La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. René Descartes

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: i protagonisti. Rene Descartes

Jean-Robert Armogathe

René Descartes

Una filosofia del soggetto

Una commedia di Pierre Corneille, Le menteur, rappresentata per la prima volta all'inizio del 1644, mette in scena un giovane, Dorante, che ha appena terminato di studiare diritto a Poitiers, ma "lascia la toga per la spada". Per fare colpo sulla bella Clarice, egli si vanta di aver prestato servizio militare in Germania per quattro anni. Si tratta, pressappoco, del ritratto della giovinezza di Descartes.

René Descartes nasce nel 1596, cinquanta chilometri a sud di Tours, da una famiglia di giuristi e parlamentari. Una modesta agiatezza gli permetterà di vivere delle sue rendite senza preoccupazioni. Dopo aver studiato nel Collegio gesuitico di La Flèche, Descartes frequenta il corso di diritto all'Università di Poitiers e, nel 1616, all'età di venti anni, ottiene il baccalaureato. Dedica la tesi allo zio René, signore des Fontaines, suo padrino. Sorprendentemente però, subito dopo aver conseguito il titolo di studio, abbandona la carriera giuridica e si arruola nell'esercito, "lascia la toga per la spada". Descartes inizia a viaggiare attraverso i quartieri militari d'Europa. Raggiunge l'Olanda, dove presta servizio nell'esercito di Maurizio d'Orange-Nassau, percorre l'Europa centrale al servizio di Massimiliano di Baviera, visita l'Italia come turista e pellegrino. Nel 1619 inventa un nuovo compasso di proporzione che permette di trovare la duplicazione del cubo e la trisezione dell'angolo (due problemi di geometria ereditati dall'Antichità). Fra il 1625 e il 1627 risiede a Parigi, dove si lega agli ambienti scientifici e letterari, ma nel 1629 decide di stabilirsi in Olanda, paese nel quale trascorrerà venti anni della sua vita risiedendo in diverse città. Nel 1644, dopo quindici anni di assenza, torna a Parigi, da cui presto riparte per l'Olanda. In questo periodo accese controversie e polemiche lo oppongono a diversi teologi calvinisti e professori universitari. Nel settembre del 1649 infine, raccogliendo l'invito della regina Cristina di Svezia, raggiunge Stoccolma, dove muore di polmonite nel 1650 all'età di cinquantaquattro anni.

Descartes aveva trascorso una vita solitaria e abbastanza banale che conosciamo attraverso due fonti: una ricca corrispondenza, di cui ci restano sia le minute, le copie che Descartes conservava per sé, sia gli autografi posseduti dai corrispondenti, e una biografia. Immediatamente dopo la sua morte, infatti, l'amico Claude Clerselier, che gli era stato molto vicino, iniziò a raccogliere i suoi documenti, a pubblicare la corrispondenza e a preparare i materiali per stendere una biografia che, dopo diverse vicissitudini, fu pubblicata nel 1691 da Adrien Baillet, il bibliotecario di Guillaume de Lamoignon, presidente del parlamento con il titolo La vie de Mr Des-Cartes.

Il periodo in cui vive Descartes è ricco di avvenimenti storici: in primo luogo l'interminabile guerra dei Trent'anni che si protrae dal 1618 al 1648 e sfocia nella nuova configurazione degli Stati europei sancita dai trattati di Vestfalia. Descartes intrattiene una corrispondenza epistolare con Elisabetta, figlia di Federico V di Boemia, il 're di un inverno', esule in Olanda con la famiglia dopo la battaglia della Montagna Bianca nel 1620. In Francia è il periodo del governo di Richelieu, che muore qualche mese prima di Luigi XIII, nel 1642, e poi dei sommovimenti della Fronda, durante la minorità di Luigi XIV e il governo di Mazzarino.

La buona formazione classica che gli deriva dall'essere stato allievo dei gesuiti, permette a Descartes di scrivere correntemente in latino una parte della sua corrispondenza e alcuni trattati. Pur non essendo un 'tecnico' né in fisica, né in medicina, né in metafisica, produrrà opere importanti in tutti questi campi del sapere. Descartes non pubblica per ottenere denaro, pensioni od onori; pubblica la sua prima opera, il Discours de la méthode, insieme ai tre Essais (Géométrie, Dioptrique e Météores), in forma anonima, nel 1637, all'età di quarantuno anni. Quattro anni più tardi, nel 1641, firma un'opera in latino, le Meditationes de prima philosophia, a cui seguirono nel 1644 i Principia philosophiae, concepiti come un manuale per l'insegnamento, e Les passions de l'âme (1649). Alcuni trattati postumi e la corrispondenza completano la sua produzione che, senza avere l'aspetto monumentale ed enciclopedico delle pubblicazioni di alcuni suoi contemporanei, è frutto di un lavoro assiduo, facilitato dall'isolamento volontario durato più di venti anni.

"Qui mi trovo" scrive a Pierre Mesland, probabilmente nel 1645, "in un angolo del mondo ove non smetterò di vivere molto riposato e molto contento seppure i giudizi di tutti i dotti mi fossero contrari" (AT, IV, p. 217). Descartes visse e morì da buon cattolico, preoccupato di praticare la sua religione in una Olanda protestante, anche se tollerante, e in una Svezia luterana la cui regina stava per convertirsi al cattolicesimo. Gli storici concordano nell'escludere che Descartes assumesse un atteggiamento ipocrita o, al contrario, bigotto: egli non fu né un 'libertino' né un 'devoto'. La sua biografia è quella di un uomo di qualità, l''honnête homme' caro al XVII sec., ripiegato sugli studi condotti nella calma e nell'ozio letterario che gli permette la sua agiatezza.

