La scienza in Cina: dai Qin-Han ai Tang. La terra

Storia della Scienza (2001)

La scienza in Cina: dai Qin-Han ai Tang. La terra

Vera Dorofeeva-Lichtmann
Guo Wentao

La terra

I testi geografici ufficiali dalla dinastia Han alla dinastia Tang

di Vera Dorofeeva-Lichtmann

Nella storiografia imperiale cinese le conoscenze geografiche sono presentate sotto forma di trattati (zhi), ossia presentazioni sistematiche di temi specifici, che sono in tal modo riconosciuti come particolarmente rilevanti per l'ideologia e la pratica imperiali. I trattati ufficiali, come in genere la storiografia imperiale nel suo complesso, hanno avuto origine dalle Memorie di uno storico (Shiji) di Sima Qian (145-86 a.C. ca.), opera che illustra la storia della Cina a partire dal mitico Imperatore Giallo (Huangdi) sino a Wudi (140-87 a.C.) degli Han anteriori. La sezione dedicata ai trattati, designata nelle Memorie di uno storico come shu ('scritto, libro'), nella maggior parte delle storie dinastiche è intitolata zhi ('aspirare a', 'lottare per', termini che indicano l'intento di concentrarsi su un tema specifico), e include sempre uno o due trattati dedicati alla geografia.

Una storia dinastica è il prodotto di un lungo e complesso procedimento di raccolta, compilazione e ricompilazione dei dati, edizione e revisione. La versione finale era redatta e riconosciuta come ufficiale durante una delle dinastie successive, ma si basava su materiali raccolti a questo scopo durante la dinastia in oggetto. Il procedimento di trattamento delle informazioni per la compilazione è stato elaborato e istituzionalizzato soltanto nel periodo finale della dinastia Tang (618-907). La standardizzazione del procedimento storiografico che ne è risultata ha comportato una notevole uniformità delle storie prodotte, permettendo di tracciare una chiara linea di demarcazione tra quelle redatte a partire dagli Han sino ai Tang (alle quali ci si riferirà d'ora in poi con il nome di 'storie dinastiche del periodo antico'), cioè dal 206 a.C. al 907 d.C., e quelle del periodo successivo.

La parola 'geografia' ha avuto origine in una tradizione culturale e scientifica molto diversa da quella cinese; il termine cinese dili, che è stato accettato come l'equivalente di 'geografia' nel momento della diffusione in Cina delle moderne scienze occidentali, significa letteralmente 'disegno della Terra', 'struttura della Terra' o 'organizzazione terrestre' e non 'descrizione della Terra'. Inoltre, il termine dili ha avuto origine in un contesto considerevolmente diverso. La prima occorrenza di questo termine ‒ insieme al termine contrapposto tianwen o 'disegno celeste' ‒ si trova in uno dei testi collegati a una famosa opera di divinazione, il Classico dei mutamenti (Yijing), e precisamente nella prima parte, par. 3 delle Sentenze aggiunte (Xici, metà del III sec.-inizio del II sec. a.C.).

La scelta di dili come equivalente di 'geografia' è direttamente collegata al ruolo centrale che questo termine assunse nella storiografia ufficiale. Infatti, dopo essere stato usato nel titolo del trattato geografico Trattato sull'organizzazione terrestre (Dili zhi) della prima storia dinastica propriamente detta, la Storia della dinastia Han [anteriore] (Hanshu) di Ban Gu (32-92 d.C.), esso è divenuto il titolo della maggior parte dei trattati successivi.

I trattati geografici delle storie dinastiche

Gli argomenti che compaiono nei trattati sull'organizzazione terrestre e le unità amministrative del periodo antico sono tre: (1) l'organizzazione terrestre, anche se in un caso (nella Storia della dinastia Wei o Weishu) è usato un termine leggermente diverso, ossia 'forme terrestri' (dixing); (2) le unità amministrative: governatorati e regni (junguo) o prefetture e governatorati (zhoujun); (3) i canali: il Fiume (Giallo) e (i suoi) canali (hequ) e le fosse e i 'fossati per l'irrigazione' (gouxu).

A partire dalla Storia della dinastia Han [anteriore], la sezione dei trattati delle storie dinastiche contiene sempre un titolo dedicato all'organizzazione terrestre o alle unità amministrative. Questa presenza alternata fa pensare che questi enti fossero chiaramente distinti nella storiografia ufficiale. Se si confronta il Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore] con Governatorati e regni (Junguo) della Storia della dinastia Han posteriore (Hou Hanshu), appare chiaramente che i due trattati sono ben diversi nei soggetti e nella struttura, in quanto il secondo è una semplice lista commentata delle unità amministrative, mentre il primo è preceduto da un'introduzione storica. Un'eccezione è rappresentata dal trattato Prefetture e governatorati (Zhoujun) della Storia della dinastia [Liu] Song (Songshu), che contiene un'introduzione storica specificamente dedicata all'organizzazione terrestre.

Il Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore] contiene una sezione che non si ritrova nei trattati successivi, nella quale è delineata una divisione dell'Impero in tredici regioni terrestri o 'terre' (di), denominate e descritte in riferimento ai tredici regni (guo) esistiti nel periodo delle Primavere e autunni (770-481 a.C.) e degli Stati combattenti (480-221 a.C.). L'argomento principale di questa sezione è l'esame delle abitudini (feng) e dei costumi (su) delle popolazioni che abitano le diverse regioni. Secondo la definizione che ne è data all'inizio, mentre le caratteristiche (feng, che significa anche 'vento') sono costanti (chang) e determinate da fattori naturali, come il vento e il qi (fengqi) emanati dalle acque e dal suolo (shuitu) della Terra, i costumi (su), al contrario, sono variabili e legati all'influenza del sovrano e dei funzionari di livello superiore. Feng designa anche un tipo di canti raccolti nella sezione Arie dei regni o Stati (Guofeng, VIII-VI sec. a.C. ca.) del Classico delle odi (Shijing), uno dei Classici confuciani fondamentali. La sezione Arie dei regni o Stati comprende le 'arie' (cioè le correnti dei venti) dei tredici regni e la loro disposizione geografica potrebbe simboleggiare il sistema dei principati durante i Zhou occidentali (XI sec.-771 a.C.). Non deve quindi sorprendere che nella monografia della Storia della dinastia Han [anteriore] il sistema delle 'terre' sia strettamente collegato a quello dei 'venti dei regni'. L'idea che le caratteristiche di un certo territorio e della sua popolazione siano determinate dalla sua posizione è un tema importante nelle discussioni politiche durante il periodo finale degli Stati combattenti e durante gli Han anteriori; l'interesse per tali argomenti nel periodo della formazione dell'Impero rifletteva infatti il senso della necessità di unificazione politica di regioni molto diverse. Per contro, queste tematiche non erano più attuali durante il periodo di disgregazione politica successiva agli Han e ricomparvero nel Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Sui (Suishu), la storia della dinastia che attuò la riunificazione della Cina.

La seconda funzione delle 'terre' è quella di delineare le regioni corrispondenti alle 'case lunari' (xiu) e alle stazioni (ci) di Giove. In altre parole, la serie delle terre era concepita come una proiezione della struttura celeste sulla superficie terrestre. Di norma, la corrispondenza tra le divisioni terrestri e quelle celesti figura nei trattati astronomici, secondo il modello del Libro dei funzionari celesti (Tianguan shu) delle Memorie di uno storico (Shiji, 27).

