La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Dall'etica medica alla bioetica

Storia della Scienza (2004)

La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. Dall'etica medica alla bioetica

Susan E. Lederer

Dall'etica medica alla bioetica

La bioetica viene generalmente definita come lo studio delle dimensioni morali della medicina e delle scienze biomediche. A partire dai primi anni Settanta essa è progressivamente subentrata alla più antica tradizione dell'etica medica, storicamente dominata appunto dalla classe medica. Uno dei tratti più significativi della nuova disciplina bioetica è rappresentato dall'ingresso di altre figure (giuristi, teologi, filosofi, operatori sociali, infermieri) in ambiti decisionali che un tempo erano di esclusiva pertinenza dei medici e dei loro pazienti. Presidenti, premier e parlamenti istituiscono commissioni bioetiche preposte a consigliare i governi in merito a innovazioni biomediche, quali la clonazione, la ricerca sulle cellule staminali e gli xenotrapianti (il trasferimento in un corpo umano di organi appartenenti ad animali). Gli studiosi di bioetica sono frequentemente chiamati dai mass-media per offrire indicazioni sugli interventi medici eseguiti al principio o al termine della vita, e in tutto il periodo che si situa fra i due estremi.

Codici di deontologia professionale

La dimensione etica del fornire cure a chi è malato ha radici molto antiche. Con il giuramento di Ippocrate, il più famoso giuramento medico, l'iniziato riconosceva di avere doveri e responsabilità nei confronti dei pazienti, dei colleghi e della società. Stilato tra il IV e il V sec. a.C., esso includeva, tra l'altro, il divieto di praticare aborti, di utilizzare il coltello (incisione finalizzata alla rimozione dei calcoli dalla vescica) e di fare ricorso all'eutanasia. Nei secoli successivi, e con le dovute modifiche (consistenti soprattutto nel sostituire l'invocazione degli dei e delle dee greche con quella delle divinità del caso), il giuramento venne adottato dai medici cristiani, ebrei e islamici. Nel XVIII e XIX sec., nel mondo anglosassone, esso divenne un rito di passaggio, inserito di prassi nella cerimonia di laurea di moltissime facoltà di medicina. Dopo la scoperta delle atrocità commesse dai medici nazisti durante la Seconda guerra mondiale, una delle prime misure adottate dalla World Medical Association fu l'elaborazione di un giuramento per i medici (un giuramento di Ippocrate modificato). La Dichiarazione di Ginevra (1948) iniziava sancendo la necessità di garantire il benessere di ogni singolo paziente; quando i medici tedeschi, dopo la guerra, tentarono di rientrare nella comunità professionale internazionale, una delle condizioni poste per la loro integrazione nella World Medical Association fu l'impegno a rendere obbligatoria l'adozione della Dichiarazione di Ginevra da parte di chiunque in Germania intendesse laurearsi in medicina.

L'etica medica era tuttavia qualcosa di più di un giuramento; la locuzione era riferita ai codici di condotta sviluppati dai medici per incoraggiare l'autoregolamentazione e la riflessione sistematica sulle questioni poste dalla malattia, dalla cura e dal ruolo del dottore. Oltre al noto giuramento, il Corpus Hippocraticum includeva testi sulle qualità del 'buon medico' e sulla correttezza con cui avrebbe dovuto trattare i suoi pazienti. La dignità del medico, secondo uno degli autori, richiedeva che egli apparisse 'sano, e in carne come l'ha fatto la Natura' perché le persone si aspettavano che il loro dottore fosse in 'condizioni fisiche eccellenti'. Era consigliabile che il medico fosse profumato di pulito e gradevole nei modi, che si comportasse da gentiluomo e che fosse serio e cortese con tutti. Come ha osservato il bioetico Albert R. Jonsen nel 1998 in The birth of bioetichs, l'argomento sul contegno da tenere al capezzale del paziente continuò per secoli a far parte delle disquisizioni relative alle caratteristiche che un buon medico avrebbe dovuto possedere.

All'inizio del XIX sec. comparve il primo libro intitolato Medical ethics; pubblicato dal medico inglese Thomas Percival (1740-1804) nel 1803, esso trattava i temi tradizionali dell'etichetta e del decoro ma vi aggiungeva una serie di indicazioni relative alle interazioni tra medici. Il motivo contingente che indusse Percival a scrivere fu la necessità di fornire alcune linee guida ai medici e ai chirurghi che operavano nell'ospedale di Manchester; comportandosi in modo responsabile e retto, essi avrebbero potuto garantire il benessere non soltanto del singolo paziente ma anche della società in generale.

