La Scuola di Chartres e la riscoperta di Platone

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Antichistica 13 Cover ebook Storia della civilta-27.jpg

La Scuola di Chartres e la riscoperta di Platone

Luigi Catalani

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nel generale rinnovamento sociale e culturale del XII secolo, Chartres ricopre un ruolo di primissimo piano: è il centro in cui il platonismo rifiorisce per opera di un nutrito gruppo di maestri, che credono nella sostanziale armonia tra le teorie dei filosofi pagani e le verità di fede dei profeti, e tengono insieme nella loro riflessione l’amore per le lettere classiche, l’interesse per le nuove fonti scientifiche e una nuova esegesi teologica.

L’eredità platonica

Teodorico di Chartres

L’Unità

Tractatus de sex dierum operibus

C’è, dunque, una sola realtà che è unità, e un unico essere che è la divinità stessa e il sommo bene. E l’unità che, moltiplicata, compone i numeri, o le unità di cui constano i numeri, altro non sono che partecipazioni della vera unità, vale a dire sono le singole esistenze delle cose create: una cosa, infatti, permane nella sua identità fin che partecipa dell’unità, ma, quando si divide, si dissolve nel nulla. L’unità, infatti, è mantenimento e forma dell’essere, mentre la divisione è causa di annientamento: dalla vera unità che è Dio, allora, è creata ogni pluralità. Nella divinità, dunque, non c’è alcuna pluralità e, perciò, neppure numero […]. Essa [la somma divinità], pertanto, non è delimitata dal peso, né dalla misura, né dal luogo, né dalla figura, né dal tempo, né le conviene il moto, né la quantità o la qualità, né una relazione ad altro, ma è unità, cioè eternità e quell’interminabile permanere delle cose che è fonte e origine di tutto.

Teodorico di Chartres, Tractatus de sex dierum operibus, trad. it. di E. Maccagnolo, Milano, Rusconi, 1980

Guglielmo di Conches

Dio ha creato il mondo

Dragmaticon Philosophiae

Poiché abbiamo detto che in questa vita si può sapere che Dio esiste, esponiamo gli argomenti con cui si può dimostrare ciò anche agli increduli, vale a dire mediante la creazione del mondo e l’ordine quotidiano. Poiché, infatti, il mondo è composto di elementi contrari (caldi, freddi, umidi, secchi), questi sono stati congiunti nella composizione del mondo o ad opera della natura, o dal caso, o da un artefice. Ma è proprio della natura rifuggire il contrario e cercare il simile; non è dunque la natura che ha congiunto gli elementi contrari. E neppure possono essere stati congiunti dal caso: se, infatti, il caso avesse prodotto il mondo, per quale ragione non avrebbe fatto la casa o alcunché di simile, che è più facile da farsi? E ancora: se il caso avesse prodotto il mondo, alcune cause avrebbero preceduto il mondo, cause la cui cooperazione avrebbe prodotto il mondo. Il caso, infatti, è un evento inatteso derivante da cause concorrenti. Poiché, dunque, nulla, eccetto il creatore, precedette il mondo, il mondo non è stato fatto dal caso, ma da un artefice. Ma, poiché il mondo fu fatto prima dell’uomo, tale artefice non fu l’uomo, ma Dio.

Guglielmo di Conches, Dragmaticon Philosophiae, trad. it. di E. Maccagnolo, Milano, Rusconi, 1980

Bernardo Silvestre

Processo conoscitivo

Commento a Marziano Capella

Le quattro discipline della scienza stimolano la ragione, le tre arti dell’eloquenza rendono fecondo il discorso. E poiché i generi di ciò che è incorporeo sono tre, e precisamente: le sostanze invisibili, le cause invisibili di ciò che è visibile, le forme visibili di ciò che è visibile, nell’ordine di insegnamento le forme precedono le cause, e le cause le sostanze, invertendo l’ordine naturale. Nel processo conoscitivo umano sono più familiari le forme che le cause, e le cause che le sostanze; e, anche se le forme sono incorporee, sono tuttavia visibili, mentre le cause restano invisibili. E così anche le cause, ancorché invisibili, non sfuggono al tatto: infatti, il caldo e il freddo, la leggerezza e il peso, l’umido e il secco sono avvertiti dal senso. Le sostanze, invece, come Dio, gli angeli, l’anima, in quanto incorporee, non sono accessibili al senso e quasi completamente incomprensibili. Perciò la filosofia inizia con la matematica, che contempla le forme, progredisce con la fisica, che considera le cause, e si perfeziona con la teologia, che contempla le sostanze.