Nella Storia della dinastia Han [anteriore], Ban Gu considera il sistema delle 'terre' come costitutivo della sua concezione dell'organizzazione terrestre; tuttavia, se prendiamo in esame la posizione che occupa all'interno del trattato, questa sezione risulta una sorta di appendice, un elemento facoltativo. Posta alla fine, introdotta da una particolare prefazione in cui Ban Gu si definisce curatore piuttosto che autore (Hanshu, 286), in essa si afferma che i confini delle diverse terre sono stati tracciati dal famoso letterato Liu Xiang durante il regno dell'imperatore Cheng (32-7 a.C.), per poi essere arricchiti da Zhu Gan (28-4 a.C.) con i 'caratteri e costumi'. Il contributo di Ban Gu sarebbe consistito quindi nell'aver ordinato tutto il materiale in base all'importanza. Tuttavia, sono ancora presenti delle lacune; per esempio, una delle ventotto case lunari non rientra nella corrispondenza tra le terre e le case (una terra corrisponde a un numero di case da una a tre) e le corrispondenze per le dodici stazio-ni di Giove sono date soltanto per quattro terre. In conclusione, i 'caratteri e costumi' e le corrispondenze celesti sono elementi secondari della concezione dell'organizzazione terrestre, anche se le controparti celesti sono sempre presenti in maniera implicita nell'organizzazione terrestre attraverso i trattati dedicati all'astronomia (Trattati sui segni celesti, Tianwen zhi).

Mentre il sistema delle 'terre' compare soltanto nell'opera di Ban Gu per poi essere di nuovo presente nella Storia della dinastia Sui, in tutti i trattati sull'organizzazione terrestre è presente l'elenco delle unità amministrative rappresentate in modo conciso e schematico. Una stessa formula descrittiva è adottata per l'intero trattato, anche se in molti casi tali formule tendono a ridursi verso la fine dell'elenco in cui, di norma, sono prese in considerazione le unità amministrative delle aree periferiche dell'Impero. Queste formule cambiano nei diversi trattati, dando loro una fisionomia propria, pur essendo costruite sempre secondo il principio stabilito nel più antico Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore].

Le successive modifiche nell'analisi delle unità amministrative nelle prime storie dinastiche riguardano in gran parte le prefetture; in generale, la loro descrizione diviene più dettagliata e assume una posizione più rilevante all'interno dell'elenco, inoltre le 'formule' sono molto simili a quelle usate per i governatorati e i regni. Questa evoluzione nel modo in cui i trattati presentano le unità amministrative suggerisce che soltanto con gli Han posteriori le prefetture abbiano svolto un ruolo importante nella pratica amministrativa imperiale. Esse persero poi il loro status di unità amministrative di livello superiore con la dinastia Tang, quando fu introdotto il sistema delle dieci regioni (dao). Ciò fu accompagnato da un notevole cambiamento nella presentazione delle informazioni geografiche nel trattato geografico dell'Antica storia della dinastia Tang (Jiu Tangshu), la prima storia dinastica redatta dopo i Tang.

La definizione di 'organizzazione terrestre' nella Storia della dinastia Han [anteriore]

Le introduzioni storiche ai trattati sull'organizzazione terrestre hanno finora ricevuto scarsa attenzione, essendo state considerate come semplici riferimenti ritualistici all'Antichità. Un esempio significativo è offerto dal Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore], nella cui introduzione è presentato per la prima volta il tema dell'organizzazione terrestre come concezione dello spazio. Questa introduzione storica è stata costruita utilizzando due testi pre-Han: il primo è il capitolo Tributo di Yu (Yugong, V-III sec. a.C.) del Classico dei documenti (Shujing, la più antica opera storica cinese, e uno dei principali Classici confuciani); il secondo è il capitolo Funzionari incaricati dei punti cardinali (Zhifang shi) dei Riti dei Zhou (Zhouli, una retrospettiva idealizzata dei rituali e delle istituzioni dei Zhou occidentali compilata nel tardo periodo degli Stati combattenti).

Il Tributo di Yu è da intendere, più precisamente, come Sistema del Tributo di Yu e fa parte del gruppo dei primi capitoli del Classico dei documenti dedicati ai tre imperatori mitici: Yao, Shun e Yu il Grande. Questi imperatori regnarono in successione, e sia Shun sia Yu subentrarono nella carica in quanto candidati più meritevoli; a partire dal figlio di Yu il potere divenne ereditario e fu fondata la prima dinastia, i Xia (II millennio a.C.). Di questa mitica dinastia narra il capitolo corrispondente delle Memorie di uno storico (Shiji, 1), che, con variazioni di poco conto, riproduce il Tributo di Yu considerato quindi il testo geografico più autorevole sin dall'inizio della storiografia imperiale. In esso si racconta come Yu il Grande abbia messo ordine nel mondo terrestre, dopo aver asciugato le acque della Grande inondazione: "Yu disegnò le terre, aprì le strade attraverso le montagne, tagliò gli alberi, stabilì gli alti monti [e] i grandi fiumi". Yu costruì il mondo suddividendo lo spazio terrestre in Nove prefetture (jiuzhou), tracciando successivamente un sistema di comunicazione (nove rotte terrestri e nove rotte fluviali) e una divisione complementare nelle Cinque zone concentriche (wufu). In ogni caso, l'argomento principale del Tributo di Yu è rappresentato dalla descrizione dettagliata delle Nove prefetture che apre il testo e ne costituisce più della metà.

Il capitolo Funzionari incaricati dei punti cardinali è molto simile al Tributo di Yu sia nel contenuto sia nella struttura, avendo come tema principale le Nove prefetture e le Nove zone concentriche (jiufu). Ban Gu cita soltanto la parte sulle prefetture, considerando questo capitolo gerarchicamente inferiore al Tributo di Yu. La serie delle prefetture differisce in due titoli da quella del Tributo di Yu; inoltre, vi è una considerevole diversità nel modo in cui esse sono localizzate e descritte. Mentre nel Tributo di Yu le prefetture sono definite sulla base di confini naturali (fiumi, montagne e mare), nei Funzionari incaricati dei punti cardinali la posizione della maggior parte di esse è data in riferimento alle direzioni cardinali e intermedie, e conserva la traccia di una rappresentazione basata su una griglia quadrata di tipo 3×3. Le caratteristiche di questa rappresentazione schematica divennero esplicite nelle fonti del tardo periodo degli Stati combattenti e degli Han anteriori. Il tratto più importante in comune tra le due rappresentazioni delle Nove prefetture resta comunque il fatto che in entrambi i casi si fa riferimento a un modello esplicativo regolare e ordinato. A conclusione della citazione tratta dai Funzionari incaricati dei punti cardinali, Ban Gu afferma che le suddivisioni della Terra hanno una corrispondenza in cielo; in questo modo egli completa la descrizione di un ordine cosmico anche se non specifica quali siano le controparti celesti delle prefetture.

Avendo limitato la citazione tratta dai Funzionari incaricati dei punti cardinali alla parte sulle prefetture, Ban Gu finisce col dare particolare importanza a queste unità territoriali in quanto principale suddivisione della Terra nell'Antichità. Il suo scopo è quello d'individuare le tappe di questa divisione dalle origini della storia sino all'epoca dell'imperatore Wu degli Han, in modo da porre in evidenza il rapporto di continuità dell'Impero Han con l'Antichità. La suddivisione del territorio in prefetture è attribuita all'Imperatore Giallo, dal quale, secondo le Memorie di uno storico, ebbe inizio la storia della Cina. L'Imperatore Giallo inventò i mezzi di trasporto (barche e carri) che gli permisero di raggiungere luoghi sino allora inaccessibili; come risultato, egli compì un giro di 'ciò che esiste sotto il cielo' (tianxia) e lo divise in prefetture. Non è specificato quante province stabilì, ma si precisa che comprendevano 10.000 regni; poi, durante il regno del mitico imperatore Yao, allorché si verificò la Grande inondazione, 'ciò che esiste sotto il cielo' fu diviso in dodici province.

Secondo il brano che collega le due citazioni, durante la dinastia Yin non si verificò alcun cambiamento nella suddivisione della Terra. La differenza tra i nomi di provincia nel Tributo di Yu e nei Funzionari incaricati dei punti cardinali può essere spiegata con il modo leggermente diverso d'individuare certe province.