Ci si può chiedere che cosa nell'opera di Descartes abbia portato a considerarne l'autore come il padre dell'Età moderna. In primo luogo, in maniera forse paradossale, Descartes rappresenta innanzi tutto un nuovo stile. Egli adottò uno stile, originale e unico, sia in francese, sia in latino, sia nella scrittura matematica. I trattati di filosofia composti in francese da altri autori suoi contemporanei, come Scipion Dupleix o Jean de Silhon, sono scritti ancora utilizzando lo stile di Michel Eyquem Montaigne, ricco di latinismi. Il francese del Discours de la méthode invece è caratterizzato da un nuovo stile: Descartes crea la sua lingua forgiando parole e costruzioni linguistiche. Inaugura quello stile di cui il suo pensiero ha bisogno. Guez de Balzac ammira il latino di Descartes: chiaro e preciso, al tempo stesso più elegante e più denso di quello degli scolastici contemporanei. In matematica infine, il suo contributo decisivo è la nuova notazione algebrica, in cui la 'cifra' adottata e l'uso di una lingua chiara e precisa facilitano il calcolo. Le metafore, infine, presenti in gran numero nei suoi scritti, svolgono un ruolo molto originale.

Descartes è un matematico intuitivo e dotato, ma ha anche qualche limite: Pierre de Fermat è più profondo e Girard Desargues arriva più lontano. La sua fisica possiede aspetti romanzeschi: è convinto di aver ricreato un mondo come all'inizio della Genesi, spiegando ogni cosa per mezzo di piccoli congegni e iscrivendo il divenire dell'Universo in un vasto "vortice vitale". Sicuro che lo sviluppo delle idee innate coincida necessariamente con le leggi effettive della Natura, egli subordina le une e le altre all'onnipotenza divina. È nella metafisica (la 'filosofia prima'), tuttavia, che Descartes è maggiormente originale. La rottura che opera non riguarda soltanto la filosofia scolastica, verso la quale alcuni dei suoi avversari, come Pierre Gassendi, sono ancora più polemici di lui. Il dubbio metodico non ha niente di un approccio scientifico: è ciò che gli permette di fondare con piena certezza una filosofia del soggetto.

Descartes ritiene di essere guidato dalla 'forza dell'immaginazione' dopo i sogni della notte dell'11 novembre 1619 (tre sogni che considera rivelatori e annota in un'opera manoscritta rimasta incompiuta, gli Olympica) e dopo l''illuminazione' del 1620: ne parla poco, ma ciò spiega il disprezzo per i suoi oppositori e la certezza di annunciare la verità che esprime nella lettera ai curatori dell'edizione di Leida. Nell'Epistola a padre Jacques Dinet del maggio 1642, Descartes sostiene che soltanto la sua filosofia può sconfiggere l'eresia e ricondurre tutti i dotti alla fede cattolica. Nell'Epistola ad celeberrimum virum Gisbertum Voetium, pubblicata ad Amsterdam nel 1643, afferma che l'intero genere umano trarrà profitto dai suoi studi. Fin dal marzo 1619, all'età di ventitré anni, Descartes scrive all'amico Isaac Beeckman di essere impegnato nella fondazione di una 'scienza del tutto nuova' che permetta di risolvere le questioni riguardanti ogni genere di quantità continua o discontinua.

Dopo un primo saggio in latino incentrato sulla confutazione dall'aristotelismo, le Regulae ad directionem ingenii (1627-1628), Descartes si dedicò alla matematica e studiò i problemi dell'ottica e delle meteore. In seguito alla condanna di Galilei, rinunciando a dare alle stampe il Monde, fondato sulla concezione eliocentrica, egli pubblica in francese il Discours de la méthode con tre saggi scientifici. Le critiche e le questioni sollevate dal suo scritto lo spingono allora a proporre un percorso di meditazione, costituito dalle sei Meditationes de prima philosophia, pubblicate in latino (la lingua dei dotti) insieme alle obiezioni che gli sono state poste da tutta l'Europa colta, e alle sue risposte. Tanto il successo quanto le controversie lo inducono a proporre una sorta di manuale di filosofia, i Principia philosophiae, stampati nel 1644, insieme alla traduzione latina delle opere precedenti. Infine Descartes pubblica in francese, per la regina Cristina di Svezia, il trattato Les passions de l'âme.

È difficile proporre una sintesi del suo pensiero: non è esistita una scuola cartesiana e i grandi filosofi postcartesiani (Malebranche, Spinoza, Leibniz) si sono opposti a Descartes, al quale tuttavia dovevano molto. Il suo pensiero si evolve in modo significativo durante gli anni, e la Correspondance permette di seguirne lo sviluppo. Egli infatti perfeziona le sue riflessioni nel rispondere alle domande che gli sono rivolte dai corrispondenti e, in questo senso, è possibile affermare che personaggi come Beeckman, Marin Mersenne o Christiaan Huygens hanno avuto un ruolo 'maieutico' per il suo pensiero. Il 'cartesianismo' tuttavia è costituito, oltre che dalle effettive dottrine di Descartes, anche dagli apporti dei primi discepoli, sovente infedeli, e dal modo in cui le sue intuizioni sono piegate in una sorta di nuova scolastica.

