La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. I problemi di Hilbert e la matematica del nuovo secolo

Storia della Scienza (2004)

La seconda rivoluzione scientifica: matematica e logica. I problemi di Hilbert e la matematica del nuovo secolo

David E. Rowe

I problemi di Hilbert e la matematica del nuovo secolo

Problemi matematici e formazione delle teorie

La conferenza che David Hilbert (1862-1943) tenne a Parigi l'8 agosto del 1900, in occasione del II Congresso internazionale dei matematici, è generalmente ricordata per la serie di ventitré problemi che egli presentò ai matematici, confidando che avrebbero portato fecondi risultati nel corso del nuovo secolo. L'idea grandiosa di definire un programma di ricerca per l'intera comunità matematica può ben essere venuta in mente a Hilbert mentre stava preparando la sua conferenza, ma questo non era certo il suo unico obiettivo. Le osservazioni di carattere generale sulla natura dei problemi matematici costituirono una parte importante del suo discorso. Per Hilbert essi rappresentavano molto più di una semplice serie di intriganti rompicapi; i problemi matematici significativi formavano parte integrante dell'intera 'cattedrale' della matematica e giocavano un ruolo decisivo nella formazione delle teorie.

Nelle osservazioni introduttive Hilbert sottolineò il ruolo cruciale dei problemi nel progresso della matematica. Pur ammettendo che è spesso impossibile giudicare la portata di un problema prima che sia stato definitivamente risolto, egli era convinto che i problemi matematici veramente profondi avessero almeno una caratteristica comune: la semplicità. Come una teoria matematica perfettamente articolata, un problema davvero significativo doveva essere abbastanza semplice "da poter essere spiegato al primo che passa per la strada".

Prima di accingersi a presentare la sua lista di problemi 'attraenti', difficili ma non inaccessibili, Hilbert si soffermò su alcuni celebri problemi che avevano impegnato i matematici nel passato. Menzionò il problema della brachistocrona posto da Johann I Bernoulli (1667-1748), che aveva segnato l'inizio del calcolo delle variazioni, e ricordò come la famosa congettura di Fermat sull'insolubilità dell'equazione xn+yn=zn in numeri interi avesse ispirato la teoria dei numeri ideali di Ernst Eduard Kummer (1810-1893) che, a sua volta, aveva aperto la strada alla teoria dei campi di numeri algebrici, argomento dello Zahlbericht (1897) dello stesso Hilbert. Tornando alla fisica, egli sottolineò l'importanza delle ricerche sul problema dei tre corpi intraprese qualche anno prima da Jules-Henri Poincaré (1854-1912). A questa lista aggiunse il problema che rappresentò il punto di partenza della carriera di Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), quello di Jacobi dell'inversione degli integrali iperellittici di genere arbitrario, che Weierstrass aveva risolto nel 1854.

Questi quattro problemi avevano dato origine a nuovi e significativi sviluppi, ancora percettibili nel 1900. Hilbert li considerava paradigmatici del modo in cui determinati problemi indirizzano lo sviluppo delle ricerche matematiche. Egli riteneva che il processo creativo di nuove conoscenze matematiche fosse radicato nella dialettica tra due poli: il primo attinge a fonti empiriche, come per esempio il problema della brachistocrona, nel quale si tratta di trovare il cammino di più rapida caduta di un punto materiale in un campo gravitazionale; il secondo è radicato nei processi puramente mentali, ed è esemplificato da problemi di teoria dei numeri come la congettura di Fermat. Nella sua conferenza al Congresso di Zurigo del 1897 Poincaré aveva sottolineato il ruolo del primo polo; ora Hilbert controbatteva che dal secondo "sorgono quasi tutte le più raffinate questioni delle moderne teorie dei numeri e delle funzioni".

La preoccupazione principale di Hilbert non era comunque quella di esaltare la matematica pura a scapito della ricerca applicata, ma piuttosto di mettere in luce la dialettica che intercorre tra questi due poli: "Su questi sempre reiterati scambi tra ragione ed esperienza riposano, mi sembra, le numerose e sorprendenti analogie e quell'armonia apparentemente prestabilita, che il matematico tante volte percepisce nelle questioni, i metodi e i concetti dei diversi campi della scienza".

La congettura di Fermat e il problema dei tre corpi si collocherebbero dunque ai poli opposti di quel processo dialettico. I concetti matematici possiedono tuttavia la caratteristica di superare misteriosamente le barriere che separano un campo di ricerca da un altro. Hilbert ricordava il problema della determinazione delle linee di minor percorso (le geodetiche) su di una superficie. Se concepito in maniera più ampia, quel problema abbraccia il fenomeno della brachistocrona, il principio di minima azione e altri problemi di minimo che costituiscono il nucleo del calcolo delle variazioni e di gran parte della fisica matematica. Un secondo esempio era lo studio sui solidi platonici compiuto da Felix Christian Klein (1849-1925), che aveva intessuto una complessa teoria che collegava la geometria, la teoria dei gruppi, le superfici di Riemann e la teoria di Galois con la teoria delle equazioni differenziali lineari.

Hilbert concepiva i problemi matematici in termini dinamici piuttosto che statici. Egli vedeva il loro ruolo, il loro significato e le loro implicazioni a lungo termine sull'intera matematica, come mutevoli e suscettibili di cambiamenti nel tempo. Una tipica difficoltà, illustrata da molti dei problemi scelti da Hilbert, è che inizialmente gran parte delle congetture e delle questioni aperte si presentano come vaghe impressioni più che come idee articolate con precisione. Egli sottolineava che in questi casi l'unica via da seguire è quella di un'accurata e meticolosa analisi. Spesso si rivelano necessarie ipotesi aggiuntive; talora il problema non può essere affrontato perché casi particolari più semplici non sono stati ancora adeguatamente compresi. Individuando con chiarezza i concetti e le assunzioni che stanno alla base di un problema, il matematico può iniziare ad afferrarne le caratteristiche essenziali e a riconoscerne poi l'ambito di validità. Il segreto del genio di Hilbert aveva molto a che fare proprio con la capacità di compiere questo tipo di analisi.

