La polemica di Croce con Francesco De Sarlo

Croce e Gentile (2016)

La polemica di Croce con Francesco De Sarlo

Cristiano Sabino

In una lettera del 22 aprile 1907, Croce informa l’amico e collaboratore Giuseppe Lombardo-Radice della sua decisione di «non dare tregua a De Sarlo», fino a che questi non fosse stato ridotto «al silenzio», dimostrandosi lucidamente consapevole del fatto che «il De Sarlo, pel posto che occupa a Firenze, ha un’influenza e aspira a prendere un’autorità, che può riuscir dannosissima» (Lettere inedite di Benedetto Croce a Giuseppe Lombardo Radice, a cura di R. Colapietra, «Il Ponte», 1968, 8, pp. 980-81).

Ad allarmare Croce non erano però solo il ruolo e le doti organizzative di Francesco De Sarlo, ma anche la sua non riducibilità alla vecchia mentalità positivista, aspetto bene evidenziato da Giovanni Papini in una pagina del suo diario, datata 1° marzo 1900:

Si sapeva che il De Sarlo era stato medico, psichiatra, si aspettava che fosse un positivista: invece niente di tutto ciò. Uno spiritualista un po’ modernizzato […] che ha il coraggio, sulla soglia del secolo XX, di parlare di vero, di falso, di bene, di male, di vita, di virtù di patria! (Diario 1900 e pagine autobiografiche sparse: 1894-1902, 1981, p. 40).

La polemica tra Croce e De Sarlo è da collocarsi nell’ambito della crisi del positivismo e dell’emergere di spinte intellettuali spiritualiste, irrazionaliste e neoidealiste. In Italia si apre la stagione delle riviste che veicolano un forte dibattito, spesso non scevro da duri attacchi polemici e dispute feroci. Croce nel 1903 fonda «La Critica» e De Sarlo nel 1907 «La Cultura filosofica», il cui primo fascicolo esce il 15 gennaio.

Nelle Conversazioni critiche Croce ricostruisce il clima culturale di quegli anni, ponendo l’accento sullo stacco netto tra una cultura ottocentesca egemonizzata dallo scientismo e la rinascita di necessità ideali di cui Croce stesso sente di essere insieme punto di riferimento e promotore:

Si usciva, allora, da mezzo secolo di naturalismo e positivismo e si era accumulata la materia di innumeri problemi che la logica naturalistica e l’agnosticismo positivistico non avevano, non che affrontati, neppure sospettati (Conversazioni critiche, serie V, 1939, pp. 270-71).

Oggi la storiografia mette in discussione tale lettura, basata su una divisione manichea fra il vecchio (rappresentato dal positivismo inteso come un blocco monolitico) e il nuovo (la rinascita dell’idealismo filosofico e dei fermenti spiritualistici). In realtà in Italia si svolse, almeno fino a tutti gli anni Venti del secolo scorso, un aspro confronto – dall’esito per nulla scontato – fra diversi progetti egemonici potenzialmente alternativi al crollo delle certezze tradizionali; vale a dire che il neoidealismo

non ha rappresentato l’unico aspetto filosoficamente rilevante e nemmeno l’unico momento europeo della cultura filosofica italiana a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento (Ferrari 2006, p. 8).

Certo, l’esercizio egemonico dell’idealismo italiano ha motivazioni profonde; esso si era irrobustito grazie al confronto con il Karl Marx di Antonio Labriola, per poi crescere non tanto sul terreno della lotta antipositivistica quanto sul confronto con le posizioni di alto livello dei suoi migliori eredi, tra i quali va certamente annoverato De Sarlo e il suo tentativo di fare scuola. Eppure il panorama filosofico italiano di allora appare faccenda più complessa rispetto alle drastiche rappresentazioni che i «distruttori della ragione», i sabotatori dell’accademia e gli stessi nuovi idealisti cercavano di dipingere.

Contesto e origini della polemica

La notizia della fondazione de «La Cultura filosofica» è accolta freddamente da Croce, che subito si rivolge a Gentile: «Avete visto il programma della nuova rivista di De Sarlo? Sarà una Contro-Critica; e ci vorremo divertire. Già il programma è slogicato dalla prima all’ultima parola» (lettera del 14 dic. 1906, Lettere a Giovanni Gentile: 1896-1924, a cura di A. Croce, 1981, p. 218). Il filosofo aveva inizialmente pensato di poter raggiungere con De Sarlo una qualche intesa per destrutturare il mondo accademico, ma presto aveva maturato un giudizio lapidario sul suo operato, risolvendosi infine a contrastarlo in maniera risoluta: «Credo anch’io che bisognerà combattere De Sarlo e i suoi, col loro indirizzo inconcludente» (lettera del 30 genn. 1907, p. 234).