Il periodo che abbraccia le Primavere e autunni, gli Stati combattenti e la dinastia Qin è definito come l'epoca del 'declino' (shuai; Hanshu, 28a), presentato come graduale degenerazione del sistema dei principati (i futuri regni) dei Zhou occidentali. La caratteristica principale di questo sistema, secondo Ban Gu, era la corrispondenza tra l'area occupata da un principato e il rango del suo governante. I criteri di corrispondenza indicati come normativi da Ban Gu, tuttavia, differiscono da quelli che troviamo nei Funzionari incaricati dei punti cardinali. Questi ultimi sono sostituiti da una citazione abbreviata tratta da un tardo compendio sul rituale, le Memorie sui riti (Liji, forse redatto addirittura nel I sec. d.C.), più precisamente dal capitolo Regolamenti reali (Wangzhi). In questo testo le regole che determinano tali corrispondenze sono riportate in modo ben più elaborato e dettagliato; in particolare, è proposto un numero ideale di principati (1773 nei Regolamenti reali, arrotondati a 1800 nel Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore]), che è un numero maggiore di quello proposto all'inizio del trattato dei 1000 principati dell'Imperatore Giallo che avevano superfici tra loro simili. Le tappe del successivo declino sono valutate da Ban Gu quantitativamente rispetto a questo numero simbolico di un ordine ideale. Così, il numero di regni si riduce prima a poche dozzine durante il periodo delle Primavere e autunni, poi a sette durante gli Stati combattenti, e infine si arriva a non avere alcuna divisione nel periodo Qin. Questo momento è considerato come il punto più critico, poiché la divisione del territorio in governatorati e distretti (junxian) è vista come un taglio radicale rispetto all'antica tradizione. Il numero dei governatorati e regni degli Han anteriori elencati in questo trattato (103) pone quindi gli Han su un gradino inferiore rispetto all'antica dinastia 'ideale', quella dei Zhou occidentali, ma superiore rispetto alla fase iniziale del declino. Tuttavia, avendo messo in prima posizione i governatorati, Ban Gu deve accettare che la sua stessa teoria sia contraddetta in favore della realtà; di certo, i governatorati rappresentavano l'ossatura del sistema amministrativo imperiale, mentre i regni erano un fattore destabilizzante, in special modo durante il regno dell'imperatore Wu degli Han.

Per superare questa contraddizione, Ban Gu si sforza di presentare Wudi come il restauratore degli antichi principî della divisione delle terre. Egli afferma che Wudi fondò tredici prefetture sulla base di quelle di Yu e dei Zhou, che adoperò i quattro titoli in cui esse differivano l'una dall'altra, che operò alcuni cambiamenti nei loro titoli comuni e che aggiunse due nuove province in considerazione dell'espansione dell'Impero a nord e a sud. Il ruolo di Wudi è dunque simile a quello di Yu il Grande, poiché egli restaurò l'ordine del mondo e mise in pratica l'antica divisione dei territori. Se le province simboleggiano l''appropriata' organizzazione generale e divisione delle terre, i governatorati e i regni elencati di seguito dovrebbero essere considerati come il risultato concreto dell'applicazione di regole 'corrette' per suddividere il territorio. Tuttavia, come si è detto, non sono forniti dettagli sulla disposizione dei governatorati e dei regni all'interno delle province. Sembra probabile che quelle fondate da Wudi servissero come legame simbolico tra l'Impero Han e la remota Antichità e rivestissero un ruolo di scarsa importanza nella pratica amministrativa.

In conclusione, due idee presentate nell'introduzione storica sono determinanti per la concezione di 'organizzazione terrestre' e cioè la divisione regolare delle terre come simbolo dell'ordine del mondo e l'idea che l'ordine del mondo sia creato dal sovrano. Il ruolo svolto dalle caratteristiche del paesaggio in questa concezione è piuttosto modesto. I principali elementi costitutivi dell'organizzazione terrestre sono unità territoriali amministrative (regni nei tempi antichi, governatorati e regni nel primo periodo imperiale). Rispetto a ciò, il Tributo di Yu, che contiene riferimenti alle caratteristiche del paesaggio e quasi nessuna ai principati o ai regni, pone alcune difficoltà. Al fine di rimediare a questa incoerenza, sia all'inizio sia alla fine dell'introduzione storica è posta particolare enfasi sui regni antichi come parti delle province. I Funzionari incaricati dei punti cardinali sono un caso intermedio, perché qui le caratteristiche del paesaggio sono presentate in modo fortemente schematico (per es., a ogni prefettura è attribuita una montagna principale, alcuni fiumi principali, ecc.), e non costituiscono gli elementi sulla cui base sono descritti un regno o un governo. L'organizzazione terrestre può quindi essere definita come una divisione amministrativa del territorio stabilita dal sovrano e mirante a simboleggiare l'ordine del mondo.

Infine, la concezione di organizzazione terrestre nella Storia della dinastia Han [anteriore], similmente alla rappresentazione dello spazio terrestre del Tributo di Yu e dei Funzionari incaricati dei punti cardinali, si basa su due divisioni parallele dello spazio terrestre (rispettivamente Nove province e Cinque zone concentriche, Nove province e Nove zone concentriche, Tredici province e Tredici territori). Questi sistemi non sono posti in correlazione l'uno con l'altro, ma sono reciprocamente complementari.

Le introduzioni storiche dei trattati successivi seguono il modello della Storia della dinastia Han [anteriore]. Tutte contengono riferimenti (ma non citazioni complete) al Tributo di Yu e ai Funzionari incaricati dei punti cardinali, ma il loro scopo principale è quello di fornire informazioni sul modo in cui si era sviluppata l'organizzazione amministrativa tra la fondazione dell'Impero e il periodo descritto, ossia di continuare secondo la linea tracciata da Ban Gu.

Un caso interessante è il Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Sui, la cui lista delle province è una replica della serie presentata nel Tributo di Yu, arricchita dalle controparti celesti e dai 'caratteri e costumi'. La restaurazione delle province di Yu e la discussione di temi, che erano già stati rappresentati una sola volta nel Trattato sull'organizzazione terrestre della Storia della dinastia Han [anteriore], rivelano l'accentuata connotazione politica della dinastia che aveva riunificato la Cina.

I trattati sui canali

Anche se i trattati sull'organizzazione terrestre e le unità amministrative sono pressoché privi di rappresentazioni paesaggistiche, questo tema non era del tutto ignorato dalla geografia imperiale. Alcune storie dinastiche contengono una monografia su un aspetto geografico che riguarda una specifica caratteristica del paesaggio, e precisamente sui canali, che sono l'argomento di più antica data trattato nella geografia imperiale cinese di carattere ufficiale. Il tema doveva essere d'importanza centrale al tempo della redazione delle Memorie di uno storico, dal momento che è il solo argomento geografico ritenuto degno di una monografia, intitolata Libro del Fiume [Giallo] e i suoi canali (Hequ shu). Questo trattato, come si arguisce dal titolo, descrive la costruzione di diversi canali per l'irrigazione e il trasporto, i cambiamenti di corso del Fiume Giallo e le rotture delle sue dighe. Il testo procede in ordine cronologico e inizia con una breve narrazione delle attività di regolazione delle acque da parte di Yu il Grande, costituita da una raccolta di citazioni dal Tributo di Yu e dal capitolo Annali principali dei Xia (Xia benji) delle Memorie di uno storico (Shiji, 2). In particolare, questa sezione fa riferimento alla descrizione del corso del Fiume Giallo contenuta nel Tributo di Yu, ampliata e arricchita con nuovi dettagli.

Ai canali è dedicato anche nella Storia della dinastia Han [anteriore], un trattato dal titolo Trattato sulle fosse e le trincee per l'irrigazione (Hanshu, Gouxu zhi, 29). Esso riproduce in primo luogo il Libro del Fiume [Giallo] e i suoi canali, con varianti di poco conto, quindi prosegue con informazioni sui canali d'irrigazione costruiti dopo la redazione delle Memorie di uno storico, ossia durante il periodo finale degli Han anteriori e nel periodo del governo di Wang Mang (9-23 d.C.).