Ispirandosi alla storia recente, Hilbert osservava che un problema matematico può spesso sembrare intrattabile o difficile dal punto di vista tecnico perché non è inteso nel contesto appropriato, essendosi presentato in un ambito ristretto che impedisce di cogliere le sue connessioni con teorie ben stabilite. In questi casi il matematico è costretto a lavorare in una specie di camera oscura, ma il problema stesso può offrire spunti importanti, barlumi di luce che possono metterlo in grado di trovare una via d'uscita dalle tenebre. In alcune occasioni, rare ma assai significative, può accadere che si verifichi un passo avanti sensazionale e che il vecchio problema sia rilanciato in una cornice del tutto nuova, nella quale le sue connessioni più profonde con la teoria generale divengono manifeste.

Hilbert citava come esempio le nuove concezioni sull'integrazione introdotte da Augustin-Louis Cauchy (1789-1857) con la sua elegante teoria degli integrali nel campo complesso. Un altro esempio, che lo toccava ancor più da vicino, era la teoria dei numeri ideali di Kummer, motivata dalla possibilità di estendere a campi numerici più ampi il teorema di fattorizzazione unica in numeri primi. Anche in seguito egli continuò a sottolineare l'importanza di questi e di altri esempi storici, che considerava parte integrante di una procedura metodologica generale, il metodo dell'aggiunzione di elementi ideali. Agli occhi di Hilbert, il grande pregio di tale metodo risiedeva nella semplicità e nella chiarezza che si otteneva ampliando la struttura concettuale di una teoria matematica. Ciò non significava che i matematici dovessero tendere alla massima astrazione e generalizzazione, o cercare di sviluppare nuovi metodi prima di aver compreso i limiti dei precedenti. A suo parere, infatti, nuovi metodi e prospettive inattese su futuri campi di ricerca sarebbero emersi più chiaramente nel corso dei tentativi di risolvere i problemi centrali di teorie già costituite.

Hilbert era fermamente convinto che il rigore dovesse andare di pari passo con la semplicità, fonte di luce che aiutava il matematico a uscire dalle situazioni più oscure. Al di là della sua importanza sul piano metodologico, comunque, per Hilbert la questione fondamentale riguardava la reale portata di metodi assolutamente rigorosi, una questione che aveva suscitato profondi dissensi negli ambienti matematici.

Una fonte importante di disaccordo riguardava la natura del continuo dei numeri reali. Agli inizi del XIX sec. Cauchy e Weierstrass avevano compiuto passi significativi per dare solidità ai fondamenti dell'analisi, Georg Cantor (1845-1918) e Richard Dedekind (1831-1916) si erano spinti oltre, ponendo le basi della teoria degli insiemi infiniti. Nel 1900 la teoria degli insiemi di Cantor o, più precisamente, quella parte della teoria che aveva a che fare con gli insiemi di punti, era stata generalmente ben accolta in Germania e in Francia, anche se molti matematici di primo piano, compreso Poincaré, avevano espresso forti riserve sulla teoria cantoriana dei numeri transfiniti, cardinali e ordinali.

L'influente matematico berlinese Leopold Kronecker (1823-1891) arrivò a rifiutare ogni concezione dei fondamenti dell'analisi, inclusa quella proposta dal suo illustre collega Weierstrass, che non fosse conforme ai suoi criteri finitisti. Kronecker insisteva in particolare su una ontologia matematica costruttivista, secondo la quale l'esistenza di un numero reale x doveva essere assicurata da una procedura finita, di fatto un algoritmo, in grado di generare x. Secondo Kronecker, tutta la matematica doveva essere costruita mediante tali procedure a partire dai numeri naturali: "Il buon Dio ci ha dato i numeri; tutto il resto è opera dell'uomo".

La rigida posizione di Kronecker, che si rivelerà affine ai principî intuizionisti formulati in seguito da Luitzen Egbertus Jan Brouwer (1881-1966), equivaleva al rifiuto di tutte quelle parti della matematica che non potevano essere rigorosamente dedotte da principî aritmetici. Hilbert aveva un punto di vista decisamente differente e nella sua conferenza di Parigi, ponendosi in aperto contrasto con Kronecker, affermò audacemente che l'intero corpo della matematica ‒ e non "soltanto i concetti dell'analisi, o perfino soltanto quelli dell'aritmetica" ‒ poteva essere reso rigoroso.

Questo fu soltanto il primo dei suoi numerosi attacchi a Kronecker, considerato da Hilbert un 'dogmatico' il quale cercava di stabilire una 'dittatura del divieto' che avrebbe finito per mettere al bando i numeri irrazionali. Simili dichiarazioni, ripetute in diverse occasioni, hanno senza dubbio contribuito a dare un'immagine negativa e unilaterale del rapporto tra i due studiosi. In realtà Hilbert si era profondamente ispirato ai lavori di teoria dei numeri di Kronecker e, anzi, il nucleo del XII problema proposto nella Conferenza di Parigi era costituito proprio dal 'sogno di gioventù' di Kronecker. Ancora più intrigante, alla luce degli eventi successivi, è il fatto che le idee di Hilbert sul rigore e la nozione di dimostrazione rigorosa riflettevano fortemente i principî finitari di Kronecker.

Un'altra idea che non corrisponde al vero è che Hilbert fosse ostile alla 'concezione intuitiva' (anschaulich) della matematica della quale era fautore il suo collega Klein. Quanto allo stile, Hilbert e Klein non avrebbero potuto essere più lontani. Non altrettanto si può dire delle loro 'idee filosofiche' generali, ed entrambi si opposero a una concezione puramente formalistica della matematica, rifiutando l'idea che la matematica potesse essere ridotta a un gioco basato su un sistema di regole e simboli arbitrari. A Parigi Hilbert intese sottolineare proprio questo punto, quando fece notare che nuovi concetti richiedono nuovi segni che "scegliamo in modo che ci ricordino i fenomeni che avevano motivato la formazione dei nuovi concetti. In questo modo, le figure geometriche sono segni per le immagini dell'intuizione spaziale" e aggiunse che "i segni aritmetici sono figure scritte e le figure geometriche sono formule disegnate. E nessun matematico potrebbe rinunciare a queste formule disegnate" (Hilbert 1935 [Abrusci 1978, p. 150]).