Pochi mesi più tardi Croce comunica a Gentile di essere stato invitato al III Congresso internazionale di filosofia (Heidelberg, 31 agosto-5 settembre 1908) in rappresentanza dell’Italia, rivelandogli che l’organizzatore Wilhelm Windelband «vuol evitare un’invasione di positivisti italiani, che già si vanno organizzando a questo scopo» (lettera del 19 ott. 1907, p. 263). Nonostante lo scetticismo nutrito verso incontri di questo tipo, Croce parteciperà ai lavori per impedire che a rappresentare l’Italia in sede internazionale andassero «un Masci o un De Sarlo» (lettera del 28 luglio 1908, p. 314).

I primi anni del Novecento sono dunque cruciali. Federigo Enriques nel 1906 dà alle stampe I problemi della scienza, nel 1907 è tra i fondatori della «Rivista di scienza» – dal 1910 «Scientia» – e nel 1911 è l’organizzatore del IV Convegno internazionale di filosofia (Bologna). A congresso svolto, Croce, che aveva presenziato in qualità di ospite silenzioso, rilasciava una lapidaria intervista al giovane filosofo Guido De Ruggiero, decretando il fallimento della strategia enciclopedica e neoilluminista patrocinata da Enriques e bollando le fatiche filosofiche dei congressisti come «meritorie quanto sarebbero meritorie e disinteressate le mie, se organizzassi congressi di matematica» (La battaglia dei filosofi. Intervista con Benedetto Croce, «Il Giornale d’Italia», 16 apr. 1911, p. 63). Nello stesso anno Gentile, al termine della ricostruzione orientata della filosofia italiana svolta sui primi numeri de «La Critica», dichiarerà la fine del neokantismo italiano e leggerà nel cenacolo della Biblioteca filosofica di Palermo la memoria L’atto del pensare come atto puro (poi pubblicato in «Annuario della Biblioteca filosofica», 1912, 1, pp. 27-42), varando il «nuovo idealismo attuale», liquidatore di ogni preoccupazione diversa dal ripiegamento dello spirito su se stesso ed estranea all’atto del puro pensare.

Gli idealisti sembrano assai sicuri della propria strategia, ma così non è. Sotto la patina olimpica delle dichiarazioni pubbliche Croce cela non poche preoccupazioni, ipotizzando addirittura di dover chiudere entro breve i battenti della «Critica». Ecco cosa scriveva a Gentile il 13 gennaio 1911:

La Critica mi preoccupa non poco. Dopo nove anni siamo ancora tu ed io soli a reggere quel peso. I giovani che avevo cercato di formare o si sono distratti in altro o si sviati o amano l’ozio. Discorso malinconico, sul quale non voglio fermarmi. E io comincio ad essere stanco. Ho fatto in questi ultimi giorni il programma dei quattro anni che la rivista avrà ancora di vita (Lettere a Giovanni Gentile, cit., p. 533).

La confessione chiarisce come sotto l’atteggiamento vittorioso ostentato pubblicamente agissero serie inquietudini circa l’esito non scontato della disputa culturale in corso. È da leggersi in questo contesto la polemica diretta fra Croce e De Sarlo. Essa si apre e si chiude nel periodo compreso tra la recensione al testo desarliano del 1903 I dati dell’esperienza psichica («La Critica», 1904, 2, pp. 140-43) e l’acceso scambio di opinioni sullo hegelismo e sull’attività filosofica in generale, pubblicato nel 1907 sulle rubriche “Varietà” e “Note e discussioni” rispettivamente della «Critica» e della «Cultura filosofica». De Sarlo e Croce avranno poi occasione – all’indomani dell’avvento del fascismo – di riavvicinarsi, se non sul piano teorico, almeno su quello umano, a seguito dell’isolamento subito a causa delle loro comuni posizioni antifasciste: lo stesso De Sarlo sarà tra i pochi firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti (1925).

La polemica assume subito i lineamenti di uno scontro totale (Guarnieri 2012, p. 63). Al di là delle battute lapidarie, Croce sa bene che su «La Cultura filosofica» trovano sponda discussioni che vanno ben oltre gli angusti parametri della mentalità positivista, creando un terreno di confronto capace di attirare la partecipazione di molti giovani interessati al dialogo fra filosofia, sociologia, psicologia, pedagogia e morale. Per tutto il 1907 ridurre al silenzio De Sarlo sembrerà essere il cruccio di Croce, pianificato privatamente con Gentile attraverso una strategia che non escludeva punte ai limiti della contumelia. Perché tanto impegno? Nel mezzo della polemica Croce chiarisce a Gentile i termini della questione:

Io fiutai subito, appena ebbi la circolare di quella rivista, che saremmo dovuti venire ai ferri corti. Giacché il De Sarlo è preso dalla vanità di rappresentare una parte importante, anzi di diventare il direttore degli studii filosofici italiani. E a questa velleità egli vede nella Critica un ostacolo (lettera del 23 ott. 1907, Lettere a Giovanni Gentile, cit., p. 264).

