La Rivoluzione scientifica: modelli di conoscenza. La diffusione della scienza europea

Storia della Scienza (2002)

La Rivoluzione scientifica: modelli di conoscenza. La diffusione della scienza europea

Florence C. Hsia

La diffusione della scienza europea

Verso la fine del XVI sec., il pittore fiammingo Jan van der Straet, noto anche con il nome di Giovanni Stradano, realizzò una serie di stampe intitolata Nova reperta. Tra le novità celebrate nella serie di Stradano si distinguono soprattutto le esplorazioni compiute quasi un secolo prima da Cristoforo Colombo e da Amerigo Vespucci, che avevano rivelato agli europei l'esistenza del nuovo mondo. Stradano catturò il cruciale momento della scoperta basandosi su un forte contrasto tra la civiltà europea, rappresentata dalla figura di Vespucci, e il nuovo mondo selvaggio, incarnato da una donna seminuda, strappata al sonno dall'arrivo del navigatore.

Ignorando i violenti scontri avvenuti tra i membri della spedizione di Vespucci e gli abitanti del continente sudamericano, Stradano raffigura l'intrepido esploratore con la spada riposta nel fodero e con l'armatura metallica coperta dagli abiti, mentre tiene stretti in mano i simboli della superiorità scientifica, non quelli della potenza militare europea. Con la mano destra regge una bandiera in cui sono raffigurate le stelle della Croce del Sud, che lo stesso Vespucci sosteneva di aver descritto per la prima volta, dando un grande contributo alla cosmografia; nella mano sinistra, invece, l'esploratore tiene stretto un astrolabio, lo strumento con cui si era aperto una strada tra le infide acque dell'Atlantico verso il nuovo mondo. Nonostante l'ovvia reazione di sorpresa, la donna non impugna il randello di legno con cui i brasiliani facevano scempio dei loro nemici (per poi cibarsene: sullo sfondo dell'incisione appare infatti un gruppo di indigeni intenti ad arrostire una gamba umana); sembra piuttosto guardare il navigatore con avidità, come se volesse strappargli dalle mani l'astrolabio.

La scena dell'incontro tra le culture delle popolazioni dei due continenti raffigurata da Stradano presuppone una concezione ingenua della trasmissione scientifica e tecnologica in base alla quale gli europei, nel tentativo di imporre il proprio dominio politico, militare, economico e spirituale nei paesi extraeuropei, costituiscono gli strumenti passivi di un vasto processo di trasferimento di conoscenze da una cultura a un'altra. All'interno di questo quadro concettuale, la scienza occidentale appare come un prodotto in scala ridotta della superiorità della cultura europea: come l'astrolabio, rimane essenzialmente immutata passando dalle mani degli europei a quelle di altre popolazioni. La circolazione scientifica interculturale dell'inizio dell'Età moderna si presenta in realtà come un fenomeno estremamente complesso.

Data la pluralità e il perdurare degli interessi europei nei territori d'oltremare, non è facile, in base al valore intrinseco della scienza europea o all'identità della cultura europea in rapporto ad altre civiltà, spiegare perché il XVII sec. abbia visto la fioritura della iatrochimica nella Nuova Inghilterra, della chirurgia 'in stile olandese' sotto lo shogunato della famiglia Tokugawa (1600-1868) e dell'astronomia ticonica nella Cina imperiale. Il panorama intellettuale delle Indie iberiche e olandesi, della Nuova Inghilterra, della Nuova Francia e delle missioni cattoliche in Asia illustra la duttilità che le conoscenze naturali del vecchio e del nuovo mondo hanno dimostrato in sede extraeuropea.

Le Indie iberiche

La cosmografia

La scienza della cosmografia iniziò ad assumere una grande importanza per i domini iberici con l'esplorazione dell'Atlantico, condotta nel corso del XV sec. da navigatori spagnoli e portoghesi. La risoluzione dei conflitti territoriali tra la Spagna e il Portogallo era legata alla determinazione della longitudine delle aree più recentemente scoperte, almeno secondo quanto sancito in diversi trattati, a partire da quello di Tordesillas (1494) che stabiliva una serie di linee di demarcazione che andavano da nord a sud per dividere i territori controllati da ciascuna delle due monarchie.

Se dal 1580, con l'annessione della Corona portoghese da parte di Filippo II, le dispute territoriali in una certa misura si sopirono, la colonizzazione e l'amministrazione dei territori spagnoli d'oltremare seguitarono a proporre una serie di sfide. La gestione degli affari della Spagna nelle Indie era affidata al Real y Supremo Consejo de las Indias, organismo istituito con un decreto reale nel 1524. Il visitador del Consejo, Juan de Ovando y Godoy, promosse un progetto di raccolta di informazioni relative ai territori spagnoli nel nuovo mondo basato sulla distribuzione di una serie di questionari ai funzionari locali. Nel 1577, il primo cronista e cosmografo del Consejo, Juan López de Velasco, emanò due direttive analoghe. La prima prevedeva la diffusione di un lungo questionario incentrato su temi di geografia fisica e storica, in cui si chiedeva ai funzionari di disegnare carte delle diverse regioni e di fornire informazioni di vario tipo sugli abitanti amerindi e spagnoli: le lingue, le credenze e la storia indigene; le costruzioni, il commercio regionale e le istituzioni ecclesiastiche; la flora, la fauna e le altre risorse locali; le malattie endemiche e i rimedi indigeni; il clima, la piovosità, i tipi di venti, la latitudine dei diversi luoghi e la topografia regionale.

Il successo inizialmente riscosso dai questionari come strumenti amministrativi di raccolta dei dati è attestato dalle relaciones geográficas sopravvissute, che includono più di duecento raccolte di documenti e circa settanta carte, compilati dai funzionari governativi coloniali in risposta al questionario di Velasco. A loro volta, per ottenere le informazioni richieste, i funzionari si rivolgevano ai residenti locali, categoria che includeva persone di culture tra loro molto diverse come, per esempio, gli ecclesiastici spagnoli e i pittori amerindi. Le carte dei territori controllati dalla Spagna elaborate in questo modo, infatti, sono in gran parte mosaici composti da convenzioni di cartografia europea e tradizioni indigene. La forma del questionario, tuttavia, si rivelò inefficace per la raccolta di informazioni relative alla latitudine, all'altezza della Stella Polare e alla data dei solstizi. Ugualmente inefficace si rivelò anche la seconda direttiva emanata da Velasco nella quale si chiedeva ai funzionari di registrare le eclissi lunari e il Sole di mezzogiorno, fornendo i dati che avrebbero consentito di determinare in modo sistematico la longitudine e la latitudine. Benché emanata più volte tra gli anni Settanta e Ottanta del XVI sec., questa direttiva, che pure indicava metodi scelti in base alla loro semplicità, fu osservata soltanto da un ristretto numero di funzionari locali. Due delle quattro risposte conosciute furono fornite dai cosmografi reali inviati nelle Indie negli ultimi decenni del secolo.

Tra questi ricorderemo il portoghese Francisco Domínguez che eseguì anche una serie di misurazioni topografiche, compilò una raccolta di dati geografici ed effettuò osservazioni astronomiche attraverso le quali si proponeva di giungere alla determinazione della latitudine e della longitudine.

Nel XVII sec., i tentativi di proseguire questo lavoro di raccolta dei dati non riscossero lo stesso successo. Nel 1604, il cosmografo reale Andrés García de Céspedes fece distribuire un questionario che, a quanto sembra, non ricevette più di trenta risposte. Un'altra richiesta, formulata nel 1648, in cui si chiedeva materiale utilizzabile dallo storico reale, ottenne un numero ancora minore di risposte; invece, le cédulas reali emanate nel 1679 e nel 1681 sembrano essere state incentrate sulla raccolta di dati demografici. Solo negli anni Quaranta del XVIII sec. il governo spagnolo ripristinò l'uso dei questionari come strumenti di compilazione sistematica dei dati relativi alle caratteristiche naturali delle colonie americane. L'onere di svolgere le indagini amministrative ben presto passò dai cosmografi spagnoli ai loro colleghi del nuovo mondo. I funzionari locali si servirono dell'opera di Enrico Martínez per compilare i loro rapporti e per ridisegnare le carte della costa del Pacifico e della regione corrispondente all'attuale Nuovo Messico. Martínez, infatti, aveva pubblicato un Repertorio de los tiempos y historia natural desta Nueva España (1606) in cui aveva analizzato il clima, la situazione astrologica, le malattie endemiche, l'agricoltura, la storia e la geografia della regione, indicando la longitudine delle principali città delle Indie iberiche. Professore di matematica presso l'Università del Messico e cosmografo reale, Carlos de Sigüenza y Góngora non si limitò a collazionare relazioni e carte compilate da altri, ma nel 1693 partecipò personalmente a una spedizione incaricata di esplorare l'area della Baia di Pesancola. Scopo di questa spedizione era raccogliere informazioni sulla geografia, sulle risorse naturali e sulla popolazione indigena della regione, e disegnare una carta della baia in vista della fondazione di una colonia. Membri di molte spedizioni ufficiali, i missionari cattolici a volte fornirono i dati cosmografici relativi ai territori in cui speravano di fondare le loro missioni. Tra questi ricorderemo il frate carmelitano Antonio de la Ascensión, che aveva studiato cosmografia presso l'Università di Salamanca: il suo resoconto del viaggio compiuto nel 1602 in California include indicazioni relative a latitudini, descrizioni geografiche, analisi della flora, della fauna e della popolazione locale, così come una serie di raccomandazioni per coloro che intendessero fondare missioni o organizzare insediamenti in quest'area. Nel 1683 il gesuita Eusebio Francisco Kino, che aveva studiato matematica a Ingolstadt e a Monaco, partecipò, in qualità di cosmografo reale, a una spedizione ufficiale che dal Messico centrale raggiunse la Bassa California. In seguito, Kino operò come missionario ai confini nordoccidentali della Nuova Spagna, dove intraprese ben quattordici viaggi d'esplorazione. Questi viaggi gli permisero di descrivere con grande ricchezza di particolari la geografia e la storia naturale della regione e di disegnare la sua celebre carta nella quale la California risultava essere una penisola e non un'isola, come lo stesso Kino e altri cosmografi europei avevano ipotizzato.

La matematica e l'astronomia

L'espansione iberica del primo periodo dell'Età moderna fu accompagnata dal tentativo di ricreare integralmente le istituzioni educative del vecchio mondo: dai seminari prescritti dalle disposizioni del Concilio di Trento, ai collegi e alle scuole destinate all'insegnamento delle discipline classiche, fino alle università reali e pontificie che furono fondate a Città del Messico e a Lima. Nelle Indie iberiche, l'istruzione filosofica, nei casi in cui era impartita, recava un'impronta decisamente scolastica. Tuttavia, il primo titolare della cattedra di matematica e astrologia dell'Università del Messico, il mercedario Diego Rodríguez, affrontò nei suoi scritti un'ampia gamma di questioni di matematica pura e applicata, richiamandosi ad autori come Copernico, Kepler, Galilei e Simon Stevin (1548-1620). Nel 1638, dopo aver osservato un'eclissi lunare, Rodríguez consultò diverse tavole astronomiche, tra cui quelle compilate da Philip van Lansberge (1561-1632), da Giovanni Antonio Magini (1555-1617), da Kepler e da Christen Sørensen (Longomontanus, 1562-1647), per determinare la longitudine di Città del Messico.