La sua ottimistica affermazione che qualsiasi problema ben posto poteva essere risolto ‒ "o riuscendo a dare la risposta alla questione posta oppure mostrando l'impossibilità di una sua soluzione e quindi la necessità dell'insuccesso di ogni tentativo" ‒ segna uno degli apici del discorso di Parigi. "In matematica non esiste alcun Ignorabimus" proclamò con forza Hilbert. Questa professione di fede, una "convinzione, che è certamente condivisa da ogni matematico", era un elemento centrale della sua concezione, che tuttavia non divenne pressante per lui prima del 1920, quando il pessimismo culturale cominciò a dilagare in Germania.

Nell'intento di confutare l'intuizionismo di Brouwer, Hilbert si erse a strenuo difensore della concezione della matematica che aveva presentato nella Conferenza di Parigi. A tale impresa si dedicò nelle fasi finali della sua carriera. I suoi discepoli continuarono il suo programma formalistico durante gli anni Trenta, ma lo smantellamento dell'Istituto di matematica di Gottinga, che fece seguito alla presa del potere da parte dei nazisti nel 1933, segnò di fatto la fine dell'era di Hilbert nella matematica tedesca (Schappacher 1987).

Nelle osservazioni conclusive della sua conferenza Hilbert sottolineava che "la matematica è un tutto indivisibile, un organismo la cui vitalità è condizionata da un'armoniosa interconnessione delle sue parti". Questa affermazione può essere considerata come il secondo elemento centrale del credo di Hilbert. I ventitré problemi da lui posti possono chiarire come questa concezione abbia potuto conciliarsi con le idee che avrebbe sviluppato in seguito, ed evidenziare quali siano stati i campi in cui egli anticipò i nuovi significativi sviluppi degli anni a venire.

I problemi di Hilbert: un programma di ricerca

Molti dei problemi che Hilbert presentò nella Conferenza di Parigi riflettevano da vicino non solo il suo precedente lavoro, ma anche il programma di ricerca che egli aveva iniziato a diffondere con l'aiuto dei suoi allievi a Gottinga. I problemi si possono approssimativamente raggruppare in otto gruppi: (a) fondamenti dell'analisi (problemi I, II); (b) fondamenti della geometria (III, IV, V, XVIII); (c) fisica matematica (VI); (d) teoria dei numeri (VII-XII); (e) algebra (XIII, XIV, XVII); (f) geometria algebrica (XV, XVI); (g) calcolo delle variazioni (XIX, XX, XXIII); (h) analisi complessa (XXI, XXII).

Benché questo elenco fornisca un'impressione generale dell'ampiezza dei temi trattati da Hilbert, esso trasmette un'immagine frammentaria che non corrisponde alle sue intenzioni e alle sue idee. Per ottenere un quadro più aderente alla realtà occorre integrare questo elenco con le osservazioni che egli fece allo scopo di raccordare i vari argomenti, che rivelano con chiarezza immediata come i singoli problemi di Hilbert si inseriscano nella sua concezione unitaria della matematica.

I primi sei problemi esploravano vari aspetti dei fondamenti della matematica: la natura del continuo (problemi I e II), la relazione tra gli assiomi di congruenza e di continuità nella geometria solida (problema III), la caratterizzazione delle geometrie che soddisfano la disuguaglianza triangolare ma non l'assioma euclideo di congruenza dei triangoli (problema IV) e problemi a cavallo tra geometria e fisica (V e VI). Citando Weierstrass, il grande architetto dell'analisi del XIX sec., Hilbert sottolineò come la questione dei fondamenti non fosse da lasciare agli specialisti, perché "solo l'architetto che conosce a fondo anche nei particolari la disposizione dell'edificio è in grado di porne in modo sicuro le fondamenta" (Hilbert 1935 [Abrusci 1978, p. 160]).

Egli si accinse poi a entrare nell'edificio scegliendo la stessa via che avrebbe seguito Carl Friedrich Gauss (1777-1855): attraverso le stanze decorate in maniera eccelsa della teoria dei numeri. Dopo aver considerato due delle aree più stimolanti nella teoria dei numeri analitici, i numeri trascendenti (problema VII) e la distribuzione dei numeri primi (la congettura di Riemann e i problemi correlati nel problema VIII), Hilbert rivolse la sua attenzione a "tre problemi speciali nell'ambito della teoria dei numeri". Il IX problema richiedeva una dimostrazione delle leggi generali di reciprocità in un campo di numeri algebrici arbitrari (un problema che era stato reso accessibile dalle recenti ricerche di Hilbert), il X una procedura per determinare se una data equazione diofantea avesse soluzione e l'XI invitava i matematici a sviluppare la teoria delle forme quadratiche in n variabili a coefficienti in un campo di numeri algebrici arbitrari.

Con il XII problema, il più importante, un'audace estensione del 'sogno di gioventù' di Kronecker, Hilbert fece notare che si stava spostando nel campo dell'algebra e della teoria delle funzioni, che egli considerava 'il pinnacolo più alto della cattedrale della matematica pura', nel quale dominava una notevole unità di concetti e di strutture.

Con i problemi compresi fra il XIII e il XVIII, Hilbert si inoltrò nel dominio dell'algebra in senso stretto, considerando anche argomenti tratti dalla geometria algebrica. Il XV problema, che richiede di stabilire fondamenti rigorosi per il calcolo di Schubert nella geometria enumerativa, avrebbe potuto senz'altro essere collocato insieme ai primi sei. Il XVI problema esamina la topologia delle curve e delle superfici reali, mentre il XVII riguarda la rappresentazione come somma di quadrati di funzioni reali definite positive. L'ultimo problema di questo gruppo riguarda i tipi di gruppi di trasformazione che possono sorgere in uno spazio euclideo n dimensionale.