Fin dalle Regulae Descartes, opponendosi ad Aristotele, afferma che una stessa e unica luce naturale rischiara tutte le cose da conoscere. Questa dottrina è opposta alla tradizionale concezione scolastica secondo la quale l'intelligibile, la cosa da conoscere, attualizza l'intelletto nell'intellezione. Per Descartes la mathesis sottomette ogni oggetto all'ordine e alla misura. In tal modo egli riduce tutto a figura e movimento tralasciando le vecchie qualità reali, le forme sostanziali e l'intera teoria della conoscenza derivata dalla tradizione aristotelica in favore di una mathesis universale.

Con le lettere a Mersenne del 1630 in cui espone la sua teoria delle verità eterne Descartes compie un passo decisivo. Egli considera le essenze come le esistenze, vale a dire creature. Le verità sono dunque create. Si tratta di una tesi originale, mai sostenuta dai filosofi precedenti né ripresa da quelli successivi e che rimarrà costante in tutta l'opera di Descartes. Si tratta di una 'decisione' metafisica che fa dell'onnipotenza divina l'attributo principale di Dio.

Il percorso proposto nelle Meditationes permette d'individuare gli assi portanti intorno ai quali si organizza il pensiero di Descartes nella sua parabola evolutiva e sui quali poggia l'insieme della sua filosofia:

a) Il dubbio metodico. Descartes per mezzo di questo dubbio, totalmente diverso da quello scettico, introduce una profonda innovazione. Revocando in dubbio perfino le verità matematiche, cosa che nelle Regulae non avveniva ancora, egli avvia una radicale ricostruzione della metafisica.

b) Tale ricostruzione poggia sul cogito ovvero l'atto del pensiero. Il passaggio all'essere non è il frutto di un ragionamento, è intuitivo e non deduttivo.

c) La libertà è infinita, essa si scontra con i limiti di uno spirito finito e rivela la traccia o l'immagine di Dio nella creatura.

d) L'unione dell'anima e del corpo rientra nell'ordine dell'esperienza evidente e fondamentale, ma è incomprensibile. Descartes, nel trattare questo problema, insiste sulla distinzione a scapito dell'unione e questa aporia marcherà l'antropologia dei suoi successori (il parallelismo in Spinoza, l'occasionalismo in Malebranche, l'armonia prestabilita in Leibniz).

e) L'esistenza di Dio. Nella quarta parte del Discours de la méthode (1637), Descartes passa dal cogito all'"idea di un essere più perfetto di me". Questa idea innata porta in sé la traccia di colui che l'ha posta nel soggetto pensante. Nella terza meditazione egli riprende gli argomenti a posteriori, ma la discussione delle sue tesi, nelle risposte alle obiezioni e, soprattutto, nell'articolo XIV della prima parte dei Principia, conduce Descartes a strutturare il concetto d'infinito ricorrendo alla causalità (Dio, causa sui) e alla cogitatio. Le due strade tuttavia si escludono; i successori di Descartes sceglieranno infatti tra l'una o l'altra (Spinoza identificando cogitatio e causa, Malebranche situando in Dio l'idea di Dio, Leibniz infine identificando causa sive ratio con il principio di ragion sufficiente).

La morte prematura non ha lasciato a Descartes il tempo di completare un sistema che ambiva a essere enciclopedico e alcune delle sue teorie sono state velocemente smentite (quelle sull'urto dei corpi, sulla natura del cuore o sulla velocità della luce). Tuttavia, per il desiderio di rifondare interamente la filosofia a partire dal pensiero esclusivo del soggetto, egli resta la figura emblematica della filosofia moderna.

Tavola I

Descartes scienziato

"Quel che vi si trova inserito di Metafisica può esserne staccato senza danno": è così che Louis Liard (1882, p. 141) evidenziava, isolandolo, il metodo scientifico di Descartes. Il suo giudizio influenzò l'interpretazione degli storici della prima metà del XX sec.: Charles Adam, Lucien Lévy-Bruhl, Maurice Blondel, Lucien Laberthonnière, tutta una generazione di dotti interpreti dovette confrontarsi con questa "sorta di colpo di stato universitario" (Bourquard 1882), la separazione radicale dello scienziato dal metafisico. Questo punto di vista rimase a lungo dominante, anche fra coloro che ritenevano il filosofo più originale dello scienziato. Era comodo, allo stato dell'insegnamento della filosofia in Francia, prendere in considerazione unicamente il Discours de la méthode (senza leggere gli Essais) e le Meditationes (spesso prescindendo dalle Objectiones-Responsiones). Ciò permetteva di lasciare da parte i Principia, gli scritti matematici e anatomici, i trattati Le monde e L'homme: lo studio di Paul Natorp (1882) è rimasto a lungo una delle rare monografie sulle Regulae. Alcuni estratti 'metafisici' della corrispondenza andavano a completare questo corpus filosofico. L'edizione realizzata dalla 'Bibliothèque de la Pléiade' nel 1949 resta un monumento di questa lettura esclusivamente 'filosofica' di Descartes. Assai rari furono gli studi dedicati al pensiero scientifico di Descartes. Una migliore conoscenza dei testi, stabiliti a partire dall'edizione di Charles Adam e Paul Tannery (completata dalla corrispondenza fra Descartes e Huygens, pubblicata da Leon Roth a Oxford nel 1926), avrebbe potuto permettere di afferrare l'unità del pensiero cartesiano. Fu merito di Étienne Gilson (a proposito delle Météores) l'avvio e lo sviluppo di un approccio unificato a Descartes, culminato nel grande lavoro di Daniel Garber, Descartes' Metaphysical Physics (1992).

