica napoletana di Pontano, Sannazaro e Marullo (Epigrammata, 1488-1498), particolarmente deciso nel rifiuto dichiarato della licenziosa poetica panormitiana a favore di un epigramma casto e colto, dedito a temi introspettivi.

Siena assiste anche al rilancio dell’elegia amorosa con Antonio Marrasio nell’Angelinetum (1429), piccola raccolta di sette elegie dedicate all’amore per Angela Piccolomini, e con Enea Silvio Piccolomini, il futuro Pio II, che nella spensierata e mondana giovinezza senese, in seguito rinnegata, compone il piccolo canzoniere elegiaco Cinthia (1423-1431) sul modello di Properzio e Ovidio. Ma è negli anni Quaranta e a Firenze, con Cristoforo Landino, che nell’elegia di stampo properziano irrompe la presenza di Petrarca. Nella Xandra (1443-1444) egli arriva a parafrasare in latino sonetti del Canzoniere e a trasporre in esametri la sestina, inaugurando in sostanza il petrarchismo all’interno della nuova elegia umanistica latina. All’esperimento landiniano sono organici gli altri lirici della corte medicea: Ugolino Verino con la Flametta (1463-1464), Naldo Naldi e Alessandro Braccesi con i loro libri di elegie. In area padana la formula del canzoniere amoroso in latino attecchisce nella Ferrara di Ercole I d’Este (1473-1505) con Tito Vespasiano Strozzi, devoto a Tibullo nell’Eroticon (prima redazione 1443), e con Basinio da Parma e la sua la Cyris (1446-1449). Presso la corte riminese di Sigismondo Pandolfo Malatesta lo stesso Basinio per primo ripropone il modello strutturale delle Heroides ovidiane, imitate nel romanzo epistolare Isottaeus (1450-1453), racconto degli amori di Sigismondo e Isotta degli Atti.Come già nell’epigramma, anche per l’elegia è nel Quattrocento avanzato che la lirica umanistica regala la più alta lezione: a Napoli grazie ai grandi umanisti aragonesi e a Firenze con l’inarrivabile e isolata esperienza di Poliziano (Elegiae; Epigrammata, Odae), il cui raffinato eclettismo, frutto di una filologia che si fa poesia nutrita di un amplissimo bagaglio di cultura poetica greco-latina, si rivela parallelamente proficuo per la grande produzione volgare come per l’esperimento mai tentato prima delle Silvae (1482-1486), prolusioni accademiche in versi.

Epica

L’epica latina quattrocentesca percorre strade molteplici e differenziate, che tuttavia in molti casi conducono agli ambienti cortigiani, dove spesso i poemi esametrici latini fiancheggiano cronaca e storiografia nella celebrazione del potere. Sovente l’epica umanistica di corte si propone infatti di sviluppare e amplificare soprattutto la vocazione encomiastico-celebrativa dei modelli classici, attribuendo solenni risonanze omeriche ed epiche agli eventi storici, anche i più ordinari, e contribuendo a creare il nuovo mito del moderno signore-condottiero. Sfruttata dalle classi dominanti come canale di propaganda e affermazione politica, essa rinuncia a una vocazione sinceramente letteraria, viceversa sviluppata nell’epica volgare dei cantari. Francesco Filelfo concepisce ad esempio per Francesco Sforza (1401-1466) il monumentale e incompiuto progetto della Sphortias (1450). A Ferrara, prima del nipote Matteo Maria Boiardo e di Ludovico Ariosto, Tito Vespasiano Strozzi celebra la casa d’Este dedicando a Borso d’Este la Borsias (1460-1496).Nell’ambito della vastissima ed estremamente diversificata produzione del tempo si mantiene costantemente vivo il filone che si esercita sul mito letterario, sull’onda della riscoperta dei poemi latini di Valerio Flacco e Silio Italico e anche grazie alla conoscenza diretta di Omero e degli altri epici greci. Il lodigiano e visconteo Maffeo Vegio scrive un tredicesimo libro dell’Eneide (29 a.C. - 19 a.C.), e integrazioni di miti virgiliani o di altri episodi antichi (Astyanax, 1430; Vellus aureum, 1431; Polidoreis, 1439). Più riuscito risulta l’epos mitologico di Basinio da Parma, contaminatore di Ovidio e Omero nella Meleagris (1448) e nella Hesperis (1450-1457), poema omerico sulle gesta di Sigismondo Malatesta.