In prima battuta Croce si era orientato a inglobare De Sarlo nel suo progetto egemonico, dichiarando di essere «propugnatore» delle sue tesi psicologiche: «Il De Sarlo è pienamente convinto e conscio che la psicologia empirica non ha che vedere con la filosofia, i cui problemi e metodi sono altri» (recensione a I dati dell’esperienza psichica, cit., p. 143). Le ricerche sulla «psicologia senz’anima» di matrice brentaniana sarebbero potute diventare funzionali al progetto neoidealista se fosse riuscita l’opera di riduzione già avviata da parte dello stesso Croce con le ricerche di Ernst Mach nel campo della fisica e da parte di Giuseppe Prezzolini con quelle di Jules Henri Poincaré nel campo della matematica, vale a dire dimostrare che la psicologia sperimentale «non è mai in grado di costituire un sistema di conoscenze, ma deve restare, come ogni scienza naturale, semplice raccolta di fatti […] a servigio della memoria» (p. 141).

Tuttavia, tale operazione sarà destinata a non avere successo. Croce se ne renderà conto presto, precisamente quando De Sarlo uscirà dal campo delle ricerche particolari per dedicarsi anima e corpo agli studi squisitamente filosofici, richiamando attorno a «La Cultura filosofica» un vero e proprio «centro antidealistico» (Guarnieri 2012).

Nel frattempo Croce aveva messo a punto la sua strategia egemonica, affrontando de visu le storture della cultura ufficiale e accusando l’accademia di far prevalere le questioni pratiche e le «manifestazioni d’interesse» sullo studio e sul confronto franco fra le posizioni (Scienza ed Università, «La Critica», 1906, 4, p. 320). Era necessario intervenire: nello specifico, occorreva contrastare tenacemente il trasformismo teorico e la pigrizia mentale che inquinavano il dibattito culturale atrofizzando le menti dei giovani e formando «avventurieri senza coscienza, pronti a difendere qualsiasi tesi purché appoggiata da personaggi che abbiano efficacia, se non mentale, pratica» (p. 320). In questa maglia cadrà presto De Sarlo (con i suoi allievi e la sua rivista), ridotto a ‘tipo’ negativo di intellettuale italiano da rintuzzare a ogni occasione.

La lettura dell’empiriocriticismo

Nella polemica appare cruciale l’interpretazione delle ricerche della scuola empiriocritica e del convenzionalismo in generale. Tale filone di ricerca rappresenta un movimento portatore di una visione del mondo (e del sapere) alternativa a quella che aveva dominato nel corso della seconda metà dell’Ottocento, un vero e proprio terremoto delle coscienze e credenze dell’uomo moderno. Basti pensare all’importanza – non certo disinteressata – che il Croce dei Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro («Atti dell’Accademia pontaniana», 1905, 10, pp. 1-140) attribuisce a Mach, esaltato come l’esempio più eclatante, assieme alle riflessioni di Poincaré, del cedimento strutturale della stessa indagine scientifica basata sul metodo sperimentale. Dal punto di vista crociano, a mettere la parola fine alla pretesa oggettività della scienza non sono più spiritualisti privi di una dovuta cultura sperimentale o mistici in procinto di ritirarsi dalle quotidiane fatiche del concetto, bensì scienziati ed epistemologi che meditano sui fatti ricavati direttamente dai risultati delle loro più avanzate ricerche.

È un argomento, questo, spesso utilizzato per tappare la bocca a chi – come De Sarlo ed Enriques – reagisce contro la riduzione a «pseudoconcetti» delle categorie scientifiche:

Il De Sarlo si scandalizza di me, perché io ho parlato dell’elemento arbitrario, che è nelle scienze naturali. Si scandalizzi piuttosto di tutta la moderna gnoseologia delle scienze, che ha messo in chiaro ciò in modo indubitabile (Una seconda risposta al prof. F. De Sarlo, «La Critica», 1907, 5, pp. 244-45).

Sulla medesima linea era intervenuto anche Prezzolini che, recensendo La science et l’hypothèse (1902) – una celebre raccolta di saggi di Poincaré –, aveva osservato come dopo la scoperta delle geometrie non euclidee gli assiomi matematici fossero da ritenersi «convenzioni dello spirito» (in corsivo nel testo) prive di qualsiasi valore oggettivo, e le leggi scientifiche «dei simboli economici e di facile uso (Hertz, Mach)» («La Critica», 1903, 1, p. 475).

Al Mach e al Poincaré liquidatori della scienza esaltati da Croce e Prezzolini, su «La Cultura filosofica» viene contrapposto un Mach critico, che, sotto la spinta di determinate circostanze storiche, ridiscute le premesse e le fondamenta del pensiero scientifico. De Sarlo – e con lui Antonio Aliotta che interviene con il documentatissimo articolo Ernesto Mach («La Cultura filosofica», 1908, 3, pp. 120-38) – coglie negli studi empiriocritici l’aspetto sia costruttivo sia autocritico di un’indagine epistemologica capace di fare i conti con i facili entusiasmi dello scientismo ottocentesco, mantenendo però saldo il valore dell’indagine scientifica:

La scienza della natura, mentre non riesce a darci conto come un riflesso della realtà qual è, non è affatto un tessuto di illusioni; mentre non rispecchia gli obbietti del mondo esterno quali sono indipendentemente da qualsiasi rapporto con altri elementi e con la coscienza, non è un prodotto della fantasia individuale (La conoscenza scientifica secondo E. Mach, «La Cultura filosofica», 1907, 1, p. 6).