B. Silvestre, Commento a Marziano Capella, trad. it. di E. Maccagnolo, Milano, Rusconi, 1980

Accanto alla splendida cattedrale di Chartres, la cui costruzione inizia nel 1120 durante l’episcopato di Fulberto, fiorisce nel XII secolo un’importante scuola vescovile, specializzata negli studi naturalistici e teologici, animata da una serie di intellettuali, il cui platonismo di fondo si esprime soprattutto attraverso la ripresa del Timeo platonico, nella versione di Calcidio, neoplatonico cristiano del IV secolo, e dei Commentarii in Somnium Scipionis di Macrobio, scrittore latino della fine del IV secolo, e della più vasta enciclopedia delle arti liberali della tarda Antichità, il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella. I maestri chartriani sono anche i primi a confrontarsi, nelle loro indagini sul mondo naturale, con le suggestive testimonianze di scienza antica appena introdotte nell’Occidente latino, come l’Asclepius del mitico Ermete Trismegisto, gli Elementa di Euclide – tradotti da Adelardo di Bath –, il Planispherum di Tolomeo – tradotto da Ermanno di Carinzia. In particolare, gli scritti ermetici introducono nella cultura latina l’idea che l’uomo possa intervenire sulla natura, indirizzandola a proprio favore, nell’ambito della più ampia prospettiva di salvezza. Il ricorso all’eredità filosofica di Platone caratterizza in maniera peculiare l’impostazione speculativa degli chartriani: oltre al Timeo, essi citano formule del Parmenide e del Teeteto, ricavate dal commento di Calcidio al Timeo. In questa tradizione platonica indiretta, ricoprono un ruolo importante i mediatori del neoplatonismo antico e medievale: Cicerone, Seneca, Apuleio, Lattanzio, ma soprattutto Macrobio, Marziano Capella, Calcidio e Boezio. Mentre il platonismo dei Commentarii di Macrobio è influenzato dalle dottrine morali di Cicerone e Plotino, l’opera allegorica di Marziano Capella costituisce per i platonici medievali un modello letterario e una fonte ricca di informazioni scientifiche e filosofiche. Il commento di Calcidio al Timeo rappresenta un veicolo essenziale per la diffusione non solo della cosmologia platonica, ma della filosofia antica tout court: i medievali, e gli chartriani in particolare, accolgono e sviluppano alcune teorie fondamentali contenute nella sua opera, come l’idea del cosmo ordinato da un demiurgo, il tema dell’anima del mondo, la nozione di forma nativa.

D’altro canto, Boezio rappresenta un modello metodologico per la capacità di nutrirsi – secondo le parole di Guglielmo di Conches – di entrambe le dottrine, quella di Aristotele per la dialettica e la logica, quella di Platone per la filosofia. Sulla base di questa ricca dotazione filosofica e scientifica, i maestri chartriani, riprendendo un’idea presente già nei Padri della Chiesa, s’impegnano a mostrare l’accordo della dottrina cosmogonica di Platone – il filosofo pagano per eccellenza – con la genesi del mondo così come la tramanda la fede cristiana. Le arti liberali, in particolare il quadrivium, sono impiegate per scoprire il velo (integumentum) dagli antichi miti e portarne alla luce il contenuto filosofico, la cui coerenza con le verità di fede non è mai messa in discussione, anzi: ogni sforzo ermeneutico in questo senso è indirizzato in ultima istanza a una migliore comprensione della Sacra Scrittura.

Naturalismo, eloquenza, teologia

Seppur incastonato in una cornice teologica, il progetto filosofico elaborato a Chartres è l’espressione di una ricerca convinta delle spiegazioni razionali del mondo fisico, corroborata dall’arte dell’eloquenza, un’altra delle linee di continuità con il pensiero degli antiqui.