Nelle successive storie dinastiche non sono più presenti trattati sui canali; la scomparsa di questo tema dalla geografia ufficiale coincide con la redazione del principale testo non ufficiale su questo soggetto, il Classico dei fiumi (Shuijing), sopravvissuto nella versione commentata, Commentario al 'Classico dei fiumi' (Shuijing zhu), risalente all'inizio del VI sec. d.C. Lo spostamento di tali tematiche dall'ambito della geografia ufficiale a quella non ufficiale sembra collegato direttamente ad alcuni cambiamenti nella situazione politica. All'inizio dell'era imperiale, l'importanza di questo tema era determinata dal fatto che la struttura economica e politica dell'Impero dipendeva in maniera rilevante dalla rete di canali per l'irrigazione e per il trasporto, che era stata sviluppata in modo considerevole dagli Han. Non sorprende quindi che tale argomento non sia più trattato dalla storiografia ufficiale nel momento in cui ha inizio un periodo di disintegrazione politica, per poi ricomparire nella geografia ufficiale molto più tardi (fine VI sec.), ben oltre la riunificazione della Cina.

I canali rientrarono a far parte della storiografia imperiale nelle opere redatte durante la dinastia mongola degli Yuan (1279-1368), vale a dire: Storia della dinastia Jin (Jinshi), riguardante gli anni 1115-1234, e Storia della dinastia Song (Songshi), relativa agli anni 960-1279; l'argomento è esaminato nelle sezioni intitolate Trattato sul Fiume [Giallo] e i suoi canali (Hequ zhi). I Jin erano una dinastia di etnia non Han, fondata dai nomadi Jurchen che verso l'inizio del XII sec. occuparono la Cina settentrionale, ossia il bacino del Fiume Giallo. La corte Song, precedentemente stanziata a nord, dovette trasferirsi a sud, dando così inizio al periodo dei Song meridionali. Nonostante la dinastia Yuan avesse il controllo dell'intera Cina, la sua base di potere era nelle aree settentrionali, nel bacino del Fiume Giallo. Per questo motivo i trattati sui canali, che dedicano particolare attenzione al Fiume Giallo, sono nuovamente presenti nelle storie dinastiche redatte in un periodo in cui il bacino di questo fiume rivestiva una particolare importanza politica; da allora, trattati sui canali con lo stesso titolo si trovano in tutte le successive opere di questo tipo. Ogniqualvolta una storia dinastica contenga un trattato sui canali, questo è seguito oppure preceduto da un trattato sull'organizzazione del territorio, con il quale ha una stretta relazione e rispetto al quale è complementare. Anche se prendono in esame diversi soggetti, entrambi iniziano dalle origini della storia e si riferiscono a Yu il Grande. Si può dunque concludere che il sistema dei canali rappresenti una parte complementare e facoltativa dell'organizzazione terrestre. Le altre caratteristiche del paesaggio non svolgono un ruolo importante; occorre d'altronde precisare che i corsi d'acqua non possono essere considerati veri e propri aspetti del territorio, in quanto alcuni di essi sono canali, fosse e trincee creati dall'uomo, e sono tipologicamente simili alla divisione 'artificiale' dell'Impero in unità amministrative.

In conclusione, la geografia imperiale ‒ così come è presentata nei primi trattati geografici ‒ è un genere distinto di sapere, considerevolmente diverso dalla moderna geografia occidentale. Se ne differenzia nel contenuto, nelle funzioni, nella scelta e nella presentazione dei dati geografici, poiché consiste nella concezione di un'ordinata divisione amministrativa del territorio stabilita dal sovrano con lo scopo di simboleggiare l'ordine del mondo.

La geografia ufficiale cinese è, anzitutto, un messaggio ideologico che inizia proprio con la scelta di un preciso tipo di trattato. Nelle storie dinastiche più antiche, questa scelta è direttamente collegata alla situazione politica del momento. Così, le storie compilate in un periodo di unità politica, e quindi di 'ordine del mondo', a prescindere da quale fosse la situazione politica dell'epoca cui si riferiscono, contengono un Trattato sull'organizzazione terrestre, mentre quelle redatte in un periodo di divisione includono un trattato sulle unità amministrative.

Vi è soltanto un caso, nella Storia della dinastia Wei, in cui questa regola non è interamente osservata. Si tratta, tuttavia, di un messaggio ideologico trasmesso attraverso il non rispetto delle regole. Redatta in un periodo di disgregazione, quest'opera contiene uno scritto dal titolo Trattato sulle forme terrestri (Dixing zhi), che rappresenta qualcosa di simile ma formalmente diverso da un Trattato sull'organizzazione terrestre. In nessun'altra storia dinastica compare un'opera dal titolo Trattato sulle forme terrestri e la sua controparte astronomica, Trattato sui simboli celesti (Tianxiang zhi). La peculiarità della Storia della dinastia Wei deriva dalle origini 'barbare' sia della dinastia descritta sia di quella sotto la quale fu portata a termine la redazione dell'opera, entrambe fondate dai nomadi Xianbei.

La regola cambia in senso opposto nelle storie dinastiche compilate dopo la caduta dei Tang, a seguito della standardizzazione nel trattamento delle informazioni per le redazioni future. Il periodo di compilazione dell'opera torna a essere determinante nelle storie che datano alla dinastia mongola degli Yuan, ossia coincidono con un brusco cambiamento politico e culturale. Le storie del periodo più tardo, che comprendono tutte un Trattato sull'organizzazione terrestre e un trattato sui canali, non permettono di trarre conclusioni a questo riguardo, in quanto puramente descrittive e redatte durante periodi di unità politica.

Il 'Classico dei monti e dei mari' e la concezione dell''organizzazione terrestre'

di Vera Dorofeeva-Lichtmann

Il Classico dei monti e dei mari (Shanhai jing), redatto non più tardi dell'inizio del I sec. a.C., occupa un posto particolare tra le descrizioni dello spazio terrestre che ci sono giunte dalla Cina antica. È il più lungo (circa 30.000 caratteri) tra i testi di questo tipo e si distingue, inoltre, per il gran numero di territori presi in considerazione, per la molteplicità dei punti di riferimento geografici elencati, e per gli innumerevoli dettagli. Queste caratteristiche rendono il Classico dei monti e dei mari una delle principali fonti utilizzate per gli studi di storia della geografia cinese.

Tuttavia, nonostante le sue notevoli caratteristiche, nelle monografie geografiche della storiografia ufficiale questo testo ha avuto una scarsa rilevanza e non ha giocato lo stesso ruolo del Tributo di Yu, il testo chiave nell'esame della concezione geografica ufficiale, ricordato sopra. Inoltre, a differenza di quanto accadde per quest'ultimo, il giudizio sul Classico dei monti e dei mari cambiò considerevolmente diverse volte nelle valutazioni della storiografia imperiale.

Le origini del Classico dei monti e dei mari sono piuttosto oscure (Fracasso 1993); nessun testo precedente alla dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) contiene riferimenti a quest'opera ed essa è citata per la prima volta nelle Memorie di uno storico (Shiji, 123) di Sima Qian (145-86 a.C. ca.). In seguito il Classico dei monti e dei mari ha subito un intenso lavoro editoriale a opera di Liu Xin (?-23 d.C. ca.), il quale, secondo quanto si legge nella sua prefazione (Xulu, Note introduttive), ha trasformato i trentadue capitoli iniziali in una versione in diciotto capitoli (pian, lett. 'rotolo legato di listelli di bambù') e ha associato le origini del testo alle annotazioni fatte dagli assistenti del mitico imperatore Yu durante la sua opera di riordinamento del mondo terrestre (v. sopra). La versione pervenutaci comprende diciotto capitoli e, secondo la tradizione dei commentari, è basata sull'edizione curata da Guo Pu (276-324). Essa è divisa in due parti: il Classico dei monti (Shanjing), che è detto anche Cinque tesori (Wuzang) e consiste in cinque capitoli a loro volta divisi in 26 sezioni, e il Classico dei mari (Haijing), che comprende tredici capitoli senza alcuna ripartizione ulteriore.