Alcuni studi hanno dimostrato che l'attività scientifica svolta nel XVII sec. nell'America spagnola diede progressivamente luogo a una dinamica autonoma che rifletteva la complessità di una società coloniale composta da indigeni amerindi, immigrati europei e creoli, coloro cioè che erano nati nel nuovo mondo da genitori spagnoli. Nel suo Discurso etheorológico del nuevo cometa (1652) Diego Rodríguez interpretò in senso positivo l'apparizione nei cieli della cometa del 1652. La sua tesi era incentrata sul percorso compiuto dalla cometa attraverso certe costellazioni ‒ che Rodríguez associava all'Immacolata Concezione ‒ e sulla particolare protezione accordata dalla Vergine Maria al Messico. Contrapponendosi a una consolidata tradizione letteraria, secondo cui gli influssi negativi delle stelle meridionali contribuivano a spiegare perché la flora, la fauna e gli abitanti delle regioni americane fossero inferiori a quelli europei, Rodríguez e molti altri eruditi creoli del XVII sec. proposero diversi tipi di interpretazioni positive dei fenomeni celesti del nuovo mondo. La ricerca moderna ha presentato questa tendenza come una forma di 'astrologia patriottica', propria del nuovo mondo. La cometa che illuminò i cieli alcuni decenni più tardi (nel 1680-1681) suscitò una serie di controversie tra gli eruditi tanto in Europa quanto nel nuovo mondo. Nel tentativo di ridurre alle giuste proporzioni le reazioni di chi temeva l'apparizione della cometa, Sigüenza compose il Manifiesto philosóphico contra los cometas despojados del imperio que tenían sobre los tímidos, riuscendo tuttavia soltanto a suscitare un aspro dibattito tra gli eruditi messicani sulla composizione delle comete e sul loro significato per l'umanità. Subito dopo aver raggiunto la Nuova Spagna, Kino intervenne nel dibattito, pubblicando la sua Exposición astronómica de el cometa (1681), in cui presentò le osservazioni compiute a Cadice e interpretò la cometa come il segno premonitore di un imminente disastro. Alle tesi apocalittiche del gesuita, Sigüenza rispose con i Libra astronómica y philosóphica (1691).

La medicina

Nelle università spagnole del nuovo mondo si impartiva un'istruzione medica superiore basata sui testi aristotelici di filosofia naturale, sui trattati ippocratici, sulle opere di Galeno e sugli scritti dei medici arabi Avicenna (Ibn Sīnā, 980-1037) e Rhazes (al-Rāzī, 854-930 ca.). Nel 1621, a Città del Messico fu istituita una cattedra di chirurgia e anatomia che andò ad aggiungersi alle due cattedre di medicina già esistenti, consentendo all'Università coloniale di concedere lauree in medicina conformi alle leggi emanate in quel periodo in Spagna. A partire dal 1645, gli statuti redatti dal vescovo Juan de Palafox y Mendoza resero obbligatoria per gli studenti di medicina la frequenza delle lezioni di anatomia che si tenevano negli ospedali.

Nel corso del XVII sec., anche l'Università di San Marcos di Lima si dotò delle tre cattedre prescritte dalla legge e altre istituzioni educative delle Americhe spagnole iniziarono a offrire corsi di studio in medicina, soprattutto in Guatemala e a Quito. La regolamentazione della pratica medica nella Nuova Spagna era chiaramente ispirata al modello di quella del vecchio mondo. La legge spagnola affidava il compito di valutare l'idoneità di coloro che intendevano esercitare la professione medica a una commissione di esaminatori nominati dal re, la protomedicatio, a cui era riconosciuta l'autorità legale di comminare ammende e di giudicare i casi dei medici accusati di aver prestato cure sbagliate. Nel corso dei primi decenni della colonizzazione spagnola, anche le autorità municipali di Città del Messico e di Lima decisero di designare questi esaminatori, protomédicos, affidando loro, conformemente alla legge spagnola, l'incarico di vigilare sulla pratica medica locale; altrove, i consigli municipali si arrogarono il diritto di controllare e convalidare le licenze, il cui possesso era, a norma di legge, obbligatorio per coloro che desideravano praticare la medicina. Nel 1646, la Corona spagnola legò strettamente la protomedicatio coloniale all'insegnamento della medicina nelle università reali, decretando l'assegnazione di almeno due dei tre seggi della commissione di Città del Messico a professori universitari della Facoltà di medicina. Analogamente, il titolare della prima cattedra di medicina dell'Università di San Marcos di Lima doveva presiedere la protomedicatio della capitale del Perù.

Come in Spagna, gli affari di coloro che praticavano la medicina senza aver frequentato l'università, o senza essere in possesso della licenza ufficiale, seguitavano a prosperare, ma l'importazione di queste restrizioni legali e istituzionali dal vecchio mondo lascia supporre che all'inizio dell'Età moderna la medicina del nuovo mondo spagnolo fosse rimasta relativamente tradizionalista. I medici iberici tendevano a considerare la medicina non europea attraverso le lenti della loro formazione medica: in questa prospettiva valutavano la materia medica indigena in termini di qualità galeniche e gli effetti di questi rimedi in termini di teoria umorale. Allo stesso tempo, riconoscevano i vantaggi pratici ed economici ottenibili da una più vasta farmacopea. Nel 1570, Filippo II decise di nominare il laureato dell'Alcalá e medico del re, Francisco Hernández, protomédico di tutte le Indie spagnole, incaricandolo, in particolare, di raccogliere informazioni tra gli spagnoli e tra gli indiani sulla materia medica del nuovo mondo. I contemporanei di Hernández ben presto si impadronirono di alcune sezioni dei suoi voluminosi scritti utilizzandole come guide alla pratica della medicina nella Nuova Spagna. Un elenco delle malattie e dei corrispondenti rimedi utilizzati dagli indigeni, basato sull'opera di Hernández, fu dato alle stampe a Città del Messico, all'interno del trattato Verdadera medicina, cirurgía y astrología (1607) redatto dallo studente dell'Alcalá Juan de Barrios. Il frate domenicano Francisco Ximénez pubblicò alcuni brani scelti dell'opera di Hernández nei suoi Quatro libros (1615), integrando il testo con materiali tratti dalla sua esperienza pratica all'interno dell'ospedale di Santa Cruz della città di Huaxtepec. Ximénez era convinto che il suo libro, in cui elogiava le virtù delle piante locali appena colte contrapponendole a quelle dei medicamenti provenienti da paesi lontani, fosse utilizzabile in tutte quelle aree in cui non erano presenti né medici né farmacisti.

Con il proliferare delle missioni nelle Indie iberiche, gli ordini religiosi cattolici crearono diversi tipi di contesti istituzionali in cui si iniziò a studiare la materia medica indigena. Benché la registrazione scritta delle conoscenze mediche azteche in lingua nahuatl e nelle lingue europee, effettuata nel collegio francescano di Santa Cruz a Tlatelolco, debba essere considerata più un'eccezione che una regola, i religiosi cattolici ‒ soprattutto francescani, agostiniani e dell'ordine di San Giovanni di Dio ‒ dispensarono cure mediche e studiarono i rimedi localmente disponibili attraverso una grande rete di ospedali, lebbrosari e farmacie. La farmacia del collegio dei gesuiti di San Pablo a Lima non si limitava a immagazzinare medicine destinate a essere utilizzate sul posto, ma riforniva sia altre case e collegi, sia i membri missionari dell'ordine, giungendo persino a inviare, a bordo di una nave, alcuni medicamenti peruviani in Europa. Fino alla fine del secolo, il lavoro dei farmacisti della Compagnia di Gesù seguitò a riflettere le necessità immediate di questo ordine religioso cattolico particolarmente impegnato nel campo delle opere missionarie. A Manila, Paul Klein pubblicò una raccolta di Remedios fáciles para diferientes enfermedades (1712) e, nello stesso anno, il frate laico gesuita Juan de Esteyneffer (Johannes Steinhöffer) dedicò ai suoi confratelli che operavano nella Nuova Spagna una guida pratica alle malattie, alla chirurgia e alle medicine, dal titolo Florilegio medicinal de todas las enfermedades.

Anche in Portogallo la regolamentazione della professione medica si basava su un sistema di abilitazione controllato dal físico-mór e dal cirurgião-mór della corte reale di Lisbona. Solo i laureati dell'Università di Coimbra, l'unica università del Portogallo e dei territori portoghesi d'oltremare dotata di una Facoltà di medicina, potevano esercitare la professione medica senza essere in possesso della necessaria abilitazione. Nel 1618, il consiglio municipale di Goa tentò di estendere questo sistema alle Indie orientali portoghesi, emanando un decreto secondo cui coloro che desideravano dedicarsi alla pratica della medicina in qualsiasi località dei territori portoghesi dovevano essere esaminati e dichiarati idonei dal físico-mór di Goa. Lungi dal segnalare l'istituzione di un monopolio europeo della pratica medica, i certificati che ci sono rimasti dimostrano che sotto questo regime si concesse l'abilitazione all'esercizio della professione anche ai praticanti indù, nonostante ci fosse un limite al loro numero, ma non sappiamo quale genere di conoscenza medica fosse esaminata o attestata. Tuttavia, è noto che nel 1644 anche la carica di físico-mór di Goa era occupata da un medico di provenienza non europea. I medici indù e quelli musulmani seguitarono a esercitare la loro attività a Goa e in alcune occasioni si presero cura anche di pazienti europei, forse per la scarsità di medici portoghesi qualificati o forse perché i pazienti preferivano rivolgersi a loro.

Il nuovo mondo inglese

Le guide coloniali

Nel corso del XVII sec., la maggior parte degli Inglesi che si imbarcavano per il nuovo mondo non assomigliava affatto all'ideale dei 'mercanti di luce' descritti da Francis Bacon nella New Atlantis. Invece di acquisire nuove conoscenze, si dedicarono allo sfruttamento delle risorse naturali americane rese disponibili dalla colonizzazione. Non potendo contare sullo stesso sostegno che la Corona spagnola forniva alle sue colonie d'oltremare, gli imprenditori coloniali e mercantili inglesi furono costantemente costretti a confrontarsi con il problema della sopravvivenza economica dei nuovi insediamenti. Le difficoltà di procurarsi quanto era necessario alla sussistenza in un paese sconosciuto, e la delusione per l'impossibilità di ottenere rapidi profitti, condussero molti dei primi coloni inglesi a denigrare gli sforzi coloniali dell'Inghilterra, come si trovò a osservare nel 1588 il matematico inglese Thomas Harriot.

Per tentare di raccogliere fondi a favore dei primi insediamenti inglesi dell'isola di Roanoke, situata di fronte alla costa dell'attuale Virginia, Harriot registrò le sue osservazioni della regione e dei suoi abitanti in A briefe and true report of the new found land of Virginia (1588). Invece di disegnare carte e di descrivere la flora, la fauna e gli abitanti amerindi della regione, Harriot rivolse la sua attenzione soprattutto agli aspetti naturali che avrebbero potuto rendere autosufficienti le colonie, dai metalli preziosi e dalle piante medicinali che potevano essere utilizzati come beni di scambio, agli alimenti e al materiale da costruzione.

Bacon, che aveva investito in varie imprese coloniali e commerciali dei territori d'oltremare, riconobbe il valore pratico di uno studio accurato della storia naturale, come quello che aveva intrapreso nel saggio Of plantations (1625). I primi testi volti a promuovere la colonizzazione del nuovo mondo ‒ A map of Virginia (1612) e A description of New England (1616) dell'ex militare e colono John Smith e New England's prospect (1634) di William Wood ‒ fornirono un gran numero di informazioni su flora, fauna, clima, terreno e altre caratteristiche del paesaggio americano. Sono ricche di considerazioni di ordine pratico anche le osservazioni di John Josselyn che visitò l'attuale Maine, dove viveva suo fratello, per ben due volte, la prima tra il 1638 e il 1639 e la seconda per gran parte degli anni Sessanta. Nelle New England rarities discovered (1672), Josselyn si concentra soprattutto sull'utilità della flora e della fauna della regione, dalle quali era possibile ricavare alimenti, medicine, vestiario e altri beni di consumo. L'autore ben presto ampliò quest'analisi in An account of two voyages (1674), dedicata alla Royal Society di Londra. Nel trattato The American physitian; or a treatise of the roots, plants, trees, shrubs, fruit, herbs, etc., growing in the English plantations in America (1672), William Hughes, medico della marina, fornì lo stesso genere di indicazioni sulle colonie inglesi meridionali.