Questa serie di presupposti metodologici e programmatici comuni restituisce un’immagine compatta e coerente dei maestri che gravitano intorno a Chartres, che non è intaccata dalle recenti discussioni, pur non prive di fondamento, sull’identità istituzionale e intellettuale della scuola. Il vescovo Ivo di Chartres, soprannominato “Socrate” per la sua passione filosofica, incoraggia l’attività presso la sua scuola dei più rinomati maestri di arti liberali del tempo, a partire da Bernardo di Chartres, primo importante maestro del secolo, cancelliere e modello pedagogico per i suoi successori, ai quali trasmette il principio di una filosofia basata sugli studi classici. Secondo la testimonianza di uno dei suoi allievi, Giovanni di Salisbury, egli è soprattutto un grammatico (di qui la formula del “platonismo grammaticale”); tuttavia, dalle sue Glosse al Timeo, emergono alcuni spunti speculativi di rilievo.

Basandosi sulla nozione di forme native ricavata da Calcidio, Bernardo introduce la distinzione tra le idee divine, increate ed eterne e le idee create, eterne ma “non del tutto coeterne” a Dio: in questo senso, le forme native designano i principi ideali intermedi tra quelli divini e la materia. Alla base della dottrina dell’esemplarismo naturalistico chartriano, che Bernardo abbozza per primo, vi è l’idea per cui ogni creatura visibile è involucrum di una realtà superiore. Questa concezione trova un immediato riscontro nel linguaggio umano, poiché, sulla scorta dell’insegnamento di Prisciano, grammatico di fine V secolo, le predicazioni possono distinguersi in base alla loro capacità di esprimere in modi e proporzioni diverse la sostanza e la qualità delle cose.

Guglielmo di Conches

Alla morte di Bernardo, il cancellierato della Scuola è retto da Gilberto di Poitiers, grande metafisico, tendenzialmente estraneo agli interessi naturalistici degli altri maestri chartriani, capostipite di una corrente filosofica e teologica autonoma, costituita dai cosiddetti porretani, difensori delle tesi del maestro censurate al concilio di Reims (1148), in particolare della distinzione tra Dio e divinità.

Platonismo, naturalismo e teologia caratterizzano invece l’opera del più importante allievo di Bernardo, Guglielmo di Conches, precettore del giovane figlio di Goffredo Plantageneto, futuro re d’Inghilterra con il nome di Enrico II, e autore di un’ampia enciclopedia filosofico-scientifica (Philosophia mundi), di un dialogo filosofico (Dragmaticon Philosophiae), di un manuale di dottrine morali e di una serie di commenti e glosse al Timeo platonico, alla Consolatio boeziana, a Marziano Capella e Macrobio. L’obiettivo di Guglielmo è dimostrare la consonanza tra le affermazioni dei filosofi antichi e le parole dei profeti intorno al tema cruciale dell’origine del cosmo: tanto gli uni quanto gli altri narrano la nascita del mondo mediante l’uso di immagini e simboli, che vanno correttamente interpretati con gli strumenti forniti dalle arti liberali. Nella Philosophia mundi, opera per la quale Guglielmo subisce una condanna al concilio di Sens (1141), ha un ruolo centrale una figura basilare della cosmogonia del Timeo, l’anima del mondo, la cui identificazione con la terza persona trinitaria non è tuttavia esplicita come in Pietro Abelardo le cui tesi vengono appunto condannate in tale sede. Tale entità esprime la potenza causativa della natura, derivata dalla volontà divina ma da essa distinta e separata. Guglielmo distingue il momento della creazione del mondo per opera della libera volontà divina, dal momento successivo della generazione di tutti i fenomeni naturali, ricondotto in termini fisici all’azione di principi naturali, dalle cause seconde (le formae nativae di Bernardo) ai quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco), la cui commistione è alla base di tutti i corpi creati, assicurando il legame fra l’universo-macrocosmo e l’uomo-microcosmo. Guglielmo crede così di poter tradurre in termini cristiani il principio vivificatore del mondo e, allo stesso tempo, garantire l’autonomia dell’agire naturale, seppur in un contesto teologico. La creazione dell’uomo ricopre, in questo senso, un ruolo molto significativo: la creatura umana è infatti, nella concezione di Guglielmo, opera di Dio, ma attraverso l’azione mediatrice della natura.