Il dibattito sul sistema

Il compito dell’indagine filosofica non può più consistere, come nel passato, nella costruzione di sistemi che aspirano a dare fondo a tutta la realtà, dal momento che «dopo la dissoluzione dei grandi sistemi metafisici della cosiddetta filosofia classica, non si sono più avute costruzioni nuove perché ad esse sarebbe mancata la base» (La Redazione, Dopo un anno di vita, «La Cultura filosofica», 1907, 12, p. 318). La scuola di De Sarlo condivide insomma con larga parte della cultura del suo tempo «la comune avversione alle “costruzioni sistematiche”, all’intellettualismo astratto» (Savorelli 2009, p. 253). Il logicismo dei grandi sistemi del passato lascia dunque il passo a un progressismo illuministico fondato sulla ricostruzione integrale delle singole modalità in cui la ragione si è storicamente affermata nelle sue «vedute fondamentali» che affida alla filosofia proprio il «compito perenne […] di rimetterle a contatto col sapere» (La Redazione, Che cosa facciamo e che cosa vogliamo, «La Cultura filosofica», 1908, 2, p. 524). Non sono possibili «ipotesi metafisiche nuove» ed è palese il delinearsi sempre più accentuato di una sensibilità ostile non solo ai costituendi sistemi di Croce e Gentile, ma alla stessa idea che la filosofia possa consistere in un’autosufficiente comprensione della realtà. A questa concezione romantica – quando non dichiaratamente panlogistica – dell’indagine filosofica, De Sarlo e Aliotta oppongono un’ipotesi di lavoro fondata sulla processualità della ragione umana in continuo e reciproco contatto con i risultati delle scienze.

Sul versante opposto, Croce individua proprio nel carattere sistemico del ragionamento la base del risveglio filosofico italiano. Se di «nuova cultura intellettuale» si vuole parlare, è necessario «che quella nuova produzione di pensieri e d’idee sia produzione di sistema; perché filosofare è unificare, connettere, sistematizzare» (Il risveglio filosofico e la cultura italiana, «La Critica», 1908, 6, p. 162). Secondo la narrazione crociana, De Sarlo non concepisce il sistema perché aggancia la filosofia alla meditazione dei risultati delle scienze sperimentali, mentre il cuore dell’indagine filosofica sta nel carattere logico e storico del pensiero; il sistema

non si regge cioè sulle notizie che vanno tuttodì accumulando, e sugli schemi che vanno tuttodì foggiando, le discipline extrafilosofiche; ma sui problemi che lo spirito umano si è proposto e sulle soluzioni che ne ha dato (p. 166).

La stoccata crociana è diretta al progetto interdisciplinare di De Sarlo che – come molti altri – usa «tenersi a contatto, invece, coi zoologi, fisiologi, fisici e matematici» (p. 166). Che a essere preso di mira sia proprio il progetto de «La Cultura filosofica» lo sappiamo per certo perché Croce riporta l’immagine desarliana della filosofia costruita sul vuoto: «È nostra ferma opinione che la filosofia non può oggi costruirsi sul vuoto» (La Redazione, Nota di apertura, «La Cultura filosofica», 1907, 1, p. 3). La filosofia, controargomenta Croce,

non sarà mai vuota, quando sarà piena di filosofia; anzi, [...] tanto più essa diventa ricca e piena, quanto più si libera da elementi estranei e si riempie solo di sé medesima (Il risveglio filosofico, cit., p. 167).

Il rapporto conteso di scienza e filosofia

Dell’idealismo De Sarlo contesta in particolare l’idea che la realtà, nel suo svolgimento concreto, possa essere costruita a priori da un soggetto spirituale universale e atemporale, trascendente i singoli soggetti concretamente esistenti. Da qui la critica agli «pseudoconcetti» di Croce e la difesa della validità dei processi ragionativi delle discipline sperimentali. Da ciò discende anche la ferrea rivendicazione dell’unità del metodo impiegato da scienza e filosofia, cioè quello logico-razionale e sperimentale moderno:

Non v’è contraddizione tra il dire che la filosofia deve essere elaborazione critica dei procedimenti e dei concetti delle singole scienze, e il dire che punto di partenza per tale elaborazione filosofica deve essere la conoscenza esatta e adeguata dei risultati delle scienze medesime. Le due cose anzi, lungi dall’essere contraddittorie, sono necessariamente connesse. Padronissimo il Croce di fare della filosofia senza intendersi affatto di scienze, padronissimo di chiamare pseudoconcetti quei concetti ch’egli non ha chiari e determinati, padronissimo anche d’inebriarsi alla contemplazione delle bolle di sapone (Hegel superato, «La Cultura filosofica», 1907, 4, p. 113).