Il nucleo dell'opera è il Classico dei monti, la parte più completa che raccoglie il materiale più antico presentato in forma sistematica e ordinata. Sono presi in considerazione 447 monti, distribuiti in 26 liste (ogni lista corrisponde a una sezione) e descritti sulla base di caratteristiche ricorrenti, ossia le piante, gli animali e i minerali che si trovano su di essi e i fiumi che da essi sgorgano. La posizione di ogni monte ‒ a eccezione del primo della lista ‒ è riportata secondo il principio della posizione relativa, cioè rispetto a quella del monte che lo precede nella lista, indicando quindi la direzione cardinale in cui si trova e la sua distanza dal precedente. Per esempio: "300 li (150 km ca.) a sud-est [dal monte A] vi è il monte chiamato B". Così, ogni lista riporta una sequenza di monti disposti l'uno dopo l'altro a formare un itinerario.

La seconda parte, il Classico dei mari, è meno omogenea e coerente. I luoghi elencati nella maggioranza dei casi sono 'paesi', oppure monti e fiumi, le cui posizioni relative non sono riportate con precisione, né sono fornite le distanze esatte o i confini. Ogni elenco di luoghi (equivalente a una sezione) è intitolato jing (lett. 'ordito'), così come i capitoli del Classico dei monti consistenti in serie di liste. Il significato più comune di jing utilizzato nei titoli di testi ‒ 'classico', 'canone', 'libro' ‒ non è appropriato in questi casi e il termine dovrebbe essere tradotto come 'elenco'.

Oltre che per la loro forma sistematica, le due sezioni del Classico dei monti e dei mari sono simili per la natura 'sovrannaturale' del loro contenuto. Una cospicua parte di esseri e di cose che si trovano nei luoghi elencati rappresentano le cosiddette 'cose meravigliose' (guaiwu) o 'anomalie' (Campany 1996), cioè animali con cinque zampe, persone con due teste, e così via. Nessuna delle antiche illustrazioni (se mai ce ne fossero state) ci è pervenuta, tuttavia la tradizione dei commentari, che iniziò almeno con Zuo Si (250-305 ca.), trae origine proprio dalle illustrazioni (tu) dei leggendari 'Nove tripodi' (jiuding). Molti di questi esseri e cose possiedono proprietà magiche: portano fortuna o sono segni di cattivo auspicio, oppure hanno effetti curativi o venefici.

Topografia del Classico dei monti e dei mari

Per chi si è formato nella moderna tradizione scientifica occidentale, il Classico dei monti e dei mari sembra presentare due aspetti completamente diversi e talvolta contraddittori: mito e magia da una parte, e approccio 'realistico' o 'scientifico' dall'altra. Questa distinzione domina tuttora gli studi interpretativi del Classico dei monti e dei mari che trattano, di norma, o l'uno o l'altro di questi aspetti. Il carattere artificiale di questa distinzione è particolarmente evidente negli studi relativi alle questioni topografiche. L'assunto che il Classico dei monti e dei mari faccia riferimento alla topografia reale presenta gravi debolezze metodologiche; infatti, esso implica che si debbano considerare le antiche rappresentazioni dello spazio terrestre nell'ambito di un'evoluzione che, partendo da una conoscenza geografica 'incompleta', conduca alla 'perfezione' della moderna geografia occidentale.

L'ambito territoriale descritto nel Classico dei monti e dei mari può essere delineato, in modo approssimato, piuttosto chiaramente. I maggiori indicatori sono le descrizioni dei fiumi che nascono dai monti, dato che in ognuno di questi casi sono fornite la direzione secondo i punti cardinali del corso del fiume e la sua destinazione. Per esempio, 'il fiume F nasce da esso (il monte descritto), scorre verso sud e sfocia nel fiume M/mare'. Questi riferimenti permettono di posizionare una catena di monti elencati in una lista; infatti, se i suoi fiumi, per esempio, scorrono verso sud e sfociano nel Fiume Giallo, essa si troverà a nord del Fiume Giallo. Le sequenze di monti così posizionati sono concentrate intorno ai bacini del Fiume Giallo e dello Yangzi, come dire nei territori occupati dall'antica civiltà cinese.

La confusione inizia appena si cerca di localizzare i singoli monti e gli altri punti di riferimento in questi territori 'ben noti'. Infatti le posizioni riportate nel testo, specialmente le distanze date, appaiono assai imprecise. Un'altra difficoltà è rappresentata dai toponimi che occorrono soltanto in questo testo, la cui identificazione con i tratti reali del paesaggio è spesso ambigua. In definitiva, in qualsiasi tipo d'identificazione le posizioni dei monti non si accordano mai con la topografia reale; i tentativi di rappresentarle come se si stessero utilizzando carte geografiche sono sempre fallimentari.

In conclusione, si può affermare che le localizzazioni date nel Classico dei monti e dei mari sono costruite su principî diversi rispetto alle esigenze dell'accuratezza topografica, basilare nella cartografia occidentale. La configurazione delle mappe e le localizzazioni date per i punti di riferimento geografico possono essere state determinate da altri fattori, quali interessi politici, religiosi ed estetici, così come tentativi di avvicinare la cartografia alla 'cosmologia correlativa' o di ottenere una struttura geomantica favorevole. La rappresentazione dello spazio presente nel Classico dei monti e dei mari può, quindi, essere compresa in modo adeguato e coerente soltanto considerandola come un sistema governato da norme che regolano le reciproche relazioni tra i punti di riferimento sul territorio, piuttosto che come un'elencazione di specifiche località della topografia reale.

In altre parole, il principio metodologico di base con cui avvicinarsi oggi a questo testo deve essere quello d'ignorare il più possibile la reale topografia della Cina, specialmente la sua rappresentazione con i canoni della moderna cartografia geografica fisica, e valutare invece i dati geografici forniti nel Classico dei monti e dei mari alla luce dei modelli e dei principî dell'antica cosmologia cinese e di altre antiche rappresentazioni dello spazio, cioè all'interno di un vasto schema di concetti e di valori culturali.

Analizzate secondo questa prospettiva, le sequenze di montagne del Classico dei monti appaiono come un sistema regolare o come itinerari orientati secondo i punti cardinali. I singoli monti sono disposti secondo linee direzionali che compongono serie orientate in base ai punti cardinali, che a loro volta costituiscono uno schema globale ordinato, per cui ogni monte rappresenta l'elemento costitutivo di un'organizzazione ideale dello spazio terrestre. Questa organizzazione è, naturalmente, ispirata da alcune caratteristiche della topografia reale, le quali tuttavia furono elaborate attraverso il potente filtro dei modelli e dei principî cosmologici. Come risultato, i monti reali contrassegnano posizioni di uno spazio terrestre ideale e compaiono insieme a punti di riferimento geografico inventati. Questo sistema è quindi un compromesso tra gli elementi della topografia reale e un impianto cosmologico generale che costituisce lo schema concettuale dominante.

Nel Classico dei monti, la descrizione di ciascuna sequenza di montagne che definiscono un particolare itinerario è arricchita da un riassunto che specifica l'aspetto degli 'spiriti guardiani' (shen) associati a quelle montagne e i sacrifici che devono essere eseguiti per gli spiriti locali; ogni itinerario include pertanto i monti simili in relazione agli spiriti e ai riti, e ciò significa che il sistema degli itinerari costituisce una mappa dei poteri sacri dispersi sullo spazio terrestre. In questo contesto le descrizioni dei monti si concentrano sui loro attributi sovrannaturali, cioè su esseri 'meravigliosi' e su cose che possiedono proprietà magiche. Diviene così evidente la ragione per cui, secondo il riassunto generale compreso nel Classico dei monti, siano elencati soltanto 447 monti su un totale di 5370; essi perciò rappresentano una selezione dei punti sacri presenti sulla superficie terrestre e lo spazio che essi segnano è uno spazio sacro che può essere definito come un 'paesaggio spirituale'.

