La rivoluzione russa

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Fabrizio Mastromartino
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado nel febbraio del 1917 porta all’abdicazione dello zar, alla formazione di un governo provvisorio e alla creazione di numerosi soviet (Consigli eletti da operai e soldati). Ad aprile, con il ritorno di Lenin in Russia, i bolscevichi chiedono la fine immediata della guerra e il passaggio di tutto il potere ai soviet. Dopo il tentativo di colpo di Stato del generale Kornilov, i bolscevichi conquistano il potere con la forza il 7 novembre 1917 e nominano un nuovo governo guidato da Lenin che immediatamente emana il “decreto sulla pace” e il “decreto sulla terra”. In dicembre, i socialisti rivoluzionari vincono le elezioni per l’Assemblea Costituente ma questa, il 18 gennaio, viene sciolta d’imperio dai bolscevichi. Da questo momento in poi, tutto il potere politico si concentra nelle mani del partito di Lenin.

L’Impero russo nella Grande Guerra

Il 30 luglio 1914 Nicola II (1868-1918) firma l’ordine di mobilitazione generale dell’esercito al quale la Germania replica con la dichiarazione di guerra. La Russia zarista entra nella Grande Guerra dopo che la Duma, riunita in una sessione straordinaria per un giorno, ha votato i crediti di guerra. Per la borghesia russa, sedotta dal panslavismo e dal nazionalismo, il conflitto non serve a sostenere soltanto “il piccolo fratello serbo” ma è il fulcro di una lotta per l’emancipazione economica contro l’influenza tedesca e rappresenta il modo per aprire definitivamente la strada verso Costantinopoli e per l’accesso a un mare liberato dalla dominazione turca. I dirigenti liberali offrono il loro aiuto allo zar costituendo l’Unione Panrussa degli Zemvsta per il soccorso ai feriti e ai malati presieduta dal principe Georgij Lvov (1861-1925), e l’Unione Panrussa delle Città per fornire aiuto alla famiglie dei soldati e delle vittime della guerra. Come gli altri belligeranti, il governo russo prevede una guerra breve, tanto che le scorte militari coprono il fabbisogno di una campagna militare di tre mesi.

Dopo il primo anno di guerra le truppe zariste non hanno più proiettili e l’offensiva lanciata dalle potenze centrali nel maggio del 1915 produce pesanti sconfitte militari alla Russia: 150 mila morti, 700 mila feriti e 900 mila prigionieri. La Lituania, la Galizia e la Polonia passano sotto il controllo degli imperi centrali e il 5 novembre 1916 viene ricostituito lo Stato polacco. La perdita delle province occidentali e un afflusso considerevole di rifugiati mettono in ginocchio la debole economia russa che non riesce a resistere al proseguire della guerra. Più dell’80 percento delle fabbriche vengono destinate ai bisogni della guerra. La necessità di concentrare tutto lo sforzo industriale sulla produzione bellica comporta però la disorganizzazione del mercato interno che oscilla tra inflazione e scarsità di beni. In pochi mesi le retrovie del fronte mancano di manufatti e i bisogni di civili non vengono soddisfatti. Tra il luglio del 1914 e il gennaio del 1917 i prezzi dei prodotti di base salgono vertiginosamente senza essere seguiti dai salari. Le condizioni di vita dei salariati degrada rapidamente e il numero degli scioperanti aumenta di anno in anno: dai 35 mila del 1914 al milione e 100 mila del 1916.

Alla crisi economica si accompagna sin da subito una profondissima crisi politica del regime zarista. Nicola II, il 5 settembre del 1915, su consiglio della moglie Alessandra e di Rasputin (1871-1916) assume personalmente il comando supremo degli eserciti al posto del granduca Nicola delegando, in questo modo, la direzione del Paese alla impopolare moglie di origine tedesca e all’influente monaco. L’autocrazia zarista, nel corso della guerra, non riesce a fornire né una linea politica al Paese né una guida militare all’esercito, tanto che nel corso del 1916, il governo russo vede l’alternanza di ben cinque ministri degli Interni e tre ministri della Guerra.