Le influenze dell'Interregno

Come avveniva anche nelle Indie iberiche, i residenti delle colonie inglesi d'America fecero largo uso delle tradizioni farmaceutiche indigene per sopravvivere nel nuovo mondo. Harriot osservò che gli indigeni della Virginia curavano le ferite con un particolare tipo di terra ed elogiò in termini entusiastici le proprietà curative del tabacco fumato dai nativi. Circa un secolo dopo, nel frontespizio del suo libro, Josselyn annunciava di voler discutere dei rimedi fisici e chirurgici con cui gli indigeni curavano abitualmente disturbi, ferite e piaghe. Nell'opera The cleare sun-shine of the gospel breaking forth upon the Indians in New England (1648), il pastore John Eliot suggerì che, insegnando le conoscenze mediche europee agli Amerindi, forse si sarebbe riusciti a persuaderli a voltare le spalle ai loro 'uomini della medicina', gli sciamani, i cui poteri spirituali e curativi costituivano un arduo ostacolo ai suoi sforzi evangelici. In ogni caso, Eliot riconobbe il valore della conoscenza indigena della materia medica e accettò di usarla, purché opportunamente separata da quelle che il buon sacerdote considerava pratiche diaboliche.

I rimedi preparati con vegetali e animali locali furono ampiamente utilizzati dalla maggior parte degli Inglesi che praticavano la medicina nel nuovo mondo, molti dei quali non avevano compiuto gli studi necessari per esercitarla. Sembra che nel corso del XVII sec. soltanto un numero relativamente esiguo di laureati in medicina fosse emigrato in America, ma le istituzioni educative delle colonie inglesi iniziarono a offrire corsi di studio in medicina solamente a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. I medici praticanti delle colonie inglesi, come levatrici, chirurghi di bordo e sacerdoti-medici, prestavano cure senza possedere i titoli e le abilitazioni necessarie nel vecchio mondo.

Nella Nuova Inghilterra erano molto popolari gli erbari vernacolari pubblicati nel periodo dell'Interregno dal medico militare e parlamentare Nicholas Culpeper. Questi erbari consistevano in una serie di traduzioni non autorizzate delle farmacopee latine ufficiali del Collegio dei medici, che dovevano servire a diffondere la conoscenza dei rimedi medici tra il volgo, in aperta sfida al monopolio della pratica medica del Collegio. Gli sforzi volti a promuovere una riforma medica nell'Inghilterra dell'Interregno diedero un grande impulso alla discussione sulla chimica medica, o iatrochimica, in particolare nella sua versione in termini paracelsiani fornita da Jan Baptista van Helmont. L'esame delle biblioteche e delle farmacopee di John Winthrop jr, di George Starkey, di Gershom Bulkley e di Thomas Palmer dimostra che nel corso della seconda metà del secolo la iatrochimica divenne molto popolare nelle colonie inglesi dell'America Settentrionale grazie all'operato di praticanti non laureati in medicina.

La Nuova Inghilterra entrò in sintonia soprattutto con i movimenti intellettuali emersi nella madrepatria durante l'Interregno. Sia la colonia di Plymouth, fondata nel 1620, sia quella della Baia del Massachusetts, fondata nel 1630, avevano accolto i protestanti inglesi perseguitati per i loro contrasti con la Chiesa anglicana. Questa situazione subì un drastico peggioramento negli anni Trenta del XVII sec., sotto il regime dell'arcivescovo William Laud; la Rivoluzione inglese pose fine all'oppressione anglicana decretando la caduta di Laud, la sconfitta e l'esecuzione di Carlo I e, infine, l'istituzione del Commonwealth (1649). Sotto il nuovo regime, un rifugiato politico protestante, Samuel Hartlib, insieme a un gruppo di persone che condividevano le sue idee, lanciò una serie di appelli ‒ spesso formulati in un linguaggio esplicitamente baconiano ‒ per introdurre nuovi metodi in campo agricolo, tecnologico ed educativo, che avrebbero aiutato l'Inghilterra a superare la crisi sociale ed economica in cui versava. Nelle colonie della Nuova Inghilterra, Winthrop e Robert Child promossero l'attività mineraria e l'apertura di officine per la lavorazione del ferro e, contemporaneamente, cercarono di ampliare le prospettive dell'agricoltura coloniale. Questi progetti correvano paralleli alle indagini sul mondo naturale condotte con finalità applicative nell'Inghilterra dell'Interregno. Approfittando di un viaggio in Inghilterra e nel continente europeo, intrapreso all'inizio degli anni Quaranta al fine di raccogliere capitali e conoscenze specialistiche per le sue officine, Winthrop acquistò le opere di Georg Bauer Agricola (1494-1555) per donarle a Hartlib e in seguito avviò con quest'ultimo uno scambio epistolare su temi di chimica, medicina, astronomia e altri argomenti scientifici.

Le scienze istituzionali nella Vecchia e nella Nuova Inghilterra

Nell'atto di fondazione che nel 1650 conferì il riconoscimento giuridico all'Harvard College si affermava che lo scopo di questa istituzione era di "educare la gioventù inglese e indiana del paese alla conoscenza e alla religiosità" (Morison 1936, p. 6). Nonostante l'Indian College, recentemente istituito, fosse in grado di ospitare non più di venti studenti, nel corso del XVII sec. l'Harvard College accolse un numero decisamente esiguo di indigeni. I testi in algonchino, scritti da John Eliot per gli abitanti delle praying towns della Nuova Inghilterra e stampati a cura dell'Harvard College, erano in gran parte costituiti da sermoni, opere devozionali e brani della Bibbia: persino un testo come A logick primer (1672) di Eliot, scritto in algonchino e basato sulla logica ramista, si serviva a scopo didattico di esempi tratti dalle Scritture. Benché il suo principale obiettivo fosse quello di educare pastori di anime che operassero tra i coloni, l'Harvard College, come del resto le istituzioni dello stesso genere fondate nelle Indie iberiche, concedeva un certo spazio all'apprendimento della filosofia naturale. Il suo ordine degli studi, descritto nei dettagli nei New England first fruits (1643), prevedeva lo studio della logica e della fisica nel corso del primo anno mentre la matematica e l'astronomia erano affrontate nel terzo, insieme allo studio della 'natura delle piante'.

L'esame dei taccuini degli studenti dimostra che la fisica aristotelica era molto diffusa verso la metà del secolo, soprattutto grazie agli scritti di Alexander Richardson (1565 ca.-1621), laureato a Cambridge, e di Johann Magirus (m. 1596), professore a Marburgo. Negli anni Ottanta del XVII sec., Charles Morton, laureato a Oxford e pastore dissidente, introdusse nel curriculum di Harvard gli studi europei più recenti sul mondo fisico. Nel 1686, dopo la chiusura dell'Accademia di Newington Green ‒ che offriva un'alternativa agli studenti che non potevano giurare fedeltà alla Chiesa anglicana e alle sue dottrine, come invece prescrivevano i regolamenti di Oxford e di Cambridge ‒ Morton si trasferì nel Massachusetts che, nonostante la revoca dell'atto costitutivo della colonia da parte di Carlo II e il suo diretto assoggettamento all'autorità del re, era ancora un riparo sicuro per i fuoriusciti puritani.

I taccuini manoscritti degli studenti che in questo periodo frequentarono Harvard includono un gran numero di trascrizioni del Compendium physicae di Morton, databili tra il suo arrivo presso questa istituzione e la fine degli anni Venti del XVIII secolo. Il Compendium di Morton è un'ampia rassegna di storia naturale, probabilmente una raccolta delle sue lezioni all'Accademia di Newington Green. Benché in generale conforme ai dettami del pensiero aristotelico, questo testo contiene anche un gran numero di richiami alla scienza sperimentale del XVII sec., dai riferimenti alle osservazioni sulle piante, sulle penne e sui pidocchi condotte al microscopio, alla descrizione delle concezioni di William Petty, Robert Boyle e Henry Power sulla 'deformabilità' dei metalli e sull'elasticità dell'aria, dimostrata dalla pompa pneumatica, fino agli esperimenti di Torricelli sulla pressione atmosferica. Inoltre Morton rifiutò la distinzione aristotelica tra regione celeste e regione terrestre basandosi sulle prove dei cambiamenti celesti fornite dal cannocchiale e descrisse a grandi linee alcuni degli argomenti che dimostravano l'esattezza del sistema copernicano e, in particolare, la teoria delle maree di Galilei e i perfezionamenti apportati a questa teoria da John Wallis, professore di geometria a Oxford.

Tuttavia, il merito di aver introdotto l'eliocentrismo nelle colonie inglesi d'America non spetta a Morton. Gli almanacchi del XVII sec. pubblicati nelle colonie inglesi d'America ‒ fino al 1675 quasi sempre compilati da laureati e da insegnanti di Harvard e sempre stampati nella tipografia di Cambridge ‒ oltre alle abituali informazioni sulle posizioni del Sole, della Luna e degli altri corpi celesti contengono un gran numero di analisi di carattere astronomico. Nel suo contributo all'almanacco del 1659, Zecharian Brigden, che nel 1657 aveva conseguito la laurea a Harvard, citò Galilei, Kepler, Gassendi e Vincent Wing (1619-1668) difendendo la verità del sistema 'filolaico' o eliocentrico. Nel suo almanacco del 1661, Samuel Cheever inserì Ismaël Boulliau nell'elenco dei grandi autori moderni che avevano "dimostrato che le ipotesi copernicane erano più conformi alla verità e alle osservazioni oculari" (Morison 1934, p. 14); John Foster introdusse una xilografia del sistema copernicano nell'almanacco del 1675 di Cambridge. Nathaniel Mather, nei saggi scritti per l'almanacco di Boston del 1685 e del 1686, prese in esame le scoperte effettuate col cannocchiale da Robert Hooke, Gian Domenico Cassini e Christiaan Huygens, mentre Henry Newman segnalò l'opera di Adrien Auzout e di Wallis nell'analisi del moto terrestre pubblicata nell'almanacco del 1690 di Cambridge. Gli autori degli almanacchi descrissero inoltre fenomeni astronomici inusuali, come, per esempio, le comete apparse nei cieli nel 1664 e all'inizio degli anni Ottanta del secolo. Le osservazioni della cometa del 1680 effettuate a Boston da Thomas Brattle, e forse anche da John Foster, furono tra quelle utilizzate da Isaac Newton nel terzo libro dei suoi Principia (1687) per determinare l'orbita della cometa stessa.

La Nuova Inghilterra non rimase estranea al grande interesse per il significato che le comete e gli altri fenomeni naturali considerati straordinari potevano assumere per l'umanità. Uno dei primi autori di almanacchi, il pastore Samuel Danforth, pubblicò An astronomical description of the late comet or blazing star (1665), accompagnata da 'un breve discorso teologico' in cui si affermava che la cometa era un segno inviato da Dio ai coloni inglesi per stimolarne il pentimento e il risveglio morale. Anche il pastore Increase Mather si affrettò a trarre una lezione morale da questo fenomeno, interpretando nei suoi sermoni la cometa del 1680 come un avvertimento divino. La Kometographia, or a discourse concerning comets (1683) oltre a dar prova della profonda conoscenza da parte di Mather della letteratura europea dedicata a questo tema e, in particolare, della Cometographia (1668) di Johannes Hevelius, si allineava al suo interesse di dimostrare l'azione della divina provvidenza alla comunità puritana della Nuova Inghilterra. Nel 1681, Mather adattò un progetto concepito nell'Inghilterra dell'Interregno alle condizioni del nuovo mondo, esortando i suoi colleghi pastori a compilare in collaborazione tra loro una raccolta di esempi dell'azione della divina provvidenza nelle colonie. Mather pubblicò alcuni dei risultati preliminari di questa impresa collettiva in An essay for the recording of illustrious providences (1684). Oltre ad alcune storie di persone sopravvissute in circostanze straordinarie e resoconti di casi di possessione demoniaca, egli analizzò le meraviglie della Creazione ‒ menzionando, per esempio, le osservazioni delle proprietà della magnetite effettuate da Thomas Browne e Robert Boyle ‒ e raccontò una serie di aneddoti relativi a tempeste, terremoti e inondazioni. Mather indicò alcune delle cause naturali che avrebbero potuto dare origine a questi fenomeni ma, al tempo stesso, sottolineò la loro generale inadeguatezza. Pur riconoscendo di non poter dimostrare nei dettagli la verità delle sue asserzioni, egli affermò che l'attività dei demoni, degli angeli e in ultima analisi di Dio, di cui si potevano ravvisare le tracce nel mondo naturale, doveva essere assunta a guida dai puritani che lottavano per creare una società religiosa nella Nuova Inghilterra. Un decennio più tardi, Mather tentò di dare una sede istituzionale al suo progetto di raccolta di esempi dell'azione della divina provvidenza inoltrando, come presidente dell'Harvard College, una proposta di collaborazione ad altri pastori. In questa proposta, che fu firmata da tutti i membri del collegio, inclusi Charles Morton, William Brattle e il figlio di Mather, Cotton, il presidente di Harvard e i suoi colleghi si impegnavano a ricevere e a conservare i resoconti relativi a questo tipo di accadimenti inviati dai pastori.