I viaggi nelle regioni meridionali

di Guo Wentao

Il Classico delle odi (Shijing), una raccolta di componimenti poetici risalenti al periodo compreso tra il X e il VI sec. a.C., le Elegie di Chu (Chuci), la cui composizione risale al periodo degli Stati combattenti (480-221 a.C.), e l'Avvicinamento a ciò che è corretto (Erya, noto anche come Lessico letterario), il primo dizionario tematico compilato intorno alla fine del III sec. a.C., sono alcune delle opere anteriori alla dinastia Qin (221-206 a.C.) che menzionano nomi di piante e animali, fornendo però indicazioni molto scarse sulle caratteristiche morfologiche, sulla distribuzione geografica e sulle loro utilizzazioni. L'Avvicinamento a ciò che è corretto, composto di 19 capitoli, contiene due sezioni dedicate alle piante e cinque sezioni dedicate agli animali. L'opera riporta essenzialmente i nomi e i loro sinonimi, senza alcuna descrizione morfologica, e inoltre riferisce soltanto di piante e di animali della pianura centrale del basso corso del Fiume Giallo. Sino al III sec. a.C., dunque, non esistevano scritti monografici di botanica o zoologia, né tantomeno testi riguardanti le regioni meridionali. È soltanto nel periodo tra la dinastia degli Han posteriori (25-220) e quella dei Tang (618-907) che, con l'esplorazione e l'inizio dello sfruttamento economico delle regioni meridionali, si approfondì la conoscenza della fauna e della vegetazione di quelle zone, e lentamente si giunse alla compilazione di molte opere letterarie concernenti piante e animali del Lingnan, termine con cui s'indica in genere la zona delle odierne regioni cinesi del Fujian, del Guangdong, del Guangxi e dello Hunan, la parte meridionale del Jiangxi e del Guizhou, come anche la parte orientale della regione dello Yunnan, l'isola di Hainan, il Vietnam e la Cambogia.

Si conoscono una trentina di testi redatti tra il I e il IX sec., pervenutici essenzialmente sotto forma di citazioni in altre opere, anche se spesso con titoli diversi. I primi sette tra quelli conosciuti, composti tra il I sec. e l'inizio del IV sec., hanno titoli simili, appartengono tutti al genere dei 'Libri delle meraviglie', letteralmente 'memorie su cose strane' (yiwu zhi), e riportano notizie e indicazioni sul territorio in cui tali 'cose' erano state viste. Dai titoli si deduce che gli autori erano originari delle regioni interne, cioè delle aree del bacino dello Yangzi, e che il loro scopo era quello di descrivere le stranezze di territori così nuovi e diversi. Qualche secolo dopo, i titoli sembrano riflettere un'evoluzione nell'atteggiamento degli autori; si tratta, infatti, ormai di 'annotazioni' (ji, lu, jian), 'commenti' (zhuan), oppure 'relazioni' (zhuang) su questa o quella regione. Queste opere elencano in tutto 302 tipi di piante e 228 tipi di animali diversi; non si tratta certo di testi scientifici paragonabili ai moderni trattati sulla flora o sulla fauna, ma piuttosto di opere che forniscono informazioni su alcuni animali e piante, accompagnate da descrizioni dell'ambiente geografico e dei costumi delle popolazioni locali, come si evince dalla ricostruzione di uno di essi, Memorie su cose strane terrestri e marine del Linhai (Linhai shui tu yiwu zhi), composto da Shen Ying tra il 264 e il 280. L'opera descrive le odierne zone del Zhejiang meridionale, il Fujian settentrionale e l'isola di Taiwan; accanto a descrizioni di vegetali esotici come l'arenga (Arenga pinnata [Wurmb.] Merr.= Arenga saccharifera Labill.), vi sono anche resoconti su animali terrestri e marini, come un'aguglia dalle molte utilizzazioni.

Gli autori di questi testi erano letterati e funzionari, in sede o in missione, residenti o viaggiatori, i quali, descrivendo le novità di quei luoghi, volevano fornire nuove conoscenze a quanti erano rimasti 'all'interno' (le citazioni seguenti sono tratte dalla Raccolta curata da Miao Qiyu nel 1990). Nelle Memorie su cose strane nelle regioni meridionali (Nanzhou yiwu zhi), composto da Wan Zhen tra il 222 e il 265, è menzionata per la prima volta, in un testo cinese, la palma da cocco (Cocos nucifera L.):

La palma da cocco misura tre o quattro wei di circonferenza, dieci zhang [23 m ca.] d'altezza, e il suo tronco è privo di rami. Vive più di cento anni. Le sue foglie, la cui forma somiglia a quella delle felci, sono lunghe un zhang e quattro o cinque chi [in tutto, 3,5 m ca.]. Esse si drizzano verso il cielo inclinandosi leggermente. I frutti, che nascono tra le foglie, hanno dimensioni che portano al volume di uno sheng [0,2 dm3]; avvolti dalla scorza esterna, hanno la forma di un fiore di loto. All'interno della scorza vi è un nocciolo assai duro. Se si perfora il nocciolo, si trova una polpa bianchissima, come un uovo di gallina, che aderisce alla parete. L'interno del ventre è cavo e contiene un liquido che, per i frutti più grossi, può essere di oltre uno sheng. I frutti sono di forma rotonda o [leggermente ovoidale] come quelli del gualou [Trichosanthes kirilowii Maxim.]. Sezionandoli lateralmente, si ottengono delle specie di coppe che vanno bene per diversi usi. Per questo la gente le tiene in alta considerazione. (Miao Qiyu 1990)

Wan Zhen descrive anche il banano nano (Musa nana Lour.):

Banano dolce, categoria delle erbe. A vederlo, sembra un albero; i più grandi hanno il tronco di un wei. Le foglie sono lunghe un zhang [2,3 m ca.] oppure da sette a otto chi [tra 1,6 e 1,8 m ca.], e sono larghe un chi [23 cm ca.]. I fiori sono grossi come coppe per bere; in forma e colore somigliano al loto. All'estremità del fusto vi sono più di cento frutti che insieme sono denominati 'una famiglia' [cioè un casco]. Le radici somigliano a quella di un taro, e le più grosse sono simili ai mozzi di una ruota. I frutti maturano dopo i fiori una volta all'anno; ogni [raggio del casco ha] sei frutti che crescono quando è il loro turno, poiché i frutti possono crescere soltanto se tutti i fiori sono caduti. (ibidem)

L'anonimo Libro delle meraviglie (Yiwu zhi, probabilmente fine del III sec.) descrive un'altra pianta di grande importanza economica già in quel periodo, la canna da zucchero (ganzhe; Saccharum sinensis Roxb.=S. officinarum L.):

La canna da zucchero si trova dappertutto. Quella delle regioni settentrionali del Vietnam è particolarmente saporita; non vi è estremità dei fusti che non sia spessa e molto gustosa. La circonferenza raggiunge diversi pollici. È alta più di un zhang (2,3 m ca.), e assomiglia molto al bambù. Se la si taglia a pezzi per mangiarla, è molto dolce; se la si trita per estrarne un succo zuccherino chiamato tang, è ancora più delicata. Inoltre si può far cuocere questo succo e poi lasciarlo seccare; in questo modo si formano cristalli simili a ghiaccio, e con essi si formano dei pezzi simili a grandi pedine da gioco del go che si lasciano sciogliere in bocca. È per questo che è chiamato il 'miele di pietra'. (Miao Qiyu 1990)

Il problema dell'esatta ricostruzione di questi testi appare evidente in un testo di Xu Zhong (fine del IV-inizio del V sec.), Relazione sulle erbe meridionali (Nanfang caowu zhuang) dove l'autore descrive il guimu shu, 'albero dell'occhio del fantasma': "I [frutti] più grandi somigliano a prugne, quelli più piccoli a uova di anatra. Fiorisce nel secondo mese e subito dopo si hanno i frutti; questi ultimi maturano tra il settimo e l'ottavo mese. Sono gialli e di gusto acido; se sono cotti nel miele, l'acidità del gusto diminuisce e sono molto buoni. Se ne trovano in tutte le regioni del Vietnam" (Miao Qiyu 1990). Nella prima frase c'è un'evidente incongruenza, giacché le uova di anatra sono più grandi delle prugne; in realtà, le citazioni di questo brano nelle diverse opere presentano varianti, la più plausibile sembrerebbe essere quella che paragona i frutti a mele cotogne. Per l'identificazione botanica di questo albero sono state proposte varie ipotesi, nessuna delle quali è però soddisfacente. Un funzionario dell'VIII sec., nella sua raccolta di note sul Vietnam spiega come questo albero tragga il suo nome cinese, 'occhio di fantasma' o 'occhio di cervo', dalla presenza di motivi sulla buccia dei frutti. Lo stesso testo fornisce la descrizione di una spezia oggi ben nota, il doukou shu, ossia la noce moscata (Myristica fragrans Houtt):

"L'albero è grande quanto un prugno. Fiorisce nel secondo mese, e subito dopo fruttifica; i frutti sono uniti tra loro. Il nocciolo è molto profumato e ha un guscio. Matura nel settimo-ottavo mese. [I frutti] si fanno seccare al sole e si mangiano dopo aver tolto la buccia; il loro gusto è piccante e profumato. Fa parte dei 'cinque aromi'. È prodotto a Xinggu" (Miao Qiyu 1990).