Nel gennaio del 1917 la corte zarista, seguendo una vecchia consuetudine, ordisce un complotto per sbarazzarsi di Rasputin che viene assassinato nella notte tra il 30 e il 31 dicembre del 1916 dal principe Feliks Jusupov (1887-1967), dal deputato nazionalista Vladimir Puriskevic (1870-1920) e dal granduca Dimitrij Pavlovic (1891-1942). A questo intrigo di corte ne seguono altri tra gli industriali, i parlamentari e i militari con lo scopo di provocare una “rivoluzione di palazzo” che costringa lo zar ad abdicare a favore del figlio sotto la reggenza del fratello, il granduca Michele. Le forze rivoluzionarie presenti da tempo nella società russa inizialmente non riescono ad assumere un ruolo in questa situazione di declino politico dell’autocrazia zarista. La guerra ha provocato nuove scissioni all’interno del campo rivoluzionario favorendo una parcellizzazione delle forze antisistema. Accanto ai “social-patrioti” come Georgij Plechanov (1856-1918) e Petr Kropotkin (1842-1921), che ritengono di primaria importanza la vittoria della Russia contro l’imperialismo tedesco pena la sconfitta del movimento socialista internazionale, si stagliano i “difensivisti” come il menscevico Nikolai Čkheidze (1864-1926) e il laburista Aleksandr Kerenskij (1881-1970) che si propongono di respingere l’invasione straniera senza cessare la lotta al regime zarista. Su un altro versante politico si pongono gli “internazionalisti” che si propongono come obiettivo primario la ricostituzione dell’Internazionale respingendo l’idea della guerra di difesa nazionale. A questo gruppo appartengono menscevichi come Martov (1873-1923), socialrivoluzionari come Viktor Michailovic Cernov (1876-1952) e bolscevichi come Nikolaj Lenin (1870-1924) anche se con una posizione più isolata rispetto agli altri. Sia alla Conferenza di Zimmerwald (del settembre del 1915) che a quella di Kienthal (nell’aprile del 1916) il gruppo di Lenin rifiuta di collaborare con altre forze politiche. Lenin legittima le sue posizioni in un agile libello scritto nel 1916, L’Imperialismo fase suprema del capitalismo, in cui sovverte le teorie marxiane dello scoppio rivoluzionario nel Paese in cui il capitalismo è più forte. Lenin spiega, invece, che la rivoluzione sarebbe scoppiata in uno Stato economicamente poco sviluppato se fosse stata diretta da un’avanguardia rivoluzionaria disciplinata. Nonostante le forti divisioni all’interno dei movimenti antisistema la situazione politica del regime zarista alla fine del 1916 è senza dubbio esplosiva. La guerra ha provocato una crisi che l’autocrazia russa è incapace di gestire mentre l’opposizione liberale teme di rimanere travolta dai moti di piazza e dalle avanguardie rivoluzionarie la cui divisione, però, finisce per soffocare ogni ipotesi di tentativo insurrezionale.

La rivoluzione di febbraio e la caduta dello zar

Le crescenti difficoltà economiche prodotte da una guerra di logoramento che nessuno ha previsto si tramutano in una crisi politica che nel febbraio del 1917 porta a un repentino mutamento politico e all’abdicazione dello zar. La situazione precipita a Pietrogrado dopo l’istituzione delle tessere di razionamento del cibo e la decisione della direzione delle industrie Putilov di indire una serrata. Il 23 febbraio viene indetta una manifestazione, la “giornata degli operai”, che si svolge pacifica e senza incidenti. Il giorno successivo la manifestazione si amplia. Quasi tutte le fabbriche scioperano e gli operai con la bandiera rossa in mano e al canto della Marsigliese sfilano nelle strade del centro. Il terzo giorno di agitazione il ruolo dei bolscevichi diventa palese. I manifestanti marciano per le strade del centro cittadino nonostante l’ordine del comandante della polizia di Pietrogrado di impedire ai cortei di oltrepassare i ponti sulla Neva. Il 26 febbraio, quarto giorno consecutivo di scioperi, più di 150 operai muoiono falcidiati dalle raffiche di mitragliatrici sparate degli ufficiali dell’esercito. I soldati, infatti, si sono rifiutati di sparare alla folla per mettere fine ai disordini e i graduati, in prima persona, hanno fatto fuoco sui dimostranti. Quello che sembra l’anticamera della fine delle agitazioni è invece solo la vigilia della vittoria della rivoluzione. Nella notte tra il 26 e il 27 febbraio i soldati di vari reggimenti della Guardia (Pavlovskij, Voliynskij, Peobrazenskij) si ammutinano contro gli ufficiali e la mattina del 27 febbraio fraternizzano con i manifestanti. Gli insorti si impadroniscono dell’Arsenale, distribuiscono 40 mila fucili tra la folla e marciano sul Palazzo d’Inverno. Alcuni istanti più tardi una bandiera rossa viene issata sul tetto del palazzo.