L'originalità di Descartes emerge dal suo atteggiamento verso i dotti del suo tempo: egli non s'inserisce nel loro campo e, passo dopo passo, assume posizioni che rivelano un isolamento volontario. Disprezza le questioni singolari, a cui invece Mersenne dedica intere opere; rifiuta la ricerca delle cause seconde che rimprovera a Galilei o a Fermat, i rappresentanti più tipici dell' 'uomo di scienza'.

A 23 anni, Descartes scrive al suo amico Isaac Beeckman: "Vorrei pubblicare non un'Ars brevis come Lullo, ma una scienza nuovamente fondata, per mezzo della quale si possano risolvere tutti i problemi possibili in qualsiasi genere di quantità, continua o discontinua" (AT, X, pp. 156-157). Il suo è un progetto di scienza universale, una suddivisione della mathesis universa, che definisce lui stesso mathesis universalis. La prima versione prevista del titolo dell'opera che diventerà il Discours de la méthode è, nella lettera che scrive a Mersenne nel marzo 1636, "Le projet d'une Science universelle qui puisse élever notre nature à son plus haut degré de perfection" (ibidem, I, p. 339). Descartes utilizza molto il termine 'general' ("ancor di più perché esso è più generale", scrive a proposito di un metodo geometrico nella lettera a Mersenne del 9 gennaio 1639; ibidem, II, p. 490); egli parla spesso di una 'regola generale' o di una 'maniera generale'. Il 'metodo generale', di cui fornisce le prove nel 1637 con i tre Essais, deve poter spiegare ogni altra materia, a condizione di disporre di esperienze e del tempo necessario per condurle a buon fine.

Quando Fermat gli fa pervenire, in occasione della pubblicazione della Géométrie, il manoscritto della sua Isagoge, Descartes non vi presta alcuna attenzione. Quando Mersenne gli invia il De maximis et minimis del magistrato di Tolosa egli si lascia andare a una critica aspra. La regola di Fermat, afferma Descartes,

è tale che, senza industria e per caso, si può facilmente arrivare al cammino che bisogna seguire per incontrarla, il quale non è altro che una falsa posizione fondata sul modo di dimostrare che riduce all'impossibile, e che è la meno stimata e la meno ingegnosa di tutte quelle di cui ci si serve in matematica. E invece la mia è tratta da una conoscenza della natura delle equazioni che non è mai stata, che io sappia, spiegata altrove che nella mia Géométrie. (ibidem, I, p. 490)

Egli sostiene di aver seguito, diversamente da Fermat, "la più nobile maniera di dimostrare, che viene detta a priori". Fermat non può pretendere di avere posto una regola universale, mentre quella cartesiana "si estende generalmente a tutti [i problemi]" (ibidem).

Quando legge un altro scritto di Fermat, lo fa soltanto perché vi riconosce una provocazione a proposito del suo metodo per la costruzione delle tangenti. L'apporto scientifico più originale di Descartes si deve in effetti a provocazioni, a domande insistenti e a circostanze che la corrispondenza permette di conoscere meglio dei trattati. In questo senso Beeckmann prima e Huygens in seguito hanno avuto un ruolo decisivo. Per la nozione di 'lavoro' in meccanica, infatti, è una lettera di Huygens a Descartes del 18 settembre 1637 che serve da innesco: "tuttavia, se sentite che vi manca qualche svago nel profondo studio che immagino vi occupi adesso, vi prego di considerare che da molto tempo sono geloso di quel gentiluomo, in favore del quale una volta avete scritto il Trattato di musica, e può darsi non vi lascerò riposare, donec paria mecum feceris, e mi avrete gratificato d'un trattato di meccanica" (ibidem, I, p. 642).

Quattro anni più tardi, nel maggio del 1642, Huygens gli richiede uno studio d'idrostatica, "una considerazione di così grande importanza in questi Paesi Bassi, ove c'è talmente bisogno di sollevare acque stagnanti spendendo pochi soldi" (ibidem, III, p. 790). La risposta di Descartes, una breve dissertazione sui getti d'acqua, contiene i principali elementi della soluzione: Descartes si appoggia, d'altronde, su un'esperienza che Mersenne gli aveva inviato all'inizio del 1639, per stabilire sia il rapporto fra la velocità del flusso e l'altezza del carico (la velocità è proporzionale alla radice quadrata dell'altezza), sia il limite dell'altezza del getto verticale, nei termini in cui ne trattava nello stesso periodo Torricelli.