La poesia esametrica non narrativa e didascalica, soprattutto a tema cosmologico-naturalistico, rappresenta un sottogenere intentato nei secoli precedenti e destinato a grande successo e sviluppo nel Cinquecento, anche nel più ampio panorama europeo, come canale di diffusione della nuova scienza. Sulla scia della rinnovata conoscenza di autori come Lucrezio, Manilio e Arato, essa si sviluppa soprattutto nella seconda metà del secolo fino alle massime espressioni negli Hymni naturales (1497) di Marullo e nelle molte importanti opere del Pontano, precedute dal più modesto Basinio con i suoi Astronomica (1455).

La forma esametrica lunga è canale di espressione ottimale anche per la poesia religiosa, già coltivata da Ugolino Verino in forma epigrammatica e inaugurata in versione epica da Maffeo Vegio con l’Antonias (1437), poema agiografico su sant’Antonio da Padova. E il virgiliano De partu virginis (1526) del Sannazaro sulla natività di Cristo è preceduto da prove significative e apprezzate a livello sovranazionale come Parthenice Mariana (1481) e il De suorum temporum calamitatibus (1489) del carmelitano Battista Spagnoli, detto il Mantovano.

Bucolica

La poesia pastorale latina, codificata da Virgilio nelle Bucoliche (42 a.C. - 39 a.C.), rinasce alla letteratura moderna con Dante Alighieri, che ne rilancia la fisionomia tradizionale di genere precipuamente allegorico-simbolico in cui i riferimenti al presente si mascherano dietro motivi e personaggi bucolici immersi nel paesaggio campestre. Ma molta della poesia bucolica che accompagna gli esordi dell’umanesimo si ispira piuttosto all’esempio di Petrarca, che riprende più direttamente il modello virgiliano, nel contempo infittendone l’ordito allegorico-metaforico fino a renderlo pressoché indecifrabile.

In alcune prove giovanili di Giovanni Boccaccio si intravede l’ingresso nella bucolica latina di quell’impegno storico-politico che si afferma con forza come motivo ricorrente nella poesia pastorale volgare del secondo Quattrocento. In latino il genere si adegua invece spesso all’indirizzo dell’epica di corte, divenendo in molti casi uno strumento celebrativo di oligarchie municipali e dinastie signorili. È il caso del Naldi a Firenze, a Ferrara dello Strozzi e del Boiardo, che celebra la casa d’Este con la fedele imitazione virgiliana dei Pastoralia (1463-1464). Ma come generalmente accade per gli altri generi umanistici, in poesia come in prosa, anche nella bucolica vediamo infiltrarsi argomenti, elementi e tratti eterodossi o caratteristici di altre forme poetiche. L’ingente produzione pastorale umanistico-rinascimentale si apre così a nuovi usi e a nuove forme, divenendo un mezzo di espressione assai diversificato, versatile e disponibile a una grande varietà di temi e contenuti. Oltre dunque alla bucolica “imitativa” di più ortodossa ispirazione classicista, quella di Battista Guarini, dei già citati Strozzi e Boiardo e del Mantovano, fioriscono, per esempio, nel corso del Quattrocento, composizioni di carattere bucolico a tema religioso e devozionale: è il caso del senese Francesco Patrizi, di Antonio Geraldini di Amelia, del napoletano Giano Anisio, ancora di Battista Spagnoli. Ma ampio e costante è anche l’utilizzo dell’egloga a scopo generalmente commemorativo di fatti pubblici o privati, in componimenti che sono in definitiva panegirici, genetliaci, epitalami o epicedi.