La sospensione della Duma da parte dello zar non muta il processo rivoluzionario. Contro l’opinione dei suoi colleghi il principe Kerenskij corre incontro agli insorti che si dirigono verso il palazzo di Tauride, sede delle riunioni, e salva in questo modo l’alleanza tra il popolo e la Camera dei deputati. Per opera di un gruppo di militanti operai menscevichi che raggiunge il palazzo di Tauride viene formato il primo organismo rivoluzionario: il presoviet degli operai che costituisce subito una Commissione di approvvigionamento per nutrire i soldati in rivolta e una Commissione militare per difendere la rivoluzione. La sera stessa del 27 febbraio vengono eletti i primi delegati operai del soviet e nella notte la Duma annuncia la rottura con la dinastia Romanov e la nascita di un “Comitato per il ristabilimento dell’ordine e dei rapporti con le istituzioni e le personalità” che segna la prima tappa verso la formazione di un nuovo governo. Nasce in questo momento quel dualismo di potere tra la rappresentanza di base, i soviet, e quella parlamentare, la Duma, che accompagnerà i primi mesi della rivoluzione russa. In questa prima fase il soviet, in nome dell’unità antizarista e temendo una repressione militare riconosce la legittimità di un governo costituito dalla Duma. Tranne i bolscevichi che sostengono la posizione massimalista, sintetizzata dallo slogan “tutto il potere ai soviet”, e alcune frange anarchiche, tutte le tendenze socialiste interne al soviet appoggiano il governo della Duma che ha sposato un programma democratico.

L’esistenza di queste due istanze separate e antagoniste nel fronte rivoluzionario non salva però il declino della dinastia condannata anche dalle incertezze di Nicola II. Lo zar, dopo aver ricevuto i telegrammi dei comandanti degli eserciti preoccupati per l’indipendenza del Paese e la salvaguardia della dinastia, decide di abdicare a favore di suo fratello Michele. Il trasferimento dei poteri giunge troppo tardi in una situazione politica ormai compromessa. Nessuno è in grado di garantire la sicurezza al fratello dello zar e così anche Michele rinuncia al trono. L’inattesa e rapida caduta della dinastia porta con sé la repentina nascita, in tutte le città della Russia, di centinaia di soviet sul modello di quello di Pietrogrado (composto da 850 delegati operai e 2200 soldati). Rispetto a quelli del 1905, dunque, la stragrande maggioranza dei soviet del 1917 non è composta soltanto da operai ma anche da soldati. Anche tra i bolscevichi un solo dirigente del soviet è un operaio. E inoltre, questi del 1917 sono controllati da militanti politici di origine intellettuale e borghese.

Il soviet di Pietrogrado invita immediatamente i lavoratori a organizzarsi e subito dopo il trionfo della rivoluzione di febbraio sorgono spontaneamente migliaia di comitati che, eletti durante le assemblee dei lavoratori, inviano al soviet le loro rivendicazioni. La giornata lavorativa di otto ore è al primo posto. Oltre ai comitati di fabbrica nascono i comitati di quartiere che hanno lo scopo di garantire l’applicazione delle decisioni dei soviet, assicurare la difesa della città e organizzare una nuova vita nei quartieri. Infine, munite delle armi prese nell’Arsenale il 27 febbraio, nascono le milizie per difendere la rivoluzione, le guardie rosse.

Le Tesi di aprile e la crisi dell’estate 1917

Le speranze suscitate dal processo rivoluzionario impongono alle nuove autorità misure urgenti e radicali. Le richieste di operai, contadini e soldati sono semplici quanto dirompenti. Gli operai chiedono l’applicazione del programma minimo della socialdemocrazia, ossia la giornata lavorativa di otto ore, la sicurezza dell’impiego, le assicurazioni sociali, il diritto dell’esistenza di un comitato di fabbrica, il controllo delle assunzioni e un aumento del salario. Fino ad aprile il problema della continuazione della guerra così come la questione della costruzione del socialismo occupano un posto di secondo piano nelle rivendicazioni operaie. I contadini, seguendo il principio che la terra appartiene a coloro che la lavorano, reclamano la redistribuzione delle terre non coltivate dai grandi proprietari. Sottolineano, inoltre, il ruolo della comune del villaggio nella gestione collettiva del materiale, nello sfruttamento delle foreste e nella suddivisione equa delle terre. I kulaki (contadini agiati proprietari di terreni), invece, temendo di trovarsi nel gruppo dei futuri espropriati, rifiutano le competenze delle assemblee di villaggio. I soldati, infine, come la maggior parte dei combattenti di tutti i Paesi coinvolti, desiderano innanzitutto la fine della guerra, tuttavia, finché non sono i soviet a lanciare un appello per la conclusione del conflitto, non osano proclamare le loro aspirazioni di pace.