Le descrizioni riportano quasi sempre indicazioni sull'uso che si faceva di questi prodotti, probabilmente sull'esempio di quella che lo stesso autore, Xu Zhong, offre a proposito di un albero, lo shinan shu (Photinia serrulata Lindl.), in un'altra sua opera, Memorie sul Sud (Nanfang ji):

"La photinia è un albero selvatico. Fiorisce nel secondo mese e subito dopo fruttifica. I frutti ricordano le uova di rondine, e maturano nell'ottavo mese. La gente li raccoglie, rompe la scorza, apre il nocciolo e li fa seccare. Aggiunto alle zuppe di pesce, le rende più saporite. Proviene dal Vietnam centrale" (Miao Qiyu 1990).

Nulla si sa di Zhu Zhi, autore delle Memorie sul Funan (Funan ji, un regno dell'antica Cambogia), opera del V sec., di cui si conservano soltanto due annotazioni, tra cui questa descrizione del litchi (lizhi):

La ragione per cui questo albero si chiama lizhi ('tagliare i rami') è che nel momento in cui i frutti maturano i rami sono fragili e i frutti ben saldi, tanto che non si possono raccogliere staccandoli e quindi si è costretti a tagliare i rami. Questo albero [...] si può annoverare nella categoria della cannella e del pungitopo. Il suo fogliame è molto rigoglioso e sempre verde. Il legno è molto compatto e resistente; gli artigiani usano le radici per farne liuti e tavoli da gioco. Gli alberi adulti possono produrre sino a dieci dou [20 dm3 ca.] di frutti. I fiori sono verdastri e somigliano ai ciuffi di piume che decorano i cappelli; i frutti somigliano a piccoli coni di pino, la scorza è reticolata, all'inizio verde scuro e poi sempre più rossa; la polpa, bianca come l'alabastro, è zuccherina e assai succosa. (Miao Qiyu 1990)

Intorno all'anno 350, Yu Yiqi, originario di Nanchang nell'odierna regione del Jiangxi, descrive in una Corrispondenza indirizzata a Han Bokang (Yu Han Bokang jian), governatore della regione, ciò che aveva avuto modo di osservare di caratteristico nella zona degli attuali confini sino-vietnamiti; le sue note contengono anche un'altra descrizione dell'areca (binglang; Areca catechu L.).

Esiliato nel Sud della Cina nel 454, e tornato nell'odierno Zhejiang nel 465, Shen Huaiyuan compose, invece, un'opera intitolata Monografia [del Regno] di Yue meridionale (Nanyue zhi), nella quale descrive l'albero della lacca (qishu; Toxicodendron vernicifluum [Stokes] F.A. Barkley):

Nei monti Baishui della sottoprefettura di Suining [l'odierna Cengcheng nella regione del Guangdong] vi sono molti alberi della lacca, alti più di dieci zhang [23 m ca.]. Ci si arrampica sull'albero per inciderlo. Per ottenere un buon risultato, si comincia quando il gallo canta al levar del sole, passato questo momento, le energie femminili (yinqi) diminuiscono mentre aumentano le energie maschili (yangqi), e allora non si può estrarre alcunché. Il lavoro di estrazione della lacca è svolto soltanto da membri di particolari etnie che hanno la parte anteriore della cassa toracica, quella che entra in contatto con gli alberi, callosa come in genere si hanno i piedi. (Miao Qiyu 1990)

Tutto ciò che sappiamo di Gu Wei, autore delle Memorie sul Guangzhou (Guangzhou ji, ossia le odierne regioni del Guangdong e del Guangxi), è che visse nel IV sec., e che a lui si deve una descrizione dell'albero a pagoda (beiduo; Ficus religiosa L.).

Non è possibile stabilire la paternità dei frammenti, anch'essi citati sotto il titolo di Guangzhou ji, del testo con cui lo sconosciuto autore descrive una non identificata 'liana dei ratti':

"Cresce sulle montagne e nei burroni delle regioni dei mari del Sud, ed è un rampicante. Ai ratti piace mangiare questa liana, da cui deriva il suo nome. Le parti rosicchiate sono usate dagli uomini come medicamento. Quando si mangiano, hanno un gusto zuccherino molto gradevole, come la canna da zucchero" (Miao Qiyu 1990).

Un altro prodotto vegetale menzionato in più testi è il legno aquilino (Aquilaria sp.), di cui parla anche Zhu Fazhen, personaggio vissuto tra la fine del IV e l'inizio del V sec., nella sua opera Resoconto sull'ascensione del monte Luofu (Deng Luofu shan shu). Zhu descrive il massiccio montuoso situato a circa 30 km dalla città di Huizhou, nell'odierna regione del Guangdong, che si estende su un centinaio di km, e così riferisce del chenxiang ('profumo profondo'), il legno aquilino che, bruciato, spande un odore aromatico:

Le foglie somigliano a quelle del pungitopo, la chioma è alta. Quando il legno si secca, lo si taglia, si lascia marcire la corteccia, e allora l'interno è profumato. L'albero che si trova sulle montagne, invece, non è profumato. Nelle altre regioni gli indigeni tagliano gli alberi durante tutto l'anno, lasciando marcire corteccia e legno sinché resta soltanto il cuore che fornisce il legno aquilino detto 'profumo profondo'. Nel Sud del Vietnam [odierno] gli alberi sono particolarmente grandi. Gli indigeni li abbattono tutti gli anni. Bisogna eliminare completamente corteccia e legno, poi rompere il cuore per ottenere il profumo. (Miao Qiyu 1990)

Le descrizioni degli usi, dei luoghi geografici, dell'ecologia, della fisiologia e delle caratteristiche delle piante originarie del Lingnan, di cui parlano queste opere, permettono di formulare alcune osservazioni. In primo luogo, gli scritti botanici di questo tipo sono relativamente completi e omogenei nelle loro descrizioni morfologiche, soprattutto per quel che riguarda le descrizioni delle radici, dei fusti, delle foglie, dei fiori e dei frutti.

a) Descrizione delle radici. Nelle Memorie sul Guangzhou di Gu Wei, la descrizione delle radici degli 'alberi a pagoda', che pendono dai rami e si piantano al suolo, corrisponde alle radici avventizie, che svolgono una funzione di sostegno dell'albero. Nelle Memorie su cose strane terrestri e marine del Linhai, Shen Ying scrive che "prima di utilizzare il legno aquilino, occorre tagliare subito le radici, aspettare un anno che la corteccia marcisca, e soltanto allora si può sentirne l'aroma". Ciò è una dimostrazione del fatto che già a quell'epoca si fosse capito che tagliando le radici s'interrompeva il processo di nutrizione della pianta.