Nel gruppo finale di problemi Hilbert prendeva in considerazione vari argomenti di analisi. Dopo aver messo in evidenza l'importanza delle funzioni analitiche, nel XIX e nel XX problema Hilbert poneva questioni strettamente collegate, pertinenti l'analiticità delle soluzioni di certi importanti tipi di equazioni differenziali alle derivate parziali. Il XXI problema, oggi usualmente detto di 'Riemann-Hilbert', richiedeva se un sistema dato di equazioni differenziali lineari potesse essere determinato a partire da un fissato gruppo di monodromia. Il penultimo problema, il XXII, localizzava le difficoltà restanti e la possibile estensione dei risultati di uniformizzazione di Poincaré nel campo della teoria delle funzioni automorfe. Hilbert concluse poi descrivendo brevemente il caso più semplice del suo teorema di indipendenza nel calcolo delle variazioni, presentato come esempio di un recente progresso in un campo che egli considerava come uno dei più promettenti nell'immediato futuro.

Sarebbe assai fuorviante pensare che questi ventitré problemi costituiscano un tutto equilibrato: nemmeno Hilbert aveva questa pretesa. Egli riteneva infatti che i suoi fossero soltanto "campioni di problemi" (Hilbert 1935 [Abrusci 1978, p. 161]). Nondimeno, gli squilibri colpiscono. Se alcuni dei problemi erano formulati in maniera conforme al suo criterio di semplicità, altri lo erano tanto vagamente da permettere soltanto di fare congetture sulla vera natura del problema che Hilbert aveva in mente. In qualche caso egli non pose nemmeno un vero problema specifico, proponendo invece la creazione di una nuova teoria o addirittura l'avvio di un programma di ricerca completamente nuovo. In ragione di questa eterogeneità, potrebbe essere utile distinguere tra due tipi di problemi: quelli aventi carattere più generale e quelli che sembrano conformi alla nozione di problema matematico intesa nel senso più convenzionale.

Considerando le cose dal punto di vista di Hilbert, possono appartenere alla prima categoria forse cinque dei ventitré problemi: il VI, concernente i fondamenti assiomatici delle teorie fisiche; il XII, che tratta la possibilità di sviluppare ulteriormente il parallelismo tra i campi di numeri algebrici e i campi di funzioni algebriche; il XIX e il XX, riguardanti la natura delle soluzioni delle equazioni alle derivate parziali che sorgono in connessione con i principî variazionali; il XXIII, che invitava a rinnovare gli sforzi nell'ambito del calcolo delle variazioni.

Il XII problema è il nocciolo del programma di ricerca di Hilbert nella teoria dei numeri. L'ispirazione gli venne dal "sogno di gioventù prediletto" di Kronecker, una congettura che questi tuttavia non formulò mai chiaramente. Hilbert la intese come l'asserzione che le estensioni abeliane K di un campo di numeri K=ℚ (√−D), ossia le estensioni immaginarie quadratiche dei razionali, possono essere tutte realizzate aggiungendo valori generati dalle due funzioni f1(z)=ez, f2(z)=J(z), dove J(z) è la funzione modulare. Hilbert formulò le seguenti generalizzazioni: siano k un'estensione algebrica finita di ℚ e K un'estensione abeliana finita di k. È possibile trovare funzioni analitiche f1(z), f2(z),…, fr(z) aventi la proprietà che, scegliendo opportuni valori zik, si possa sempre ottenere un sottocampo di k(f1(z1),…, fr(zr)) isomorfo a K?

È interessante notare che forse questo audace interrogativo è nato da un'incomprensione dell'originale 'sogno' di Kronecker. In seguito Helmut Hasse (1898-1979) suppose che la versione effettiva del sogno di Kronecker riguardasse le funzioni ellittiche e non soltanto la funzione modulare J(z) (Hasse 1930). Un teorema di questo tipo è stato dimostrato nel 1920 da Teiji Takagi (1875-1960) utilizzando una nuova versione della teoria dei campi di classe che generalizzava la teoria dello Zahlbericht di Hilbert.

Gli altri quattro problemi più generali di Hilbert (VI, XIX, XX e XXIII) ricoprono una varietà di temi appartenenti all'analisi e alla fisica matematica, che avrebbero rivestito un ruolo determinante nell'ambito del suo programma di ricerca. Il VI problema riflette il suo interesse nei confronti della fisica matematica, che si intensificò con l'arrivo di Hermann Minkowski (1864-1909) a Gottinga nel 1902. Durante i due decenni successivi, Hilbert si concentrò su un ampio spettro di problemi di teoria delle equazioni integrali, di teoria del potenziale, di relatività generale e di fondazione matematica della fisica.

Poco prima della sua prematura scomparsa, Minkowski era riuscito a geometrizzare la teoria della relatività ristretta; nel frattempo Albert Einstein (1879-1955) e Marcel Grossmann (1878-1936) avevano iniziato a sviluppare la teoria della relatività generale. Nel 1915 Einstein e Hilbert pubblicarono due famosi lavori nei quali ricavavano le equazioni dei campi gravitazionali della relatività generale. All'epoca Emmy Noether (1882-1935), figlia del matematico di Erlangen Max Noether, lavorava sia con Hilbert sia con Klein, che avevano avviato un'approfondita indagine sui fondamenti matematici della teoria di Einstein. In precedenza, a Erlangen, Emmy Noether era stata assistente di Ernst Sigismund Fischer (1875-1954), il quale l'aveva introdotta alle ricerche di Hilbert sugli anelli di polinomi, che costituirono uno dei principali punti di partenza del suo lavoro sulla teoria degli anelli, iniziato intorno al 1920. Verso la metà degli anni Venti Emmy Noether era la guida riconosciuta di un gruppo di giovani ricercatori che lavoravano sui temi centrali della moderna algebra astratta.