Nella prima fase della rivoluzione le parole d’ordine dei diversi partiti socialisti – equa suddivisione, municipalizzazione, socializzazione, nazionalizzazione – non compaiono tra i contadini, gli operai e i soldati. In questi primi mesi solamente i bolscevichi e gli anarchici sono contrari alla politica conciliatoria tra Duma e soviet e rappresentano l’unica opposizione alla politica del doppio potere. I bolscevichi nelle giornate di febbraio mostrano la debolezza del partito soprattutto nell’esercito. Lenin decide di rientrare in Russia e accetta l’accordo concluso dal socialdemocratico svizzero Plattern con le autorità tedesche. Con un gruppo di rivoluzionari lascia Zurigo il 28 marzo, attraversa la Germania (in un vagone che gode dello statuto della extraterritorialità), raggiunge la Svezia e poi Pietrogrado. Il giorno dopo il suo arrivo (il 4 aprile) espone ai dirigenti bolscevichi le sue Tesi di aprile in cui proclama la propria ostilità al “difensivismo rivoluzionario”, al governo provvisorio e preconizza la repubblica dei soviet, la fine della guerra e la nazionalizzazione delle terre. Le tesi, inizialmente accolte con stupore dai dirigenti della capitale come Lev Kamenev (1883-1936) e Michail Kalinin (1875-1946), diventano ben presto la linea politica del partito bolscevico che Lenin riesce a mettere sotto il suo controllo.

All’inizio di aprile il problema della guerra è al centro del dibattito politico e la parola d’ordine della “pace senza annessione né indennità” trova largo corso in tutte le correnti rivoluzionarie sebbene continuino a permanere le divisioni e gli scontri di piazza all’interno delle forze socialiste. Le lotte intestine nel fronte rivoluzionario portano alla composizione di un nuovo governo sempre guidato dal principe Lvov e dal quale continuano a essere esclusi i bolscevichi e gli anarchici. Protagonista di questo governo di coalizione tra i moderati (Kerenskij e Lvov) e le forze della democrazia (menscevichi e social-rivoluzionari) è il menscevico Iraklij Cereteli (1881-1959) che cerca, invano, di intervenire presso i governi europei per farli aderire alla formula della pace senza annessione e indennità e cerca di organizzare a Stoccolma una conferenza di tutti i partiti socialisti per ricostruire una nuova Internazionale.

La politica di compromesso del ministero Lvov non riesce però a raccogliere il consenso tra la popolazione russa. Il numero di disertori dell’esercito aumenta considerevolmente e la propaganda bolscevica guadagna terreno tra i soldati. Nel frattempo le tensioni nelle città tra operai e industriali non vengono sopite e il movimento dei comitati di fabbrica si radicalizza votando mozioni di ispirazione bolscevica e preconizzando il passaggio di “tutto il potere ai soviet”. Nelle campagne, infine, i comitati agrari e i comitati di approvvigionamento creati dal governo per preparare una riforma agraria e regolamentare la distribuzione delle granaglie vengono sostituiti da comitati spontanei di contadini che si appropriano di terre non coltivate, sequestrano materiale agricolo e bestiame ai proprietari terrieri e fissano i diritti di utilizzo dei pascoli. Parallelamente a queste attività organizzate si moltiplicano gli atti individuali di violazione dell’ordine. Da marzo a giugno il numero delle infrazioni decuplica.

