La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. Arsenali, miniere e botteghe

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: luoghi e forme della conoscenza. Arsenali, miniere e botteghe

Pamela O. Long

Arsenali, miniere e botteghe

Nei secc. XVI e XVII le città e i territori di tutta Europa contavano un gran numero di arsenali, miniere e botteghe artigiane. La loro importanza risiede nel fatto che non erano soltanto centri di produzione di beni e di merci, ma si presentavano anche come luoghi di produzione del sapere, in un'epoca in cui lo studio della Natura si avvaleva sempre più di strumenti scientifici e dell'intervento dell'uomo sulla materia. Principi e governanti ordinavano la costruzione di arsenali dove fabbricare e immagazzinare cannoni, armi, munizioni e, talvolta, navi da guerra. Le miniere erano luoghi di estrazione e di lavorazione della materia prima per ottenere metalli preziosi quali l'oro e l'argento o altri metalli come il ferro, il rame e lo stagno, nonché minerali come l'allume, la cui importanza fondamentale nell'industria tessile consisteva nel suo impiego come fissante del colore nei tessuti. Le città raccoglievano numerosi laboratori artigianali per la produzione di centinaia di manufatti, dai dipinti agli articoli di pelletteria, agli oggetti di ceramica. Gli arsenali, le miniere e le botteghe possedevano caratteristiche diverse a seconda della collocazione geografica e della specifica funzione, modificandosi in risposta a fattori tecnologici e culturali.

Oltre a essere luoghi di produzione, essi divennero centri di sperimentazione e di misurazioni di precisione, dove dotti e accademici sovente si incontravano per confrontarsi con i maestri artigiani e gli ingegneri su questioni specifiche. Questi luoghi nei secc. XVI e XVII assunsero un ruolo importante per lo sviluppo delle metodologie empiriche e sperimentali e vi si manifestarono per la prima volta, alcuni principî fondamentali che entrarono poi a far parte della cultura erudita, come per esempio la considerazione per il lavoro artigianale e per la pratica empirica, nonché il riconoscimento del valore della matematica e della misurazione esatta. È qui inoltre che prese corpo un atteggiamento nuovo nei confronti della proprietà e della trasmissione del sapere, con la tutela dei segreti del mestiere e l'istituzione dei brevetti sulle invenzioni. Nel caso in cui i maestri godevano della protezione di qualche mecenate, poteva accadere che scrivessero trattati su argomenti quali la metallurgia e l'architettura, e, a proposito della questione della paternità di un'idea, sostenevano che il sapere dovesse essere divulgato liberamente. I libri sulle armi da fuoco, sulla polvere da sparo e sulle fortificazioni, quelli sull'estrazione mineraria e sulla metallurgia, o su arti specifiche quali la pittura, la ceramica e l'oreficeria, rendevano noti non soltanto gli aspetti più minuziosi di numerose pratiche artigianali e di ingegneria, ma esprimevano anche un atteggiamento positivo nei confronti della pratica empirica, della matematica, della misurazione esatta e della sperimentazione. Molti di questi libri contenevano straordinarie illustrazioni di strumenti, di macchine e di tecnologie che contribuirono notevolmente al fascino esercitato dalle macchine e dalla meccanizzazione sul finire del XVI e nel XVII secolo.

L'importanza dell'arsenale, della miniera e della bottega artigiana per la storia della scienza fu affermata da Edgar Zilsel (1891-1944) in una serie di articoli famosi e controversi pubblicati negli Stati Uniti negli anni Quaranta del Novecento. Zilsel mise a confronto i valori degli artigiani che lavoravano in quei centri con la ben diversa mentalità degli umanisti e degli ecclesiastici eruditi. Secondo Zilsel, gli artigiani si richiamavano all'esperienza e alla Natura, lavoravano in gruppo e contribuivano al graduale progresso della scienza. Queste tesi risentivano di una visione idealizzata della scienza moderna influenzata dal positivismo logico e dal marxismo. Zilsel aveva idealizzato la figura dell'artigiano, secondo una visione largamente diffusa all'inizio del XX sec., ma le sue interpretazioni furono da più parti criticate soprattutto da coloro che, come Alexandre Koyré e Rupert Hall, ritenevano che la scienza moderna fosse fondamentalmente teorica e matematica, priva di suggestioni di tipo sociale e culturale. La polemica intorno all'influenza esercitata dagli artigiani sullo sviluppo della prima scienza moderna è proseguita in modo complesso nel corso del XX secolo. La tesi di Zilsel, secondo cui gli artigiani avrebbero inciso sullo sviluppo della filosofia sperimentale moderna, continua a essere oggetto di discussione da parte degli storici della scienza, sebbene siano cambiati notevolmente sia i presupposti sia i termini della questione.

L'arsenale

La parola 'arsenale' deriva probabilmente dal termine arabo dar sina, che significa 'officina, laboratorio'. Nel XVI e XVII sec. gli arsenali svolgevano diverse funzioni; vi si fabbricava e acquistava l'equipaggiamento militare, esercitando, contemporaneamente, un controllo di qualità sulla sua progettazione e lavorazione. All'interno degli arsenali si conducevano esperimenti di balistica, si addestravano gli artiglieri e talvolta si progettavano fortificazioni, sovrintendendo alla loro costruzione. Alcuni, tra cui il celebre Arsenale di Venezia, fungevano anche da cantieri navali, dove le navi venivano progettate, costruite ed equipaggiate. Il termine arsenale non è adoperato in modo univoco in tutta Europa; in Inghilterra, per esempio, all'Ufficio di artiglieria della Torre di Londra era affidata una enorme quantità di compiti, compresa la supervisione generale, mentre le armi per l'artiglieria inglese erano di fatto fabbricate nell'Arsenale di Woolrich, sotto la direzione dell'Ufficio di artiglieria.

L'Arsenale di Venezia, chiave di volta della difesa dello Stato veneziano e vanto culturale della città, era famoso in tutta l'Europa. A partire dal XVI sec. si era trasformato in un'impresa vasta e multiforme che aveva profondamente modificato l'intera città, inclusa la periferia, in cui vivevano gli operai dell'arsenale e le loro famiglie. L'influenza dell'arsenale andava ben oltre le questioni legate alle attività militari e navali, rivestendo una grande importanza per la storia della città, del lavoro e dell'architettura. Esso ebbe un ruolo anche nell'avviare lo sviluppo di pratiche empiriche e matematiche, inclusa la discussione e la produzione di scritti intorno a queste discipline; occupando un'area di quasi venti ettari di terreno, era circondato da poco più di quattro chilometri di mura e di fossati. Al suo interno trovavano lavoro centinaia di artigiani chiamati 'arsenalotti', operai specializzati che percepivano l'unico salario garantito a Venezia. L'arsenale era organizzato in modo da prevedere tre sfere di produzione distinte fra loro: il settore più vasto era quello dedicato alla costruzione, alla riparazione e all'equipaggiamento delle navi; un altro settore era destinato alla lavorazione di funi e di cavi, e un terzo alla fabbricazione delle armi e della polvere da sparo.

A partire dall'inizio del XV sec., i costruttori navali dell'Arsenale di Venezia si cimentarono in una grande varietà di progetti, spesso in concorrenza gli uni con gli altri. Tra questi è da segnalare una dinastia di maestri greci che ebbe inizio con Theodoro Baxon (Bassanus, m. 1407 ca.), il quale introdusse a Venezia le tecniche in uso nel Mediterraneo orientale. Baxon ideò una quantità di nuovi progetti, tra cui quello di una galera leggera (una nave azionata da remi o da remi e vele), che rese più ampia e pesante rispetto al vascello tradizionale senza per questo comprometterne la manegevolezza e la velocità. Il Senato di Venezia incoraggiò Baxon e i costruttori veneziani a presentare progetti di vascelli che fossero atti a tenere il mare. In un'atmosfera di aperta concorrenza, i costruttori navali dei secc. XV e XVI produssero una serie di innovazioni, tra le quali grandi galere mercantili, un veliero armato chiamato 'barza' (una nave progettata per combattere i pirati nel Mediterraneo) e galere leggere. Tali risultati si ottennero grazie all'attivo coinvolgimento del Senato. Le nuove idee spesso richiedevano la presentazione di modelli e di argomentazioni che dimostrassero la validità del progetto contro le obiezioni dei detrattori.

Questa lunga tradizione di costruzione e sperimentazione navale nell'arsenale fornì lo sfondo ideale per Vittore Fausto (n. dopo il 1480-1546 ca.), un umanista dalle origini sconosciute che viaggiò in Spagna, in Francia e nei territori dell'Impero. Ottenuto l'incarico pubblico di insegnante di eloquenza greca a Venezia, Fausto avviò il progetto di disegnare una quinquereme, nella speranza di emulare e migliorare l'antica nave a remi greca. Egli aveva studiato sia letteratura sia matematica e aveva curato e tradotto la Meccanica dello Pseudo-Aristotele. Il Senato di Venezia esaminò il suo modello e, dopo lunga discussione, gli procurò il materiale, il luogo e la manodopera dell'arsenale per costruire la nave. Varata nel 1529 con grande risonanza, la quinquereme di Fausto fu considerata un risultato esemplare dell'emulazione della scienza greca.

In seguito a questi eventi, Fausto ebbe un incarico stabile nell'arsenale dove, in qualità di direttore dei lavori nella costruzione delle navi, continuò a introdurre innovazioni e il suo influsso rimase ancora vivo fino alla fine del XVI secolo. Nel 1593 uno dei suoi allievi, il maestro d'ascia Giovanni di Zaneto, applicò alcuni dei principî della quinquereme al progetto della 'galeazza', una grande galera attrezzata appositamente per la guerra. L'intento di Zaneto era di rendere questa nave altrettanto mobile quanto lo erano le galere leggere. Tra le persone che furono consultate per il progetto vi fu Galileo Galilei, allora professore di matematica all'Università di Padova, che si occupò anche di altre questioni militari: per esempio, inventò la bussola militare e scrisse un opuscolo sull'argomento.

Nell'arsenale del XVI sec., l'incremento di produzione dell'artiglieria leggera e di quella pesante fu il risultato di tre fattori: la necessità di ottenere navi da guerra capaci di trasportare armi da fuoco, la perdurante ostilità con i Turchi ottomani e l'espansione di Venezia verso la terraferma. La produzione veneziana era affiancata da altri centri di fabbricazione delle armi a Brescia e a Pontebba, in Friuli. La lavorazione delle armi da fuoco, qui come altrove, veniva effettuata principalmente sulla base di un empirismo di tipo artigianale, producendo molte varietà di pezzi di artiglieria e di cannoni in modo non standardizzato. La situazione mutò nel corso del XVI sec.: nel 1506 Venezia nominò un commissario per l'artiglieria, nel 1518 impose livelli di qualità per le armi leggere e nel 1524 introdusse nell'Arsenale una nuova fonderia, in aggiunta a quella vecchia. Anche l'organizzazione amministrativa fu razionalizzata. Verso la metà del secolo fu creato un collegio in cui cinque magistrati controllavano specifici aspetti di tutte le armi da guerra di cui disponeva lo Stato emanando e rendendo esecutive leggi di segretezza. Le sale d'armi dell'Arsenale divennero il centro di un enorme flusso di armamenti su cui si fondava il potere di Venezia sia sulla terraferma sia sul mare.

L'Arsenale di Venezia rappresenta una cornice fondamentale per comprendere alcuni tipi di produzione letteraria riguardanti la matematica applicata e la meccanica. Tra i decenni centrali del XVI e la prima metà del XVII sec. furono pubblicati a Venezia numerosi libri sull'artiglieria, sulle fortificazioni e su altri aspetti dell'arte militare. La Pirotechnia di Vannoccio Biringuccio, che negli ultimi anni di vita diresse l'Arsenale di Roma, fu stampata postuma a Venezia nel 1540. Conteneva la prima descrizione dettagliata della colata del cannone di bronzo e vi venivano illustrati e spiegati anche i metodi di alesatura e la produzione di calibri regolari. Niccolò Tartaglia, un insegnante di matematica bresciano che operava a Venezia, scrisse due opere sulla meccanica e sulla matematica in cui analizzò alcuni problemi di balistica: la Nova scientia (1537) e i Quesiti et inventioni diverse (1546). Tartaglia si descrive intento a discutere con artiglieri ed esponenti della nobiltà una grande varietà di questioni riguardanti le traiettorie delle palle di cannone, la migliore angolazione per puntare il cilindro del cannone e altri problemi di balistica. Egli si dedicò alla soluzione di problemi matematici di carattere sia teorico sia pratico: inventò un quadrante da artigliere, utile per determinare la corretta posizione e angolazione affinché il colpo del cannone fosse efficace; approntò diagrammi di balistica e analizzò vari modi di prendere la mira con precisione; produsse inoltre una tabella di calibri in cui sono menzionati ventiquattro tipi di arma da fuoco.

I libri di Tartaglia costituirono i primi esempi di quella che divenne una produzione costante delle tipografie veneziane, dedicata ad argomenti analoghi. I contemporanei di Galilei non avrebbero avuto alcuna difficoltà a comprendere perché i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) si aprono con due interlocutori intenti a discutere questioni relative alla struttura e alla grandezza delle galere dell'Arsenale di Venezia.

Lontano da Venezia, in altri arsenali d'Europa, le prove, le misure di precisione e la sperimentazione divennero aspetti essenziali dello sviluppo su vasta scala delle tecniche di artiglieria. Un documento della fine del XIV sec. rende noto che la città di Norimberga aveva collaudato sia la qualità del metallo sia la precisione delle armi da fuoco prima di consegnarle al duca di Baviera. Questo genere di controllo divenne una procedura consueta negli arsenali di tutto l'Impero tra il XV e il XVII secolo. Le pratiche empiriche di fusione delle armi da fuoco comportavano un procedimento di valutazione delle prestazioni che implicava misurazioni precise in relazione alla mira, nonché un esame dei materiali metallici e dei metodi di lavorazione.