Le domande (sovente formulate o trasmesse dal padre Mersenne), sebbene costituiscano per Descartes occasioni di interessarsi a problemi particolari, lo distraggono dalla sua ricerca principale: il 9 febbraio 1639, supplica Mersenne "di non incoraggiare nessuno a inviar[gli] alcuno scritto". Ma queste risposte strappate a forza da Mersenne hanno in comune molti tratti: il passaggio dal particolare al generale, il rifiuto delle qualità occulte, la preoccupazione della messa in forma algebrica dei problemi di geometria, in conclusione la coerenza della sua fisica con la sua metafisica. Perfino quando si piega al genere della lettera erudita, che è in quest'epoca lo scritto 'scientifico' per eccellenza, Descartes conserva una distanza critica rivelando nel contempo l'originalità del suo stile. Nel passaggio molto 'baconiano' della lettera a Mersenne del 10 maggio 1632, ove loda "il metodo di Verulamius" ed espone un programma per le ricerche sulle "apparenze celesti", chiede che altri che siano "di quest'umore", vale a dire che abbiano piacere a lavorare per 'l'avanzamento delle scienze' (espressione tutta baconiana) "al punto di volere perfino fare tutti i tipi d'esperienze a loro spese" (ibidem, I, p. 251), compiano gli esperimenti.

In seguito Descartes troverà pratico il fatto di poter disporre e approfittare delle tavole così stabilite e di tutte queste osservazioni senza aver dovuto compierle né pagarle lui stesso. Comunque prosegue con un tono piuttosto pessimista:

Tuttavia non spero che lo si faccia, non più di quanto non speri anche di trovare quanto cerco attualmente circa gli Astri. Credo che sia una scienza che oltrepassa la portata dell'ingegno umano, e, tuttavia, sono così poco saggio, che non riesco a impedirmi di sperarvi, nonostante giudichi che ciò non servirà che a farmi perdere tempo, come è già accaduto da due mesi, durante i quali non sono avanzato per niente nel mio Trattato; ma non tralascerò di terminarlo prima del termine che vi ho comunicato. (ibidem)

Il programma che ha proposto di effettuare "secondo il metodo di Verulamius" gli sembra dunque impossibile, e dubita perfino di giungere a una spiegazione accettabile dei fenomeni. Ma riconosce, ironicamente, di lavorarvi comunque, e di credere di riuscire a compierlo. La complessità dell'atteggiamento di Descartes circa questo progetto baconiano è stabilita nell'ultima frase, piena di una divertita ironia: "Mi sono divertito a scrivervi tutto ciò senza che ce ne fosse bisogno, e solamente per riempire la mia lettera e non inviarvi della carta bianca" (ibidem).

La mathesis

L'evoluzione del pensiero di Descartes non impedisce di individuare alcune costanti: innanzi tutto, fin dalle Regulae, l'utilizzazione di un nuovo stile, che diventerà una scrittura 'codificata' nella Géométrie (1637); contro la proliferazione delle notazioni e delle nomenclature, Descartes, con un ricorso alle strutture logiche, attua una semplificazione che permette una matematica operazionale, chiusa sulle tre leggi di composizione del finito (anche se definisce "immaginarie" le radici di equazione che in alcuni casi "spariscono", non propone nuove notazioni). Nella lettera a Mersenne del 31 marzo 1638 egli esprime la sua consapevolezza di proporre una nuova scrittura: "Costoro non conoscono neanche la mia dimostrazione, poiché io vi parlo per a b. Ciò non la rende diversa in niente da quella degli antichi, se non che in questo modo io posso mettere in una sola riga ciò con cui essi riempiono molte pagine, e per questo motivo essa è incomparabilmente più chiara, più facile e meno soggetta a errore della loro" (ibidem, II, p. 83).

In seguito, lavora a percorrere i ragionamenti par ordre. L'espressione 'par ordre', il termine francese 'ordre' e il corrispondente latino 'ordo', caratterizzano il modo di procedere di Descartes che è propriamente un percorso lineare. Nelle Regulae ad directionem ingenii egli dichiara che il suo metodo non insegna che a "stabilire un ordine in forza del pensiero". Fra ordo e mensura, ugualmente necessarie alla mathesis, il metodo cartesiano conosce dei progressi: se l'ordine è assolutamente necessario alla speculazione matematica, esso non è comunque sufficiente. C'è bisogno anche della misura, e la misura esige qualcosa in più. Una frase delle Regulae testimonia che Descartes percepì questa difficoltà, senza però ricorrere all'assioma di Eudosso-Archimede sui rapporti fra grandezze reali.

Nella lettera a Mersenne del 14 agosto 1634 Descartes valuta in base al criterio dell'ordine gli scritti di Galilei. Pur riconoscendo i meriti dello scienziato italiano "che filosofa molto meglio dell'ordinario" (ibidem, II, p. 380), ne critica lo stile. Il termine 'digressione' si presenta due volte, sotto la sua penna, per caratterizzare lo stile dello scienziato toscano. Alle digressioni di Galilei, egli oppone l'esame par ordre che connota il suo metodo: "I suoi argomenti per dimostrare il movimento della Terra sono molto buoni, ma mi sembra che egli non li disponga nel modo necessario per persuadere, infatti a causa delle digressioni che vi mescola dentro, quando si è giunti a leggere gli ultimi non ci si ricorda più dei primi" (ibidem, I, p. 305).

Quattro anni più tardi, nella lettera a Mersenne dell'11 ottobre 1638, si esprime negli stessi termini: "mi sembra che sbagli molto nel fare continuamente delle digressioni e nel non fermarsi affatto a spiegare completamente un argomento; ciò che mostra che non lo ha esaminato per ordine e che, senza avere considerato le prime cause della Natura, ha solamente cercato le ragioni di qualche effetto particolare, e così ha costruito senza fondamento" (ibidem, II, p. 380).