Nonostante la distanza geografica, politica e teologica che divideva la Nuova Inghilterra puritana dall'Inghilterra della Restaurazione, il tentativo di raccogliere esempi dell'azione della divina provvidenza presentava alcune affinità con le storie naturali baconiane raccolte dalla Royal Society. Francis Bacon aveva messo in luce la necessità di compilare una storia delle meraviglie come parte di quella storia naturale che era alla base del suo progetto di riforma filosofica. Calcoli umani, tracce lasciate dai fulmini, temporali straordinari e altri 'fatti strani' erano oggetto di lunghe discussioni all'interno delle nuove società scientifiche del XVII secolo. Nel già citato An essay, Mather menzionò una serie di esempi dell'azione della divina provvidenza tratti da alcune opere scientifiche pubblicate in quegli anni in Europa come, per esempio, le "Philosophical Transactions", le "Philosophical collections" pubblicate da Robert Hooke e la "Miscellanea curiosa medico-physica", e sembrò dar forma a un progetto molto simile a una storia naturale che si sarebbe aperta con la raccomandazione di seguire le regole e i metodi indicati da Boyle per questo tipo di lavori. La rilevanza accordata agli aspetti straordinari dell'attività divina nella vita di tutti i giorni della Nuova Inghilterra puritana non ebbe grande risonanza negli ambienti scientifici deliberatamente non settari dell'Inghilterra della Restaurazione, e nel suo Compendium physicae anche Morton abbandonò la nozione secondo cui le comete erano segni premonitori di calamità. Nel Christian philosopher (1721), Cotton Mather preferì dimostrare l'esistenza della divina provvidenza basandosi sull'ordine e la regolarità del mondo naturale e richiamandosi a esempi tratti dalle opere di teologia naturale redatte dagli inglesi John Ray (1627-1705) e William Derham (1657-1735). In ogni caso, gli interessi scientifici di Increase Mather negli anni Ottanta si manifestarono sia nel già citato progetto relativo ai 'casi illustri della divina provvidenza' sia nella fondazione di una 'società filosofica', organizzata a Boston con l'intento di discutere temi filosofici e di storia naturale, che sfortunatamente non ebbe lunga vita. Furono proprio questi interessi di Mather a determinare il contesto sociale e intellettuale in cui suo figlio Cotton poté raccogliere materiale sull'ambiente naturale della Nuova Inghilterra. Il giovane Mather utilizzò questo materiale molti anni dopo, per presentarsi alla Royal Society di cui divenne membro nel 1713.

La Nuova Francia

Economia coloniale

Fino al 1600, i tentativi di esplorazione delle Americhe intrapresi dalla Francia ‒ dai viaggi in Canada di Jacques Cartier (1491-1557) e di Jean-François de La Rocque de Roberval (1500 ca.-1560) alle avventurose spedizioni in Brasile e in Florida finanziate da Gaspard de Châtillon de Coligny (1516-1572) ‒ furono sporadici e non portarono alla creazione di insediamenti permanenti. Il XVII sec. si aprì con una serie di iniziative volte a combinare tra loro il commercio, già molto lucroso, delle pellicce canadesi e l'azione colonizzatrice francese. Dopo aver trascorso un anno a Port Royal in Acadia, Marc Lescarbot redasse l'Histoire de la Nouvelle France (1609), in cui riassunse, oltre alle sue esperienze di vita coloniale, le osservazioni sugli animali selvatici, sulle foreste e sulla qualità del terreno della regione; inoltre, descrisse il metodo di preparazione della pece a partire da abeti indigeni e mise in guardia i lettori contro la scarsa salubrità dei principali venti del paese. Nel 1618, l'esploratore Samuel de Champlain presentò a Luigi XIII e alla Camera di commercio il suo progetto di una colonia economicamente autosufficiente, grazie allo sfruttamento della vasta gamma di prodotti reperibili sul territorio, come, per esempio, alcuni tipi di legname da costruzione, tinture, canapa, ferro, piombo, diversi generi di pesci e altri animali marini. Anche i missionari cattolici erano pienamente consapevoli del fatto che la creazione di insediamenti francesi avrebbe potuto rivelarsi un fattore decisivo per la loro opera di diffusione del cristianesimo. Pierre Biard, un missionario gesuita salpato nel 1611 con un confratello per Port Royal, descrive le sue diverse esperienze in Acadia nella Relation de la Nouvelle France (1616). Biard inizia il resoconto con l'analisi delle osservazioni relative al clima, alle stagioni, alla qualità del terreno, alle foreste e alle risorse minerali della regione e lo conclude esortando a coltivarne il territorio, sia dal punto di vista temporale sia da quello spirituale. Il gesuita Paul Le Jeune, in risposta a una serie di quesiti formulati da alcuni potenziali coloni francesi, descrisse la geografia della Nuova Francia, la navigazione del fiume San Lorenzo, la produttività del suolo, la fauna indigena e i prodotti che potevano divenire oggetto di scambi commerciali con la Francia, come, per esempio, alcuni tipi di pesci, l'olio di balena, diversi generi di minerali e il legname da costruzione.

L'analisi sistematica delle risorse naturali della regione fu tuttavia, scarsamente incoraggiata dalla Compagnie des Cent-Associés, la società che il cardinale Richelieu aveva fondato nel 1627, cui era stato affidato, in cambio della concessione del monopolio del commercio delle pellicce, il compito di sostenere l'onere della colonizzazione francese dell'America Settentrionale. Nel 1645, questa responsabilità fu rilevata dalla Communauté des Habitants, un'associazione costituita da coloni canadesi, che, a sua volta, non mostrò un grande interesse per le indagini naturalistiche. Nel 1661, il governatore della Nuova Francia inviò Pierre Boucher presso il giovane Luigi XIV per ottenere aiuti in favore della colonia allora in difficoltà per i continui attacchi degli Irochesi. L'anno seguente Boucher ritornò in Canada, dove, per ottemperare a una richiesta di Jean-Baptiste Colbert, completò in breve tempo una stima delle risorse naturali della Nuova Francia. Nell'Histoire véritable et naturelle des moeurs et productions du pays de la Nouvelle France (1664), Boucher delineò una storia naturale del Canada volta a incoraggiarne la colonizzazione. In questo testo, infatti, l'autore elogia la qualità dei terreni e delle acque, spiega l'utilità dei diversi tipi di legname da costruzione, descrive gli habitat di uccelli e pesci, e cataloga diverse forme di vita vegetale, per poi passare a un dettagliato esame etnografico degli abitanti indigeni. Il rapporto di Boucher, offrendo alcuni suggerimenti sul potenziale valore economico di diversi prodotti naturali e indicando i principali ostacoli da superare per sfruttare le ricchezze del paese, anticipa le analisi sistematiche dei territori soggetti a Luigi XIV effettuate dai rappresentanti del re su incarico di Colbert. Queste indagini amministrative erano indispensabili all'elaborazione di una politica economica globale incentrata sullo sviluppo industriale, un approccio che sarebbe stato ben presto applicato nei confronti della Nuova Francia.

Nel 1663, Luigi XIV riorganizzò l'amministrazione delle colonie, nominando un governatore e un intendente e affidando loro il compito di prendersi cura degli affari coloniali. Il primo intendente della Nuova Francia, Jean Talon, nell'ambito del suo programma di diversificazione della produzione agricola, condusse una serie di indagini sulle risorse naturali della regione e promosse diversi tipi di manifatture, incluse quelle destinate alla produzione di tessuti di canapa e lino, la cui coltivazione era stata introdotta nella colonia da lui stesso, quella di scarpe e giacche confezionate con cuoio canadese, quella di birra fabbricata con il luppolo e l'orzo coltivati nella regione, e quella di pece liquida e potassa ricavate dagli alberi che ne popolavano le foreste.

Nicolas Denys diede alle stampe la Description geographique et historique des costes de l'Amerique septentrionale (1672) solo verso la fine della sua dinamica carriera di mercante e colono in Acadia: egli, infatti, aveva lavorato come taglialegna nelle foreste canadesi, aveva progettato un mulino e una fabbrica di birra e si era dedicato alla pesca lungo le rive meridionali del fiume San Lorenzo. Nel primo libro della Description, Denys analizza in modo metodico la geografia e la storia naturale del tratto di costa che va dal fiume Penobscot, nell'attuale Maine, alla Baia di Fundy e dalla Nuova Scozia al Golfo del San Lorenzo. Nel secondo libro, l'autore presenta uno studio della storia naturale della regione che risvegliò gli interessi economici dei coloni europei fino al punto di richiamare l'attenzione del re. Oltre a valutare le piante, la fauna terrestre, gli uccelli e gli animali marini alla luce dei loro pregi culinari, Denys dedica all'incirca la metà del trattato alla pesca del merluzzo che, a suo parere, avrebbe potuto costituire la base di una solida economia coloniale.

La 'pesca stanziale' auspicata da Denys ‒ un'attività svolta da coloni residenti nella Nuova Francia e non da pescatori francesi itineranti ‒ ricevette un considerevole sostegno dalla nuova amministrazione. Inoltre, l'intendente seguì scrupolosamente le istruzioni impartitegli da Colbert che lo aveva incaricato di svolgere un'indagine sulla possibilità di creare un'industria navale canadese, inviando esperti carpentieri nelle foreste per valutare i diversi tipi di legname da costruzione e incoraggiando i coloni ad apprendere l'arte dei maestri d'ascia. Talon organizzò anche la ricerca, la raccolta e l'accurata analisi di esemplari minerali, facendo sapere a Colbert, poche settimane dopo essere giunto nella Nuova Francia, che intendeva far sì che la scoperta di questi materiali divenisse parte essenziale degli affari della Corona e della costruzione del Canada. Anche se sul finire del secolo gli sforzi dell'amministrazione coloniale per affrancare la Nuova Francia dalla dipendenza dalla madrepatria registrarono esiti contrastanti, dalle successive discussioni sulle risorse naturali di questo territorio emerge una più profonda consapevolezza del suo potenziale economico. Nel corso di questo periodo, caratterizzato dai conflitti tra le potenze europee per il controllo dei possedimenti coloniali, tale consapevolezza fu particolarmente sottolineata dagli autori francesi che cercavano il sostegno di altri sovrani europei, come, per esempio, il frate dell'Ordine dei recolletti francescani Louis Hennepin e il militare Louis-Armand de Lom d'Arce, più noto come terzo barone di Lahontan.