L'intensa sperimentazione che caratterizzò lo sviluppo dell'artiglieria emergeva con chiarezza in molte parti d'Europa. Nelle fonderie di armi da fuoco delle Fiandre e del Brabante, per esempio, una serie di esperimenti e di invenzioni portò al perfezionamento degli affusti di cannone. I fonditori elaborarono una grande varietà di congegni per stabilizzare il cannone sull'affusto, per tentare di risolvere l'eterno problema del rinculo e per consentire maggiore precisione nella mira e nel lancio. L'intensa sperimentazione riguardò anche la produzione di polvere da sparo: intorno alla metà del XV sec. fu inventato il processo di granulazione. La polvere da sparo a grani o granulata sostituì la varietà in polvere, riducendo così il rischio di sparo accidentale. Un'altra innovazione realizzata in questo periodo fu la creazione di un cannone più lungo, che migliorò la traiettoria del proiettile.

Uno dei più importanti arsenali d'Europa fu costruito a Innsbruck, nel Tirolo, dall'imperatore Massimiliano I (1459-1519). Le miniere della vicina Schwaz fornivano il rame per le fonderie e l'argento per finanziarlo. Le grandi fonderie industriali di Innsbruck fabbricavano armi da fuoco, altre officine forgiavano, laminavano e battevano armature e corazze, oltre a produrre picche, alabarde e spade per la fanteria, mentre nella vicina città di Absam si producevano palle di cannone. L'enorme sviluppo dell'Arsenale di Innsbruck fu in gran parte opera del capofonditore Gregor Löffler, il primo sergente maggiore a diventare fabbricante di armi. Löffler trasformò la sua fonderia di Innsbruck da piccola bottega artigiana in grande fabbrica industriale, un cambiamento che veniva incontro alle esigenze di una domanda sempre crescente a partire dalla metà del XVI secolo.

Nell'Arsenale di Innsbruck si sperimentarono e si perseguirono attivamente innovazioni e avanzamenti per potenziare l'artiglieria, che implicavano un continuo sforzo per uniformare il calibro delle armi da fuoco, ossia il diametro del foro nella canna dell'arma e il diametro del proiettile. L'artiglieria del XVI sec. si suddivideva in due categorie: artiglieria di assedio e artiglieria da campo. I cannoni appartenenti alla medesima categoria dovevano avere lo stesso calibro: i fonditori, per ottenere che le palle di cannone avessero diametri uniformi, le colavano in stampi usando anelli di metallo o sagome per regolarne la grandezza.

Prima di lasciare la fonderia, ogni canna di cannone era sottoposta a una prova di alesatura. Nell'arsenale si progettavano inoltre affusti a ruote per i cannoni. Analoghi progressi sono riscontrabili anche nei sempre più numerosi arsenali di altre parti d'Europa. Il problema dei calibri multipli, causa dell'inefficienza e della lentezza delle armi da fuoco in battaglia, divenne oggetto di studio in molti arsenali. In Inghilterra Enrico VIII era vivamente interessato a questo problema e anche i Francesi si adoperarono con successo per ottenere una maggiore mobilità delle armi da fuoco, elaborando, come nell'Arsenale di Innsbruck, un sistema in virtù del quale i diversi tipi di armi da fuoco mantenevano una canna di uguale lunghezza. Ne seguì un miglioramento sul campo di battaglia, dove ora la gittata del proiettile dipendeva solo dal calibro. Negli arsenali spagnoli si dedicò un'attenzione particolare all'alleggerimento dell'artiglieria da campo e alle armi di piccole dimensioni. Gli Spagnoli introdussero inoltre speciali canne per le armi da fuoco, più larghe al centro e a doppia rastremazione verso la culatta e la bocca.

Nel 1540, il matematico e fabbricante di strumenti di Norimberga Georg Hartmann inventò una scala di calibri; essa era costituita da un righello metallico che mostrava il diametro interno del cannone e i corrispondenti pesi dei proiettili in pietra, ferro e piombo. Questo strumento rendeva inutile la pratica di pesare il proiettile prima di caricare le armi da fuoco, semplificandone quindi l'uso in battaglia. In Inghilterra, nello stesso decennio, il fonditore di armi da fuoco Ralph Hog of Buxted riuscì a fondere armi di ferro. Il tentativo di sostituire le armi da fuoco ad avancarica con armi a retrocarica proseguì in tutta Europa. Al fine di agevolare il caricamento dell'arma da fuoco, furono adottate siviere di polvere pirica chiamate 'lanterne', che consentivano una rapida misurazione, particolarmente in battaglia.

Anche le armi di piccole dimensioni cominciarono a rivestire in guerra un ruolo sempre più importante.

Nella seconda metà del XVI e nel XVII sec. le innovazioni nell'artiglieria furono opera soprattutto delle nuove potenze emergenti: i Paesi Bassi ‒ con Guglielmo I d'Orange-Nassau e Maurizio d'Orange-Nassau ‒ e poi, durante la guerra dei Trent'anni (1618-1648), la Svezia, guidata da quel grande comandante che fu il re Gustavo II Adolfo. Molte di queste innovazioni riguardavano l'uso dell'artiglieria nelle riorganizzazioni della fanteria, sia sul piano delle tattiche di combattimento e della strategia, sia sul piano dell'organizzazione e dell'addestramento degli eserciti. Anche le innovazioni tecniche nell'artiglieria proseguirono; per esempio, il processo di unificazione delle armi avanzò a tal punto che erano utilizzati soltanto quattro calibri. Alle armi di ciascun calibro furono poi assegnati carrelli corrispondenti le cui parti erano intercambiabili; in tal modo nei Paesi Bassi si raggiunse una uniformità e una semplicità di equipaggiamento senza pari.

In Spagna, a partire dalla metà del XVI sec. la Corona promulgò leggi ad ampio raggio per assicurarsi un'adeguata produzione di armi. Tali leggi includevano restrizioni sull'esportazione delle armi da fuoco e l'obbligatorietà di licenze per l'utilizzo dei metalli necessari alla loro fabbricazione: il ferro e il rame. Tra i monopoli di Stato era compresa la polvere pirica. La Corona, inoltre, fabbricava munizioni e finanziava arsenali per il deposito, la riparazione e la manutenzione dell'artiglieria. Dopo il 1560 esisteva una sola fabbrica stabile di armi da fuoco, quella di Malaga, dove erano realizzati cannoni di bronzo, che furono poi soppiantati, nel XVII sec., dai cannoni a colata di ferro. Le armi di piccole dimensioni erano fabbricate privatamente e vendute al governo. Il comandante generale di artiglieria e un apparato burocratico alle sue dipendenze sovrintendevano alle questioni relative alla manifattura dell'artiglieria e delle munizioni. Negli anni Settanta del Cinquecento, i problemi di rifornimento comportarono l'introduzione di norme e restrizioni più severe. Anche l'artiglieria di professione costituiva un problema e nel 1575 fu inaugurata a Siviglia una scuola di addestramento, cui ne seguirono altre in differenti località. Per aggiornare la formazione degli ingegneri relativamente alla costruzione delle fortificazioni, Filippo II fondò nel 1582 un'Accademia di scienze matematiche a Madrid, che operò fino al 1625 nel campo dell'ingegneria, dell'architettura e della navigazione militare. La disastrosa sconfitta dell'Invencible Armada spagnola per mano degli Inglesi nel 1588 ebbe come conseguenza una più coerente politica relativa alle armi da fuoco e un incremento della produzione dell'artiglieria pesante.

Anche prima della disfatta, ai re di Spagna furono proposte e fatte esaminare numerose invenzioni militari, dall'artiglieria a sparo veloce, a ponti trasportabili, a mulini portatili per macinare il grano nelle fortezze assediate. Prototipi, dimostrazioni e verifiche delle nuove apparecchiature erano all'ordine del giorno. Spesso la Corona inoltrava le proposte al Consiglio di guerra, composto da esperti militari, per un ulteriore esame. Erano garantiti monopoli per i macchinari ritenuti realizzabili e utili, i più importanti dei quali furono una miccia rifinita per archibugi e una nuova tecnica di carenaggio, ossia la pulitura e la riparazione della carena delle navi.

Il sistema spagnolo di fabbricazione degli armamenti reali era dispendioso e non produceva mai forniture adeguate, sicché a partire dal 1640 gli armamenti spagnoli furono fabbricati da privati, di solito con caratteristiche tecniche predeterminate, e poi venduti alla Corona. I requisiti speciali propri dell'armamento navale ne complicavano il processo di fabbricazione. Sulle navi erano preferibili i cannoni di bronzo perché più facili da maneggiare e, a differenza di quelli di ferro, resistenti alla ruggine. La Corona spagnola però non riusciva a sfruttare efficacemente i propri giacimenti di rame e aveva difficoltà a reperire a buon mercato il rame necessario per i cannoni di bronzo. I cannoni di ghisa erano più economici e il loro impiego prevalse sia sulle navi sia sulla terraferma.

La produzione navale spagnola alla fine del XVI e durante il XVII sec. era incentrata su due tipi fondamentali di navi: la galera e il galeone. La galera, nave a remi dotata anche di vele, aveva un pescaggio minore e poteva essere ben impiegata nel Mediterraneo. Il centro principale per la costruzione delle galere, soprattutto durante il regno di Filippo II, era l'Arsenale di Barcellona. Il re diede inizio alla riorganizzazione della potenza navale spagnola e nel 1574 aveva già allestito una flotta composta da centocinquanta galere, ma poiché le mire espansionistiche della Spagna erano rivolte verso l'Atlantico, oceano dominato da velocissime correnti di marea, tempeste di vento e ondate gigantesche, la galera risultava inadeguata a condizioni ambientali estreme; si fece quindi ricorso a un altro tipo di nave, il galeone. Si trattava di un grande veliero a tre alberi adatto alla navigazione sull'Atlantico. Inventato dai Veneziani attorno al 1520, oppure elaborato sulla base della caravella portoghese (le sue origini non sono chiare), il galeone fu quindi adottato in Spagna. La costa settentrionale del paese si specializzò nella costruzione di galeoni; incessanti discussioni, dibattiti ed esperimenti s'incentrarono su quale fosse il modo migliore di costruire un galeone ai fini della stabilità, della manovrabilità e della capacità di trasportare un sufficiente carico di merci e di armi da fuoco.

Le norme e i tentativi volti al raggiungimento di criteri uniformi da parte della Corona spagnola implicavano particolari requisiti nella produzione che richiedevano attenzione per le misure matematiche. Ciò appare evidente soprattutto nella costruzione delle navi, e gli Spagnoli, forse proprio per questo, furono i primi Europei a scrivere testi sulla costruzione e sulla progettazione delle navi. La prima opera minuziosa fu la Instrucción náutica di Diego García de Palacio, pubblicata a Città del Messico nel 1587. Filippo III tentò in ogni modo di regolare e perfezionare la produzione dei cantieri navali, promulgando importanti ordinanze sulla costruzione delle navi (1607, 1613, 1618). L'acceso dibattito pubblico e il desiderio di cimentarsi con le dimensioni e la forma delle navi accompagnavano i tentativi della Corona di migliorare le forze navali per fini offensivi e difensivi, e per trasportare e proteggere i carichi provenienti dalle Indie, soprattutto l'argento delle miniere di Potosí in Bolivia. L'ordinanza del 1618 ridusse la grandezza e le proporzioni delle navi a formule prevedibili, che dovevano essere calcolate prima dell'inizio della costruzione. In seguito a questa e ad altre disposizioni, la tradizionale arte della costruzione navale dovette conformarsi a misure matematiche prestabilite. Un esempio interessante è costituito dal contratto stipulato nel 1625 tra il re Filippo IV e Martín de Arana, in cui erano specificati i tipi di materiali da usare, i pesi delle navi e le loro misure. Prima che fosse sistemata la chiglia, dovevano essere calcolate le misure matematiche dell'intera nave. Occorre però ricordare che nel corso del XVII sec. la progettazione navale spagnola fu influenzata non soltanto da considerazioni pratiche ma anche da alcune concezioni neoplatoniche, che imponevano proporzioni ideali.

Di fondamentale importanza per lo sviluppo dell'assolutismo francese del XVII sec. furono l'espansione e la razionalizzazione delle risorse militari. Richelieu, e più tardi Jean-Baptiste Colbert e Luigi XIV, fecero della Francia un'importante potenza navale. Intorno al 1630, Richelieu era giunto a creare una flotta di oltre quaranta navi da guerra. Colbert e Luigi XIV rifondarono, o potenziarono, gli arsenali già esistenti a Brest, Rochefort e Tolone ‒ quest'ultimo deputato alla costruzione di velieri ‒ creando anche un arsenale navale a Marsiglia per la costruzione di una grande flotta di galere da guerra. Alcuni intendenti generali alle galere furono incaricati di riportare in auge e di ampliare l'arsenale, di armare e mantenere in buono stato la flotta di galere, il cui numero crebbe rapidamente tra il 1665 e il 1690. L'Arsenale di Marsiglia, costruito sia per rispondere a reali necessità militari sia per ostentazione di potenza, comprendeva una magnifica e vasta armeria, un immenso parco di artiglieria con duemila cannoni e granate da fuoco, un'innovazione risalente agli anni Ottanta del XVII secolo. Prima di allora, infatti, la maggior parte delle galere francesi era costruita, con numerose varianti, da singoli privati e poi venduta alla Corona. Fu Colbert a modificare questa pratica istituendo una certa uniformità nelle dimensioni.

In Inghilterra, l'Ufficio di artiglieria creato durante il regno di Enrico VIII era ubicato nella Torre di Londra. Esso forniva armamenti e polvere pirica all'esercito e alle navi della marina da guerra inglese (Royal Navy), compresi i pesanti cannoni di ferro o di bronzo che erano collocati nelle fortificazioni o sulle navi. L'Ufficio comprendeva anche personale tecnico e amministrativo e alla fine del XVII sec. il suo ruolo si ampliò ulteriormente; nel 1667 gli fu affidata la costruzione e la manutenzione di tutti i forti del Regno; nel 1670 si assunse l'onere della vecchia artiglieria della Torre e dal 1682 provvide all'addestramento di artiglieri in tutti gli altri presìdi. Tra gli ufficiali di artiglieria vi erano responsabili di questioni tecniche; l'ingegnere era un matematico professionista, esperto di misurazioni e di rilevamenti il cui compito era quello di controllare la qualità e la quantità degli armamenti e delle altre merci all'atto della consegna e di sovrintendere alle prove generali di collaudo di prodotti e munizioni, e infine di ispezionare il terreno e il lavoro di costruzione dei forti. L'Ufficio si avvaleva anche di ingegneri che progettavano e costruivano fortificazioni, di maestri fuochisti (addetti alla polvere da sparo e agli esplosivi), di capoartiglieri, di artiglieri semplici e di 'artificieri'. Per tutti costoro era necessario un buon grado di preparazione matematica. Alcuni di essi effettuavano studi specialistici nell'Ufficio e divulgavano il loro sapere scrivendo libri di matematica e meccanica. Il sovrintendente di artiglieria Jonas Moore (1617-1679), per esempio, coltivò vastissimi interessi nel campo della matematica applicata e scrisse libri sulla matematica e sulle fortificazioni. Modificando la tesi di Rupert Hall (1952), secondo la quale non esisteva alcun collegamento tra la balistica scientifica e le pratiche degli artiglieri, Frances Willmoth (1993a, 1993b) dimostra in modo convincente che l'Ufficio svolse un ruolo importante nel preservare tradizioni di matematica e meccanica che includevano studi di balistica.