Teodorico di Chartres

Allievo di Bernardo, Teodorico di Chartres, commenta alcune opere di Boezio e Cicerone e si dedica alla stesura di un manuale sulle arti liberali, l’Heptateuchon, e di un trattato sull’opera dei sei giorni, l’Hexaemeron, in cui interpreta la creazione sulla base dei principi della filosofia naturale e di un’analisi dettagliata del testo del Genesi.

L’interpretazione razionale della creazione si sviluppa a partire dallo schema delle quattro cause (efficiente, formale, finale e materiale) esposte da Aristotele nella Fisica, un’opera ancora ignota ai maestri latini, i quali però entrano in contatto con alcune idee aristoteliche, specie di filosofia naturale, grazie alla diffusione di numerosi scritti medici, astronomici e scientifici dell’antichità. Teodorico identifica le quattro cause con le tre persone della Trinità divina e con la materia primordiale della creazione, e tiene ferma la distinzione tra il momento creativo divino e il successivo processo naturale, regolato da leggi fisiche indagabili dalla ragione umana. Secondo una concezione squisitamente meccanicistica, l’opera dei sei giorni prosegue nell’opera naturale della generazione dei viventi e nella trasformazione dei corpi inanimati: terra, acqua, aria, fuoco costituiscono la struttura di base di tutti i corpi creati, ma sfuggono alla nostra percezione, mentre gli elementi sensibili, i cosiddetti “elementati”, sono tenuti insieme dalle qualità (caldo, freddo, secco, umido) possedute dagli elementi, secondo un principio dottrinale tipicamente chartriano.

Teodorico completa la sua esegesi con una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, di stampo matematico: come la molteplicità dei numeri presuppone la semplicità dell’uno, così l’intero universo rimanda all’unico principio indistinto da cui tutto deriva, l’Uno infinito e onnipotente. Diversamente da Guglielmo, Teodorico identifica senza esitazioni lo Spirito Santo con l’anima del mondo, principio della formazione delle realtà naturali, coerente con il disegno divino presente nel Verbo. Nelle glosse all’opuscolo boeziano dedicato alla Trinità, Teodorico analizza il rapporto tra il Creatore e le creature in ossequio a una concezione gerarchizzata del cosmo, che ha il suo principio trascendente nella semplicissima forma divina, atto puro di essere. Anche Clarembaldo di Arras, allievo e grande ammiratore di Teodorico, commenta due opere teologiche di Boezio, a cui si aggiunge un Tractatulus super librum Genesis, in cui si ritrovano i tratti salienti dello spirito platonico degli chartriani.

Bernardo Silvestre

Un posto a parte occupa Bernardo Silvestre, autore di un’opera in due libri intitolata De mundi universitate sive Megacosmus et Microcosmus (Cosmographia), dedicata a Teodorico di Chartres e composta alternando prose e carmi con tale eleganza da essere considerata la prima testimonianza di teologia poetica del Medioevo.

Il testo è un dialogo tra due personficazioni allegoriche: Natura (chartrianamente intesa come l’insieme delle cause seconde create da Dio) e Provvidenza o Intelletto (la suprema mente ordinatrice di Dio). Ispirata da presupposti teoretici di derivazione platonica e pitagorica, la filosofia poetica di Bernardo intende illustrare la derivazione dell’universo fisico da una Monade originaria. Significativo il ruolo di Endelichia o Anima, figura intermedia tra l’Intelletto e la materia, principio vitale diffuso in tutto l’universo sensibile. I due libri sono dedicati rispettivamente alla creazione del megacosmo, che succede al caos primordiale di Silva, e alla formazione del microcosmo, ossia dell’uomo, che avviene grazie all’apporto di tre personaggi: Natura, Urania (principio dell’esistenza celeste) e Physis (principio della vita terrena). L’essere umano occupa dunque un posto speciale, poiché è una creatura terrestre, ma destinata a mete celesti. La personificazione della natura è un tema tipico della cultura filosofica dell’epoca, proposto in maniera altrettanto efficace da Alano di Lilla nel suo De planctu Naturae.

TAG

Giovanni di salisbury

Goffredo plantageneto

Guglielmo di conches

Gilberto di poitiers

Bernardo di chartres