Nel 1915, quando Emmy Noether arrivò a Gottinga, Hilbert e Klein erano interessati soprattutto a mettere a frutto la sua esperienza nella teoria degli invarianti differenziali. La natura di quattro identità, presenti nella teoria di Hilbert ‒ che si basava sulla teoria della materia di Gustav Mie (1868-1957) e faceva risolutamente ricorso a principî variazionali ‒ si rivelò una fonte di considerevole disaccordo tra i matematici di Gottinga e Einstein. Emmy Noether riuscì infine a trovare l'idea chiave per spiegare queste difficoltà, mostrando che il numero dei parametri di un sottogruppo di invarianti per i sistemi lagrangiani può essere identificato con il numero di leggi di conservazione derivabili per tali sistemi. Il suo teorema di calcolo delle variazioni, pubblicato nel 1918, è considerato una pietra miliare della fisica matematica moderna.

Sebbene il teorema di Emmy Noether non sia di solito posto in connessione con il VI problema di Hilbert, esso va certo considerato come uno dei principali contributi matematici ai fondamenti della fisica del periodo. Inoltre, data l'importanza centrale che Hilbert attribuiva ai principî variazionali nella fisica matematica, è del tutto plausibile ritenere che egli valutasse il risultato di Emmy Noether come adatto allo scopo del programma delineato nel suo VI problema. Ciò appare ancor più verosimile se si considera l'obiettivo dell'ultimo dei problemi di Hilbert, che richiamava l'attenzione sulle nuove possibilità di estensione e di affinamento dei metodi del calcolo delle variazioni. Come ebbe a osservare Hermann Weyl (1885-1955), un forte impulso per i futuri sviluppi del calcolo delle variazioni venne dai nuovi metodi diretti di Hilbert, che richiamavano in vita il principio classico di Dirichlet; si trattava di idee strettamente legate ai problemi XIX e XX. Il primo di questi riguardava le equazioni differenziali alle derivate parziali che si presentano come equazioni lagrangiane nei cosiddetti problemi variazionali regolari; Hilbert si domandava se le soluzioni di tali equazioni fossero necessariamente analitiche. Il XX problema riguardava la possibilità di provare l'esistenza di soluzioni per equazioni differenziali alle derivate parziali con condizioni al contorno assegnate. Hilbert era convinto che il principio di Dirichlet contenesse la chiave per rispondere alla questione generale: "se ogni problema variazionale regolare abbia una soluzione, non appena siano soddisfatte certe ipotesi sulle condizioni al contorno [...] e, all'occorrenza, il concetto di soluzione sia opportunamente ampliato". Il problema, formulato vagamente, servì da punto di partenza per un nuovo fondamentale indirizzo di ricerca, i cosiddetti metodi diretti nel calcolo delle variazioni, sviluppati tra gli altri, da Richard Courant, Leonida Tonelli e Charles B. Morrey.

Guardando al complesso di ricerche intraprese dopo il 1900 da Hilbert e dai suoi allievi, si può dire che soltanto una parte relativamente piccola di esse fu ispirata direttamente dai problemi concreti presentati nella conferenza di Parigi.

Per farsi un'idea delle aree di ricerca e dei problemi che si rivelarono i più importanti per Hilbert e la sua scuola si può scorrere l'impressionante elenco di sessanta tesi di dottorato, scritte sotto la sua direzione nel periodo compreso tra il 1898 e il 1915. Ne emerge un quadro molto chiaro: risultano praticamente assenti l'algebra e la teoria degli invarianti, argomenti ai quali Hilbert si era dedicato all'inizio della sua carriera. Nonostante la teoria degli invarianti fosse argomento del XIV problema di Hilbert, uno solo dei suoi studenti scrisse una tesi concernente gli invarianti, mentre altri tre si interessarono di problemi particolari di geometria algebrica strettamente legati al XVI problema.

Ancora più sorprendente è il fatto che nessuna delle tesi riguardasse la teoria degli anelli di polinomi, degli anelli e dei campi astratti o qualunque altra parte dell'algebra moderna. La mancanza di interesse per l'algebra nella scuola di Hilbert colpisce se si considera l'attività sviluppatasi all'epoca in questo campo, e specialmente i lavori di Emanuel Lasker, Ernst Steinitz, Abraham Fraenkel, Fischer e altri, per la maggior parte ispirati direttamente a precedenti risultati di Hilbert.

La teoria algebrica dei numeri continuò invece a occupare un posto preminente nel programma di ricerca di Hilbert, nonostante egli non pubblicasse più sull'argomento. Ben undici dei suoi studenti scrissero la tesi su questioni di teoria dei numeri. Tra essi, in particolare, Andreas Speiser (1885-1970) lavorò sull'XI problema, riguardante le forme quadratiche nei campi di numeri algebrici arbitrari, mentre Otto Blumenthal, Rudolf Fueter e, soprattutto, Erich Hecke lavorarono su argomenti che erano correlati con il XII problema.

Anche i fondamenti della geometria continuarono a rivestire un ruolo importante nella scuola di Hilbert, in particolare prima del 1905, quando il programma di ricerca di quest'ultimo sulla teoria delle equazioni integrali era in pieno svolgimento. Su un totale di dodici tesi di dottorato che trattavano argomenti di geometria, cinque riguardavano direttamente le questioni dei fondamenti. Pochi mesi dopo la Conferenza di Parigi, Max Dehn (1878-1952) chiarì nella sua tesi la natura dei teoremi di Legendre sulla somma degli angoli di un triangolo. Due anni dopo, Dehn confermò la congettura che Hilbert aveva presentato nel II dei suoi problemi: non si può in generale dimostrare la congruenza di due tetraedri con basi e altezze uguali (e quindi con uguale volume) scomponendoli in tetraedri congruenti. Questo risultato mette in luce un'importante distinzione tra la geometria euclidea piana e quella solida. Nei Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della geometria) Hilbert aveva dimostrato che, in geometria piana, gli assiomi di congruenza sono sufficienti per provare la congruenza di figure rettilinee, senza far ricorso a nessun assioma di continuità (implicato, per es., nel metodo di esaustione). Il risultato di Dehn mostrò che (come Gauss aveva congetturato) la relazione tra gli assiomi di congruenza e i teoremi elementari per le figure di uguale volume differisce fondamentalmente dalla corrispondente situazione nel piano.