In Europa, dall'inizio del XVI fino al XVIII sec. per difendersi dalla sempre più efficiente artiglieria a polvere da sparo furono costruite numerose opere di fortificazione. Le nuove strutture difensive erano dotate di bastioni angolati, fossati, forti staccati (rivellini), pendii artificiali ‒ progettati per tenere l'artiglieria nemica lontana dalle mura centrali ‒ e, infine, di terrapieni dietro le mura. Benché la costruzione dei forti fosse sovente un'attività separata dall'arsenale vero e proprio, essa era la conseguenza diretta della nuova artiglieria. Gli ingegneri militari, che si occupavano di entrambe le attività, scrivevano e leggevano numerosi trattati sulle fortificazioni disponibili in varie lingue, soprattutto a partire dalla metà del XVI secolo. La maggior parte di queste pubblicazioni sottolineava l'importanza della matematica e offriva esempi per l'esercizio professionale. La progettazione di nuove fortificazioni richiedeva perizia nel campo della geometria e in seguito, nei secc. XVII e XVIII, in quello della matematica che diveniva sempre più complessa. Le accademie scientifiche, quali l'Académie des Sciences, svilupparono interesse per le fortificazioni e insignirono Sébastien Le Prestre de Vauban, il più grande ingegnere militare francese del XVII sec., del titolo di accademico onorario. Nel corso del XVIII sec., gli ingegneri divennero professionisti sempre più esperti e la matematica acquisì un'importanza fondamentale sia per la loro formazione sia per l'esercizio della professione.

La miniera

Agli albori dell'Europa moderna, la miniera era strettamente collegata con l'arsenale, perché le armi da fuoco, di piccole o di grandi dimensioni, erano fatte di ferro oppure di bronzo; in seguito, anche le palle di cannone furono realizzate in ferro, piuttosto che in pietra. Verso la metà del XV sec. l'espandersi della produzione di artiglieria a polvere da sparo e il moltiplicarsi di zecche per il conio di monete metalliche, di proprietà di principi e di nobili, portò a una maggiore richiesta di metalli che indusse gli stessi investitori a impegnare notevoli somme di denaro e ad affrontare i problemi tecnici legati allo scavo di miniere più profonde. L'attività mineraria mutò radicalmente dalla metà del Quattrocento. L'estrazione nel Tardo Medioevo era di solito affidata a un'impresa locale ‒ spesso un'azienda di famiglia, su piccola scala, che in alcuni casi associava tale attività a quella agricola ‒ con lo sfruttamento di miniere poco profonde. Le nuove imprese capitalistiche, invece, costituivano operazioni su vasta scala che davano lavoro a numerosi operai. Tali operazioni traevano profitto in parte dallo scavo di miniere più profonde e in parte dalla soluzione dei problemi tecnici di ventilazione, di drenaggio e di estrazione dei minerali grezzi, che si presentavano a profondità maggiori. Per poter sostenere tali sforzi, i principi e gli imprenditori investivano denaro, diventando azionisti delle imprese minerarie. Per circa un secolo, tra il 1450 e il 1550, ricavarono ingenti utili dall'intenso sviluppo del settore nell'Europa centrale, che portò a un notevole incremento della produzione di argento, rame, ferro, stagno e piombo.

Scavare in profondità richiedeva dunque la soluzione dei problemi tecnici relativi alla rimozione dell'acqua e dei minerali grezzi. In molte miniere furono utilizzate grosse pompe e altri macchinari azionati da ruote idrauliche per sollevare l'acqua e per estrarre i minerali dai giacimenti a grandi profondità. Tra i tipi di macchinari impiegati per la rimozione dell'acqua, dettagliatamente illustrati nel De re metallica (1556) di Georg Bauer Agricola, si possono includere le pompe a stantuffo costruite con tronchi di albero scavati e infinite catene di secchi e ruote idrauliche a rotazione invertibile. Le miniere più produttive si trovavano nell'Europa centrale, nei monti Erzgebirge in Sassonia, a Schwaz nel Tirolo, in Ungheria e a Mansfield in Inghilterra. Questi siti erano luogo di operazioni su vasta scala; in una sola miniera potevano essere impiegate diverse migliaia di operai, alcuni sottoterra, altri nel trasporto del materiale, nella preparazione di carbonella e nella fusione, separazione e affinamento dei minerali grezzi. L'escavazione e la lavorazione del rame argentifero erano particolarmente importanti.

La produzione di argento e di rame, dopo la scoperta del processo di separazione del rame argentifero, richiedeva lavorazioni più complesse. In Sassonia, nel Tirolo e un po' ovunque furono costruiti dei Saigerhütten ‒ come erano chiamati nella Germania centrale ‒, vale a dire vasti stabilimenti che contenevano un gran numero di letti di fusione, fornaci, mantici, magli, macchinari per la frantumazione in buona parte azionati da ruote idrauliche, crogioli e altre varietà di strumenti. Altri paesi ricchi di metalli erano la Svezia e l'Alsazia, per la produzione dell'argento, e l'Italia, per l'allume di rocca, scoperto nei dintorni di Civitavecchia dopo la metà del XV sec., essenziale nell'industria tessile per fissare le tinte. Nel Cinquecento la produzione del ferro si estese rapidamente in molte zone d'Europa e il processo di lavorazione subì trasformazioni in seguito alla diffusione dell'altoforno, con frequenza sempre maggiore nei secc. XVI e XVII. L'altoforno fu il risultato delle modifiche apportate al tradizionale forno per blumi. Quest'ultimo produceva una sostanza di ferro spugnosa chiamata 'blumo', che era poi lavorata con il maglio nella fucina. L'altoforno raggiungeva temperature più elevate grazie a mantici più grandi, a camini più alti e ad altre modifiche. In luogo dei blumi, produceva ferro fuso che colava dentro forme conosciute con il nome di 'pani'. Gli altiforni richiedevano un maggiore investimento di capitale e dovevano essere alimentati continuamente per ottenere una produzione significativa. Alla metà del XVI sec., la produzione di ghisa comprendeva prodotti quali palle di cannone, batterie da cucina e armi da fuoco. A Liegi, l'estrazione del carbone divenne un'operazione su vasta scala, mentre in Inghilterra, la Cornovaglia e il Devon producevano grandi quantità di stagno.

Nella Germania centrale, in Francia e in altre zone d'Europa, le norme sulle miniere si moltiplicarono nel corso del XVI sec., quando le autorità aumentarono il controllo sulle operazioni di lavorazione dei minerali. Numerose leggi, rese esecutive da regolari ispezioni, furono promulgate a partire dal primo quarto del XVI secolo. Perfino le operazioni minori dovevano essere approvate dagli ufficiali di miniera al servizio di principi e sovrani. Nell'Europa centrale, le miniere erano ispezionate dagli ufficiali addetti, accompagnati da tecnici esperti, per controllare che il loro funzionamento fosse in conformità con la legge e a vantaggio del principe. In Germania, i nobili proprietari terrieri acquisirono maggiore autorità sulle miniere, mentre in Francia fu istituita un'amministrazione mineraria regia per l'intero paese. Con l'aumentare delle leggi migliorava anche il livello di specializzazione. In Sassonia e in Boemia, a Jáchymov per esempio, si moltiplicarono gli operai e i direttori specializzati, tutti addestrati in un particolare settore.

Intorno alla metà del XVI sec. lo sfruttamento delle miniere nell'Europa centrale volse al termine, anche per la scoperta, nel 1546, delle miniere di argento di Potosí. Le navi spagnole cariche di argento proveniente dal nuovo mondo causarono, alla fine del secolo, la svalutazione dei prezzi, provocando l'abbandono delle miniere. La guerra dei Trent'anni disincentivò ulteriormente l'estrazione mineraria, e il rame argentifero e il piombo cominciarono a svalutarsi. Tuttavia, i macchinari ideati per drenare e ventilare in profondità le miniere dell'Europa centrale furono impiegati in Inghilterra alla fine del XVI e nel XVII sec. per l'estrazione dello stagno, del piombo e del carbone. La produzione mineraria europea continuò in questo periodo a essere abbondante, grazie anche a nuovi investitori e alla diversificazione delle attività estrattive.

La Polonia e la Slesia, per esempio, estrassero nel 1650 otto volte la quantità di piombo che avevano ricavato nel 1500. La produzione di ferro della Boemia e dell'Austria aumentò costantemente e fu utilizzata per fabbricare falcetti, falci da fieno e coltelli che furono venduti in un primo tempo in Europa occidentale e poi anche in quella orientale. In Spagna, la miniera di mercurio di Almadén era gestita dai Fugger di Augusta, che erano riusciti a ottenere una concessione redditizia dando lavoro, all'inizio del XVII sec., a più di mille operai impiegati in diverse funzioni. Anche la produzione di carbone aumentò in modo considerevole, tanto che i carichi di questo minerale provenienti dalle contee inglesi di Northumberland e di Durham passarono da quarantacinque tonnellate negli anni 1508-1511 a più di cinquecentomila tra il 1655 e il 1660. In Svezia, la grande miniera di rame di Falun, di scarsa importanza prima del 1570, era diventata intorno al 1650 il maggiore centro di produzione europea. Quando l'importazione di argento dalle Americhe ne rese l'estrazione poco redditizia, il ferro e il rame furono utilizzati in sua vece, dando luogo a una maggiore produzione di oggetti di metallo, dalle spade alle forbici. La Svezia divenne il maggior produttore in Europa di questi metalli e ciò le consentì di incrementare il mercato interno del ferro.

L'estrazione mineraria capitalistica e la lavorazione dei minerali su vasta scala, finanziate da principi e da ricchi banchieri quali i Fugger, portarono a un uso regolare della perizia tecnica favorendo l'innovazione tecnologica e di conseguenza una maggiore produttività. A seguito della svalutazione cui andarono incontro i metalli preziosi nell'ultima parte del XVI sec., l'innovazione tecnologica divenne ancora più importante ai fini di un'efficace lavorazione dei minerali e della diversificazione dei prodotti metallurgici. A volte la proprietà delle imprese minerarie e le loro strutture organizzative mutavano. Quando Anton Fugger si ritirò dal commercio del rame slovacco, a metà del XVI sec., altri investitori di Augusta si fecero avanti per prendere il suo posto, ma furono a loro volta soppiantati da imprese italiane. In Sassonia e in Turingia, all'inizio del Seicento, sorsero nuovi gruppi minerari: uno di essi si costituì a Ilmenau per produrre lavori in rame e in ottone, ma nel 1619 l'impresa fece bancarotta. Altri centri di produzione continuarono ad attrarre investitori nel corso del Seicento.

L'innovazione tecnologica e la meccanizzazione furono caratteristiche fondamentali della moderna estrazione e della lavorazione dei minerali: si scavarono miniere più profonde, si migliorarono pozzi e gallerie; si installarono argani e paranchi per la rimozione dei minerali; si fece un uso crescente dell'energia idraulica per azionare pompe e altre apparecchiature per la rimozione dell'acqua, e a poco a poco la più efficiente ruota idraulica 'per di sopra' rimpiazzò la ruota a palette 'per di sotto'. Gli altiforni furono perfezionati e utilizzati sempre più frequentemente nella produzione del ferro. Le innovazioni apportate alle fornaci e ai forni proseguirono per tutto il XVII secolo. Gli esperimenti per creare leghe e metalli composti erano all'ordine del giorno e spesso implicavano la modifica delle tecniche esistenti. Una delle innovazioni consistette nell'utilizzare il piombo per ottenere la latta. Il bismuto, scoperto nel XIII sec., divenne oggetto di commercio nel XVI sec., quando fu utilizzato per i caratteri tipografici di metallo. Tali caratteri, in origine di stagno e piombo, furono poi realizzati con leghe più pesanti di piombo e antimonio, oltretutto più economiche. Apportando alcuni mutamenti a una tecnologia ormai consueta, nella prima metà del XVII sec. la polvere pirica cominciò a essere utilizzata sistematicamente per lo scavo delle miniere.

L'innovazione più importante nacque probabilmente da una serie di esperimenti che portarono alla scoperta di una tecnica di lavorazione del rame argentifero grazie alla quale, unendo il rame con il piombo, si otteneva l'argento. Il processo si svolgeva in tre fasi: innanzitutto il minerale era fuso ad alte temperature, creando una lega di piombo e di rame argentifero; quando si raffreddava, le diverse temperature di fusione del rame e del piombo consentivano di separare le cristallizzazioni di rame e di argento in cui era presente il piombo. Il prodotto così ottenuto era riscaldato in un forno di arrostimento, nel quale il piombo dava origine a cristalli di rame. Il rame era poi affinato in un forno di essiccazione, mentre l'argento era separato dal piombo nei forni di coppellazione. Le origini di questo complesso sistema risalivano alle tecniche della tradizione alchemica e alla sempre più diffusa conoscenza acquisita attraverso la coniazione delle monete. Tale sistema risulta documentato per la prima volta a Norimberga verso la metà del XV secolo. Si trattava di un'invenzione fondamentale nel momento di massima espansione dell'attività mineraria in Europa centrale, che permise un aumento nella produzione di argento e di rame. Un'invenzione di questo genere non poteva essere adottata immediatamente in ogni singola miniera, ma spesso doveva essere modificata per tenere conto delle specifiche caratteristiche dei minerali locali e queste modifiche richiedevano una continua sperimentazione sul campo. Secondo alcune testimonianze documentarie, i principi erano coinvolti in prima persona da orefici, metallurghi e altri artigiani nella promozione di esperimenti mirati alla scelta del procedimento più adatto alle condizioni geologiche locali, al fine di pianificare al meglio le eventuali operazioni di lavorazione mineraria.