L'ordine che bisogna seguire è innanzi tutto il percorso descritto nelle Meditationes de prima philosophia, un itinerario della conoscenza che conduce all'acquisizione di una distinzione 'chiara e distinta' fra lo spirito che conosce e la materia che è conosciuta. L'epistemologia cartesiana si fonda sulla sua metafisica. Il pensiero di Descartes evolve in maniera lineare verso una migliore comprensione del problema, esposta in maniera definitiva nella lettera-prefazione dell'edizione francese dei Principia philosophiae, del 1647: "tutta la Filosofia è come un albero, le cui radici sono la Metafisica, il tronco la Fisica e i rami che ne scaturiscono tutte le altre scienze, che si riducono a tre principali: la Medicina, la Meccanica e la Morale: intendo la più alta e perfetta Morale che, in quanto presuppone un'intera conoscenza delle altre scienze, costituisce l'ultimo grado della Saggezza" (OF, II, p. 462).

In matematica Descartes, a differenza di altri matematici del suo tempo come Mersenne, Fermat o Pascal, non è un grande calcolatore. Egli innalza la sua scelta (o il suo limite) a principio di lavoro, come si vede nella lettera a Mersenne del 31 marzo 1638: "Riguardo a questo problema di Pappo, il buono è che ho riportato soltanto la costruzione e l'intera dimostrazione, senza porvi tutta l'analisi, mentre quelli immaginano che non vi abbia messo che questa: in ciò testimoniano che vi capiscono ben poco. Ma ciò che li inganna, è che ne faccio la costruzione, come gli architetti fanno gli edifici, prescrivendo solamente tutto ciò che bisogna fare, e lasciando il lavoro manuale ai carpentieri e ai muratori" (AT, II, p. 83).

Secondo la tradizione del suo tempo egli considera la scoperta di nuove dimostrazioni matematiche anche come una sfida "al fine d'impedire ai maligni la loro attività". Soprattutto, Descartes ha la sensazione di avere apportato delle novità; per aver risolto il problema di Pappo attraverso un'equazione generale,

Formula

egli afferma: "non credo sia possibile immaginare niente di più generale, né più breve, né più chiaro e più facile di questo, né che coloro che l'avranno compreso una volta debbano in seguito prendere la pena di leggere i lunghi scritti degli altri sullo stesso argomento" (ibidem). Quindi, ribadisce la novità di tali soluzioni generali contro quanti lo accusano di plagio: "colui che mi accusa d'aver preso da Kepler le ellissi e le iperboli della mia Dioptrique, deve essere ignorante o malizioso; poiché quanto all'ellisse, non mi ricordo che Kepler ne parli, o se ne parla, è sicuramente per dire che non è l'anaclastica che cerca; e per l'iperbole, mi ricordo molto bene che pretende di dimostrare espressamente che non lo è, benché dica che essa non sia molto diversa" (ibidem, pp. 85-86).

Descartes rielabora costantemente il suo progetto di una scienza generale, esposto a Beeckman dal 26 marzo 1619, applicandolo nei principali ambiti della scienza del suo tempo, in meteorologia e in ottica, come in meccanica e in biologia. Questa unità è ben sottolineata in un testo del 1638 la cui frase conclusiva è spesso citata e travisata dagli interpreti:

Sono in obbligo verso il Signor Desargues per il fatto che si preoccupa di me, testimoniando di essere dispiaciuto che non voglia più studiare geometria. Ma ho deciso di abbandonare solo la geometria astratta, vale a dire la ricerca delle questioni che servono soltanto a esercitare la mente; e ciò per aver tanto più piacere di coltivare un altro tipo di geometria, che si propone come questioni la spiegazione dei fenomeni della Natura. Poiché se ha la cortesia di considerare ciò che ho scritto del sale, della neve, dell'arcobaleno ecc., riconoscerà che tutta la mia fisica non è altro che geometria. (AT, II, p. 268)

Si tratta di ciò che Beeckman definiva 'fisico-matematica', una prospettiva di ricerca che Descartes aveva applicato con successo all'ottica e con minor fortuna al problema della caduta dei corpi, e di cui amplificherà le ambizioni, fino a estenderla a un 'matematismo universale' molto particolare. Mentre per Galilei la scoperta matematica dell'Universo suppone un ordine divino eterno, Descartes compie il passo decisivo, in una lettera a Mersenne del 1630, con la teoria della creazione delle verità eterne: "per Descartes, l'esclusione del mondo intelligibile e delle idealità increate è la condizione ontologica dell'uguagliamento fra i mathemata e l'universitas rerum" (Fichant 1998, p. 80).

L'Universo, da quel momento in poi, non potrà essere scritto in caratteri geometrici. E non basta: Descartes non pretende di sviluppare la scienza dei suoi predecessori, il suo disegno è profondamente nuovo. Si tratta di un mondo la cui spiegazione è ricostruibile attraverso la corrispondenza degli anni 1630-1633 e che sarà ripresa, secondo un'altra presentazione, nelle parti II, III e IV dei Principia del 1644.

"In luogo di spiegare un fenomeno solamente, mi sono risolto di spiegare tutti i fenomeni della natura, vale a dire tutta la Fisica" (AT, I, 70). Questa volontà di fornire una spiegazione unitaria e globale garantisce l'equivalenza della dimostrazione fisica e della dimostrazione matematica (enunciata nell'ultimo articolo della seconda parte dei Principia) e sostiene un'epistemologia della realtà fisica.