Il malcontento sociale premia i bolscevichi, per la prima volta, nella manifestazione di Pietrogrado del 18 giugno. Il corteo, indetto dal soviet per legittimarne la politica, vede infatti una forte presenza di militanti bolscevichi che hanno guadagnato un nutrito consenso in seno ai comitati di fabbrica, nei comitati di quartiere, nella guarnigione militare e nella classe operaia di Pietrogrado. La questione della fine della guerra è ormai al centro del processo rivoluzionario. La sera del 2 luglio, 26 unità militari si rifiutano di partire per il fronte e occupano le piazze della capitale. Il tentativo insurrezionale, confusamente abbozzato, viene sopito sul nascere e le truppe vengono disarmate. I bolscevichi, accusati di aver istigato il colpo di mano, vedono la chiusura dei propri organi di stampa ma le conseguenze più importanti delle “giornate di luglio” investono direttamente i vertici della direzione politica e militare del paese: Kerenskij sostituisce L’vov alla guida del governo e Lavr Kornilov (1870-1918) viene promosso generalissimo al posto di Aleksej Brusilov (1853-1926). Kornilov, oltrepassando le proprie competenze, propone un programma di riforme per uscire dalla crisi basato sulla smobilitazione di quattro milioni di soldati a cui sarebbero stati destinati otto desjatiny di terra ciascuno e una manifestazione nella capitale il 27 agosto, per i sei mesi della rivoluzione di febbraio, cui avrebbe dovuto partecipare la “divisione selvaggia” (Tatari, Osseti, Ceceni) guidata da Aleksander Krymov. L’obiettivo finale di Kornilov consiste nell’accerchiamento di Pietrogrado da truppe a lui fedeli e il rovesciamento del governo. Kerenskij, smascherato il tentativo di colpo Stato del generale, forma insieme al Comitato esecutivo del soviet il Comitato di difesa popolare contro la controrivoluzione e in alcune ore riesce a sventare il colpo di mano. Krymov si suicida e Kornilov viene arrestato.

La rivoluzione d’ottobre

La crisi di agosto produce il fallimento di tutte le istituzioni rappresentative, la radicalizzazione delle masse, impazienti di ricevere gli utili della rivoluzione di febbraio, e la resurrezione del bolscevismo dopo la sconfitta delle “giornate di luglio”. Il colpo di Stato di Kornilov annulla definitivamente il residuo di fiducia dei soldati nei loro ufficiali e le diserzioni assumono un’ampiezza ineguagliata. Scoppiano, inoltre, i disordini agrari con i contadini che non si accontentano più di requisire le terre ma saccheggiano e bruciano le dimore signorili, massacrando i proprietari e portando via il materiale agricolo e il bestiame. Il mondo operaio risente, infine, dello stesso clima di violenza. La battaglia sull’orario di lavoro e le conseguenti serrate degli industriali fanno aumentare costantemente gli scioperi e i disordini. La forte diminuzione della produttività del lavoro e gli effetti congiunti delle serrate e degli scioperi completano la disorganizzazione della struttura economica russa. Le fabbriche Putilov, per fare un esempio, nell’agosto del 1917 ricevono solo 4 percento del loro fabbisogno di carbone e nello stesso mese a Pietrogrado arriva soltanto il 45 percento delle consegne di cereali necessarie a nutrire la città.

Davanti al fallimento delle istituzioni tradizionali e al declino dell’economia Kerenskij, il 1° settembre, decide di proclamare la Repubblica fornendola di nuove istituzioni: la Convenzione democratica e il Consiglio della Repubblica. Il nuovo clima politico, però, premia le idee dei bolscevichi sia nell’esercito che tra gli operai e il mutamento istituzionale non riesce a salvare la “rivoluzione di febbraio”. I soldati delle retrovie vengono conquistati dalle idee bolsceviche convincendosi che soltanto una “pace a qualsiasi prezzo” li avrebbe dispensati dall’andare in prima linea. Il 9 settembre, inoltre, il Comitato esecutivo del soviet guidato fino ad allora dai menscevichi e dai socialrivoluzionari viene messo in minoranza e Lev Trockij viene eletto presidente del soviet. Il crescente peso politico dei bolscevichi, che sin da subito si lanciano in una campagna contro le nuove istituzioni rappresentative volute da Kerenskij, si ravvisa immediatamente nella decisione di Trockij di dar vita a un’organizzazione militare autonoma, il Comitato Militare Rivoluzionario di Pietrogrado (PVRK), e nella drammatica riunione del Comitato Centrale del partito bolscevico del 10 ottobre in cui viene decisa l’insurrezione armata per la presa del potere.