Le miniere furono dunque centri importanti nell'Età moderna per la sperimentazione e l'innovazione tecnica. Il loro ruolo culturale crebbe con lo svilupparsi della letteratura sull'estrazione mineraria e sulla metallurgia, che acquisì importanza soprattutto a partire dai primi anni del XVI secolo. Ispettori minerari, saggiatori e altri professionisti, dotti umanisti e alcuni nobili scrivevano libri che variavano dai piccoli opuscoli ai trattati, particolareggiati e riccamente illustrati, sull'estrazione mineraria, la lavorazione dei minerali, la saggiatura, l'organizzazione delle miniere e le leggi minerarie. Tra le opere a stampa, un trattato scritto in italiano, che ebbe grande fama in Germania, fu la Pirotechnia di Biringuccio. Quest'opera, di gran lunga più particolareggiata dei trattati precedenti, si occupava dei minerali e della loro lavorazione, della saggiatura, dell'affinazione dell'oro e dell'argento, delle leghe, dell'arte della colata, dei metodi di fusione dei metalli, della piccola colata, dei procedimenti di lavorazione con fuochi, polvere pirica e fuochi d'artificio. Le ampie descrizioni del testo erano integrate da xilografie che illustravano gran parte dei procedimenti lavorativi.

Biringuccio era un professionista e un sovrintendente; altri autori di libri sull'estrazione mineraria e sulla metallurgia erano invece umanisti di formazione universitaria. Calbus di Friburgo (m. 1523) scrisse un breve dialogo sull'estrazione e sui minerali intitolato Bergbüchlein (Libriccino della miniera). Il famoso medico umanista Georg Bauer Agricola scrisse un dialogo, intitolato Bermannus (1530), in cui tre interlocutori, di cui due eruditi e un sovrintendente di una miniera, Bermannus, discutono di minerali e di terminologia mineraria mentre vagano tra i monti dell'Erzgebirge. Il famoso trattato di Agricola sull'attività mineraria e sulla metallurgia, il De re metallica, apparso postumo nel 1556 e redatto nel latino degli umanisti, conteneva un'apologia dell'attività mineraria esemplata sull'apologia dell'agricoltura di Columella. Il trattato conteneva anche una pletora di dettagli relativi alle varie operazioni minerarie e metallurgiche, oltre a illustrazioni di macchine, di fornaci e dei vari processi connessi con l'estrazione e la lavorazione dei minerali. Lazarus Ercker (1530 ca.-1594), saggiatore e sovrintendente, scrisse una gran quantità di libri sulla saggiatura e sulla lavorazione dei minerali, l'ultimo dei quali è un lungo trattato corredato da illustrazioni in cui l'autore mette in rilievo l'importanza della propria esperienza pratica. La maggior parte dei testi sull'attività mineraria e sulla metallurgia del XVI sec. erano opere a stampa, ma alcuni, come lo Schwazer Bergbuch (Libro della miniera di Schwaz), furono redatti appositamente come libri manoscritti. Le copie dello Schwazer Bergbuch, scritto da Ludwig Lässl (m. 1561), un ufficiale della corte mineraria di Schwaz nel Tirolo, sono decorate con meravigliose illustrazioni dipinte a mano che raffigurano le più disparate operazioni minerarie.

I libri che trattavano di attività mineraria, di lavorazione dei minerali e di metallurgia erano scritti perlopiù per i principi e per quel gruppo di persone che investiva i propri capitali nelle miniere, anche se non possedeva in materia alcuna abilità o perizia specialistica. I libri spiegavano i numerosi procedimenti tecnici, organizzando in modo razionale le discipline relative all'estrazione mineraria e alla metallurgia, utilizzando, e in parte creando, un preciso vocabolario tecnico. Molti trattati contenevano illustrazioni che, descrivendo con estrema chiarezza macchinari e processi di lavorazione, erano spesso essenziali per la comprensione dei particolari tecnici e, inoltre, rendevano estremamente affascinanti agli occhi dei profani le arti meccaniche dell'estrazione mineraria e della metallurgia. Alcuni autori, come Biringuccio e Agricola, sostenevano esplicitamente la libera divulgazione dell'informazione tecnica, criticando tanto l'esercizio del segreto professionale quanto la pratica dell'alchimia. Le trattazioni letterarie trasformarono l'estrazione mineraria e la metallurgia in discipline che costituivano materia di studio, pur conservando le caratteristiche proprie dei testi legati alle pratiche produttive.

Pubblicazioni specifiche sulle pratiche minerarie e metallurgiche continuarono ad affermarsi lungo tutto il XVII sec., affiancate da numerose traduzioni e da nuove edizioni delle opere più celebri del secolo precedente. Tra i nuovi scritti va ricordato il trattato Bericht vom Bergwercken (Resoconto delle miniere, 1617) di Georg Engelhard Löhneiss, in cui si discutevano i procedimenti tecnici e l'organizzazione mineraria. Il trattato più originale del XVII sec. fu l'Arte de los metales (1640) di Alvaro Alonso Barba, un sacerdote spagnolo che nel 1558 fu inviato in Perù. Oltre ai suoi doveri sacerdotali, Barba si dedicò allo studio dei minerali e dei metalli, nonché dell'attività mineraria e del trattamento dei minerali. Trasferitosi nella famosa città mineraria di Potosí, si occupò in particolare del processo di amalgamazione, ossia dell'estrazione dell'argento e dell'oro dai minerali utilizzando il mercurio. Nel suo trattato, un originalissimo resoconto dell'attività mineraria e metallurgica nel nuovo mondo, pone l'accento sull'importanza degli esperimenti per scoprire la quantità e il tipo di additivo appropriati per ciascun minerale e afferma la necessità di una sorta di controllo di laboratorio sull'intero processo produttivo. Inoltre, Barba sostiene che prima di iniziare un'operazione bisogna averne stabilito tutti i costi, dalla manodopera alle attrezzature.

L'industria siderurgica, in parte a causa dell'espandersi della fabbricazione delle armi da fuoco, rappresentò una componente sempre più importante dell'attività mineraria e della metallurgia del XVII secolo. I grandi altiforni consumavano enormi quantitativi di legname; in Gran Bretagna, per esempio, la penuria di tale materiale limitava la produzione, ma l'uso del carbone aiutò a risolvere il problema del combustibile. L'impiego del carbone non fu automatico, tale processo presentava infatti alcune difficoltà tecniche da risolvere per ciascuna fase del processo di estrazione del ferro. Nel Seicento la Svezia, grazie alle sue immense foreste e ai suoi ricchi giacimenti di ferro, divenne uno dei principali paesi produttori di questo materiale ed esportava una notevole quantità di cannoni di ghisa.

Intorno al 1700, lo svedese Christopher Polhem, proprietario di una ferriera, progettò e diresse una fabbrica manifatturiera del ferro a Stiernsund. Polhem si adoperò molto per meccanizzare l'industria siderurgica e organizzarne la produzione attraverso la specializzazione e la divisione del lavoro. Nella nuova fabbrica, l'energia idraulica era impiegata in numerose fasi della manifattura di ogni genere di attrezzi (apparecchi domestici e articoli in ferro, per es. vomeri, mazze battenti, denti di erpice, serrature, rotelle di orologi, vasellame e recipienti stagnati). Se non era possibile realizzare l'intero articolo a macchina, si fabbricava una versione approssimativa, poi rifinita dai fabbri, il cui lavoro fu ristretto a quest'unica operazione. Furono inventati speciali macchinari, per esempio una macchina per tagliare i denti nelle ruote degli orologi, una per forgiare pentole e piatti da lamiere di ferro placcate in stagno, una fresa a incisione per produrre chiodi, una fresa a taglio per creare sbarre, una tranciatrice per tagliare tegole metalliche (nonché una pressa per il loro stampaggio), laminatoi per produrre lastre e lamine di ferro, e macchinari per lucidare i rulli del laminatoio. Polhem condusse anche esperimenti in campo meccanico e fondò un museo industriale in cui erano esposte importanti macchine che aveva avuto modo di conoscere durante i suoi viaggi e modelli di apparecchiature di sua invenzione.

Emanuel Swedenborg, noto soprattutto per i suoi interessi religiosi, fu anche un filosofo naturale profondamente influenzato dall'opera di Polhem. Figlio di un professore di teologia che divenne vescovo luterano, Swedenborg apparteneva a una ricca famiglia di Uppsala; egli intraprese gli studi classici presso l'Università locale, ma in seguito s'interessò di questioni tecnologiche e scientifiche, fornendo contributi determinanti tanto nel campo della filosofia naturale quanto in quello della tecnologia dell'attività mineraria e della metallurgia. Tra il 1710 e il 1713 visse in Inghilterra dedicandosi allo studio delle opere di Newton, di Halley e di altri astronomi e filosofi naturali. Tornato in Svezia, Swedenborg pubblicò a proprie spese la prima rivista scientifica svedese, il "Daedalus hyperboreus" (1716-1718), che conteneva molti articoli dedicati alle invenzioni meccaniche di Pohlem. Nel 1716 fu nominato membro straordinario dell'Ufficio per le miniere. Competente metallurgo, Swedenborg sperimentò nuovi metodi per raffinare il rame grezzo e pubblicò studi monografici sul rame e sul ferro. Si occupò, inoltre, di geologia e di sedimenti fossili, elaborando complesse teorie riguardanti sia la cosmologia sia la geologia, molte delle quali risentirono della sua concezione del diluvio biblico. La sua voluminosa produzione scientifica comprende, oltre all'elaborazione di carte geologiche, anche scritti sulla tecnologia e sulla teoria dell'attività mineraria e metallurgica.

Durante il XVII sec., i metallurghi sperimentarono nuovi metodi di fabbricazione dell'acciaio (ferro contenente consistenti quantità di carbone). Il principale procedimento di produzione dell'acciaio implicava la cementazione, vale a dire l'acquisizione di carbonio da parte del ferro da una sostanza quale la carbonella. Nella fabbricazione di manufatti in acciaio, come le spade, furono utilizzati diversi tipi di fornace e numerosi metodi di lavorazione. La prima descrizione esaustiva della cementazione di sbarre di ferro battuto si trova nel libro intitolato The natural history of Staffordshire (1686) dell'inglese Robert Plot. Altre descrizioni ponevano l'accento sulla varietà delle colorazioni assunte dal metallo quando veniva martellato e rapidamente raffreddato immergendolo nell'acqua. Gli evidenti cambiamenti di colore del ferro durante la lavorazione, importanti per poter valutare lo stato del processo, furono studiati dai filosofi naturali nell'ambito delle ricerche sulla natura del colore. Robert Boyle, nel suo libro Experiments and considerations touching colours (1664), trattò del fenomeno del cambiamento del colore nel processo di raffreddamento dell'acciaio e nella fusione di metalli quali il piombo. In modo analogo, Robert Hooke elaborò una teoria dell'indurimento dell'acciaio in base al colore. Altri punti di contatto tra l'attività mineraria e la filosofia naturale appaiono evidenti soprattutto negli scritti di Plot, un baconiano che aveva studiato a Oxford. Viaggiando attraverso l'Inghilterra aveva raccolto oggetti curiosi, e possedeva inoltre una vasta collezione di minerali che, nel 1675, espose alla Royal Society, della quale fu nominato membro nel 1677. Tra il 1682 e il 1684 ricoprì l'incarico di segretario e coredattore delle "Philosophical Transactions". Divenuto il primo custode dell'Ashmolean Museum, da poco acquistato dall'Università di Oxford, fu il primo professore di chimica in quella città ad avere il proprio laboratorio all'interno del museo. Le sue storie naturali comprendevano studi di fenomeni, antichi e recenti, accompagnati da estese trattazioni di questioni meccaniche e tecnologiche. Nella Natural history of Staffordshire si occupò di geologia e di stratificazione, analizzando minuziosamente particolari operazioni di estrazione mineraria e di metallurgia.

In Gran Bretagna, tra il 1550 e il 1700, il carbone passò da fonte di calore occasionale a combustibile di largo consumo. Nel XVIII sec. la produzione giunse a tre milioni di tonnellate l'anno. L'estrazione del carbone era resa vantaggiosa dall'accresciuta domanda che in parte rispondeva a un aumento della popolazione e in parte era dovuta alla scarsità di legname, sebbene l'entità di tale penuria fosse argomento di discussione fra gli studiosi. Questo grande sviluppo della produzione avvenne grazie all'introduzione di nuovi metodi e fu il risultato di avanzamenti graduali piuttosto che di innovazioni radicali. Tuttavia vi furono alcune innovazioni significative, come l'invenzione delle aste di perforazione quale sistema di esplorazione per la ricerca del carbone, all'inizio del XVII sec., e l'invenzione delle strade ferrate nei primi anni del secolo successivo. Le miniere a maggiore profondità presentavano il problema del drenaggio dell'acqua, risolto con lo scavo di canali di scolo oppure sollevando l'acqua fino a farla fuoriuscire. Quest'ultima soluzione fu tentata e, a volte, effettuata con successo, con l'ausilio di una quantità di macchine, sia tradizionali sia sperimentali. Tra esse vi erano gli argani azionati dall'uomo e dai cavalli (i cosiddetti paranchi), come anche le pompe idrauliche. Il drenaggio restava un problema serio e costante per il quale furono proposte varie soluzioni studiate su misura in base alle singole località. Nessuna di queste si dimostrò del tutto soddisfacente fino all'invenzione della macchina a vapore, avvenuta nel XVIII secolo.