Tale esigenza di rimarcare il nesso scienza-filosofia era maturata dagli studi sulla psicologia sperimentale (Garin 1999, pp. 46-47) e non certo riesumando il meccanicismo. Di contro, come è noto, Croce sostiene la differenza e la divergenza tra il metodo delle scienze sperimentali e quello dialettico utilizzato dalla ragione solo quando specula. Mentre De Sarlo aveva insomma individuato nella psicologia sperimentale la base «per la soluzione dei problemi riflettenti lo spirito e per l’intendimento di ciò che è caratteristico dei principali suoi prodotti» (Lo psicologismo nelle sue principali forme, «La Cultura filosofica», 1911, 2, p. 157), Croce era stato chiarissimo nel declassare simili indagini a «moneta spicciola che adoperiamo nell’ordinaria conversazione» (Filosofia della pratica. Economica ed etica, 1909, p. 17).

De Sarlo era stato uno dei protagonisti del dibattito sulla psicologia fra il 1890 e il 1920, quando la disciplina aveva raggiunto il suo statuto autonomo, aveva frequentato assiduamente Franz Clement Brentano ed era stato fra i primi a mettere su un laboratorio di psicologia sperimentale. Proprio dagli studi di questa disciplina De Sarlo aveva ricavato la convinzione che nessuna attività conoscitiva, così come nessun sapere empirico, può prescindere dall’«esperienza interna»: con il «puro pensiero» – scrive in evidente polemica con gli idealisti italiani – «non si cava un ragno dal buco» (Il fondamento del sapere empirico, «La Cultura filosofica», 1912, 2, p. 182). Il terreno su cui matura l’opposizione alla ripresa idealistica di Croce e Gentile è quindi imbevuto di psicologia sperimentale: laddove Croce la declassa a disciplina pratico-mnemonica, incapace di alzarsi al livello delle scienze filosofiche, a De Sarlo interessa invece «mettere in chiaro, sul campo, il problema del rapporto scienza-filosofia affrontando la questione nel legame fra psicologia sperimentale e filosofia» (Garin 1999, pp. 46-47) e su questo terreno affrontare la crisi non tanto della scienza, quanto della sua immagine lineare, cumulativa e rettilineiforme.

Ritorno a Kant

Sulle pagine della «Cultura filosofica» emerge chiaramente l’attenzione dedicata alle tematiche kantiane, eppure per De Sarlo il neocriticismo

non può essere considerato come un indirizzo o una corrente filosofica da porre accanto o al medesimo livello delle altre, ma come un nuovo orientamento di spiriti, come l’indicazione di un nuovo metodo di filosofare (Il significato del neocriticismo, «La Cultura filosofica», 1911, 5-6, pp. 500-01).

Immanuel Kant viene quindi collocato alla fonte del dibattito che coinvolge l’intera comunità scientifica nella revisione dei presupposti epistemologici e gnoseologici nell’ambito della ricerca sull’intelligenza umana.

Di segno opposto la lettura neoidealistica. Croce, in una lettera del 31 dicembre 1906 a Gentile, aveva squadrato freddamente la funzione di Kant nel nuovo sistema di idee promosso sulle colonne della «Critica»:

È curioso che il Tocco [il filosofo neokantiano Felice Tocco] abbia interpretato il mio libro come se io giustificassi un ritorno al Kant. Se un senso ha il mio libro, è che bisognava insistere su Hegel, e non andare indietro, anzi prepararsi ad andare innanzi (Lettere a Giovanni Gentile, cit., p. 225).

I nuovi idealisti inseriscono l’opera kantiana in una ricostruzione storiografica verticale e orientata a saldare il legame fra Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel a suo tempo suggerito da Bertrando Spaventa. In questa prospettiva il neokantismo non ha dunque alcun senso, volendo rifarsi a qualcosa di superato dialetticamente. Croce lo chiama in più luoghi «rivolta degli schiavi» e Gentile – al termine della sua lunga ricostruzione storica sul neokantismo italiano – «filosofia dell’impotenza», sostenendo che tale indirizzo è come le «cose nate morte delle quali prima o poi ci si deve avvedere che non servono a nulla, ed è meglio disfarsene» (La fine del neokantismo italiano (Giuseppe Tarantino e Alessandro Chiappelli), «La Critica», 1911, 9, p. 368).

De Sarlo maturerà nei confronti dell’operazione di «riconversione del criticismo» condotta da Croce e Gentile un’opposizione netta, respingendo il passaggio dalla gnoseologia kantiana alla metafisica idealistica e restituendo a Kant e ai suoi allievi piena autonomia. Da Kant, Croce e Gentile recupereranno l’«apriori», giudicando tutto il resto frutto di posizioni dialetticamente superate; per De Sarlo i meriti di Kant e della sua scuola risiederanno decisamente altrove, e in particolare nella capacità innovativa di rileggere la realtà alla luce del progresso delle scienze e dell’attenzione al metodo della ricerca filosofica.