Prima ancora che Dehn pubblicasse questo risultato, un altro allievo di Hilbert, Georg Hamel (1877-1954), risolse il IV problema. Hilbert aveva richiesto di determinare quali geometrie non euclidee si possano ottenere tralasciando l'assioma di congruenza dei triangoli e conservando solo la disuguaglianza triangolare. Geometrie con questa proprietà erano già state considerate da Klein, da Minkowski e dallo stesso Hilbert. Hamel riuscì a provare che i casi da essi studiati sono essenzialmente esaustivi; in particolare, dimostrò che le uniche geometrie possibili per una parte o per l'intero piano proiettivo sono ellittiche (nel caso del piano intero), oppure iperboliche del tipo studiato da Minkowski e Hilbert, nel quale la regione è convessa e le rette all'interno di essa sono segmenti di retta euclidea.

La teoria dei numeri e la geometria erano argomento di ventitré delle sessanta tesi di dottorato scritte dagli allievi di Hilbert prima della Prima guerra mondiale, ma l'analisi era di certo la disciplina dominante. Ben ventinove dei suoi studenti di dottorato si occuparono di temi di analisi, trattando in maggioranza problemi compresi in due aree particolari, che costituirono il vero centro di attività della scuola di Hilbert nella sua intensa fase prebellica: il calcolo delle variazioni e la teoria delle equazioni integrali. Ancor più dei numeri, colpiscono i nomi che figurano nella lunga lista di studenti che scrissero tesi su questi argomenti, tra i quali spiccano Erhard Schmidt, Hermann Weyl, Ernst Hellinger, Alfréd Haar, e Richard Courant. Accanto a essi, andrebbero considerati anche gli importanti studiosi di analisi che tra il 1900 e il 1915 gravitarono in gran numero attorno al circolo di Hilbert e, in senso più vasto, alla comunità matematica di Gottinga. Questo gruppo includeva figure di primo piano come Constantin Carathéodory, Gustav Herglotz, Hans Hahn e Heinrich Tietze.

Nel programma di ricerca di Hilbert analisi e fisica erano strettamente associate, e non sorprende che cinque dei suoi dottorandi di quel periodo scrivessero tesi su vari aspetti della fisica matematica. Come i suoi colleghi Klein e Minkowski, Hilbert coltivava stretti legami con i fisici e seguiva da vicino i dirompenti sviluppi in corso nel campo della fisica. In questo contesto, Arnold Sommerfeld (1868-1951), che aveva studiato sotto la guida di Hilbert a Königsberg e in seguito con Klein a Gottinga, ebbe un ruolo fondamentale. Su suo consiglio un gran numero di fisici di talento si trasferì dalla scuola di Monaco di Sommerfeld a Gottinga e molti di loro furono impiegati da Hilbert come assistenti, con il compito primario ‒ per tutti gli anni Venti ‒ di tenerlo aggiornato sulle ultime novità nella teoria dei quanti. Nel semestre invernale 1926-1927 Hilbert tenne perfino un corso di meccanica quantistica, con Lothar Nordheim (1899-1985) e John von Neumann (1903-1957) come assistenti. Questa operazione, non priva di rischi, diede i suoi frutti quando nel 1932 von Neumann si servì della teoria degli operatori autoaggiunti non limitati per fornire una trattazione assiomatica dei fondamenti della meccanica quantistica, un lavoro che richiamava molto da vicino lo spirito del VI problema di Hilbert.

In quel periodo, tuttavia, il tema di ricerca dominante della scuola di Hilbert era costituito dai fondamenti non della fisica ma piuttosto della matematica. Solo nell'ultima fase della sua attività, dunque, Hilbert si impegnò attivamente nella ricerca sui fondamenti della matematica, argomento di cinque delle nove tesi da lui seguite tra il 1918 e il 1933. Nella più importante, il suo futuro assistente e collaboratore Wilhelm Ackermann (1896-1962) stabiliva i fondamenti della legge del tertium non datur per mezzo della teoria della dimostrazione di Hilbert.

I limiti della profezia

La Conferenza di Parigi di Hilbert fu un evento unico nella storia della matematica, un'impresa che poteva essere compiuta solo da chi fosse stato in grado di dominare i più diversi campi della matematica. Nel 1900 era infatti pressoché inevitabile essere specializzati e Poincaré e Hilbert furono tra gli ultimi matematici capaci di dare significativi contributi alle principali branche della matematica.

Intorno all'inizio del XX sec. vi furono tuttavia molti nuovi e importanti sviluppi che non furono adeguatamente apprezzati da Hilbert e dalla sua scuola. Alla metà degli anni Novanta, per esempio, Poincaré aveva già creato gli strumenti fondamentali della topologia algebrica, aprendo la via alla moderna teoria delle varietà. Nello stesso periodo Wilhelm Karl Killing (1847-1923) ed Élie Cartan (1869-1951) dimostrarono i primi teoremi strutturali per le algebre di Lie semi-semplici e, sempre a cavallo del secolo, Émile Borel (1871-1956) e Henri-Léon Lebesgue (1875-1941) elaborarono nuove teorie della misura che rivoluzionarono i metodi di integrazione. Questi importanti sviluppi portarono a campi di ricerca assolutamente nuovi, gran parte dei quali coltivati lontano dagli ambienti di Gottinga.

I cinque problemi visti sopra erano considerati da Hilbert come vasti programmi di ricerca. È interessante tuttavia notare come anche molti altri problemi, che egli sembra aver proposto in vista di obiettivi più limitati, assunsero un significato programmatico, sebbene in direzioni che Hilbert stesso evidentemente non immaginava e che non avrebbe potuto prevedere.

Gli esempi più significativi sono forse dati dai primi due problemi, che si rivelarono di importanza decisiva per le future ricerche di logica e teoria degli insiemi. Hilbert sembra li considerasse congetture relativamente semplici ed evidenti, relative all'aritmetizzazione del continuo. Il I problema riguardava l'ipotesi del continuo di Cantor, e la sua affermazione che il continuo dei numeri reali può essere bene ordinato. Come Cantor, anche Hilbert era convinto che questi problemi riguardassero profonde verità matematiche contenenti la chiave per la comprensione dell'infinito. L'ipotesi del continuo di Cantor afferma che la cardinalità del continuo dei numeri reali è ℵ1, il più piccolo numero cardinale non numerabile, e in molte occasioni egli credette di averla effettivamente dimostrata.