b) Descrizione dei fusti. Il fusto è la parte superiore del corpo della pianta; può essere eretto, rampicante, volubile, ecc. Il fusto eretto dell'areca è così descritto nel Libro delle meraviglie: "essa distende il suo fusto, che tiene eretto, in modo simile a un palo". Nella Relazione sulle erbe meridionali di Xu Zhong si parla del fusto rampicante di una liana (non identificata) che "si arrampica sugli alberi". Infine, Shen Ying fa riferimento a un fusto 'volubile' quando, nelle sue Memorie su cose strane terrestri e marine del Linhai, descrive una liana che "si avvolge intorno agli alberi e questi muoiono". Anche gli altri scritti botanici, sopra citati, riportano descrizioni sufficientemente corrette dell'altezza, della grandezza, della presenza o meno di nodi, di ramificazioni, di pseudo-fusti, di tubercoli. Convertendo le indicazioni fornite dai testi nelle moderne unità di misura, si può osservare come siano corrispondenti al reale. Sono già espresse le nozioni di nodo e internodo nella descrizione del bambù, ed è ricordata l'assenza di ramificazione quando si descrivono le palme. Per quanto riguarda il banano, Wan Zhen, nelle sue Memorie su cose strane nelle regioni meridionali, scrive che "il suo fusto somiglia a un taro"; effettivamente, il fusto del banano è uno stipite ed è avvolto dalle guaine delle foglie.

c) Descrizione delle foglie. Molte piante delle regioni meridionali hanno foglie di grandi dimensioni. Nelle Memorie su cose strane nelle regioni meridionali Wan Zhen parla di foglie della palma da cocco lunghe "un zhang [2,3 m ca.] e cinque chi [1,15 m ca.]", particolarità che gli indigeni sfruttavano appieno, utilizzandole per costruire vele, vista la loro lunghezza, o come materiali per la copertura delle abitazioni, vista la loro larghezza; questo dimostra quale importanza avesse l'utilizzazione delle foglie nella vita di quell'epoca. Una caratteristica morfologica notata è l'attaccatura delle foglie all'estremità del fusto delle palme; leggiamo infatti che "le foglie nascono dal cuore" o che "le foglie sono in alto come un ciuffo di giunchi". Nel complesso, questi trattati mostrano un buon livello di conoscenza circa le caratteristiche morfologiche, le differenze delle foglie, la loro attaccatura, la lunghezza, la loro utilizzazione.

d) Descrizione dei fiori. Le descrizioni dei fiori riguardano essenzialmente il colore e il periodo di fioritura; si era già osservata, a quell'epoca, l'esistenza di un rapporto di causalità tra i fiori e i frutti, e quindi le descrizioni riguardano spesso sia gli uni sia gli altri. Per esempio, nelle Memorie sul Jiaozhou (Jiaozhou ji, 366-380 ca.) di Liu Xingqi, si legge che il fico "non fiorisce ma fruttifica". Inoltre, Xu Zhong menziona nella Relazione sulle erbe meridionali una "liana dai fiori nascosti"; si tratta anche in questo caso di un fico, i cui fiori, come quelli degli alberi del fico mediterraneo, si formano all'interno di una cavità e non sono visibili.

e) Descrizione dei frutti. I testi riportano varie caratteristiche dei frutti, la cui forma è descritta spesso, per analogia, 'come una spola', 'come un uovo di gallina', 'come una giuggiola', 'come un dito', 'come una rondine', ecc.; il colore e il periodo di maturazione sono quasi sempre indicati; compaiono spesso anche dettagli sulla posizione del frutto rispetto alla pianta: 'alla sommità', 'tra i rami', 'tra le foglie', ecc. Il gusto è altrettanto importante: 'dolce', 'piccante', 'acido', 'aspro', 'vellutato', 'agrodolce', 'muschiato', 'leggermente amaro', e così via.

La descrizione morfologica di alcuni frutti, in queste opere di botanica, raggiunge un livello altamente scientifico; per esempio, quando nelle Memorie su cose strane nelle regioni meridionali Wan Zhen descrive la noce di cocco (v. sopra), la descrizione è talmente accurata da essere degna della moderna anatomia vegetale. Descrizioni morfologiche di questo tipo sono state certamente alla base dell'antica botanica cinese. Tutti questi testi mostrano inoltre una certa originalità rispetto alle farmacopee (bencao), ai commenti sulle piante nei testi arcaici e ad altri trattati specialistici; le farmacopee s'interessano delle piante soprattutto per il loro valore curativo, mentre l'oggetto dei commenti sono semplicemente i nomi delle piante. Per 'trattati specialistici' s'intendono soprattutto libri come il Trattato sui bambù (Zhupu), di Dai Kaizhi (420-485 ca.), che riguarda esclusivamente le Bambusee della famiglia delle Graminacee.

Inoltre, la precisione di questi testi si basa su osservazioni dettagliate e approfondite che i funzionari inviati dal governo centrale redigevano per raccogliere il massimo numero di informazioni su 'cose' non comuni che esistevano o si verificavano in una determinata area; l'indagine era naturalmente mirata a raccogliere dati utili per lo sviluppo e la crescita economica; di qui l'interesse per i frutti, i legni, le piante medicinali. Questo interesse non si limita soltanto ai vegetali; si trovano infatti anche annotazioni sugli animali con dettagli anatomici, non solo, dunque, zoologiche. Un esempio è la descrizione del rinoceronte contenuta nelle Note sulle meraviglie del Lingbiao (Lingbiao luji, 884-904), dove Liu Xun osserva: "ha più o meno la taglia di un bufalo con una testa di maiale; le sue zampe somigliano a quelle di un elefante, con tre unghie; ha due corni sulla testa, uno sopra la fronte, l'altro più piccolo sopra il naso". Il testo descrive poi le particolarità dei motivi, 'fiori' o 'punti', che possono trovarsi sui corni; l'interesse per la loro disposizione, i loro possibili colori, la stranezza dei disegni serviva a stimarne il valore, in base alla rarità o meno dell'esemplare; così è la particolarità del becco a rendere prezioso il calao, 'l'uccello del re di Yue' (yuewang niao), di cui parla Shen Huaiyuan nella Monografia [del Regno] di Yue meridionale (465-502):

Calao. [Il suo becco] sembra per aspetto il becco del nibbio; l'estremità della parte ricurva può contenere più di uno sheng [0,2 dm3 ca.]. La gente del Sud ne fa delle coppe per bere, preziose come le conchiglie coniche. Non tocca il suolo, non beve l'acqua dei fiumi, non consuma alcuna erba, non ingoia né vermi né pesci, e mangia soltanto le foglie degli alberi. Lo sterco somiglia all'incenso. Quando gli abitanti del Sud lo trovano, lo usano come profumo; curano con esso anche tutti i tipi di eruzioni cutanee e ascessi. (Miao Qiyu 1990)

Un testo anonimo composto tra il 265 e il 420, le Memorie sul Linyi (Linyi ji), descrive un 'pesce volante' che "ha le ali come una cicala, vola sino alle nuvole e si tuffa in fondo ai mari". È invece meno fantastica la descrizione di un volatile, il francolino, data da Liu Xun.

Un altro autore, Duan Gonglu, precisa nelle sue Note dalla dimora del Nord (Beihu lu, 871?) che i francolini "modulano i loro canti con numerosi suoni dal timbro molto acuto". Lo stesso autore presenta così il pitone:

"I pitoni più grossi possono misurare più di dieci zhang [23 m ca.] di lunghezza, per un circonferenza che va da sette a otto chi [1,6 - 1,8 m ca.]. Nella maggior parte dei casi stanno tra gli alberi, aspettando che passi un cervo malato, in modo da attirarlo e ingoiarlo. Quando il cervo è sparito, si avvolgono dentro un grosso albero, rigurgitano la testa con le corna e non si muovono più" (Miao Qiyu 1990).

Anche gli animali marini sono stati oggetto di osservazione da parte di questi viaggiatori. Nelle Memorie sul Jiaozhou, per esempio, Liu Xingqi dà in modo molto sintetico un'idea dell'aspetto, del comportamento e dell'utilizzazione del limulo, un chelicerato primitivo chiamato in cinese 'pesce hou' (Trachypleus tridentatus). Shen Ying, più volte citato, fu un fine osservatore, e riferisce anche le particolarità dell'uso di un pesce, l'aguglia.

Questi testi, redatti tra le dinastie Han e Tang, riportano descrizioni accurate, dettagliate e corrette sia dell'aspetto sia della natura degli animali tipici delle regioni del Lingnan; la loro ricostruzione aiuta a colmare le lacune nella documentazione botanica di quel periodo.

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