Il contrasto desarliano alla «filosofia letteraria»

Il dibattito su Hegel costituisce il vero punto di rottura fra Croce e De Sarlo (Guarnieri 2012, p. 63). Infatti, proprio riflettendo sul rilancio dello hegelismo De Sarlo muoveva una stringente critica all’operazione egemonica di Croce, «avvezzato male da quel pubblico di semi-letterati e semi-filosofi che da alcuni anni a questa parte pende dalle sue labbra» (Hegel superato, cit., p. 111). Croce aveva annunciato l’uscita di un suo scritto su Hegel, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, in una breve nota su «La Critica» avente lo stesso titolo (1906, 4, pp. 410-12). Secondo il suo autore questo scritto, per «lo stretto legame, che esso ha con le idee che si sostengono nella Critica» (p. 412), sarebbe dovuto apparire mano a mano sulla rivista, ma verrà dato alle stampe in quello stesso anno come monografia.

Se per Croce l’aggiornamento dello hegelismo risultava dunque centrale nel dibattito veicolato da «La Critica», De Sarlo escludeva invece ogni interesse verso l’argomento, liquidando la dialettica hegeliana come non rispondente né a esigenze metodologiche né alla struttura dei processi che costituiscono e trasformano la realtà. Insomma, le caratteristiche fondamentali del metodo dialettico erano agli occhi di De Sarlo semplici errori della ragione, che non solo andavano in rotta con i fondamenti del metodo sperimentale, ma mettevano in discussione la stessa ossatura logica del pensiero classico e moderno, proiettandosi a cadere nel misticismo.

De Sarlo rimprovera francamente Croce di malcelato panlogismo in quanto ricava i momenti della vita astrattamente, sorvolando con noncuranza la ricchezza e la complessità della realtà, distorcendola in nome di uno schema prefissato. Concetti come bene e male, bello e brutto, per es., non sono ricavabili speculativamente. Si tratta, al contrario, di «forme peculiari di esperienza psicologica» e «trascrizioni intellettuali di speciali atteggiamenti che la coscienza assume di fronte a certi oggetti o situazioni» (Un ritorno alla dialettica, «La Cultura filosofica», 1907, 2, p. 30). Ridurre insomma il rapporto tra attività teoretica, pratica ed estetica ai termini crociani significa impoverire la stessa attività dello spirito umano rendendola arida e incomprensibile.

De Sarlo accusa quindi gli idealisti di basare tutto il loro discorso sull’«autogenesi del pensiero» e di cadere nel verbalismo parascientifico, traducendo in termini puramente astratti dati empirici e psicologici. Come potrebbe ammettere una persona assennata – si domanda stupito – che il «divenire», il «cangiamento», lo «svolgimento» siano concetti puri trascendenti l’esperienza? La critica è diretta al cuore della teoria idealistica: se viene meno infatti l’apriorità del «divenire», se l’«autogenesi del pensiero» non è niente di più che una eccentrica trovata degli idealisti, se i diversi momenti della vita spirituale non sono nemmeno immaginabili senza ricorrere alla loro base psicologica ed esperienziale, che cosa rimane della «dialettica dei contrari», vale a dire del cuore dello hegelismo e della sua innovativa ripresa italiana? De Sarlo è a tale proposito lapidario: il «metodo dialettico» non solo non si dimostra superiore al metodo scientifico comunemente inteso, bensì risulta solo una forma «patologica» del pensiero che non può ispirare alcuna riforma della cultura.

L’idealismo filosofico veniva così criticato nelle sue basi fondamentali, in particolare nella distinzione tra logica speculativa (dialettica) e logica classica (alla base delle scienze sperimentali) e nel passaggio – ritenuto indebito – dalla gnoseologia alla metafisica. Se i concetti non fanno costante riferimento all’esperienza, essi non hanno alcuna validità e assolvono solamente a una funzione retorica, buona forse per la suggestione poetica, ma non per l’indagine e la metodologia scientifica. Non è un caso allora che De Sarlo parli spesso a tal proposito di «filosofia letteraria» o anche di «retorica». Si tratta di una strategia spregiudicata e assai efficace nei risultati: «Hanno dei metodi così perfezionati per organizzar la réclame […] da stendere intorno a sé una fitta rete di amicizie e di simpatie» (Che cosa facciamo, cit., p. 523). La maniera dei nuovi idealisti di intendere le discipline filosofiche si presenta insomma come una riproposizione dell’intolleranza e dell’oscurantismo metafisico, una vera e propria crociata contro la dimensione plurale della ragione e della sensibilità umana.