In Inghilterra, nel XVII sec., l'estrazione del carbone fu intrapresa perlopiù dalla piccola nobiltà di campagna, che spesso sfruttava i giacimenti di carbone dei propri possedimenti. Il vero e proprio lavoro di esplorazione in cerca di giacimenti, di rilevamento del suolo per scavare i fossi per il drenaggio, e quello dello scavapozzi o del minatore, era effettuato da specialisti, alcuni dei quali divennero famosi per la loro raffinata conoscenza pratica della geologia. Tra questi possono essere annoverati gli ingegneri che progettavano e ispezionavano i macchinari delle miniere. Gli eruditi, che scrivevano sull'estrazione mineraria, ottenevano le informazioni di cui disponevano da questi abili professionisti. Dopo la sua fondazione nel 1660, la Royal Society sviluppò un particolare interesse per la geologia e per l'attività mineraria. Due importanti trattati, l'Hydrostaticks di George Sinclair (m. 1696) e la Natural history of Staffordshire di Plot, rappresentano le prime rilevanti opere sulla scienza della terra, i cui autori erano uomini colti che avevano acquisito le proprie conoscenze da esperti nel settore. A questi seguì il più completo resoconto sull'estrazione del carbone, The compleat collier, del cui autore conosciamo solo le iniziali J.C., pubblicato nel 1708.

La bottega dell'artigiano

La bottega dell'artigiano non consisteva in una struttura unica e uniforme. Luoghi di produzione diversi erano disseminati in gran numero sia nelle città sia nei centri d'Europa e si diversificavano anche in relazione al tipo di oggetto prodotto. Le arti e i mestieri nelle varie località potevano essere 'liberi', vale a dire che chiunque poteva esercitarli, oppure governati dalle corporazioni. È possibile identificare alcune caratteristiche che accomunano la formazione professionale e la produzione della bottega. Il tirocinio era effettuato mediante un sistema per cui alcuni giovani, a volte anche ragazze, diventavano apprendisti presso maestri. All'inizio gli apprendisti ricoprivano umili mansioni e svolgevano i lavori più semplici per quattro o cinque anni, acquistando sempre maggiore padronanza del mestiere attraverso la pratica manuale e l'istruzione orale. Dopo aver portato a termine l'apprendistato, costoro trascorrevano un buon numero di anni come operai qualificati, lavoratori a giornata, viaggiando di frequente per acquisire esperienza e trovare lavoro. Gli operai qualificati aspiravano a diventare a loro volta maestri, e spesso ottenevano questa qualifica producendo un manufatto artistico che doveva soddisfare il giudizio della corporazione. Sempre più di frequente, tuttavia, nei secc. XVI e XVII, gli artigiani rimanevano con la qualifica di operai per tutta la vita, a meno che non fossero figli di maestri. Durante questi secoli, inoltre, molti mestieri divennero sempre più appannaggio esclusivo degli uomini; le donne artigiane invece, penalizzate a causa del loro sesso, videro la sfera lavorativa restringersi ulteriormente.

Numerosi mestieri, nelle città europee, erano regolati dalle corporazioni, l'organizzazione e i regolamenti delle quali variavano da mestiere a mestiere e da una località all'altra. In generale, le corporazioni presiedevano al controllo della qualità dei prodotti fabbricati, compresa quella dei materiali grezzi, si occupavano dell'apprendistato, dei giorni e degli orari di lavoro, nonché di altri aspetti del mestiere. Detenevano anche un monopolio sulla produzione ‒ escludendo gli artigiani non appartenenti ad alcuna corporazione ‒ sia all'interno sia all'esterno della città. Inoltre, le corporazioni svolgevano anche funzioni sociali e assistenziali, come l'organizzazione di pranzi e l'elargizione di fondi funerari per le famiglie indigenti dei loro membri. I rapporti tra corporazione e sistema di governo variavano fortemente da una città all'altra: in alcune città le corporazioni ricoprivano un ruolo importante nel governo, mentre in altre subivano il controllo esercitato dalle élite al potere.

Più in generale, le botteghe erano spazi riservati alla produzione artigianale. Nei secc. XVI e XVII alcuni nobili mecenati cominciarono a interessarsi alla produzione delle botteghe, finanziando quelle che producevano merci per le loro corti e per le loro famiglie. Spesso queste botteghe sperimentavano tecniche e metodi nuovi; un esempio in questo senso, oggetto di studi approfonditi, è costituito dalle botteghe cinquecentesche dei Medici, che si adoperarono strenuamente perché venisse inventato un attrezzo di acciaio che fosse abbastanza duro per la lavorazione del porfido. I nobili erano sovente coinvolti personalmente in tali tentativi, e alcuni di essi partecipavano alle attività lavorative della bottega. Nel suo trattato sulla ceramica, per esempio, Cipriano Piccolpasso (1524-1579) informa i lettori che Alfonso I d'Este, duca di Ferrara (1476-1534), possedeva un forno di ceramiche accanto al proprio palazzo e si cimentava egli stesso in quest'arte.

A partire dalla fine del XVI sec. furono fondate le prime accademie artistiche che si assunsero alcune delle funzioni della bottega. Cosimo I de' Medici istituì l'Accademia del Disegno, conferendole formale costituzione nel 1563. L'Accademia godeva della protezione del granduca e non dipendeva dalle corporazioni; ciononostante, i membri che esercitavano il mestiere di artigiano furono obbligati a rimanere all'interno della rispettiva corporazione fino al 1571. L'Accademia stessa fu costituita come corporazione nel 1584; il suo credo principale era che la pittura fosse un'arte intellettuale e razionale, un'arte liberale concernente il disegno piuttosto che, prevalentemente, un'abilità manuale. Nell'Accademia si tenevano lezioni pubbliche in cui erano insegnate l'aritmetica, la geometria e l'anatomia; intorno al 1590, s'inaugurarono corsi sul disegno di figura e nel suo programma erano previsti anche dibattiti su questioni di estetica. L'Accademia continuò la propria attività per tutto il XVII sec. e oltre, distinguendosi dalla tradizionale bottega, pur svolgendone numerose funzioni.

In Francia, nel XVII sec. si ebbe un'evoluzione analoga. Tra il 1648 e il 1655 fu fondata, per decreto regio, l'Académie Royale de peinture et de sculpture in cui insegnavano dodici professori, ciascuno dei quali era incaricato della direzione della scuola per la durata di un mese. Nel 1655 fu istituita l'École de Rome per dodici studenti, ai quali era impartito l'insegnamento dell'aritmetica, della geometria e del disegno; al termine degli studi diventavano pittori, incisori e architetti della Corona. Nel 1666, una riorganizzazione portò alla creazione dell'Académie de France a Roma. Altre istituzioni francesi svolsero attività e funzioni della bottega; per esempio il Jardin du Roi, riorganizzato nel 1671, provvide all'insegnamento del disegno e alla progettazione di tessuti. La Corona allestì una raccolta di macchinari e di modelli di macchine nella biblioteca del re, che in seguito sarebbe diventata il Musée des Arts et Métiers.

Nel XVII sec., il pensiero economico mercantilistico determinò una più stretta relazione tra gli Stati territoriali e la produzione della bottega. Di particolare rilievo sono le attività della monarchia francese e del suo ministro delle Finanze, Jean-Baptiste Colbert. Quest'ultimo istituì le industrie statali, concesse privilegi ed elargì sussidi ad altre industrie, proteggendole dalla concorrenza delle corporazioni. Fu incoraggiata la sperimentazione, nel tentativo di migliorare i prodotti francesi per poter competere con quelli degli artigiani fiamminghi e italiani. Le botteghe statali del Louvre perdurarono fino alla Rivoluzione francese. Nel 1667, Colbert fondò la manifattura dei Gobelins, che produceva articoli di lusso per la Corona: arazzi, sete preziose e raffinati tessuti di lana, lampadari a bracci, vetri e altri oggetti per le residenze reali e a uso personale del sovrano, che le utilizzava anche per farne dei doni.

Il mercantilismo indusse inoltre gli esperti di arti meccaniche a scrivere trattati e a discutere vari progetti commerciali per coinvolgere nella produzione della bottega principi, nobili e altri mecenati di tutta Europa. Per esempio, Johann Joachim Becher (1635-1682), esperto sia di chimica sia di arti meccaniche, si adoperò per introdurre in numerose corti le attività commerciali basate sulla produzione artigianale, come la fabbricazione della tintura e del nitrato di potassio (o salnitro). Spostandosi da Magonza a Monaco di Baviera, a Vienna, infine in Olanda e in Inghilterra, tentò di trovare mecenati, essendo anche un fautore della pratica e dell'esperienza quale fondamento del sapere.

Anche l'arte della pittura esercitò un influsso particolarmente importante sulla cultura europea, incentivando lo sviluppo di metodologie empiriche e matematiche. Un evento determinante fu l'invenzione della prospettiva nella Firenze dei primi del XV secolo. La prospettiva permetteva la creazione di uno spazio a tre dimensioni, logico da un punto di vista matematico, su una superficie bidimensionale mediante tecniche di geometria proiettiva. L'architetto-ingegnere Filippo Brunelleschi, il pittore Masaccio, lo scultore Donatello e altri artisti adottarono tale tecnica, applicandola nei dipinti e nei rilievi. Masaccio la utilizzò in un affresco raffigurante la Trinità (1427 ca.), che si trova a Firenze nella chiesa di S. Maria Novella. Una decina di anni dopo, nel 1435, Leon Battista Alberti fornì la descrizione e alcune istruzioni dettagliate su un particolare tipo di prospettiva in un piccolo trattato sulla pittura, pubblicato in due versioni, una in latino e l'altra ‒ dedicata a Brunelleschi ‒ in lingua italiana. La prospettiva utilizzava i principî della geometria, e ciò consentì che si sviluppasse una nuova maniera di dipingere, dal momento che la tecnica geometrica facilitava la descrizione accurata di spazi e oggetti complessi, quali possono essere interni di edifici, vedute di città e macchinari.

La prospettiva servì ad accrescere il prestigio della pittura, facendo di essa un'arte matematica e dunque associata alle arti liberali. Piero della Francesca (1420 ca.-1492) scrisse un trattato sulla prospettiva, che considerava un argomento matematico, più consono agli interessi dei matematici che non a quelli dei pittori che operavano nelle botteghe. La prospettiva consisteva sostanzialmente in un insieme di tecniche matematiche pratiche per la pittura e per la scultura, che divennero un elemento di riferimento nell'attività della bottega, ma nello stesso tempo era argomento di interesse generale tra gli umanisti, i matematici e gli eruditi. Nei secc. XVI e XVII furono elaborate molte varianti dell'applicazione prospettica. Si trattava di una tecnica professionale, appresa nelle botteghe di pittori, orefici e scultori, che finì con l'essere studiata e ampiamente discussa anche da persone colte e da élite che si interessavano sia di pittura sia di matematica. Nel XVI sec., per esempio, il dotto patrizio veneto Daniele Barbaro dedicò un trattato a questo argomento, La pratica della prospettiva.

Un personaggio del XVII sec. che ebbe grande peso nello sviluppo della prospettiva fu Girard Desargues, un ingegnere, matematico e architetto francese che scrisse un trattato sulla prospettiva e che progettò, tra le altre cose, scale con sorprendenti effetti prospettici e lavorò a una grande quantità di questioni di carattere meccanico e architettonico. Desargues, che proveniva da una facoltosa famiglia di Lione, era collegato ad alcuni intellettuali francesi di spicco a Parigi, tra i quali Marin Mersenne, ed esercitò un forte influsso perfino su Blaise Pascal, che sosteneva di essere stato suo discepolo. Egli sviluppò una teoria generale della prospettiva tentando di integrarla al meglio con la matematica, come se le due discipline fossero un'entità unica, e fornì una trattazione proiettiva delle coniche. Cercò anche di convincere i pittori ad adottare i suoi nuovi metodi grafici, ma ottenne uno scarso successo. Le attività matematiche e ingegneristiche collocano Desargues a metà strada tra la cultura pratica e quella erudita.

La prospettiva e le altre tecniche, che comportavano la manipolazione della luce e del colore, fornirono ai pittori e agli scultori i mezzi per sviluppare uno stile naturalistico che consentiva loro di raffigurare piante, animali e paesaggi con straordinaria verosimiglianza nei loro dipinti, disegni e incisioni. Quando nelle arti visive si sviluppò il naturalismo, alcuni artisti, tra cui Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer, sostennero che la pittura implicava un'investigazione del mondo naturale che conduceva alla sua conoscenza, dando rappresentazioni estremamente realistiche di animali e ambienti naturalistici diversi. Gli artisti rivendicarono uno stretto legame tra la creatività del pittore e la Creazione divina. Questo tipo di naturalismo era espresso con stili diversificati che variavano enormemente da un luogo all'altro. I pittori nordici olandesi, per esempio, utilizzavano la prospettiva in modo diverso rispetto a molti pittori italiani, concentrandosi sull'elemento particolare, un metodo che è stato definito da Svetlana Alpers (1983) 'arte del descrivere'. Nei diversi paesi d'Europa, erano spesso usati congegni ottici e strumentali per ottenere gli effetti desiderati.

Sia il naturalismo sia l'uso della matematica nelle arti visive servirono ad aumentarne il prestigio e a focalizzare l'attenzione sul loro porsi quali mezzi per acquisire la conoscenza del mondo. La tradizione che attribuiva all'artista la capacità di conoscere la Natura fu nuovamente espressa con chiarezza da Francis Bacon all'inizio del XVII sec., in modo particolare nel Novum organum (1620). Secondo questa concezione, che aveva le sue origini nel mondo antico, la conoscenza che si acquisiva nella creazione di un oggetto forniva all'artista una profonda comprensione della natura dell'oggetto stesso. Bacon estese questo concetto, conferendogli un ruolo centrale nella sua nuova metodologia per investigare il mondo naturale. Egli consigliava che fossero compilate 'storie' per qualsiasi tipo di attività umana, in modo che i dati potessero essere utilizzati per costruire una nuova filosofia naturale. Alcune di queste storie, termine con il quale intendeva completi resoconti delle attività pratiche umane e dei loro metodi, esistevano già sotto forma di trattati sulla pittura, sulla scultura, sull'architettura, sulla ceramica, sull'oreficeria e sulle altre arti. È significativo che molte di queste 'storie' fossero state già scritte nei secc. XV e XVI da autori sia professionisti sia eruditi. In questi scritti, gli artigiani professionisti avevano a volte enfatizzato il valore epistemologico della loro esperienza creativa personale. Prima che Bacon includesse le arti meccaniche in un nuovo organum, o strumento per investigare il mondo, tali storie avevano costituito un punto cardine nella letteratura e nell'insegnamento universitario della cultura europea di più ampio respiro.