La storia naturale nelle missioni

Mentre il medico Jacques-Philippe Cornuty scrisse la Canadensium plantarum historia (1635) basandosi sugli esemplari coltivati nei giardini parigini, i missionari che si dedicarono allo studio della storia naturale della Nuova Francia del XVII sec. operarono direttamente sul suolo canadese, basandosi sulle loro esperienze e sulle estese interazioni con le popolazioni amerinde. Nel Grand voyage au pays des Hurons (1632) il recolletto francescano Gabriel Sagard inserì un capitolo dedicato alla medicina degli Huroni e una sezione, dedicata alla flora e alla fauna della regione, in cui erano indicati i nomi e il modo di utilizzare gli esemplari descritti. Nell'anno 1632 iniziò la pubblicazione delle Relations des jésuites, una serie annuale data alle stampe in Francia fino al 1673 basata sulla corrispondenza delle missioni canadesi della Compagnia di Gesù. Benché le lettere fossero dedicate principalmente ai progressi compiuti dalla diffusione del cristianesimo, le Relations contenevano numerose indicazioni utili alla conoscenza degli ambienti naturali e delle popolazioni indigene della Nuova Francia. Anche se Boucher sosteneva che per ottenere le informazioni raccolte nell'Histoire véritable et naturelle de moeurs et productions du pays de la Nouvelle France sarebbe stato necessario leggere tutte le Relations, tuttavia queste ultime fornivano una sorta di storia naturale e morale collettiva della Nuova Francia che si richiamava alla tradizione della Historia natural y moral de las Indias (1590) del gesuita José de Acosta. A distanza di poco più di un anno dal suo arrivo nella Nuova Francia, il superiore della missione gesuitica, Paul Le Jeune, trascorse un intero inverno in compagnia di un gruppo di Montagnais. Una volta ritornato nel Québec, Le Jeune descrisse le conoscenze degli abitanti indigeni su animali, uccelli, pesci, frutti e radici nella Relation del 1634. Le Jeune e i successivi curatori delle Relations spesso pubblicarono saggi dedicati alla storia naturale delle regioni che circondavano i Grandi Laghi, dove erano state fondate nuove missioni gesuitiche, dalle terre degli Irochesi, a est dell'Ontario e dalla Green Bay, nell'attuale Wisconsin, alle aree sudoccidentali della Baia di Hudson. Analisi dello stesso genere apparvero anche in singoli resoconti redatti da missionari come, per esempio, la Relation (1653) del gesuita François-Joseph Bressani e la Nouvelle relation de la Gaspesie (1691) del frate dell'Ordine dei recolletti francescani Chrestien Le Clercq. I territori francesi dei Caraibi furono invece presi in esame dal domenicano Jean-Baptiste Du Tertre che dedicò quasi tutto il secondo libro della Histoire générale des Antilles (1667) alla storia naturale di questa regione.

Le vicende della diffusione del cristianesimo nel nuovo mondo condizionarono le descrizioni delle caratteristiche naturali fornite dai missionari. Spesso le interpretazioni dei fenomeni eccezionali, considerati segni divini, sono accompagnate da osservazioni tecniche relative ai loro effetti, come, per esempio, nell'analisi delle comete del 1664 e del 1665 effettuata da François-Joseph Le Mercier. Le Relations del 1660 e del 1661 narrano di un terremoto, di una cometa e di altri fenomeni eccezionali come predizioni degli attacchi irochesi contro la Nuova Francia. Jérôme Lalemant aprì la Relation del 1662-1663 descrivendo l'apparizione simultanea nel cielo di tre soli, di un'eclisse solare e di alcune meteore e, circostanza ancora più spettacolare, di una serie di terremoti che avevano scosso l'intero paese per più di sei mesi. Grazie alla divina provvidenza, tali eventi non avevano causato alcuna morte e Lalemant osservava che i convertiti furono indotti da questi segni della collera divina a intensificare le penitenze e a rinnovare la loro devozione a Dio. Il lavoro dei missionari gesuiti fu inoltre agevolato dalla conoscenza del mondo naturale. Le Jeune indicò ai Montagnais i punti della linea dell'orizzonte in cui il Sole sarebbe sorto e tramontato e tracciò una mappa approssimativa della geografia del mondo su un pezzo di corteccia, sperando così di suscitare la loro curiosità e di convincerli del fatto che egli era a conoscenza di verità ancora più elevate. Alcuni decenni più tardi, durante un'assemblea riunitasi a Ottawa, Louis André illustrò a due capi locali, i quali si autodefinivano 'fratelli del Sole', le ragioni della diversa lunghezza dei giorni e del percorso compiuto dal Sole nel cielo. La capacità di predire le eclissi aiutò i gesuiti a rafforzare la loro credibilità presso gli Huroni e gli Irochesi. Come il superiore dei gesuiti delle missioni canadesi si trovò a spiegare al padre provinciale francese nel 1683, "questa sorta di predizioni delle eclissi è sempre stata una delle cose che ha maggiormente sorpreso i nostri selvaggi e ha enormemente ingrandito la loro stima nei confronti dei missionari" (The jesuit relations, LXII, p. 198).

Analogamente, i gesuiti compresero ben presto ‒ come avrebbe fatto più tardi John Eliot nella Nuova Inghilterra ‒ che la medicina europea avrebbe potuto sostituire i rimedi praticati dagli sciamani indigeni e, al tempo stesso, avrebbe contribuito a ridurre il loro carisma spirituale agli occhi dei membri delle comunità locali. Tra i pochi libri provenienti dalla missione gesuitica di Québec riaperta nel 1632, molti sono dedicati alla botanica medica; tra questi ricorderemo le opere di Garcia d'Orta, di Nicolás Monardes e di Rembert Dodoens, consacrate alla materia medica delle Indie. Alcuni frati laici gesuiti operarono come farmacisti e chirurghi nella Nuova Francia. Il primo gesuita originario del Canada, Noël Juchereau de La Ferté (1647-1672) fu inviato dall'Ordine a Lione dove doveva studiare scienze farmaceutiche in vista di un futuro impiego nelle missioni canadesi. Anche i donnés, i laici che lavoravano occasionalmente per i gesuiti in cambio di vitto e alloggio, dispensavano cure mediche, avvalendosi in alcuni casi della formazione medica precedentemente ricevuta. Dopo aver studiato chirurgia in Francia, François Gendron lavorò per alcuni anni come donné nelle missioni gesuitiche del paese degli Huroni. Nel 1650, Gendron ritornò in Francia portando con sé un unguento di pierres Eriennes ‒ vale a dire di pietre raccolte nei pressi del Lago Erie ‒ e acquisì una tale notorietà che nel 1664 gli fu affidato il compito di prendersi cura della salute della regina madre, Anna d'Austria. Sorte diversa ebbe René Goupil, che aveva lavorato come chirurgo prima di diventare donné: rimase vittima di un attacco degli Irochesi pochi giorni dopo aver ricevuto gli ordini.

I gesuiti non erano contrari all'uso di medicine 'naturali' indigene, incluso il salasso e diversi tipi di rimedi a base di erbe, almeno nei casi in cui queste terapie non fossero accompagnate da rituali che i frati definivano superstiziosi. Somministrando insieme sia le loro efficaci cure 'naturali' ‒ salassi, zucchero, frutta secca e droghe composte ‒ sia i loro rimedi 'sovrannaturali' a base di preghiere, reliquie e acqua santa, i gesuiti speravano di conquistarsi la considerazione e il favore dei nativi, rendendo così più agevole la predicazione delle verità del cristianesimo. È con questo intento che, nella Relation del 1635, Le Jeune auspicò la fondazione di un ospedale nel territorio della Nuova Francia e l'anno successivo annunciò che Madame de Wignerod ‒ in seguito insignita del titolo di duchessa d'Aiguillon da suo zio, il cardinale Richelieu ‒ si era offerta di finanziare questa iniziativa. Nel 1639, tre suore ospedaliere giunsero a Québec per lavorare all'interno dell'Hôtel Dieu, il primo dei molti ospedali fondati nella Nuova Francia nel corso del XVII secolo. Data l'assenza di istituzioni in grado di rilasciare lauree in medicina e la scarsità di medici in possesso di qualifiche formali, la salute dei coloni e della popolazione indigena della Nuova Francia era affidata a un'ampia gamma di praticanti ‒ missionari, suore ospedaliere, chirurghi militari e navali, e levatrici.

L'idrografia del nuovo mondo

Nell'opera intitolata Les voyages (1613), Champlain presentava ai suoi lettori numerose carte dei punti d'approdo della costa canadese e una spettacolare carta geografica della Nuova Francia. In questa mappa, basata sulle sue osservazioni di viaggio e sulle informazioni raccolte tra i nativi, erano descritte nei dettagli la costa dell'Acadia e la rete degli affluenti del San Lorenzo fino alla regione del Lago Erie. Champlain, che sapeva determinare la latitudine basandosi sulla posizione delle stelle e del Sole, dopo aver letto la Mecometrie de Leymant (1603) di Guillaume de Nautonier, si convinse che era possibile usare le linee della declinazione magnetica costante per giungere alla determinazione della longitudine. Egli informava i lettori che la carta geografica più grande era destinata a coloro che decidevano di navigare verso il nuovo mondo senza correggere le loro bussole, che in Francia inclinavano verso nord-est. Nell'opera Champlain presentò anche un'altra mappa della Nuova Francia basata 'sul suo vero meridiano', in cui cioè il Nord era disposto verso nord-est; l'autore aveva scelto questa orientazione basandosi sulle sue osservazioni della declinazione magnetica. Champlain seguitò a interessarsi di navigazione fino al termine della sua lunga carriera; dopo aver compiuto più di venti viaggi verso la Nuova Francia, pubblicò il Traité de la marine et du devoir d'un bon marinier (1632), in cui raccomandava ai lettori di imparare a usare diversi tipi di strumenti e di tecniche di navigazione. Champlain concludeva la sua esposizione con una lungimirante osservazione in cui sottolineava l'importanza di individuare e incoraggiare i bravi navigatori.

Trent'anni dopo la pubblicazione dell'opera di Champlain, la navigazione del San Lorenzo era, secondo Talon, ancora estremamente pericolosa, nonostante il lavoro del topografo Jean Bourdon che aveva tracciato la mappa del percorso del fiume fino a Montreal. All'inizio degli anni Sessanta, un donné che lavorava alle dipendenze dei gesuiti, Martin Boutet de Saint-Martin iniziò a insegnare matematica presso il collegio gesuitico di Québec. Nel 1671, Talon scrisse a Colbert per informarlo della scarsa disponibilità di esperti navigatori nella colonia, affermando di aver spinto a occuparsi della loro formazione lo stesso Boutet, il quale, a suo parere, avrebbe dovuto ricevere un compenso dalla Corona per il lavoro svolto. Queste iniziative rispondevano all'esigenza di migliorare le conoscenze idrografiche, elemento fondamentale del più vasto programma di riforma della marina francese intrapreso dal ministro Colbert. Nel XVII sec., i problemi della navigazione erano studiati nell'ambito della scienza dell'idrografia che, a sua volta, era una branca della matematica applicata, come dimostra, per esempio, il caso dell'Hydrographie (1643) del frate gesuita e professore di matematica al collegio di La Flèche, Georges Fournier. Nella seconda metà del XVII sec., l'idrografia entrò a far parte dei programmi di studio, soprattutto nelle istituzioni gesuitiche che concessero più spazio all'insegnamento della matematica ‒ impartito nei corsi ordinari di filosofia naturale, incentrati sulla lettura della Fisica di Aristotele ‒ per rispettare le priorità indicate dalla Corona. L'esempio del collegio dei gesuiti di Québec illustra bene questa tendenza.

Sembra che l'influenza esercitata sui navigatori canadesi da Boutet sia stata determinante. Nel 1685, subito dopo aver assunto l'incarico di governatore della Nuova Francia, Jacques René de Brisay de Denonville fece sapere che con la morte di Boutet si era creato un grande vuoto; inoltre, in una lettera al marchese di Seignelay, il figlio di Colbert e il suo successore al Ministero della marina, Denonville, suggerirono i nomi di due persone in grado di sostituirlo, vale a dire Jean-Baptiste-Louis Franquelin e l'esploratore Louis Jolliet. Già noto per il lavoro cartografico svolto per il governo coloniale, nel 1686 Franquelin fu nominato idrografo reale e iniziò a ricevere uno stipendio annuale.