Sulla scia della conferenza di Hilbert si dedicarono al problema molti altri matematici, tra i quali i suoi allievi Felix Bernstein, Felix Hausdorff e Wacław Sierpiński. Hilbert stesso nel 1925 tracciò persino un abbozzo di dimostrazione, dell'infondatezza della quale si rese conto ben presto. Il primo passo avanti veramente significativo fu compiuto da Kurt Gödel (1906-1978) il quale, nel 1938, dimostrò che la cosiddetta ipotesi generalizzata del continuo è compatibile con gli assiomi di Zermelo-Fraenkel della teoria degli insiemi. Gödel pensava che l'ipotesi del continuo fosse, in realtà, indipendente dal sistema di Zermelo-Fraenkel, ma ciò fu dimostrato soltanto nel 1963 da Paul Cohen.

Al contrario del I problema, che fino agli anni Venti rimase al margine degli interessi di ricerca di Hilbert, il II si sviluppò direttamente all'interno del suo lavoro sui fondamenti della geometria. Nei Grundlagen der Geometrie egli aveva dimostrato che la non contraddittorietà degli assiomi della geometria euclidea è riconducibile a quella degli assiomi dell'aritmetica dei numeri reali. Nel II problema Hilbert richiedeva una prova diretta della coerenza di quel sistema di assiomi del continuo. Tale dimostrazione sarebbe stata "anche la dimostrazione dell'esistenza matematica dell'insieme dei numeri reali, ovvero del continuo". Come il primo, anche questo problema si rivelò di gran lunga più difficile di quanto egli avesse immaginato, ed eluse gli sforzi di Paul Bernays (1888-1977) e altri esponenti di primo piano della scuola di Hilbert negli anni Venti. Infine, nel 1931, Gödel pubblicò i suoi teoremi di incompletezza, che rivelarono l'esistenza di profonde limitazioni insite nel programma formalista perseguito dagli allievi di Hilbert. Nonostante questo scacco, gli sforzi per provare la coerenza degli assiomi per l'aritmetica continuarono e nel 1936 Gerhard Gentzen (1909-1945), assistente di Hilbert, riuscì a elaborarne una dimostrazione modificando i rigidi principî finitisti imposti originariamente dal maestro.

Minkowski aveva trovato questo secondo problema "estremamente originale", poiché richiedeva una prova di qualcosa che "i matematici credevano da lungo tempo di possedere" (Minkowski 1973, p. 129). Molti dei problemi di Hilbert, d'altronde, non erano affatto nuovi e alcuni di essi avevano profonde radici classiche. Il VII problema, per fare un esempio, riguardava la trascendenza di numeri come 2√2 oppure eπ. Questo tipo di questione era già stata sollevata nel XVIII sec. da Leonhard Euler (1707-1783). Nel 1844 Joseph Liouville (1809-1882) dimostrò l'esistenza dei numeri trascendenti (i numeri che non possono essere radici di un'equazione polinomiale a coefficienti interi). Soltanto trent'anni dopo Cantor pubblicò il sorprendente risultato che 'pressoché tutti' i numeri reali sono trascendenti, nel senso che l'insieme dei numeri algebrici, cioè dei numeri reali non trascendenti, costituisce un'infinità numerabile, mentre il continuo non è numerabile. Nel 1882 il relatore della tesi di dottorato di Hilbert, Ferdinand Lindemann (1852-1939), diede la prima dimostrazione della trascendenza di π, ispirata apertamente ai metodi che Charles Hermite (1822-1901) aveva sviluppato dieci anni prima allo scopo di dimostrare la trascendenza di e.

Questo complesso di importanti risultati sta sullo sfondo del VII problema di Hilbert, che chiede se l'espressione αβ sia trascendente per i numeri algebrici α e β con α≠0,1 e β irrazionale. Nessun progresso degno di nota si ebbe fino agli anni Venti, e Hilbert stesso previde che nessun mutamento al riguardo si sarebbe verificato nel corso della sua vita. Questa profezia si rivelò però sbagliata. Nel 1934 infatti Aleksandr Osipovič Gel′fond (1906-1968) risolse il VII problema, rispondendo alla questione in maniera affermativa.

L'VIII problema riguardava la distribuzione dei numeri primi, un altro argomento che aveva profonde radici classiche. Gauss aveva ipotizzato che π(n)∼n/ln(n), dove π(n) rappresenta il numero di numeri primi minore o uguale a n. La dimostrazione venne data nel 1896 indipendentemente da Jacques-Salomon Hadamard (1865-1963) e da Charles de la Vallée-Poussin (1866-1962). Restavano tuttavia aperti molti problemi fondamentali, il più importante dei quali era la famosa congettura di Riemann secondo cui gli zeri non banali della funzione zeta

[1]  ζ(s) = 1+1/2s+1/3s+1/4s+…, s∈ℂ

giacciono tutti sulla retta Re(s)=1/2. Riemann aveva utilizzato una certa formula nel tentativo di studiare le proprietà della funzione zeta. Hilbert pensò che tale formula potesse fornire la chiave per risolvere questo e altri problemi a esso correlati, come la congettura di Goldbach oppure il problema di determinare quando l'equazione diofantea ax+by+c=0 abbia come soluzioni numeri primi x e y. Il suo ottimismo si rivelò comunque infondato; infatti nessuna di tali questioni è stata ancora risolta.

Il VII e l'VIII problema facevano parte dei nove che Hilbert presentò effettivamente nella sua conferenza a Parigi. Gli altri di cui parlò furono il I, il II, il VI, il XIII, il XVI, il XIX e il XXII. Il XIII e il XVI trattavano temi piuttosto particolari. Nel XIII problema Hilbert ipotizzò che la soluzione delle equazioni algebriche generali di settimo grado cadesse fuori dalla portata delle funzioni nomografiche, introdotte nel 1891 da Philibert Maurice d'Ocagne (1862-1938) per risolvere equazioni algebriche con mezzi grafici. Questa congettura fu confutata nel 1957 da Andrej Nikolaevič Kolmogorov (1903-1987) e Vladimir Igorevič Arnol′d.