Verso la fine del XVI sec., l'antica dicotomia tra arte e Natura era andata sempre più scomparendo. Aristotele aveva accuratamente separato l'epistḗmē, o conoscenza delle cose immutabili, dalla téchnē, vale a dire le arti produttive e il ragionamento intorno a esse. Dall'inizio del XVII sec., tanto i filosofi matematici, come Galilei, quanto i filosofi sperimentali, come Boyle, facevano regolarmente uso di strumenti e di macchine (il telescopio e la pompa pneumatica) per investigare il mondo naturale. Tali metodologie furono contestate per molti decenni del XVII sec. dagli aristotelici, i quali ritenevano che la conoscenza del mondo si fondasse sull'esperienza comune ‒ su cui vi era unanime accordo ‒ piuttosto che sugli esperimenti, che comportavano l'introduzione di complesse macchine specializzate. Ciononostante, a poco a poco le metodologie sperimentali acquistarono autorevolezza. Si può intuire che, in senso più ampio, questa evoluzione sia scaturita dal crescente prestigio acquisito da mestieri e arti nei due secoli precedenti.

I mutamenti, che nel XVII sec. portarono alle metodologie empiriche, non si verificarono unicamente nell'ambito delle dissertazioni e degli scritti eruditi. Piuttosto, tali sviluppi furono influenzati dalle complesse trasformazioni culturali nell'ambito delle quali alcuni tipi di artigiani, formatisi nelle botteghe, acquistarono prestigio sociale, mentre le loro professioni e la loro fiducia nella pratica e nell'esperienza guadagnarono prestigio culturale. Il ceramista francese Bernard Palissy (1510 ca.-1589) descrive con grande realismo gli esperimenti condotti nel suo laboratorio, nel tentativo di creare ceramiche smaltate bianche. I suoi esperimenti sono dettagliatamente narrati in un dialogo tra le personificazioni della Pratica e della Teoria, dove la Pratica ha sempre il sopravvento e l'esperienza risulta di gran lunga più importante per ottenere il successo rispetto all'apprendimento sui libri. Palissy dedicò le opere in cui descriveva i propri esperimenti a un aristocratico che gli accordava protezione. Tenne lezioni pubbliche a Parigi, discutendo il suo lavoro sperimentale in una grande arena, senza però rivelarne i segreti essenziali. Egli non si limitò a produrre ceramiche smaltate, ma espose in forma magniloquente una metodologia che postulava la conoscenza empirica quale elemento essenziale per l'investigazione del mondo naturale.

Palissy è soltanto uno dei tanti professionisti che diedero al proprio lavoro una finalità più ampia, oltre a quella immediata della produzione materiale. Gran parte dell'importanza della bottega dell'artigiano per i nuovi metodi sperimentali risiede nel fatto che l'artigiano partecipò al complesso passaggio da una valutazione positiva dei valori artigianali a una cultura più vasta, che non rimase confinata all'interno della bottega. Questo passaggio avvenne grazie a fattori diversi: il mecenatismo, la produzione letteraria e la comunicazione personale tra professionisti formatisi nelle botteghe, uomini di cultura universitaria e mecenati. Le élite sociali e culturali furono coinvolte nella produzione artigianale secondo modalità che andavano al di là del consumo delle merci, in parte a causa del legame tra legittimità politica e arti pratiche vigente nel Tardo Medioevo e all'inizio dell'Età moderna.

I principi e i governanti, soprattutto nelle città dell'Italia settentrionale e della Germania meridionale, ottenevano il loro potere o con la forza o mediante intrighi politici, favoriti dalla ricchezza acquisita grazie alle loro attività di banchieri e di mercanti. Essi non potevano vantare la legittimità della nobiltà tradizionale acquisita per diritto di sangue, quindi per legittimare l'autorità politica si affidavano alla costruzione e alla decorazione di edifici, palazzi, logge, piazze e chiese. Inoltre, nei secc. XVI e XVII, l'aumento dei consumi si andò sempre più diffondendo tra le classi più elevate. Manufatti ed edifici acquistarono un valore culturale. Professionisti formatisi nelle botteghe artigiane e dotti umanisti scrissero trattati su alcune arti meccaniche, come la pittura, la scultura, l'architettura e la ceramica, dedicandoli ai loro protettori. Grazie a tali scritti, le arti erano spiegate ai membri della nobiltà e della borghesia, lettori profani e nello stesso tempo consumatori di beni. La stampa diede un forte incremento al diffondersi di questo genere di libri e, insieme con il mecenatismo, alla produzione di opere teoriche su questi temi.

Nella stessa epoca, i professionisti di medio livello, come architetti e ingegneri, che spesso avevano acquisito la loro prima preparazione professionale nelle botteghe degli artigiani, si affermarono e costituirono nuovi gruppi di liberi professionisti. Tuttavia, di solito essi non erano legati alle corporazioni, ma lavoravano al soldo di mecenati ed era frequente che scrivessero trattati sulle arti, incluse l'architettura e l'arte di costruire fortificazioni. Alla fine del Quattrocento, Leonardo da Vinci e Francesco di Giorgio Martini costituiscono esempi di artisti formatisi professionalmente nelle botteghe, che poi, però, aggiunsero alla loro vasta gamma di attività l'architettura e l'ingegneria, mentre erano alle dipendenze dei loro mecenati. Nei secc. XVI e XVII, a volte chi era dapprima stato un semplice artigiano poteva in seguito lavorare in qualità di architetto e ingegnere. Philibert de L'Orme (1510 ca.-1570), che aveva iniziato esercitando il mestiere di muratore, finì per diventare architetto del sovrano di Francia e fu incaricato della progettazione di tutti gli edifici reali. Palladio (1508-1580) che si era formato nelle botteghe come scalpellino e, in seguito, come scultore, scrisse egli stesso trattati e assistette il suo dotto mecenate, Daniele Barbaro, nella composizione di un commento al De architectura di Vitruvio. Come disciplina, l'architettura si sviluppò in parte anche grazie all'interesse degli umanisti per Vitruvio, per le rovine e per gli edifici antichi, che venivano attentamente osservati e misurati. Dal sec. XV al XVII i commentari e i trattati di architettura proliferarono in seguito a discussioni tra mecenati, umanisti e professionisti sugli edifici antichi, sul testo di Vitruvio e su progetti per nuovi edifici. L'architettura divenne il terreno ideale per uno scambio di idee in cui si andò sviluppando la comunicazione tra gli eruditi, le persone di rango elevato e i professionisti formatisi nelle botteghe. Il credo di Vitruvio sulla necessità sia del ragionamento (ratiocinatio) sia della costruzione (fabrica) trovò la sua piena realizzazione nei secc. XVI e XVII.

Il lavoro degli architetti e degli ingegneri assunse particolare importanza non soltanto nei progetti civili e militari su vasta scala, come ponti e fortificazioni, ma anche nei trattati di cui essi stessi erano autori. Emblematica in questo senso è la figura di Simon Stevin (1548-1620), un ingegnere di Bruges. Sebbene sia ignota la sua formazione giovanile, sappiamo che Stevin riuscì a mantenersi per anni costruendo mulini a vento e mulini idraulici. Trasferitosi a Leida, nel 1593 divenne il protetto del principe Maurizio d'Orange-Nassau, al quale insegnò la matematica pratica. Pianificò il programma di studi di una scuola di Leida, finalizzata all'insegnamento della matematica pratica ai futuri sovrintendenti e ingegneri militari, e nel 1604 divenne il quartiermastro dell'esercito olandese. Stevin scrisse numerosi trattati su argomenti pratici e meccanici dedicati alla pesatura, alla statica e all'idrostatica. Difese l'uso delle lingue in vernacolo scrivendo in olandese, convinto che la teoria dovesse essere subordinata alla pratica. Apparteneva a un gruppo in ascesa di ingegneri e fabbricanti di strumenti provenienti da diverse parti d'Europa e d'Inghilterra, che facevano riferimento alla bottega o ad altri tipi di formazione pratica, mettendo in rilievo l'importanza sia dell'esperienza sia della matematica.

Gli ingegneri lavoravano a progetti militari e civili in tutta Europa, ma la tecnologia e la tecnica cominciarono a esercitare un fascino culturale che prescindeva dai luoghi specifici di costruzione e di produzione. Ciò risulta particolarmente evidente nei libri che trattano di macchine, denominati 'teatri di macchine', che cominciarono ad apparire verso la fine del Cinquecento e continuarono a diffondersi nel secolo successivo. Questi libri, il primo dei quali fu scritto da Jacques Besson (1540 ca.-1573), contenevano interessanti e spesso spettacolari illustrazioni di macchine, di solito accompagnate da dettagliate spiegazioni su come costruirle e sul loro funzionamento. Alcune di queste erano straordinarie per la loro complessità e originalità, oltre che per la funzionalità. L'ingegnere italiano Agostino Ramelli (1531-1600 ca.), che lavorò per la Corona francese, scrisse un libro che illustrava complicati dispositivi a ingranaggi e vari elementi per le macchine. Altri descrivevano vere e proprie macchine da lavoro; per esempio, Vittorio Zonca (m. 1602) descrisse le attività di una stamperia e le operazioni di un torchio tipografico, oltre a quelle di una macchina che torceva la seta. Le macchine avevano acquisito grande fascino, laddove l'invenzione e la novità avevano assunto un importante valore.

Le botteghe, nelle città e nelle corti, erano l'ambiente ideale per lo sviluppo di valori essenziali riguardanti l'apprendimento e la conoscenza del mestiere e la sua trasmissione. Le regole delle corporazioni spesso imponevano che i membri tenessero nascoste, a coloro che non ne facevano parte, i segreti dell'arte e i vari procedimenti. L'atteggiamento di proprietà nei confronti dell'intangibile conoscenza dell'arte, reso evidente dalla segretezza professionale e dalla comparsa di brevetti per le invenzioni, si nota soprattutto a partire dal XIV secolo. Questo atteggiamento divenne consueto nelle botteghe cittadine europee agli inizi dell'Età moderna. In seguito, una tale concezione fa la sua comparsa in cerchie più erudite ed emerge con evidenza nelle dispute sul diritto di precedenza che avvengono nei secc. XVI e XVII tra astronomi, filosofi naturali e matematici. La concezione della proprietà del sapere, sorta nell'ambito della cultura artistica, favorisce lo sviluppo di atteggiamenti analoghi nelle discipline della matematica e della filosofia naturale.

Gli artigiani formatisi nelle botteghe che passavano dal contesto corporativo a quello di corte spesso avanzavano nella carriera e nella loro arte scrivendo trattati. Sebbene potessero nascondere, e talvolta decidevano di farlo, alcuni aspetti delle arti da loro trattate, la produzione di scritti sull'argomento tendeva a non essere soggetta a restrizioni. I trattati fornivano dettagliate spiegazioni di numerosi aspetti delle arti tecniche e spesso contenevano illustrazioni esplicative, poiché esporre in modo chiaro un'arte significava illustrarla al mecenate che ne faceva richiesta e ciò spesso favoriva la carriera dell'autore. Alcuni di essi sostenevano l'aperta comunicazione della conoscenza professionale e tecnica. Che vi fosse o meno una diretta influenza, le dichiarazioni di disponibilità e di ampiezza di vedute che provenivano da molti membri delle nuove società scientifiche del XVII sec. erano posteriori alle dichiarazioni in favore del libero accesso al sapere contenute nei trattati sulle arti meccaniche.

Forse, il settore più evidente in cui la bottega dell'artigiano esercitò il suo influsso sulla filosofia naturale riguardò l'utilizzazione di macchine e strumenti al servizio dell'indagine filosofica. La fiducia nei congegni e negli strumenti meccanici di vario tipo indica, di per sé, un fondamentale cambiamento di prospettiva. La filosofia naturale si basava tradizionalmente sul concetto aristotelico di esperienza comune, vale a dire un'esperienza su cui tutti concordassero prontamente, senza un'ulteriore investigazione (per es., se si lascia cadere un mattone, questo precipiterà verso il basso). Al contrario, la filosofia sperimentale del XVII sec. faceva affidamento sull'uso di strumenti e macchinari, una metodologia all'inizio contestata. Alcuni dubitavano che le leggi generali della Natura potessero essere stabilite e verificate in base alle relazioni dei singoli individui che facevano uso di strumenti la cui corretta costruzione e il cui giusto impiego richiedevano capacità specialistiche. Altri si opponevano al fatto che le ricerche filosofiche potessero essere associate alle 'basse' arti meccaniche.

La carriera di Galilei è esemplificativa dell'influenza della cultura artigiana sulla cosmologia e sulla meccanica all'inizio dell'Età moderna. Nel 1609 Galilei venne a conoscenza di un nuovo strumento di ingrandimento, che chiamò 'occhiale'. Lo strumento, che divenne noto come telescopio, fu inventato all'inizio del XVII sec. da uno o più fabbricanti di occhiali dei Paesi Bassi. Galilei, dopo aver tentato senza successo di ottenerne un esemplare, ne costruì uno egli stesso, apportandovi alcune modifiche e trasformandolo in uno strumento per l'osservazione dei cieli. Riuscì nell'impresa grazie alla sua lunga frequentazione con matematici pratici e con l'attività delle botteghe. Formatosi presso il matematico e ingegnere Ostilio Ricci, il quale in seguito insegnò matematica all'Accademia del Disegno di Firenze, Galilei tenne lezioni pubbliche sulle fortificazioni, sull'arte della rilevazione, sulla meccanica, sull'ottica e su altri argomenti concernenti la matematica pratica. Inventò una bussola militare, fabbricandola nel proprio studio a Padova. L'antica opinione diffusa da Koyré (1939), secondo cui Galilei sarebbe un platonico interessato soltanto alla matematica e alla teoria, è stata energicamente contestata. L'empirismo dello stesso Galilei e il suo legame con la pratica della bottega sono stati, in tempi più recenti, considerati fattori essenziali allo sviluppo della sua meccanica.