Tale scienza filosofica prosegue nel campo della medicina e della fisiologia; preoccupato di spiegare attraverso la materia le affezioni del corpo, Descartes scarta ogni parametro "psichico": non c'è posto per un'anima vegetativa o sensitiva. In questo modo rinnova l'approccio della fisiologia e fornisce alla sua visione una rara coerenza sistematica. Nel dettaglio utilizza spesso spiegazioni precedenti, e conosce molti più autori di quanto non affermi, ma integra le loro spiegazioni nel suo sistema e le sostiene attraverso il ricorso frequente a metafore che, nel suo modo di ragionare, diventano operative. La sua preoccupazione di fornire una spiegazione meccanica gli permette di convergere con la tesi della circolazione del sangue e di fornire modelli per la digestione. Una spiegazione moderna della respirazione, il Circulus cartesianus, che Swammerdam propose nel Tractatus de respiratione (1667), fu desunta dai suoi principî. Resta il fatto che il meccanicismo non rende conto della totalità dell'uomo cartesiano: i limiti del concetto di riflesso, per esempio, provengono da una visione meccanica al tempo stesso globale e incompleta.

L'esperienza

"I peli bianchi che s'affrettano a crescermi m'avvertono che non devo più studiare altra cosa che i mezzi per ritardarli", scrive a Huygens il 5 ottobre 1637 (ibidem, pp. 434-435). Descartes ha quarantuno anni e si preoccupa della longevità, un problema da cui sarà costantemente ossessionato. L'invecchiamento secondo una spiegazione strettamente coerente con la sua visione meccanicista, è causato dall'indurimento delle fibre del corpo, ed egli pensava di poter ritardare il limite della vita.

A tale proposito, conviene ricordare che Descartes è stato un attivo sperimentatore. Nel Discours de la méthode egli stesso parla dei nove anni durante i quali "[faceva] diverse osservazioni e [acquisiva] molte esperienze, che [gli] sono servite dopo a raggiungere opinioni più certe" (OF, I, p. 519) ‒ nella versione latina si legge "et multa experimenta colligebam" (AT, VI, p. 556). In una lettera a un corrispondente anonimo datata 1645, Descartes si difende e si giustifica contro gli obiettori "baconiani":

Ciò che trovo più strano è la conclusione del giudizio che mi avete inviato, vale a dire che ciò che impedirà ai miei principi d'essere accolti nella Scuola è che non sono confermati abbastanza dall'esperienza, e che non ho confutato le ragioni degli altri. Infatti mi meraviglio che, nonostante abbia dimostrato, in dettaglio, pressappoco altrettante esperienze di quante righe ci sono nei miei scritti, e che nei miei Principi, avendo generalmente dato ragione di tutti i Fenomeni della natura, ho spiegato, per lo stesso motivo, tutte le esperienze che possono essere condotte sui corpi inanimati, e che al contrario con i principi della Filosofia volgare non ne è mai stata spiegata bene nessuna, quelli che la seguono non smettono di obiettarmi la mancanza di esperienze. (ibidem, IV, pp. 224-225)

Descartes sperimenta nei campi più diversi: anatomia, meteorologia, ottica e altri campi della fisica. Le Cogitationes circa generationem animalium documentano la curiosità per l'anatomia che gli valse l'accusa "di andare per i villaggi, per veder uccidere i maiali". Racconta in quest'occasione a Mersenne come "un inverno ad Amsterdam" (l'inverno 1629-1630) egli andasse "quasi tutti i giorni" a casa di un macellaio per assistere alla macellazione degli animali, e che "[faceva] poi trasportare nel [suo] alloggio le parti che [voleva] anatomizzare con maggior agio" (OF, I, p. 598). Molti passaggi delle Météores (nonostante alcuni esempi provengano da autori come Libert Froidmont o dalle gazzette), attestano i suoi esperimenti nel campo della meteorologia. Descartes compie esperimenti anche nell'ottica e in altri campi della fisica (il problema del peso dell'aria, le leggi acustiche), come attesta la sua corrispondenza: "mi sono occupato di fare diverse esperienze, per conoscere le differenze essenziali che ci sono fra gli oli, gli spiriti o acque viti, le acque comuni e le acqueforti, i sali, ecc."; "Per i metalli, ne ho fatto io stesso esperienze abbastanza esatte […]" (AT, I, pp. 243, 141).

Un'espressione ricorrente, l'adagio classico "Experientia docet", può servire a chiarire l'atteggiamento di Descartes nei confronti dell'esperienza, in quanto il ruolo che essa ricopre nel suo pensiero è quello didattico. L'uso dei termini 'expérience' ed 'experientia', a seconda della lingua in cui scrive, aiuta a cogliere questo aspetto. Se l'esperienza insegna, i termini che designano le 'expériences' o gli 'experimenta', nelle pagine di Descartes sono spesso utilizzati in prossimità dei verbi 'colligere', 'videre', 'cognoscere', 'ostendi'. L'esperienza è il modo in cui inizia la conoscenza, le 'expériences', invece, confermano, fortificano, corroborano, spalleggiano.