La creazione di questa carica rivela l'importanza attribuita all'idrografia nella colonia, la cui sopravvivenza era strettamente legata alla navigazione fluviale. Franquelin mostrò tuttavia maggiore interesse per l'attività cartografica che per l'insegnamento e nel 1692 rientrò in Francia, dove seguitò a dedicarsi alla realizzazione di carte del nuovo mondo. Nel 1697 fu sostituito da Jolliet, scelto per questo incarico in considerazione dei lunghi viaggi che aveva compiuto nella Nuova Francia e, in particolare, per l'esplorazione del Mississippi, condotta insieme al gesuita Jacques Marquette, per quella della Baia di Hudson e per il rilievo delle coste del Labrador. Nel frattempo, i gesuiti avevano istituito un corso di idrografia a Montreal affidandolo a Claude Chauchetière; inoltre organizzarono corsi di idrografia a Québec sia durante l'assenza di Franquelin sia dopo la morte di Jolliet.

Mettendo a frutto le matematiche applicate che facevano parte della loro formazione, i gesuiti della Nuova Francia studiarono a lungo le eclissi lunari, le altezze del Sole e la variazione magnetica e utilizzarono queste ricerche per disegnare la mappa delle loro sedi missionarie situate in aree sempre più remote. Anche i problemi della navigazione dei corsi d'acqua interni che formavano il sistema dei Grandi Laghi spinsero i gesuiti a osservare i venti, le maree e le correnti, sia dei corsi d'acqua che collegavano il Lago Huron con il Lago Michigan sia della Green Bay. A eccezione di Jean Deshayes ‒ cui i gesuiti prestarono strumenti matematici e libri ‒ gli idrografi reali che nel XVIII sec. operarono nella Nuova Francia facevano tutti parte della Compagnia di Gesù e insegnavano presso il collegio che l'Ordine aveva fondato nel Québec.

Le Indie olandesi

La scienza di corte nel Brasile olandese

La Compagnia olandese delle Indie Occidentali, fondata nel 1621, conquistò ben presto il controllo del Brasile, sottraendolo al Portogallo, e nominò il conte Giovanni Maurizio di Nassau-Siegen governatore generale della regione, che fu amministrata dagli Olandesi fino al 1654. Nei sette anni in cui ricoprì la carica (1637-1644), il conte di Nassau-Siegen si circondò di una corte principesca, che comprendeva un gruppo di studiosi e artisti europei incaricati di documentare le ricchezze del Brasile, di un giardino esotico e di una collezione di uccelli rari.

Tra i membri della corte spicca il nome di Georg Markgraf, che aveva studiato botanica e astronomia in molte università europee e in particolare a Rostock, Stettino e infine a Leida; Markgraf, trasferitosi in Brasile per conto della Compagnia delle Indie, suscitò l'interesse del governatore per le sue conoscenze in campo ingegneristico. Il conte di Nassau-Siegen gli assegnò una scorta personale per proteggerlo durante i suoi viaggi di studio sulla flora brasiliana e gli affidò l'incarico di costruire un osservatorio astronomico in una delle sue dimore.

Nonostante fosse stato richiamato in patria dalla Compagnia delle Indie dopo pochi anni, il conte di Nassau-Siegen volle lasciare un segno duraturo della sua attività di governo e, una volta in Olanda, finanziò la pubblicazione dei materiali raccolti da Markgraf e da Willem Pies, che aveva studiato medicina a Caen prima di accompagnarlo in Brasile come medico personale del governatore e direttore sanitario delle truppe olandesi.

Markgraf aveva intenzione di comporre un'ambiziosa opera di astronomia e cosmografia che avrebbe dovuto comprendere le osservazioni del cielo meridionale, realizzate con strumenti del tipo di quelli utilizzati da Tycho Brahe, una nuova teoria dei moti di Venere e di Mercurio, ricerche sulla rifrazione, sulla parallasse e sulle macchie solari, materiale geografico e tavole astronomiche. Dopo la prematura scomparsa di Markgraf, il suo professore di astronomia a Leida, Jacob Gool (Golius), assunse l'incarico di curatore dei suoi manoscritti, la maggior parte dei quali rimase tuttavia inedita. Nonostante fossero scritte in linguaggio cifrato, le note di Markgraf sulla flora, la fauna e gli indigeni del Brasile furono finalmente pubblicate, insieme alle sue osservazioni di carattere meteorologico e geografico, nella grande Historia naturalis Brasiliae (1648) da Johannes de Laet, uno dei dirigenti della Compagnia delle Indie Occidentali. L'opera edita da Johannes de Laet, che comprendeva anche i testi di Piso su 'aria, acqua e luoghi', malattie, veleni e materia medica del Brasile, consisteva in un massiccio volume in folio, corredato da molte centinaia di xilografie, basate in gran parte sui disegni di artisti recatisi in Brasile al seguito del conte di Nassau-Siegen.

'Barbari meridionali' e medici 'dai capelli rossi' in Giappone

L'arrivo del gesuita Francesco Saverio (Francisco Xavier) segnò nel 1549 l'inizio del cosiddetto 'secolo cristiano' del Giappone. Riflettendo sulle sue esperienze e sulla curiosità manifestata dai Giapponesi per le conoscenze del mondo naturale possedute dai gesuiti, come quelle riguardanti la sfericità della Terra o le cause della grandine, Francesco Saverio osservò che tali discussioni conferivano ai gesuiti un notevole prestigio culturale agli occhi dei Giapponesi e raccomandò quindi al fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, di inviare in Giappone missionari esperti della 'sfera celeste' e di altri fenomeni naturali. Alcuni concetti cosmologici entrarono così a far parte dell'apologetica cristiana, come nel caso del gesuita giapponese Fabian Fucan, che nel Myotei mondo (Dialogo Myotei) del 1605 si servì dell'argomento della sfericità della Terra per confutare la credenza buddhista nel paradiso occidentale. Le ragioni portate dai gesuiti non apparivano sempre convincenti. In un dibattito con Fabian, svoltosi l'anno successivo, l'erudito giapponese Hayashi Razan criticò ripetutamente l'idea della sfericità della Terra, contestando in particolare la nozione aristotelica secondo cui il moto naturale della Terra sarebbe diretto verso il centro dell'Universo.

Nei primi decenni del XVII sec., lo shogunato dei Tokugawa decise di isolare il Giappone dall'influenza del Portogallo e della religione cristiana, ricorrendo ad abiure forzate, a esecuzioni di convertiti e missionari cristiani e proibendo l'importazione di libri cinesi contenenti dottrine di origine europea. Il bando, emanato nel 1630, era diretto in particolare contro opere come il Tianxue chuhan (Fondamenti di astronomia, 1626) e altri testi composti in quel periodo dai missionari gesuiti residenti in Cina che in molti casi riguardavano materie come la geografia, l'idraulica, l'astronomia e la matematica. Ciò non impedì tuttavia la sopravvivenza nel Giappone del XVII sec. di una tradizione di Nanban-gaku, o 'dottrina dei barbari meridionali', nome con cui erano indicati i Portoghesi. Un manoscritto della fine del XVI sec., redatto in Giappone a scopi didattici dal gesuita Pedro Gomez (1535-1600), servì da base per il trattato di astronomia di Kobayashi Yoshinobu, che comprendeva la discussione dei modelli epiciclici, delle sfere celesti e dell'osservazione telescopica. Imprigionato per circa vent'anni perché sospettato di aderire al cristianesimo, Kobayashi fu rilasciato nel 1667 e divenne docente di astronomia a Nagasaki.

Il gesuita Christovão Ferreira rinnegò sotto tortura la sua fede nel 1633, dopo oltre due decenni di lavoro come missionario nel paese. Ferreira, che aveva raggiunto la carica di vice-provinciale per il Giappone, si convertì al buddhismo, assumendo il nome di Sawano Chuan. Basandosi forse sulla traduzione di un testo portato in Giappone nel 1643 da un gruppo di gesuiti ‒ tutti costretti ad abiurare ‒, Ferreira redasse una descrizione aristotelica dell'Universo, comprendente i quattro elementi, le quattro qualità, la sfericità, l'immobilità e la centralità della Terra e una vasta gamma di fenomeni terrestri, aggiungendo a tutto questo materiale una discussione particolareggiata dell'astronomia sferica tolemaica, in cui venivano affrontati argomenti quali il numero, l'ordine e il moto delle sfere celesti, l'ineguaglianza dei giorni e le dimensioni dell'Universo. Con l'aiuto di un traduttore, l'erudito confuciano Mukai Gensho trascrisse in caratteri giapponesi il testo di Ferreira, aggiungendovi una prefazione e un commento. L'opera, intitolata Kenkon bensetsu (Cielo e Terra con commentari, 1650 ca.), circolò in numerose versioni manoscritte. Molti altri testi a stampa o manoscritti riflettevano concezioni cosmologiche derivate dai libri redatti in cinese dai gesuiti. Fu proprio il figlio di Mukai Gensho, Mukai Gensei, nominato ispettore dei libri, a estendere le proibizioni contenute nel bando negli ultimi decenni del secolo; il divieto rimase in vigore fino al 1720.

I contatti con i Portoghesi diedero origine a una tradizione di Nanban-ryugeka (Chirurgia in stile barbaro meridionale), che è anche il titolo di un manoscritto attribuito a Ferreira e ancora esistente. Si è ipotizzato tuttavia che Ferreira avesse acquisito le proprie conoscenze in campo medico osservando i medici olandesi all'opera, e in effetti il testo, che contiene informazioni sulla teoria umorale, il trattamento delle ferite e la materia medica, fu pubblicato verso la fine del secolo con il titolo Oranda-ryu geka (Chirurgia in stile olandese). Nel corso della tumultuosa imposizione della politica di isolamento del paese, o sakoku, da parte degli shogun, i rappresentanti della Compagnia olandese delle Indie Orientali riuscirono a ottenere un trattamento privilegiato rispetto ai Portoghesi e agli Spagnoli, che nel 1640 furono totalmente banditi dal Giappone. Il controllo completo del commercio con l'Europa comportò anche un sostanziale monopolio dello scambio di conoscenze scientifiche tra il Giappone e l'Occidente, che permise ai rappresentanti della Compagnia olandese delle Indie Orientali di soppiantare i gesuiti quali mediatori dello scambio culturale. La presenza continua in Giappone degli Olandesi, benché limitata quasi esclusivamente all'Isola di Deshima nella Baia di Nagasaki, suscitò un crescente interesse per le pratiche seguite dai medici e dai chirurghi in servizio presso il fondaco della Compagnia olandese delle Indie Orientali. Intorno alla metà del secolo, le visite effettuate alla corte dello shogun a Edo dal medico Caspar Schamberger, in qualità di membro di due ambascerie olandesi, suscitarono molto interesse e diedero origine a una tradizione di Caspar-ryu geka (Chirurgia in stile Caspar). I successori di Schamberger rilasciavano addirittura certificati di competenza in medicina e chirurgia olandese a terapeuti giapponesi, che in molti casi avevano svolto in precedenza la funzione di interpreti. Negli ultimi decenni del secolo, la carica di medico del Bakufu (shogunato) fu assegnata a professionisti giapponesi esperti in medicina olandese e la tradizione Komo geka (Chirurgia dai capelli rossi) continuò a essere coltivata per gran parte del XVIII secolo.