Nel Cinquecento l’egloga subisce infine sul piano formale un’innovazione straordinaria e feconda di sviluppi per opera del Sannazaro, che ne trasferisce ambientazione e motivi nel mondo dei pescatori del litorale partenopeo (Eclogae Piscatoriae, 1526).

Satira

Solo nel XV secolo, a seguito dei nuovi commenti ai poeti satirici classici, si creano le condizioni per la rinascita della satira, tradizionalmente destinata alla critica politico-sociale, morale e di costume nel doppio binario dell’indignazione aggressiva, sul modello di Persio e Giovenale, ovvero di un sarcasmo corrosivo mascherato da bonaria ironia, sulla scia di Orazio. Nel solco dei primi due autori si pone con le sue fluviali Satyrae (1476) Francesco Filelfo, pur variando la sua satira aggressiva, diretta in primo luogo contro l’ambiente fiorentino, grazie a un marcato intento pedagogico e alla contaminazione con l’oratoria, attraverso l’invettiva politica. La varietà e l’ampiezza delle satire filelfiane le rende il prodotto più significativo del genere in età umanistica, cui difficilmente possono accostarsi le opere di altri autori che in esso si cimentano, come Gregorio Correr, Gaspare Tribraco, Lorenzo Lippi, Tito Vespasiano Strozzi.

Uno sguardo sull’Europa: la poesia latina nel Quattrocento fuori d’Italia

La poesia neolatina umanistica attecchisce in Europa perlopiù sul finire del secolo, irrompendo in un attardato clima tardogotico e ponendo le basi per il notevole sviluppo, anche quantitativo, che questa produzione conoscerà fuori dall’Italia nei secoli successivi. Se l’avvio della rinascita si individua prima in area slava, ad esempio nelle elegie dei croati Giorgio Sisgoreo ed Elio Lampridio Cerva e nelle composizioni del primo umanista ungherese, Giano Pannonio, è solo alla fine del Quattrocento che la poesia latina esplode in Francia e in Germania come prodotto di punta della nuova stagione rinascimentale, inquadrato nel fervente clima culturale che precede la Riforma. L’opera di francesi come Robert Gaguin e Jean Salmon Macrin e di tedeschi come Sebastien Brant e Conrad Celtis (1459-1508) è affiancata anche dalla produzione poetica dei due massimi esponenti dell’umanesimo cristiano europeo a cavallo tra i due secoli: Erasmo da Rotterdam scrive negli anni giovanili versi di ispirazione classicista che in seguito rinnegherà, senza tuttavia mai abbandonare una composizione poetica in latino di carattere occasionale, a tema edificante-religioso ma anche autobiografico, talora venata di malinconica introspezione. E l’inglese Tommaso Moro (1478-1535) acclude all’edizione della sua Utopia del 1518 una collezione di Epigrammata classicheggianti che sono una sorta di atto di nascita dell’umanesimo inglese.

Nel XVI secolo la poesia umanistica in latino incontra in Europa anche la Riforma protestante, ad esempio negli Encomia Lutheri (1524), carmi satirici contro Lutero del vescovo polacco Andrej Krzycki, cattolico zelante e, insieme, cortigiano raffinato dotato di una brillante vena poetica esibita in molti carmi di occasione. E interessante è la resistenza trasformista extra italiana del genere “pescatorio” fondato da Sannazaro a partire dalla bucolica tradizionale.

Nell’Europa del Cinquecento e del Seicento, in Italia come in Francia, Germania, Olanda, Inghilterra e Scozia il codice poetico pastorale-pescatorio istituito dal grande umanista aragonese sarà da alcuni ripreso ma da altri trasformato e originalmente adattato nelle forme nuove dell’ecloga nautica, venatica, holitoria, vinitoria: carmi che in raffinati travestimenti classicisti raffigurano vita e lavoro di marinai, cacciatori, contadini, giardinieri e vignaioli.

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