Nuovo idealismo contro positivismo vecchio e nuovo

La prospettiva degli idealisti sarà opposta. Hegel era stato l’ultimo dei grandi pensatori, pertanto era necessario riprendere da quel punto il discorso. Secondo Croce, la filosofia, se vuole «risorgere e progredire», deve farlo «riattaccandosi, in qualche modo, all’Hegel», perché in Hegel si ritrovano tutte le ragioni fondamentali della ricerca filosofica, a partire dall’apologia dell’oggettività della conoscenza; dopo di lui «il mondo fu di nuovo spezzato in apparenza e realtà ascosa» e la filosofia «venne spodestata. Preti da gabinetti e preti da altari occuparono il posto disertato dai filosofi» (Siamo noi hegeliani?, «La Critica», 1904, 2, p. 262). Croce smantella le critiche di De Sarlo accusandolo di sorvolare la profondità di tali temi e di sbarazzarsi sbrigativamente «in cinque pagine della logica speculativa, della dialettica, dei concetti puri, della contrarietà od opposizione, e di altri problemi di questa sorta» (Il prof. De Sarlo e i problemi della logica filosofica, «La Critica», 1907, 5, p. 165). Su questo piano la polemica si trasforma presto in un nodo morto. De Sarlo non solo non conosce Hegel, ma non sa neppure nulla di cose filosofiche, per questo liquida superficialmente il patrimonio hegeliano e «non vuol sapere di una logica filosofica, diversa dalla logica delle scienze empiriche» (p. 166). Quando De Sarlo ricusa le categorie extraempiriche come, per es., il «divenire», dimostra di attestarsi su posizioni prekantiane: «Il De Sarlo nega tutta la critica kantiana quando nega che l’esperienza […] sia sempre mediata dalle categorie intellettive» (Una terza risposta al prof. De Sarlo, «La Critica», 1907, 5, p. 333). Come si fa – argomenta Croce – a mettere sullo stesso piano il concetto del «divenire», che presuppone ogni tipo di esperienza e un concetto empirico qualunque come, per es., quello di «cavolfiore»? Il «divenire» ci deve essere per forza, altrimenti non potremmo mai esperire nulla, perché ogni oggetto dell’esperienza presuppone il «divenire» come categoria pura; il «cavolfiore» può esserci o meno senza che la nostra esperienza del mondo ne risenta in alcun modo:

Cavallo o albero sono astrazioni, costruite sulla materia delle nostre percezioni (pseudoconcetti, come li ho chiamati altrove, con vocabolo che ha fatto fortuna); ma il divenire – e tutti quei concetti puri, che il De Sarlo aborre – sono categorie, e senza di esse, ripeto, nessuna percezione ha luogo (Il prof. De Sarlo e i problemi della logica filosofica, cit., p. 167).

È a questo punto avviata la costruzione dell’immagine di un De Sarlo impostore di cose filosofiche, che non «si rende conto […] delle conseguenze assurde, che nascono dal suo dichiarare empirico il concetto del divenire» (Una seconda risposta, cit., p. 244), arrivando cioè a scambiare «ciò che ci può essere o non essere (il cavolfiore!)» con «ciò che non può non esserci (il cangiamento)» (Una terza risposta, cit., p. 333), vale a dire il contingente con il necessario. Ciò che De Sarlo sminuisce o critica è semplicemente al di fuori della sua portata perché egli non è un filosofo, bensì un medico prestato alla filosofia e occupante abusivo di una cattedra di filosofia teoretica.

Nel frattempo Croce stimola l’amico Gentile affinché scenda in campo, e Gentile non si fa certo pregare. Dopo aver criticato la scuola desarliana attraverso la recensione de L’individualismo etico nel secolo XIX (1906) di Giovanni Calò («La Critica», 1907, 5, pp. 384-91), il pensatore di Palermo affronta direttamente De Sarlo, rimarcando il carattere egemonico e pratico della polemica:

Noi siamo convinti, in particolare, che egli [De Sarlo] e i suoi Calò vivono neghittosi in un caos mentale, che sarebbe principio per l’Italia di nuova barbarie filosofica, peggiore di quella positivistica, da cui è appena uscita, se il loro modo di comportarsi verso la filosofia, aiutato da molti, troppi motivi estrafilosofici, assai potenti nell’animo di molti giovani d’oggi, riuscisse a prevalere sull’indirizzo di critica libera, insistente, sincera, da noi propugnato (Ancora del prof. De Sarlo e della sua scuola, «La Critica», 1907, 5, pp. 498-99).

La polemica proseguirà con le risposte di De Sarlo sulla «Cultura filosofica» e con altri interventi di Croce sulla «Critica», dai toni sempre più accesi. Nella narrazione crociana De Sarlo risulterà talvolta un intruso nel mondo della filosofia e talaltra una figura amletica, incapace di decidersi se dedicarsi alla medicina o alla speculazione:

“O fai il vicesindaco o fai il Pulcinella”: – disse una volta, a Napoli, un mio amico a un vicesindaco suo collega, che in tempo di carnevale si era mascherato da Pulcinella. – O il medico, o il filosofo! (Una seconda risposta, cit., p. 245).

La linea sarà simile verso Enriques così come verso molti altri intellettuali, ma la polemica con De Sarlo passa il segno del confronto critico e prenderà una piega dura, perfino poco educata se non feroce. Del resto Croce era stato chiaro sulla necessità di essere intransigenti e battere in breccia il clima cordiale e tollerante dominante la scena filosofica italiana, che inibiva ogni viva dialettica delle idee e impediva nei fatti un reale risveglio filosofico della cultura nel Paese. Bisogna assumersi il coraggio delle proprie posizioni – aveva scritto in maniera cristallina – anche a costo di inimicarsi gli avversari, e bisogna scrollarsi di dosso il freno inibitore della «tolleranza» e della «temperanza», perché queste sono false virtù che si risolvono nello «scetticismo», nell’«indifferenza» e nel «desiderio di non svegliare opposizioni vivaci» (Il risveglio filosofico, cit., p. 178).