I gesuiti nella Cina imperiale

Le testimonianze che abbiamo già esaminato documentano ampiamente l'attenzione con cui i missionari europei della prima Età moderna si dedicavano allo studio dei nuovi mondi che intendevano cristianizzare. Matteo Ricci non comprese immediatamente il valore che le nozioni di astronomia e di matematica, apprese seguendo le lezioni tenute al Collegio Romano dal celebre Cristoforo Clavio, potevano avere per il successo della sua missione in Cina. Ben presto, però, lui e i suoi colleghi missionari si sbarazzarono del saio e dell'aspetto esteriore di monaci buddhisti, che avevano inizialmente assunto in Cina, per adottare le lunghe barbe, le vesti di seta e i privilegi sociali dei letterati confuciani; impararono inoltre a mettere a frutto la curiosità che gli orologi, le carte e gli strumenti astronomici europei esercitavano sull'élite cinese. Gli studiosi cinesi erano ansiosi di conoscere di persona l'autore di una carta che descriveva in modo così particolareggiato il mondo al di là dei confini cinesi. L'edizione pechinese del 1602 della carta del mondo di Ricci era infatti riccamente corredata di nomi di luoghi, descrizioni geografiche e saggi su diversi aspetti della filosofia della Natura europea, tra cui la sfericità della Terra, le cinque zone climatiche, il sistema latitudinale e longitudinale, una discussione del problema delle eclissi e un diagramma cosmologico geocentrico completo delle nove sfere celesti.

Per arricchire questa sintetica descrizione del mondo naturale, Ricci e i suoi confratelli missionari fecero ricorso soprattutto a opere gesuitiche rappresentative della filosofia naturale europea degli inizi del XVII secolo. Un breve testo riguardante la sfera celeste, scritto nel XIII sec. da Giovanni di Sacrobosco, era stato oggetto di un ampio commentario da parte di Clavio; l'opera fu ristampata più volte all'inizio del Seicento e costituì la principale fonte di informazioni sulla cosmologia aristotelica dei primi missionari gesuiti in Cina. Ricci portò a termine con l'aiuto dello studioso Xu Guangqi, convertitosi al cristianesimo, la traduzione dei primi sei libri del manuale di geometria euclidea di Clavio, e collaborò con Xu e un altro famoso convertito, Li Zhizao, per volgere in cinese erudito altri scritti di Clavio sulla matematica e sugli strumenti astronomici. Negli ultimi decenni della dinastia Ming (1368-1644), i successori di Ricci trattarono nei loro scritti diversi aspetti della filosofia naturale di Aristotele, servendosi spesso dei cosiddetti Conimbricenses, commentari aristotelici basati sulle direttive diramate dal collegio gesuitico delle arti di Coimbra, e pubblicati in numerose edizioni tra il 1592 e il 1631 in Portogallo, Francia, Venezia e Sacro Romano Impero. Nicola Longobardi, Alfonso Vagnone e Francisco Furtado attinsero ai Meteorologica e al De caelo et mundo per elaborare testi su una vasta gamma di fenomeni terrestri. Giulio Aleni e Francesco Sambiasi basandosi sul De anima e sui Parva naturalia diffusero le concezioni aristoteliche relative alla psicologia umana e allo studio degli esseri viventi. Sia Aleni che Johann Adam Schall von Bell esposero ai lettori cinesi i principî della teoria galenica della fisiologia umana, mentre Aleni scrisse anche alcune opere geografiche in cui magnificava il sistema dell'istruzione e le tradizioni culturali europee. Johann Schreck e Giacomo Rho composero opere sull'anatomia umana, basate principalmente, nel caso di Rho, sulle ricerche di Ambroise Paré (1510-1590).

Scienza mandarina

I gesuiti cercarono anche di ottenere, da parte dell'amministrazione cinese, un riconoscimento ufficiale delle conoscenze scientifiche europee. Nel 1612, Xu Guangqi e Sabatino de Ursis collaborarono alla stesura di un testo di tecnologia idraulica dal titolo Taixi shuifa (Metodi idraulici dal grande Occidente), in cui si affrontavano problemi relativi all'irrigazione agricola e al controllo delle acque; Xu aveva studiato a lungo questo testo per la sua attività di pubblico funzionario. Intorno al 1625, un altro convertito cristiano, Wang Zheng, collaborò con Johann Schreck alla stesura di un testo dedicato alla meccanica e ai congegni meccanici, al quale Wang aggiunse un suo saggio sulle macchine agricole.

Un decennio più tardi, Li Tianjing, scrisse ripetutamente alla corte imperiale per suggerire l'adozione delle tecniche occidentali di estrazione e di lavorazione dei metalli, disponibili nella traduzione del De re metallica di Agricola effettuata da Schall; queste tecniche avrebbero potuto rivelarsi molto utili nella guerra contro i Manciù. Nel 1643 Schall presentò all'imperatore questo testo, insieme a un'opera sulle armi da fuoco. Negli ultimi mesi di regno della dinastia Ming, l'imperatore Chongzhen ordinò la distribuzione del testo di Schall ai governatori delle province, e allo stesso Schall di lasciare la capitale e di recarsi al fronte per insegnare alle truppe le tecniche occidentali di estrazione dei minerali, di fabbricazione delle armi da fuoco e di conservazione dell'acqua.

L'argomento più efficace a sostegno dell'aspirazione dei gesuiti a un riconoscimento ufficiale da parte dell'amministrazione cinese si rivelò nel lungo periodo la loro conoscenza dell'astronomia. Il problema della riforma del calendario cinese aveva assunto un carattere di urgenza a partire dal 1590, quando i funzionari Ming cominciarono a discutere le proposte per correggere il sistema allora utilizzato dall'Ufficio astronomico imperiale (Qintianjian). La preparazione del calendario divenne un vero e proprio affare di stato con importanti implicazioni cosmologiche e politiche. Nel 1605, Ricci scrisse dalla capitale cinese una lettera ai suoi superiori a Roma chiedendo l'invio di un gesuita esperto nella compilazione delle effemeridi e aggiungendo che una partecipazione alla riforma del calendario avrebbe enormemente aumentato il prestigio e la posizione dei gesuiti all'interno della società cinese. A partire dal 1610, il ministro dei Riti, che sovrintendeva ai lavori dell'Ufficio astronomico, prese atto delle proposte di collaborazione dei gesuiti, alcuni dei quali furono indicati come esperti di scienza calendaristica. In attesa di un riconoscimento ufficiale, i gesuiti continuarono a produrre opere di introduzione alle scienze europee per i lettori cinesi. Nel 1626, Li Zhizao pubblicò il Tianxue chuhan, una raccolta di venti opere scritte dai gesuiti e dai loro convertiti sin dai tempi di Ricci. Dei primi dieci titoli, compresa una sezione dedicata ai li (principî naturali), facevano parte il testo di Sambiasi sull'anima, le discussioni di Aleni sulla geografia mondiale e sul sistema di istruzione europeo. La seconda sezione, dedicata ai qi (fenomeni concreti), raccoglieva opere di idraulica, matematica e astronomia, tra cui il Tianwen lüe (Catechismo celeste, 1615) di Manuel Díaz, notevole soprattutto per l'esposizione sintetica dei risultati delle osservazioni telescopiche di Galilei: le fasi di Venere, le quattro lune di Giove, l'aspetto di Saturno e la composizione della Via Lattea, formata da una miriade di piccole stelle.

Nel 1629, il ministro dei Riti, in seguito alla previsione di un'eclisse presentata all'Ufficio astronomico da Xu Guangqi e rivelatasi più precisa dei calcoli degli esperti cinesi e musulmani, ordinò la costituzione a Pechino di un nuovo Ufficio per la riforma del calendario, del quale entrarono a far parte non solo i fautori di più vecchia data della 'sapienza celeste' occidentale ‒ Xu Guangqi, Li Zhizao, Li Tianjing e Longobardi ‒ ma anche gesuiti giunti più recentemente, come Johann Schreck, Giacomo Rho e Johann Adam Schall von Bell, partiti dall'Europa tutti insieme nel 1618 con Nicolas Trigault proprio per partecipare a questo progetto. In un memoriale presentato nel 1629 all'imperatore, Xu Guangqi elencava i problemi astronomici che attendevano ancora una soluzione: i valori della precessione degli equinozi, l'anno tropicale e l'obliquità dell'eclittica, i moti apparenti e reali del Sole e della Luna, le teorie planetarie e la previsione delle eclissi. A partire dal 1630, Schreck, Rho, Schall e i loro numerosi colleghi cinesi produssero una grande varietà di testi in cinese che riguardavano la riforma del calendario, le teorie planetarie, le tavole per calcolare le posizioni dei pianeti completate dalla spiegazione dei procedimenti matematici necessari, le effemeridi, gli atlanti del cielo e le descrizioni di strumenti. Questi testi, presentati tra il 1631 e il 1635, divennero noti come i Chongzhen lishi (Scritti sul calendario del regno di Chongzhen), dal nome dell'imperatore allora in carica.

Studi recenti hanno dimostrato che il progetto di riforma del calendario si basava sulle tecniche di osservazione e di calcolo messe a punto da Tycho Brahe e dai suoi successori, Christen Sørensen (Longomontanus) e Kepler. Infatti i parametri tecnici, i valori e i metodi applicati nei testi di questa raccolta dedicati al moto del Sole e della Luna, alle teorie e alle tavole planetarie derivano chiaramente dalle teorie dell'astronomo danese e sono tratti in gran parte dalle opere di Longomontanus, che le aveva pienamente sviluppate nell'Astronomia danica (1622). Anche le descrizioni degli strumenti astronomici e dei metodi di osservazione offerte dai gesuiti risentono di un analogo influsso. Secondo Xu Guangqi, uno dei compiti principali dell'Ufficio astronomico doveva essere la costruzione di nuovi strumenti astronomici; la maggior parte di quelli di cui si parla in questi testi erano basati sugli strumenti utilizzati da Tycho e descritti nell'Astronomiae instauratae mechanica (1598). Schall e Rho attinsero abbondantemente anche all'Astronomia pars optica (1604) di Kepler per illustrare i metodi e gli strumenti necessari a un'osservazione accurata delle eclissi e dei diametri solari e lunari e per spiegare alcuni particolari fenomeni ottici, quali gli effetti della rifrazione atmosferica sulle eclissi lunari.

Si è scritto molto sull'incapacità dei gesuiti di introdurre in Cina la teoria eliocentrica dell'Universo, un difetto di trasmissione culturale che molti studiosi moderni hanno addebitato alla necessità per i gesuiti di aderire alle posizioni assunte dalla Chiesa cattolica nel 1616 in materia di eliocentrismo. Oltre alla situazione europea, tuttavia, occorre prendere in considerazione anche le condizioni in cui gli astronomi gesuiti si trovavano a operare in Cina. Nel 1612, Sabatino de Ursis preparò per i suoi superiori un rapporto completo sulla questione della riforma del calendario, spiegando che si trattava principalmente di risolvere due problemi astronomici. Il primo era quello della precessione degli equinozi; il secondo riguardava i moti planetari per riuscire a formulare una previsione accurata delle eclissi. Più di dieci anni dopo, la stessa valutazione era espressa da Schreck in una richiesta di aiuto rivolta ai confratelli matematici dell'Università di Ingolstadt, ai quali domandava di inviare in Cina tutte le opere significative di Galilei, che era stato suo collega all'Accademia dei Lincei, oltre all'Hipparchus promessogli tempo prima da Kepler, e che avrebbe dovuto affrontare i complessi problemi sollevati dai fenomeni relativi alle eclissi. L'Ufficio astronomico era un organismo aperto e competitivo, in cui i gesuiti dovevano dimostrare la loro superiorità teorica e tecnica sugli stimati rappresentanti di una lunga tradizione indigena di ricerca astronomica, e la loro posizione, anche dopo avere ottenuto il riconoscimento di astronomi ufficiali da parte della nuova dinastia mancese, non fu mai definitivamente consolidata. In queste condizioni, è probabile che la scelta di privilegiare l'attendibilità delle previsioni rispetto alla realtà cosmologica sia dipesa non solo dalla specificità dei compiti assegnati all'Ufficio astronomico, ma anche dalla necessità di seguire le decisioni prese dalla Chiesa di Roma.