L’insurrezione armata avviene tra la sera del 24 e la notte del 25 ottobre (il 7 novembre secondo il calendario gregoriano). Le Guardie Rosse e alcune unità militari in poche ore si assicurano tutti i punti strategici della capitale, il controllo dei ponti sulla Neva e accerchiano il palazzo d’Inverno, sede del governo. La mattina del 25 Lenin fa pubblicare un appello del PVRK che dichiara la destituzione del governo e il passaggio del potere nelle mani del Comitato militare e non del soviet. Lenin attribuisce, quindi, la totalità del potere a un organo creato nel corso del processo insurrezionale (il PVRK) sancendo in questo modo la rottura con le altre forze rivoluzionarie presenti nel soviet. Il pomeriggio del 25 Lenin di fronte al soviet di Pietrogrado dichiara la vittoria della rivoluzione e nella notte dello stesso giorno il II Congresso Panrusso dei soviet, abbandonato dai menscevichi e dai socialrivoluzionari in disaccordo con l’insurrezione, ratifica un testo redatto da Lenin che attribuisce “tutto il potere ai soviet” ma che di fatto sancisce la legittimazione al potere dei bolscevichi. L’ultimo atto dell’insurrezione è la presa del palazzo d’Inverno da parte degli insorti. Dopo che l’incrociatore Aurora ha sparato a vuoto alcune salve verso l’edificio governativo, Vladimir Antonov-Ovseenko (1884-1939) a nome del PVRK arresta i membri del governo rifugiati nel palazzo. I combattimenti che si svolgono tra alcune centinaia di uomini delle due parti hanno una breve durata e portano alla morte di soli sei uomini tra i difensori del palazzo d’Inverno.

L’istituzionalizzazione del bolscevismo come nuovo potere avviene sin dalle ore immediatamente successive alla presa del palazzo d’Inverno. Dopo l’arresto del governo provvisorio il Congresso dei soviet ratifica due decreti redatti da Lenin in persona: il Decreto sulla pace che invoca una “giusta pace democratica” senza “annessioni e indennità” e il Decreto sulla terra che legittima l’operato dei comitati agrari sull’appropriazione delle terre appartenente ai grandi proprietari terrieri e alla corona. Il nuovo governo costituito il 26 ottobre (che viene denominato il Consiglio dei Commissari del Popolo) include soltanto dirigenti bolscevichi ed è presieduto da Lenin. E il PVRK adotta alcune misure autoritarie come la chiusura di sette giornali, il controllo della radio e del telegrafo e il sequestro di locali vuoti, appartamenti e automobili private.

Il successo della rivoluzione d’ottobre, però, non cancella la richiesta – presente da tempo nell’opinione pubblica russa e vecchio argomento polemico degli stessi bolscevichi nei confronti del governo Kerenskij – della riunione dell’Assemblea Costituente. Le elezioni per l’Assemblea Costituente che si svolgono nel dicembre del 1917 sanciscono, però, la vittoria dei socialrivoluzionari che raccolgono 16,5 milioni di voti e la chiara sconfitta dei bolscevichi che contano soltanto 9 milioni di voti. Su 707 eletti, di cui 370 socialrivoluzionari, i 175 bolscevichi risultano essere una netta minoranza. Di fronte a questa situazione il partito di Lenin, appoggiato anche da 40 socialrivoluzionari di sinistra (la cui leader è Marija Spiridonova, 1885-1941), contempla la possibilità di sciogliere l’Assemblea sostenendo che la democrazia dei soviet rappresenta una forma di democrazia superiore a quella derivata dal suffragio universale. L’Assemblea, che si riunisce la prima volta il 18 gennaio 1918, rifiuta questa concezione ed elegge alla presidenza il socialrivoluzionario Černov.

La vita dell’Assemblea Costituente dura, però, solo un giorno. Il 19 gennaio le Guardie Rosse impediscono la riunione dell’Assemblea e, con un atto arbitrario, la dichiarano sciolta. Le truppe fedeli ai bolscevichi stroncano sul nascere un tentativo insurrezionale organizzato da alcuni socialrivoluzionari e sparano sui manifestanti disarmati che protestano contro lo scioglimento dell’assise. Nel volgere di breve tempo, il “potere dal basso” che si è sviluppato in Russia da febbraio a ottobre, attraverso istituzioni decentralizzate tra loro molto diverse, viene rapidamente trasformato in un “potere dall’alto” tutto accentrato nelle mani dei bolscevichi. Le sessioni del Congresso dei soviet vengono sempre più diradate fino a ridurle a sedute simboliche, mentre il Comitato esecutivo dei Soviet diventa un’istanza temporanea riunita ogni due mesi. Di fatto, tutto il potere viene concentrato nel Presidium del Comitato esecutivo dei soviet, interamente controllato dai bolscevichi, che ha il diritto, fra gli altri, di confermare le decisioni del governo (il Consiglio dei Commissari del popolo) e di nominare i membri del governo (i Commissari del popolo). Il potere politico, in definitiva, è detenuto dalla classe dirigente del Partito Bolscevico che monopolizza sia il potere esecutivo che quello legislativo.

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