Il XVI problema riguarda le possibili configurazioni topologiche che si possono presentare studiando le componenti di una curva algebrica reale nel piano oppure di una superficie nello spazio. Questo tipo di 'problema intuitivo' (anschaulich) era assai caro a Klein e ai suoi studenti, Axel Harnack (1851-1888) e Karl Rohn (1855-1920). Le sue radici risalivano al 1876, quando Harnack dimostrò che nel piano proiettivo una curva di grado n non può avere più di 1/2(n−1)(n−2)+1 rami distinti e che, per ogni n dato, è possibile ottenere questo numero massimo di rami. Hilbert studiò alcuni casi particolari in un articolo del 1891 nel quale formulò la congettura, ripresa nel XVI problema, che per n=6 non si possa presentare una configurazione di undici ovali esterne l'una all'altra. Il primo a darne una dimostrazione fu Rohn, nel 1913, mentre Ivan Georgevič Petrovskij (1901-1973) riuscì a ottenere nel 1938 un risultato più generale per curve di ordine pari.

Molti dei problemi posti da Hilbert furono ignorati per molto tempo prima di essere affrontati con successo. Nel V problema Hilbert considerava i fondamenti della teoria dei gruppi continui di trasformazioni, di cui Sophus Lie (1842-1899) si era servito per esplorare le geometrie che si possono ottenere assumendo la libera mobilità dei corpi rigidi nello spazio (il cosiddetto problema di Riemann-Helmholtz). Lie assumeva che le funzioni che descrivono le trasformazioni fossero differenziabili, condizione che Hilbert riteneva superflua. Due anni dopo egli risolse positivamente la questione per ciò che riguardava il piano. La sua complicata dimostrazione faceva un uso essenziale del teorema di Jordan sulle curve, che lo portò vicino come non mai alla topologia degli insiemi di punti. Curiosamente, il suo lavoro sembra aver destato scarsa attenzione, nonostante avesse influenzato Weyl durante la preparazione del suo influente libretto Die Idee der riemannschen Fläche (L'idea di superficie di Riemann, 1913).

Come Lie, anche Hilbert pensava ai gruppi di Lie perlopiù in termini locali. Soltanto sulla scia dei pionieristici contributi di Cartan alla teoria globale di Lie i matematici iniziarono a considerare il V problema di Hilbert sotto una nuova luce, vale a dire in connessione con la teoria dei gruppi topologici. Conseguentemente, la domanda che si presentava in maniera naturale era se ogni gruppo, localmente euclideo, fosse un gruppo di Lie. Tale questione venne affrontata in molti lavori importanti, in modo speciale da Lev Semenovič Pontrjagin (1908-1988) e da von Neumann, prima di essere risolta, nel 1952 in senso positivo, da Andrew Gleason, nonché dal gruppo di Deane Montgomery e di Leo Zippin.

Il X problema di Hilbert fu anch'esso trascurato per molti anni. La sua formulazione enigmatica ne fa certamente uno dei più misteriosi fra i ventitré problemi. Si richiedeva di "dare un procedimento, con il quale poter decidere, mediante un numero finito di operazioni, se l'equazione è risolubile in numeri razionali interi" (Hilbert 1935 [Abrusci 1978, p. 160]). Ciò che Hilbert aveva in mente con un simile procedimento si può forse evincere da un articolo che egli scrisse insieme ad Adolf Hurwitz, nel quale è delineato un procedimento ricorsivo per risolvere le equazioni diofantee omogenee di grado arbitrario e genere zero.

La teoria degli algoritmi, sviluppata da Alonzo Church (1903-1995) e Alan M. Turing (1912-1954) negli anni Trenta, permise ai matematici di studiare la logica di tali procedimenti ricorsivi e di dare quindi una formulazione precisa del problema. Grazie alle ricerche condotte da Martin Davis, Hillary Putnam e Julia Robinson la questione fu infine risolta nel 1970 da Jurij Vladimirovič Matijasevič, il quale dimostrò che è impossibile trovare un algoritmo per determinare se una data equazione diofantea abbia soluzioni.

Un altro interessante esempio di reazione tardiva è il XV problema, che richiedeva di fornire una base rigorosa al calcolo enumerativo creato dall'insegnante di liceo di Hurwitz, Hermann Hannibal Schubert (1848-1911). Il calcolo di Schubert, presentato nel Kalkül der abzählenden Geometrie (Calcolo della geometria numerativa, 1879), è un metodo per contare il numero di configurazioni geometriche possibili di un determinato tipo. Lo studio di questo problema non ebbe sviluppi significativi sino alla fine degli anni Venti, quando Bartel Leendert van der Waerden e Wei-Liang Chow fornirono una nuova interpretazione della teoria mediante le classi di coomologia introdotte da Solomon Lefschetz. Ulteriori conferme della validità del calcolo di Schubert furono date da Charles Ehresmann nel 1934 e da William V.D. Hodge all'inizio degli anni Quaranta.

Nel corso del XX sec. i problemi di Hilbert hanno conosciuto sviluppi variegati e complessi. In molti casi si sono intrecciati con nuovi concetti, oppure hanno trovato la loro via nell'ambito di nuove teorie che hanno fortemente influenzato il modo in cui i matematici li hanno considerati in seguito. Alcuni dei problemi sono stati completamente trasformati, tanto da rendere difficile riconoscerli nella formulazione originale di Hilbert. In molti casi, talune versioni radicalmente trasfigurate dei problemi originali hanno avuto la funzione di catalizzatori per ricerche fruttuose in teorie che sarebbero venute alla luce solo molti anni dopo. Questo fenomeno mostra come la definizione delle conoscenze matematiche acquisite grazie ai problemi di Hilbert non sia il risultato di un processo di accumulazione, ma piuttosto il prodotto di un continuo processo dialettico di trasformazione e rinnovamento che sembra riflettere la stessa dinamica che Hilbert aveva in mente quando, nel 1900, parlava della natura dei problemi matematici.

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