Le ambizioni scientifiche dei gesuiti in Cina superarono indenni il cambiamento dinastico del 1644. Schall criticò il calendario preparato dall'Ufficio astronomico e presentò la previsione di un'eclisse solare che si rivelò più esatta di quelle effettuate secondo i metodi cinese e musulmano. Ricompensato nel 1645 con un'investitura ufficiale, Schall rimase a capo dell'Ufficio astronomico per oltre vent'anni. Dopo aver cancellato il nome del precedente imperatore dai materiali tradotti da Xu Guangqi e dai suoi confratelli negli ultimi anni della dinastia Ming, Schall presentò al nuovo imperatore una versione riveduta della raccolta, con il titolo Xiyang xinfa lishu (Scritti calendaristici secondo il nuovo metodo occidentale), insieme a un calendario, anch'esso preparato secondo il metodo occidentale. Questa scelta si rivelò tuttavia un errore tattico. Nella sua raccolta di saggi anticristiani, Budeyi (Non posso fare altrimenti, 1665), Yang Guangxian denunciava i pericoli di instabilità politica derivanti dall'adozione dei nuovi metodi calendaristici e sottolineava l'importanza da un punto di vista culturale della conservazione degli antichi metodi cinesi e musulmani. Questo problema andò a sommarsi alle accuse rivolte ai missionari di complottare contro il governo e agli attacchi all'attività svolta da Schall presso l'Ufficio astronomico. Infine, il cambiamento di clima politico intervenuto durante la reggenza Oboi (1661-1669) portò alla rimozione di Schall dal suo incarico, agli arresti domiciliari per lui e per i suoi confratelli a Pechino e al bando degli altri missionari cristiani che operavano nelle province.

Pochi anni più tardi, tuttavia, Ferdinand Verbiest, seguendo l'esempio di Schall, tornava a denunciare gli errori contenuti nei calendari presentati all'Ufficio astronomico. Quando il giovane imperatore Kangxi chiese a diversi scienziati di fornire la spiegazione di alcuni fenomeni celesti, Verbiest risultò vittorioso in questa competizione scientifica e, grazie all'intervento dell'imperatore stesso, ristabilì il controllo dei gesuiti sui lavori dell'Ufficio. Verbiest raccolse nel 1678 sotto il titolo Xinfa suanshu (Astronomia matematica secondo nuovi metodi) la maggior parte dei testi già presentati all'imperatore da Schall, vi aggiunse una serie di effemeridi 'perpetue' contenenti la previsione delle posizioni planetarie per i duemila anni successivi, e l'offrì all'imperatore Kangxi come augurio per il suo regno. Verbiest apportò inoltre alcuni importanti cambiamenti alla strumentazione dell'Osservatorio di Pechino, facendo costruire, tra il 1669 e il 1673, sei grandi strumenti di bronzo, sul modello di quelli utilizzati da Tycho Brahe, che rappresentavano la migliore strumentazione disponibile in Europa per l'osservazione posizionale all'epoca in cui Verbiest era partito per la Cina.

Scienza per un imperatore

Dopo il 1669, i gesuiti della capitale cinese cercarono di dimostrare che il loro sapere scientifico superava di molto i limiti imposti dalle mansioni che essi svolgevano all'Ufficio astronomico e si estendeva fino a comprendere tutte le branche della matematica applicata europea: gnomonica, balistica, agrimensura, meccanica, ottica, catottrica, prospettiva, statica, idrostatica, idraulica, pneumatica, musica, orologeria e meteorologia. Nell'Astronomia europaea (1687), Verbiest descrive in che modo con gli altri confratelli fosse stato incaricato della fusione di un nuovo cannone, di progettare un sistema di carrucole per il sollevamento dei carichi pesanti e di fabbricare meridiane, pitture anamorfiche, telescopi, pompe idrauliche, strumenti musicali, orologi, un termometro e molti altri congegni meccanici. Per molti mesi consecutivi, Verbiest si recò quotidianamente a far visita all'imperatore Kangxi allo scopo di illustrargli personalmente il contenuto degli scritti scientifici dei gesuiti. L'interesse dell'imperatore per la matematica e l'astronomia europee si estendeva anche agli aspetti pratici e Kangxi volle imparare i metodi per misurare le distanze e i nomi di tutte le stelle. Tuttavia, i tentativi di Verbiest di estendere la diffusione della cultura europea al di fuori delle ristrettezze burocratiche e di corte, rendendola alla portata del pubblico colto, incontrarono ostacoli insormontabili. Per esempio, egli cercò di convincere l'imperatore a concedere il sostegno ufficiale alla pubblicazione di un'edizione cinese di un manuale di filosofia europea (ovvero aristotelica), sostenendo che questo tipo di conoscenze erano indispensabili per una corretta comprensione dell'astronomia matematica europea già adottata dall'Ufficio astronomico. La sua richiesta fu respinta da Kangxi.

I concitati appelli rivolti da Verbiest ai suoi confratelli europei affinché collaborassero all'attività scientifica svolta dalla missione in Cina trovarono una corrispondenza nei tentativi messi contemporaneamente in atto dall'Académie des Sciences di Parigi per ampliare i confini geografici della propria attività scientifica. L'Académie aveva già finanziato una serie di viaggi scientifici, inviando i suoi membri e allievi in località situate nella provincia francese o in paesi stranieri, come l'Acadia, la Danimarca, la Caienna, le Isole di Capo Verde e le Antille, allo scopo di effettuare ricerche astronomiche e geografiche. Intorno al 1680, Gian Domenico Cassini propose a Jean de Fontenay, professore di matematica al collegio dei gesuiti di Parigi, di partecipare ai progetti scientifici dell'Académie. Quando de Fontenay e i suoi confratelli gesuiti partirono per la Cina nel 1685, lo fecero quindi in qualità di mathématiciens du roi e di membri dell'Académie, portando con sé libri, strumenti e tecniche rappresentativi della scienza accademica francese, una memoria sulla vita delle piante di Denis Dodart (1634-1707), alcuni orologi calibrati all'Observatoire di Parigi e le effemeridi per i satelliti di Giove di Cassini, corrette a mano dopo la loro pubblicazione, avvenuta nel 1668. I gesuiti effettuarono una prima tappa nel Siam, dove montarono i propri telescopi e pendoli alla presenza del re, in occasione di un'eclisse di Luna. La visita fruttò ai gesuiti la promessa da parte del re Narai di edificare chiese e osservatori per accogliere nuovi missionari-matematici provenienti dalla Francia. L'anno seguente una missione diplomatica siamese si recò in visita a Parigi, dove ebbe modo di assistere a una dimostrazione del funzionamento di una pompa d'aria e di visitare l'osservatorio reale. Gli ambasciatori siamesi tornarono nel loro paese nel 1687, portando con sé numerosi doni del re francese, tra cui orologi, pendoli, un globo celeste e uno terrestre, molti strumenti matematici, oltre a quattordici matematici gesuiti.

Le speranze francesi di stabilire una presenza militare, commerciale e scientifica nel Siam furono bruscamente smorzate dalla morte di Narai, nel 1688. A quel tempo, tuttavia, il primo gruppo di gesuiti francesi era finalmente riuscito a raggiungere la Cina. Come afferma orgogliosamente Joachim Bouvet (1656-1730) nel Portrait historique de l'empereur de la Chine, i nuovi missionari istruirono personalmente l'imperatore su una grande varietà di argomenti, dalla matematica e dall'astronomia alla filosofia, all'anatomia, alla chimica e alla farmacologia. I gesuiti francesi attinsero a loro volta copiosamente alle opere dei membri dell'Académie des Sciences, come Cassini, Jean-Baptiste Du Hamel, Joseph-Guichard Duverney, Moyse Charas e Philippe de La Hire. Un esempio delle preferenze dei gesuiti francesi si ritrova nella decisione di non adottare l'edizione curata da Clavio delle opere di Euclide, tradotte in cinese da Ricci e Xu Guangqi. La scelta cadde invece sugli Elements de géométrie (1671) di Ignace-Baptite-Gaston Pardies, predecessore di Fontenay alla cattedra di matematica del collegio dei gesuiti di Parigi, che privilegiava la chiarezza e la semplicità dell'esposizione, sopprimendo le dimostrazioni troppo difficili.

I tentativi dei gesuiti francesi di espandere la propria area di influenza culturale in Cina non furono sempre accolti favorevolmente dai loro confratelli portoghesi, alcuni dei quali vedevano nella missione francese un tentativo di Luigi XIV di aggirare il padroado, cioè il diritto di patronato ecclesiastico del Portogallo, dal momento che i missionari francesi erano giunti in Cina senza passare per Lisbona e senza chiedere il permesso della Corona portoghese. Altri invece ritenevano che l'arrivo dei Francesi potesse mettere in pericolo l'egemonia esercitata dai gesuiti sull'Ufficio astronomico, dal momento che le novità scientifiche introdotte dai nuovi arrivati sembravano rimettere in discussione la validità delle conoscenze scientifiche europee, così come erano state insegnate ai Cinesi fino ad allora. Louis Lecomte, per esempio, aveva avanzato nei Nouveaux mémoires (1696) alcune critiche alla strumentazione astronomica di cui Verbiest aveva dotato l'Osservatorio di Pechino, rimarcando tra l'altro la mancanza di mirini a cannocchiale ‒ un'innovazione tecnica introdotta verso la fine degli anni Sessanta del Seicento dai membri dell'Académie parigina ‒ e la disomogeneità della graduazione.

Nel 1711, l'imperatore Kangxi, avendo constatato che i suoi calcoli personali riguardanti il solstizio d'estate differivano da quelli forniti dall'Ufficio astronomico, ne chiese ragione ai gesuiti. Su richiesta dell'imperatore, Jean-François Foucquet preparò una serie di saggi in cinese dedicati alle teorie planetarie e alle eclissi. Pur rimanendo nei confini di un impianto teorico sostanzialmente geocentrico, Fouquet non esitò a indicare i diversi punti in cui le teorie astronomiche di Tycho Brahe erano state superate dalle successive ricerche, elencando i numerosi progressi realizzati dall'astronomia di precisione europea e magnificando l'operato dell'Académie des Sciences nella seconda metà del XVII sec., in particolare nei campi degli strumenti di osservazione, dei parametri tecnici e delle tavole astronomiche. Come i suoi predecessori gesuiti, Foucquet si preoccupava più della formulazione di previsioni attendibili che di questioni cosmologiche. Tuttavia, i suoi scritti implicavano una critica all'operato dell'Ufficio astronomico e si traducevano in un'esaltazione della scienza francese. A quel punto Kilian Stumpf, gesuita responsabile dell'Ufficio astronomico, insistette perché tutti i missionari presenti a Pechino presentassero una relazione comune all'imperatore per difendere la reputazione dell'Ufficio. Questo organismo rimase sotto il controllo dei gesuiti appartenenti alla missione portoghese fino allo scioglimento della Compagnia di Gesù, alla fine del XVIII secolo.

La storia del lavoro scientifico svolto dai gesuiti nella Cina del periodo tardo imperiale offre un'eloquente testimonianza delle complesse fortune della scienza europea nei vasti orizzonti del mondo nella prima Età moderna. I professori universitari messicani, gli idrografi canadesi, i coloni puritani e i medici dai capelli rossi non furono gli strumenti passivi della trasmissione della scienza europea. Al contrario, gli europei che operavano nei paesi extraeuropei impiegarono selettivamente sia elementi delle tradizioni europee sia di quelle non europee per il conseguimento di numerosi scopi pratici, da quelli di carattere politico ed educativo a quelli di tipo mercantile e spirituale. Lungi dall'identificarsi con una semplice riproduzione della scienza europea su scala planetaria, la somma degli sforzi collettivi si caratterizza piuttosto come una trasformazione creativa delle conoscenze naturali del vecchio mondo per far fronte alle esigenze di quanti vivevano nei 'nuovi mondi'.

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