Negli Essais del 1637 e, in particolare, nelle Météores il termine 'expérience' viene trattato in maniera nuova rispetto alle Regulae. È nota l'importanza paradigmatica del discorso VIII di questo trattato, che contiene la spiegazione dell'arcobaleno. Nel cuore della sua dimostrazione, Descartes spiega "ciò che [gli] è stato utile per risolvere la difficoltà maggiore che aveva incontrato in questo campo". Conclude allora: "In tutto ciò, la ragione s'accorda così perfettamente con l'esperienza, che non mi par possibile, dopo avere ben considerato l'una e l'altra, dubitare che la cosa stia diversamente da come or ora l'ho spiegata" (OS, II, pp. 473-474).

Ora in questo trattato, prettamente 'sperimentale', non ricorre mai il termine 'expérience' al plurale, ma ben 14 volte al singolare, di cui sei solo nel discorso ottavo, De l'arc-en-ciel, mentre una volta ricorre il termine 'expérimenter'. L'esperienza che insegna non è solamente una conoscenza accumulata; è già un modo di operare.

I Principia confermano quest'ipotesi: undici occorrenze di 'experientia', dieci di 'experimentum', di cui tre al singolare e sette al plurale, a cui vanno aggiunte le 18 occorrenze di 'experiri'. 'Experimentum' al singolare: si tratta di occorrenze poco significative, se non in maniera negativa per una di esse ("an verum sit, nullo mihi experimento compertum est"; AT, VIII, p. 302). Le due occorrenze della forma 'experimentum' rinviano a un'esperienza precisa. 'Experimenta' presenta un'area semantica più ampia: un'accumulazione, che sostiene delle prove ('ostendi', 'confirmare', 'consentire'…), e che tende in una certa maniera a screditare queste esperienze così numerose, così universali, così quotidiane che non c'è modo di descriverne il processo operativo. Infatti, lo statuto operativo dell'esperienza è trasferito a 'experientia': su undici occorrenze del lemma, sei sono al nominativo. L''experientia' è un soggetto, essa ha un'attività: "sola experientia docere debet" "sola experientia docere potest" (ibidem, pp. 101, 138).

La Correspondance di Descartes induce a una prima constatazione: il termine 'expérience(s)' entra raramente in una costruzione in prima persona. Molto spesso, al contrario, si tratta di esperienze dei suoi corrispondenti, e la formula: "vi ringrazio delle esperienze che m'avete inviato" è frequente nelle lettere a Mersenne (ibidem, I, pp. 143, 172, 268, 287; II, pp. 420, 485, 490). Descartes parla più spesso delle "vostre esperienze" che delle sue. Nutre le sue riflessioni del racconto di esperienze che Mersenne ‒ il cui ruolo di sperimentatore esperto è riconosciuto da Huygens ‒ gli trasmette: "Inoltre le esperienze che produce, e di cui finora qualcuna mi era ignota, mi è sembrato meritassero il poco di tempo che vi ho impiegato" (ibidem, III, p. 778).

Una lettera del 1629 permette di afferrare bene il modo di procedere di Descartes scienziato; inviata al padre Mersenne, essa risponde all'invio di una serie di proposizioni sull'apprendimento di una lingua universale. Descartes reagisce dapprima al testo che Mersenne gli sottopone: gli indica l'inadeguatezza del proposito. O la lingua soddisfa ogni paese, avviandosi a divenire singolare, o essa ambisce all'universalità e sarà ignorata da tutti. Ma la sua riflessione, stimolata dalla domanda del frate minimo, non si ferma a metà percorso: "Come si può, infatti, apprendere in un giorno a contare tutti i numeri sino all'infinito e a scriverli in una lingua sconosciuta, numeri che costituiscono un'infinità di nomi diversi, lo stesso potrebbe farsi con tutte le altre parole necessarie per esprimere tutte le altre cose che possono essere colte dalla mente umana" (OF, I, p. 361). Descartes prosegue adottando uno stile che accumula i termini più frequenti del suo lessico filosofico: "è infatti impossibile enumerare in altro modo tutti i pensieri degli uomini, porli per ordine e anche distinguerli, in modo che siano chiari e semplici, ciò che, a mio avviso costituisce il maggior segreto che si possa possedere per acquistare la buona scienza" (ibidem).

Descartes pensa che questo progetto, così utile per organizzare l'insieme delle conoscenze umane a partire dalle idee semplici, permetterà ai contadini di "giudicare della verità delle cose meglio di quel che oggi non facciano i filosofi" (ibidem, p. 362). Descartes passa dall'esposizione di una scienza generale all'utilità pratica. Tuttavia, come spesso accade nella sua corrispondenza, scarta questo progetto come un sogno, in cui 'l'ordine delle cose' impedisce di arrivare alla 'verità delle cose': "non sperate tuttavia di vederla in atto; essa presuppone infatti grandi mutamenti nell'ordine delle cose e occorrerebbe che tutto il mondo non fosse che un paradiso terrestre, ciò che non è opportuno proporre che per il paese dei romanzi" (ibidem).

Leibniz fece copiare questo testo, riconoscendovi l'abbozzo della 'caratteristica universale' in cui vedeva non soltanto un mezzo per inventariare tutti i pensieri, ma a cui attribuiva anche una funzione euristica. La scienza cartesiana, in questo senso, non finisce con i soli risultati di Descartes. Per la sua fecondità, come per i suoi limiti, essa ha contribuito agli sviluppi ulteriori. Buon matematico, d'Alembert, nella voce Cartésianisme dell'Encyclopédie, ha saputo riconoscerlo: "[Descartes] è forse fra gli scienziati dell'ultimo secolo quello a cui dobbiamo più gratitudine".

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