Coerentemente a tale impostazione, nella penultima risposta a De Sarlo egli si felicitava di aver rilanciato un vero dibattito, stimolando tutti i protagonisti della scena culturale – incluso De Sarlo, con la sua «rivistuola di recensioni, col titolo improprio di Cultura filosofica e con una simbolica copertina in carta di maccheroni» (Una terza risposta, cit., p. 336) – a prendere posizioni sempre più nette. «La Critica», argomenta Croce, è stato il vomere che ha sollevato la zolla di un terreno filosofico fino a quel momento arido, e De Sarlo, suo malgrado, è anch’egli «figliuolo: rachitico figliuolo, ma figliuolo» (p. 336) di quest’operazione egemonica, perché se «La Critica» non avesse smosso la scena filosofica italiana con tanto vigore, le cose sarebbero rimaste ferme e inerti, appiattite su uno stanco dibattito interno alle logiche cattedratiche dell’università, e a nessuno sarebbe convenuto mettere in discussione un sistema oramai consolidato in cui pigrizia, ozio e indifferenza erano diventate le direttrici principali.

Conclusione

La polemica si chiude con Una quarta risposta al prof. De Sarlo («La Critica», 1907, 5, p. 416). Su consiglio di Gentile, Croce evita di dilungarsi troppo e sigilla tutto in poche righe. I rapporti erano ormai lacerati, Croce aveva ripetutamente ridotto De Sarlo a macchietta ignorante di cose filosofiche, e De Sarlo a sua volta lo aveva definito «maccheronico» e «lazzarone» (Mach ed Hegel si completano a vicenda!! Evviva la cuccagna!, «La Cultura filosofica», 1907, 7, p. 228; Sbraitare non è ragionare, «La Cultura filosofica», 1907, 8, p. 228), cadendo, senza saperlo, nella trappola tesagli.

Croce in una lettera a Gentile del 2 agosto 1907 poteva così cantare vittoria per aver costretto l’avversario all’«autoliquidazione» (Lettere a Giovanni Gentile, cit., p. 257). Come aveva scritto in una precedente lettera dell’8 luglio, l’obiettivo di ammutolire De Sarlo come «tipo da disegnare per ammonimento» (p. 251) e con lui chiunque altro avesse voluto intralciare la riforma neoidealistica, sembrava quindi essere stato raggiunto. La polemica mirava a zittire non De Sarlo in quanto tale, bensì qualunque tentativo riformatore che non rientrasse nelle strategie veicolate dalla «Critica». Di tutto questo Croce non farà mai mistero, non solo nel suo epistolario privato, ma anche nelle sue pubblicazioni:

Se ho durato la fatica di occuparmi del prof. De Sarlo, e di triturarne per tre volte la prosa, è stato soltanto perché ciò serviva ottimamente al mio intento di ritrarre in modo tipico, e in un caso particolare, le virtù dianoetiche ed etiche di una certa genia di professionisti e mestieranti, la quale, fino a pochi anni addietro, teneva quasi indisturbata in Italia il campo degli studii filosofici (Una quarta risposta, cit., p. 416).

Al termine del conflitto mondiale, sullo sfondo di un’Europa profondamente trasmutata e in ginocchio, altre saranno le preoccupazioni di De Sarlo e soprattutto di Croce, che sarà impegnato ad affrontare la rottura del sodalizio con Gentile e la difficile situazione intellettuale e politica conseguente all’avvento del fascismo. «La Cultura filosofica» non sopravviverà ai grandi sconvolgimenti bellici – cesserà le pubblicazioni nel 1917 – e il nome di De Sarlo, «in cui continuamente ci si imbatte nei primi tre decenni del Novecento, poi scomparirà quasi» dalla scena filosofica (Guarnieri 2012, pp. 62-63). «La Critica» continuerà invece a uscire ancora a lungo, fino al 1944, per un totale di quarantadue anni di insegnamenti e indiscussa egemonia culturale guadagnata sul campo, anche nel frangente della feroce e combattuta polemica con De Sarlo e la sua scuola.

Bibliografia

E. Garin, Francesco De Sarlo: psicologia e filosofia, in Francesco De Sarlo e il laboratorio fiorentino di psicologia, Atti del Convegno, Pisa, 18-28 aprile 1994, a cura di L. Albertazzi, G. Cimino, S. Gori-Savellini, Roma-Bari 1999, pp. 33-52.

Le città filosofiche. Per una geografia della cultura filosofica italiana nel Novecento, Atti del Convegno, Torino, 2-4 dicembre 1998, a cura di P. Rossi, C.A. Viano, Bologna 2004.

M. Ferrari, Non solo idealismo. Filosofi e filosofia in Italia tra Ottocento e Novecento, Firenze 2006.

A. Savorelli, L’eredità del Positivismo, «Giornale critico della filosofia italiana», 2009, 2, pp. 247-83.

P. Guarnieri, Senza cattedra. L’Istituto di Psicologia dell’Università di Firenze tra idealismo e fascismo, Firenze 2012.