L'introduzione degli strumenti scientifici ebbe un notevole peso su buona parte della filosofia sperimentale del sec. XVII. Paolo Rossi ha di recente sottolineato che "sei grandi strumenti scientifici" del XVII secolo furono strettamente legati alle indagini sulla Natura, vale a dire il telescopio, il microscopio, il termometro, il barometro, la pompa pneumatica e l'orologio di precisione (Rossi 2000b, p. 290). Questi e altri strumenti sono spesso associati a particolari e più note scoperte; è più esatto dire, comunque, che l'uso degli strumenti introdusse nell'indagine una serie complessa di problemi e di discussioni intorno a questi stessi problemi, i cui presupposti erano spesso fortemente contestati. Le discussioni vertevano sulle questioni relative alla legittimità o meno di impiegare lo strumento fin dall'inizio, come pure investivano la validità e il significato dei risultati degli esperimenti.

I problemi relativi alla natura e al peso dell'aria e all'esistenza di un vuoto ebbero origine dall'invenzione del barometro, nel 1644, a opera di Evangelista Torricelli, allievo di Galilei, il quale propose un esperimento che venne condotto da un suo studente, Vincenzo Viviani. Un tubo fu riempito di mercurio e, dopo averne chiuso un'estremità, fu rovesciato in una vaschetta anch'essa piena di mercurio. In conseguenza di ciò la colonna scese a circa 760 mm sopra la vaschetta, lasciando uno spazio vuoto nel tubo al di sopra del mercurio. Torricelli concluse che il suo strumento poteva essere usato per misurare la pressione atmosferica. Nello stesso periodo, a Rouen, Pascal conduceva esperimenti utilizzando tubi di varia forma e lunghezza che acquistava presso uno stabilimento locale di fabbricazione del vetro. Egli realizzò anche un esperimento portando lo strumento dalla base di una montagna fino alla cima e misurando la variazione del livello del mercurio lungo il tragitto. Alla fine giunse alla conclusione che le variazioni erano dovute alla pressione dell'aria che si andava modificando durante la salita. In un tipo di esperimento molto diverso, Boyle utilizzò una pompa pneumatica, o pompa d'aria, in centinaia di modi diversi, per studiare, tra l'altro, l'elasticità dell'aria. Queste macchine e strumenti 'filosofici' erano in grado di avviare discussioni sulla natura e sul comportamento dell'aria, ma solitamente non consentivano il raggiungimento di un immediato consenso, principalmente perché vi era scarso accordo rispetto a tali questioni.

I filosofi sperimentali effettuarono un'infinità di ricerche facendo uso di strumenti e di macchine, avvalendosi frequentemente dell'aiuto di artigiani specializzati che spesso si trovavano in una posizione di ambiguità rispetto all'esperimento e a colui che lo effettuava. Tuttavia, in alcune località le botteghe stesse divennero luoghi in cui gli eruditi si recavano allo scopo di approfondire la conoscenza e l'uso dei vari strumenti e magari di acquistarne uno. A questo proposito, nella Londra dei secc. XVII e XVIII, di particolare rilievo furono le botteghe di coloro che costruivano telescopi a rifrazione e a riflessione, ottanti e altri strumenti per l'osservazione astronomica. Queste botteghe non erano soltanto luoghi in cui si fabbricavano, si compravano e si vendevano strumenti, ma erano frequentate da colti gentiluomini londinesi e da visitatori provenienti dall'estero, tra cui astronomi di grande erudizione i quali prendevano visione degli strumenti, ne discutevano con il fabbricante, spesso ricevendone istruzioni e dimostrazioni. Le frequenti visite alle botteghe di fabbricanti di strumenti testimoniano gli stretti rapporti che si stabilivano tra coloro che s'interessavano di filosofia naturale e un certo tipo di artigiano. Ne è un esempio Hooke, curatore di esperimenti per la Royal Society, il quale mantenne ampi contatti con artigiani esperti in diverse attività.

Allo stesso tempo, l'attenta osservazione dei fenomeni naturali fu strettamente identificata con la rappresentazione visiva. Questo connubio è straordinariamente evidente nell'astronomia dell'inizio del XVII secolo. Nel Sidereus nuncius (1610), Galilei disegnò immagini fortemente 'realistiche' e simili alla superficie della Luna, che egli poteva osservare con il telescopio di recente invenzione, avallando così la sua tesi che la Luna fosse simile alla Terra. In modo analogo, l'astronomo Johannes Hevelius (1611-1687) scrisse alcuni trattati che contenevano descrizioni visive dei corpi celesti, aggiungendo in tal modo un elemento visivo alle sue asserzioni in campo astronomico. Gli studiosi contemporanei pongono l'accento sugli stretti legami tra arti figurative, astronomia e filosofia naturale nel XVII secolo. Un importante esempio è costituito dal trattato di Hooke sulle ricerche da lui condotte al microscopio, intitolato Micrographia (1665), che contiene numerose e straordinarie xilografie di oggetti esaminati con questo strumento. I trattati su piante, quadrupedi, uccelli, pesci e insetti, accompagnati da bellissime e realistiche descrizioni visive, erano comuni nel XVII sec. e illustravano l'argomento trattato in modo così straordinario da evocare un dispiegamento virtuale della Natura stessa. La bottega dell'artigiano e lo studio, l'osservatorio e il laboratorio del filosofo naturale si erano ormai strettamente integrati.

Conclusioni

Agli albori dell'Europa moderna, l'arsenale, la miniera e la bottega dell'artigiano furono luoghi di produzione in cui l'esperienza pratica aveva sempre una grande rilevanza. In essi la sperimentazione veniva effettuata con regolarità per migliorare la produzione; la misurazione di precisione divenne una pratica importante e la matematica veniva impiegata di frequente per facilitare o risolvere problemi pratici di progettazione e produzione. Anche gli artigiani professionisti cominciarono a scrivere libri in cui illustravano il lavoro teorico e pratico svolto in questi luoghi, facendo sì che la loro importanza culturale aumentasse a prescindere dal lavoro stesso e dai prodotti che vi venivano fabbricati. Atteggiamenti, valori e pratiche divenuti abituali furono trasmessi da questi centri al mondo culturale divenuto più ampio. Tra questi valori vi è quello conferito all'esperienza pratica, strettamente legata alla conoscenza del mondo, e alla precisione, nonché il rilievo attribuito alla matematica per la comprensione e lo studio dei materiali. Infine, il gusto nell'utilizzo delle macchine e la fiducia nell'efficacia degli approcci tecnologici e meccanici, che si manifestano a partire dalla fine del XVI sec., si possono ricondurre in parte ai progressi conseguiti in questi tre settori di produzione.

Più in generale, furono proprio le pratiche produttive a lungo termine effettuate in questi settori a influenzare in maniera sostanziale il modo di concepire il mondo e di esplorarne la Natura. Arsenali, miniere e botteghe artigianali cominciarono a esercitare un'influenza più ampia, anche per il grande interesse di singoli e di gruppi di élite per i processi e i risultati della produzione. Incoraggiati da prospettive di mecenatismo e di mercato, i professionisti, e non soltanto loro, scrissero trattati sui vari aspetti della progettazione e della produzione. Ciò che fino a quel momento si era espresso solamente nella fabbricazione pratica di oggetti materiali specifici, diventava anche una sorta di attività organizzata in modo razionale, discussa negli scritti e visibile nella rappresentazione pittorica. L'accresciuta interazione tra artigiani professionisti, uomini di cultura universitaria e appartenenti a famiglie nobili, sia attraverso rapporti personali sia per mezzo della produzione letteraria, del mecenatismo e dei lettori, favorì la trasmissione dei valori dai centri di produzione ad ambiti culturali più ampi.

In questo modo, l'arsenale, la miniera e la bottega dell'artigiano contribuirono a provocare cambiamenti di vasta portata che condussero a una più alta considerazione sia della metodologia empirica sia di quella matematica. I problemi teorici specifici posti dai filosofi sperimentali non venivano necessariamente formulati all'interno di quelle strutture. Ciononostante, in genere i professionisti che le frequentavano spesso si cimentavano in procedimenti sperimentali, verifiche e realizzazioni governati da diverse esigenze: la precisione, la modificazione degli oggetti materiali e l'applicazione di soluzioni matematiche a problemi concreti; pratiche, queste, profondamente radicate da decenni di esperienza. La recente focalizzazione storiografica, da parte degli storici della scienza, sull'attività pratica ha messo in luce l'importanza di queste operazioni realizzate in particolari luoghi di produzione.

L'influsso delle pratiche artigianali degli arsenali, delle miniere e delle botteghe d'Europa non fu avvertito a breve termine o nell'immediato, ma si fece sentire nel corso di vari secoli. Benché l'attenzione accordata da buona parte della recente storia della scienza ai singoli contesti abbia evidenziato il ruolo delle pratiche locali, il medesimo approccio ha teso a oscurare l'importanza degli influssi a più ampio raggio. Le attività pratiche di cui si è discusso in questo capitolo erano molto diffuse, ma nello stesso tempo varie e particolari, realizzate in luoghi specifici a partire dal XV secolo. Esse esercitarono un influsso davvero fondamentale sugli approcci all'investigazione del mondo naturale; tuttavia uno studio approfondito di questo influsso non richiede una visione idealizzata dell'artigiano o della scienza, quanto piuttosto una indagine più accurata delle pratiche e dell'ambiente culturale dei primi veri e propri artigiani moderni, nonché un'analisi dei modi in cui essi interagirono con i dotti e le persone di alto rango, anch'esse interessate ad alcuni aspetti della produzione materiale.

Bibliografia

Acerra 1987: Acerra, Martine, Gli arsenali francesi nel Seicento e nel Settecento, in: Arsenali e città nell'Occidente europeo, a cura di Ennio Concina, Roma, NIS, 1987, pp. 133-149.

Alder 1997: Alder, Ken, Engineering the revolution. Arms and Enlightenment in France, 1763-1815, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1997.

Alpers 1983: Alpers, Svetlana, The art of describing. Dutch art in the seventeenth century, Chicago, Chicago University Press, 1983.

Arend 1998: Arend, Gerhard, Die Mechanik des Niccolò Tartaglia im Kontext der zeitgenössischen Erkenntnis- und Wissenschaftstheorie, München, Institut für Geschichte der Naturwissenschaften, 1998.

Artz 1966: Artz, Frederick B., The development of technical education in France, 1500-1850, Cleveland, Society for the History of Technology, 1966.

Aymard 1980: Aymard, Maurice, L'arsenale e le conoscenze tecnico-marinaresche. Le arti, in: Storia della cultura veneta, diretta da Girolamo Arnaldi, Vicenza, Neri Pozza, 1976-1987, 10 v.; v. III/2: Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, 1980, pp. 289-315.

Bamford 1973: Bamford, Paul W., Fighting ships and prisons. The Mediterranean galleys of France in the age of Louis XIV, with drawings by John W. Ekstrom, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1973.

Barnadas 1986: Barnadas, Josep M., Alvaro Alonso Barba, 1569-1662: investigaciones sobre su vida y obra, La Paz, Biblioteca Minera Boliviana, 1986.

Bellavitis 1983: Bellavitis, Giorgio, L'arsenale di Venezia. Storia di una grande struttura urbana, Venezia, Marsilio, 1983.

Bennett 1986: Bennett, James A., The mechanic's philosophy and the mechanical philosophy, "History of science", 24, 1986, pp. 1-28.

‒ 2001: Bennett, James A., Shopping for instruments in Paris and London, in: Merchants and marvels. Commerce, science, and art in early modern Europe, edited by Pamela H. Smith and Paula Findlen, New York-London, Routledge, 2001, pp. 370-395.

van Berkel 1999: Berkel, Klaas van, Stevin and the mathematical practitioners. 1580-1620, in: A history of science in the Netherlands. Survey, themes, and reference, edited by Klaas van Berkel, Albert van Helden, Lodewijk Palm, Leiden, Brill, 1999, pp. 12-36; 566-569.

Berveglieri 1995: Berveglieri, Roberto, Inventori stranieri a Venezia (1474-1788). Importazione di tecnologia e circolazione di tecnici artigiani inventori. Repertorio, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1995.

Braunstein 1983: Braunstein, Philippe, Innovations in mining and metal production in Europe in the late Middle Ages, "The journal of European economic history", 12, 1983, pp. 573-591.

Brunello 1985: Brunello, Franco, Vannoccio Biringuccio e il trattato 'De la pirotechnia', in: Trattati scientifici nel Veneto fra il XV e XVI secolo, saggi e studi di Ezio Riondato [et al.], Venezia, Neri Pozza, 1985, pp. 29-37.

Butters 1996: Butters, Suzanne B., The triumph of Vulcan. Sculptors' tools, porphyry, and the prince in ducal Florence, Firenze, Olschki, 1996.

Chaboud 1996: Chaboud, Marcel, Girard Desargues. Bourgeois de Lyon, mathématicien, architecte, Lyon, Aléas, 1996.

Cipolla 1985: Cipolla, Carlo M., Guns, sails, and empires. Technological innovation and the early phases of European expansion, 1400-1700, Manhattan (Kan.), Sunflower University Press, 1985 (1. ed.: New York, Minerva, 1965).

Concina 1980: Concina, Ennio, Dal 'Tempo del mercante' al 'Piazzale dell'Impero'. L'Arsenale di Venezia, in: Progetto Venezia. Ricerche e sperimentazioni sull'area veneziana, catalogo a cura di Giovanni B. Fabbri, Venezia, Cluva, 1980, pp. 57-104.

‒ 1984: Concina, Ennio, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Milano, Electa, 1984.

‒ 1990: Concina, Ennio, Navis. L'umanesimo sul mare. 1470-1740, Torino, Einaudi, 1990.

Crossick 1997: Crossick, Geoffrey, Past masters. In search of the artisan in European history, in: The artisan and the European town, 1500-1900, edited by Geoffrey Crossick, Aldershot, Scolar; Brookfield (Vt.), Ashgate, 1997, pp. 1-40.

Davis 1991: Davis, Robert C., Shipbuilders of the Venetian arsenal. Workers and workplace in the preindustrial city, Baltimore (Md.), Johns Hopkins University Press, 1991.

Dear 1995: Dear, Peter, Discipline and experience. The mathematical way in the scientific revolution, Chicago, University of Chicago Press, 1995.

Dhombres 1994: Desargues en son temps, sous la direction de Jean G. Dhombres et Joël Sakarovitch, Paris, Blanchard, 1994.

Dickenson 1998: Dickenson, Victoria, Drawn from life. Science and art in the portrayal of the New World, Toronto-Buffalo (N.Y.), University of Toronto Press, 1998.

Dolza 1998: Dolza, Luisa M., A gloria di Dio, A beneficio degli studiosi e servitio di Vostra Altezza: i primi teatri di macchine nella cultura del tardo Cinquecento (Tesi di dottorato, Università degli Studi di Firenze, 1998).

Duplessis 1997: Duplessis, Robert S., Transitions to capitalism in early modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1997.

Edgerton 1991: Edgerton, Samuel Y. jr, The heritage of Giotto's geometry. Art and science on the eve of the scientific revolution, Ithaca (N.Y.), Cornell University Press, 1991.

Egg 1957: Egg, Erich, Ludwig Lässl und Jörg Kolber. Verfasser und Maler des Schwazer Bergbuchs, "Der Anschnitt", 9, 1957, pp. 15-19.

‒ 1961: Egg, Erich, Der Tiroler Geschützguss, 1400-1600, Innsbruck, Wagner, 1961.

‒ 1971: Egg, Erich, From the beginning to the battle of Marignano-1515, and from Marignano to the Thirty Years' War, 1515-1648, in: Guns. An illustrated history of artillery, edited by Joseph Jobé, Greenwich (Conn.)-New York, Graphic Society, 1971, pp. 9-36; 37-54.

‒ 1982: Egg, Erich, Das Handwerk der Uhr- und der Büchsenmacher in Tirol, Innsbruck, Wagner, 1982.

Elkins 1994: Elkins, James, The poetics of perspective, Ithaca (N.Y.), Cornell University Press, 1994.

Epstein 1991: Epstein, Steven A., Wage labor and guilds in medieval Europe, Chapel Hill (N.C.), University of North Carolina Press, 1991.

Farr 2000: Farr, James R., Artisans in Europe, 1300-1914, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2000.

Field 1987: The geometrical work of Girard Desargues, edited by Judith V. Field and Jeremy J. Gray, New York-Berlin-Heidelberg, Springer, 1987.

‒ 1997: Field, Judith V., The invention of infinity. Mathematics and art in the Renaissance, Oxford-New York, Oxford University Press, 1997.

Goenaga 1994: Goenaga, Juan María - Childs, John, Arsenals, in: A dictionary of military history and the art of war, edited by André Corvisier, English edition, expanded and edited by John Childs, Cambridge (Mass.), Blackwell, 1994, pp. 36-39 (ed. orig.: Dictionnaire d'art et d'histoire militaires, publié sous la direction de André Corvisier, Paris, PUF, 1988).

Goodman 1988: Goodman, David C., Power and penury. Government, technology and science in Philip II's Spain, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1988.

‒ 1997: Goodman, David C., Spanish naval power, 1589-1665. Reconstruction and defeat, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1997.

Guilmartin 1974: Guilmartin, John Francis jr, Gunpowder and galleys. Changing technology and Mediterranean warfare at sea in the sixteenth century, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1974.

Hale 1980: Hale, John R., Industria del libro e cultura militare a Venezia nel Rinascimento, in: Storia della cultura veneta, diretta da Girolamo Arnaldi, Vicenza, Neri Pozza, 1976-1987, 10 v.; v. III/2: Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, 1980, pp. 244-288.

Hall 1952: Hall, A. Rupert, Ballistics in the seventeenth century. A study in the relations of science and war with reference principally to England, Cambridge, Cambridge University Press, 1952.

‒ 1983: Hall, A. Rupert, Gunnery, science and the Royal Society, in: The uses of science in the age of Newton, edited by John G. Burke, Berkeley, University of California Press, 1983, pp. 111-141.

Hall 1997: Hall, Bert S., Weapons and warfare in Renaissance Europe. Gunpowder, technology, and tactics, Baltimore (Md.), Johns Hopkins University Press, 1997.

Hatcher 1993: The history of the British coal industry, Oxford, Clarendon, 1984-1993, 5 v.; v. I: Hatcher, John, Before 1700. Towards the age of coal, 1993.

Hilaire-Pérez 2000: Hilaire-Pérez, Liliane, L'invention technique au siècle des Lumières, Paris, Albin Michel, 2000.

Iliffe 1992: Iliffe, Rob, 'In the Warehouse'. Privacy, property and priority in the early Royal Society, "History of science", 30, 1992, pp. 29-68.

Jobé 1971: Jobé, Joseph, From the treaty of Westphalia to the siege of Gibraltar, 1648-1783, in: Guns. An illustrated history of artillery, edited by Joseph Jobé, Greenwich (Conn.)-New York, Graphic Society, 1971, pp. 55-96.

Jonsson 1971: Jonsson, Inge, Emanuel Swedenborg, New York, Twayne, 1971.

Kellenbenz 1974: Schwerpunkte der Eisengewinnung und Eisenverarbeitung in Europa, 1500-1650, hrsg. von Hermann Kellenbenz, Köln, Böhlau, 1974.

‒ 1976: Kellenbenz, Hermann, The rise of the European economy. An economic history of continental Europe from the fifteenth to the eighteenth century, London, Weidenfeld and Nicolson, 1976.

‒ 1977: Schwerpunkte der Kupferproduktion und des Kupferhandels in Europa 1500-1650, hrsg. von Hermann Kellenbenz, Köln, Böhlau, 1977.

Keller 1964: Keller, Alex G., A theatre of machines, London, Chapman and Hall, 1964.

‒ 1975: Keller, Alex G., Plot, Robert, in: Dictionary of scientific biography, Charles C. Gillespie editor in chief, New York, Scribner's Sons, 1970-1980, 18 v.; v. XI, 1975, pp. 40-41.

Koyré 1939: Koyré, Alexandre, Études Galiléennes, Paris, Hermann, 1939, 3 v.

Lane 1934: Lane, Frederic C., Venetian ships and shipbuilders of the Renaissance, Baltimore (Md.), Johns Hopkins University Press, 1934.

Lefèvre 2000: Lefèvre, Wolfgang, Galileo engineer. Art and modern science, "Science in context", 13, 2000, pp. 281-297.

Lindroth 1976: Lindroth, Sten, Swedenborg, Emanuel, in: Dictionary of scientific biography, Charles C. Gillespie editor in chief, New York, Scribner's Sons, 1970-1980, 18 v.; v. XIII, 1976, pp. 178-181.

Long 1991a: Long, Pamela O., Invention, authorship, 'intellectual property,' and the origin of patents. Notes toward a conceptual history, "Technology and culture", 32, 1991, pp. 846-884.

‒ 1991b: Long, Pamela O., The openness of knowledge. An ideal and its context in 16th century writings on mining and metallurgy, "Technology and culture", 32, 1991, pp. 318-355.

‒ 2001: Long, Pamela O., Openness, secrecy, authorship. Technical arts and the culture of knowledge from antiquity to the Renaissance, Baltimore (Md.), Johns Hopkins University Press, 2001.

Merton 1970: Merton, Robert K., Science, technology, and society in seventeenth-century England, New York, Howard Fertig, 1970.

Nef 1987: Nef, John U., Mining and metallurgy in medieval civilization, in: The Cambridge economic history of Europe, general editor Moïssei M. Postan and Hrothgar J. Habakkuk, Cambridge, Cambridge University Press, 2. ed., 1966-; v. II: Trade and industry in the Middle Ages, 1987, pp. 691-761; 933-940 (1. ed.: 1941-1989, 8 v.; v. II, 1952; trad. it.: Storia economica di Cambridge, Torino, Einaudi, 1976-1992, 8 v.; v. II: Commercio e industria nel Medioevo, 1982; 2. ed.: 1989).

Parker 1988: Parker, Geoffrey, The military revolution. Military innovation and the rise of the West, 1500-1800, Cambridge, Cambridge University Press, 1988.

Pérez-Ramos 1988: Pérez-Ramos, Antonio, Francis Bacon's idea of science and the maker's knowledge tradition, Oxford, Clarendon; New York, Oxford University Press, 1988.

Phillips 1986: Phillips, Carla Rahn, Six galleons for the king of Spain. Imperial defense in the early seventeenth century, Baltimore (Md.), Johns Hopkins University Press, 1986.

Popplow 1998: Popplow, Marcus, Neu, nützlich und erfindungsreich. Die Idealisierung von Technik in der frühen Neuzeit, Münster-München, Waxmann, 1998.

Reeves 1997: Reeves, Eileen A., Painting the heavens. Art and science in the age of Galileo, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1997.

Rossi 1970: Rossi, Paolo, Philosophy, technology and the arts in the early modern era, transl. by Salvator Attanasio, edited by Benjamin Nelson, New York, Harper & Row, 1970 (ed. orig.: I filosofi e le macchine (1400-1700), Milano, Feltrinelli, 1962).

‒ 2000a: Rossi, Paolo, Craftsman-and-scholar thesis, in: Encyclopedia of the scientific revolution. From Copernicus to Newton, edited by Wilbur Applebaum, New York, Garland, 2000, pp. 174-177.

‒ 2000b: Rossi, Paolo, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2000 (1. ed.: Milano, CDE, 1997).

Rossi 1980: Rossi, Sergio, Dalle botteghe alle accademie. Realtà sociale e teorie artistiche a Firenze dal XIV al XVI secolo, pref. di Maurizio Calvesi, Milano, Feltrinelli, 1980.

Schmidtchen 1977: Schmidtchen, Volker, Bombarden, Befestungen, Büchsenmeister: von den ersten Mauerbrechern des Spätmittelalters zur Belagerungsartillerie der Renaissance. Eine Studie zur Entwicklung der Militärtechnik, Düsseldorf, Droste, 1977.

Settle 1995: Settle, Thomas B., La rete degli esperimenti galileiani, in: Galileo e la scienza sperimentale, a cura di Milla Baldo Ceolin, Padova, Dipartimento di Fisica Galileo Galilei, 1995, pp. 11-62.

Shapin 1985: Shapin, Steven - Schaffer, Simon, Leviathan and the air-pump. Hobbes, Boyle and the experimental life, including a translation of Thomas Hobbes' Dialogus physicus de natura aeris, by Simon Schaffer, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1985.

Smith 1957: Smith, Cyril S. - Forbes, Robert J., Metallurgy and assaying, in: A history of technology, edited by Charles Singer [et al.], Oxford, Clarendon, 1954-1984, 8 v.; v. III: From the Renaissance to the industrial revolution, c. 1500-c. 1750, 1957, pp. 27-71.

Smith 1994: Smith, Pamela H., The business of alchemy. Science and culture in the Holy Roman Empire, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1994.

‒ 2001: Merchants and marvels. Commerce, science, and art in early modern Europe, edited by Pamela H. Smith and Paula Findlen, New York-London, Routledge, 2001.

Steele 1994: Steele, Brett D., Muskets and pendulums. Benjamin Robins, Leonhard Euler, and the ballistics revolution, "Technology and culture", 35, 1994, pp. 348-382.

Stewart 1996: Stewart, Richard W., The English ordnance office, 1585-1625. A case study in bureaucracy, Woodbridge-Rochester (N.Y.), Royal Historical Society-Boydell, 1996.

Summers 1987: Summers, David, The judgment of sense. Renaissance naturalism and the rise of aesthetics, Cambridge, Cambridge University Press, 1987.

Thompson 1976: Thompson, I.A.A., War and government in Habsburg Spain. 1560-1620, London, Athlone, 1976.

‒ 1992: Thompson, I.A.A., War and society in Habsburg Spain. Selected essays, Aldershot, Variorum; Brookfield (Vt.), Ashgate, 1992.

Tomlinson 1979: Tomlinson, Howard C., Guns and government. The ordnance office under the later Stuarts, London, Royal Historical Society, 1979.

Usher 1962: Usher, Abbott P., A history of mechanical inventions, rev. ed., Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1962 (1. ed.: New York, McGraw-Hill, 1929).

Van Helden 1977: Van Helden, Albert, The invention of the telescope, Philadelphia, American Philosophical Society, 1977.

Veltman 1986: Veltman, Kim H., Linear perspective and the visual dimensions of science and art, in collaboration with Kenneth D. Keele, München, Deutscher Kunstverlag, 1986.

Vérin 1993: Vérin, Hélène, La gloire des ingénieurs. L'intelligence technique du XVIe au XVIIIe siècle, Paris, Michel, 1993.

Wa'zbi'nski 1987: Wa'zbi'nski, Zygmunt, L'Accademia Medicea del disegno a Firenze nel Cinquecento. Idea e istituzione, Firenze, Olschki, 1987, 2 v.

Willmoth 1993a: Willmoth, Frances, Mathematical sciences and military technolgy: the Ordnance Office in the reign of Charles II, in Renaissance and revolution. Humanists, scholars, craftsmen and natural philosophers in early modern Europe, edited and introd. by Judith Field and Frank A.J.L. James, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1993.

‒ 1993b: Willmoth, Frances, Sir Jonas Moore. Practical mathematics and restoration science, Woodbridge-Rochester (N.Y.), Boydell, 1993.

Wilson 1995: Wilson, Catherine, The invisible world. Early modern philosophy and the invention of the microscope, Princeton (N.J.), Princeton University Press, 1995.

Winkler 1992: Winkler, Mary G. - Van Helden, Albert, Representing the heavens. Galileo and visual astronomy, "Isis", 83, 1992, pp. 195-217.

‒ 1993: Winkler, Mary G. - Van Helden, Albert, Johannes Hevelius and the visual language of astronomy, in: Renaissance and revolution. Humanists, scholars, craftsmen and natural philosophers in early modern Europe, edited and introd. by Judith Field and Frank A.J.L. James, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1993, pp. 97-116.

Zilsel 2000: Zilsel, Edgar, The social origins of modern science, foreword by Joseph Needham, introd. by Diederick Raven and Wolfgang Krohn, edited by Diederick Raven, Wolfgang Krohn, and Robert S. Cohen, Dordrecht-Boston, Kluwer, 2000 (ed. orig.: Die sozialen Ursprünge der neuzeitlichen Wissenschaft, hrsg. und übers. von Wolfgang Krohn, mit einer biobibliographischen Notiz von Jørn Behrmann, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1976).

Zysberg 1987: Zysberg, André, L'arsenale delle galere a Marsiglia al tempo del Re Sole (1665-1715). Un'architettura emblematica dell'età classica, in: Arsenali e città nell'occidente Europeo, a cura di Ennio Concina, Roma, NIS, 1987, pp. 115-132.

CATEGORIE