Nel 1847 l'American Medical Association, appena costituitasi, redasse un Codice di etica medica ampiamente basato sul lavoro di Percival. Questo primo codice di deontologia professionale doveva, insieme alla riforma del sistema educativo in medicina che si trovava in condizioni vergognose, risollevare le sorti e l'immagine sociale della professione medica in America. Una delle sezioni in cui esso era diviso metteva al bando i ciarlatani e stabiliva restrizioni specifiche per la pubblicizzazione delle attività svolte; con un provvedimento più controverso, il codice proibiva ai membri di consultare praticanti non-ortodossi o settari, tra cui omeopati, idropati e naturopati. Tutto ciò aprì negli anni intorno al 1880 un contenzioso a proposito della natura della professionalità medica e del ruolo della scienza in medicina. Nel 1903 i membri dell'American Medical Association sostituirono al Codice di etica medica i nuovi Principî di etica medica, eliminando il paragrafo sulla consultazione. L'attività professionale dei membri venne da allora in poi regolata da questi nuovi principî, che vietavano tra l'altro la pratica di dividere l'onorario con colui che aveva indirizzato il paziente presso un medico, l'uso di rimedi segreti e la ciarlataneria.

Tra XIX e XX secolo

Nel XIX sec. e nella prima parte del XX le implicazioni etiche della medicina non furono oggetto di alcuna attenzione sistematica al di fuori dell'ambiente medico. Alcuni teologi, perlopiù appartenenti alla tradizione religiosa cattolica, fornirono linee guida in merito a questioni controverse come l'aborto, la contraccezione e, negli anni Quaranta, il trapianto d'organo. Negli Stati Uniti alcuni scrittori cattolici risposero alle pubbliche accuse rivolte contro i medici che eseguivano esperimenti pericolosi su bambini o su popolazioni vulnerabili, analizzando dal punto di vista etico le implicazioni morali della sperimentazione sull'uomo.

I moralizzatori cattolici furono critici dichiarati di diverse caratteristiche dell'approccio eugenico. L'eugenica, secondo la definizione formulata nel 1883 da Francis Galton (1822-1911), era la scienza che si occupava 'di tutte le influenze che servono a migliorare le qualità innate di una razza'. Tanto in America quanto in Europa occidentale i medici svolsero un ruolo di primo piano nel contribuire a raggiungere tali scopi. L'eugenica 'negativa' prevedeva che si impedisse la procreazione agli individui che venivano considerati 'inadatti' per via di una malattia o di un difetto ereditario. L'attuazione dei principî dell'eugenica negativa comportò la sterilizzazione coatta (mediante vasectomia o legatura delle tube) di un gran numero di persone. Numerosi Stati americani adottarono leggi che prescrivevano la sterilizzazione dei criminali, degli epilettici e dei malati di mente. Nella Germania nazista il programma di sterilizzazione, benché non diretto contro gli ebrei, fu applicato a un'ingente quantità di persone giudicate 'inadatte' in virtù di una malattia, di un handicap o di un determinato comportamento sociale. Pur essendo d'accordo con gli scopi dell'eugenica, i moralizzatori cattolici si opposero pubblicamente alla 'mutilazione medica' di uomini e donne.

Molte delle questioni che oggi vengono considerate di pertinenza della bioetica ‒ i diritti del paziente, la tutela dei soggetti sperimentali, animali o umani che siano, l'eutanasia e il suicidio assistito, il diritto di non sapere e la confidenzialità, il riconoscimento degli errori medici e le disparità nell'accesso alle cure ‒ erano state discusse attivamente prima ancora che venisse introdotto il termine 'bioetica'. Prima degli anni Sessanta, temi quali il consenso al trattamento e la 'morte pietosa' (la morte indolore di una persona affetta da un male incurabile) erano già comparsi tanto nei media quanto nel dibattito professionale. Negli anni Dieci la catena di quotidiani americani di proprietà di William Randolph Hearst rese di dominio pubblico la questione morale sollevata dalla sperimentazione di nuovi vaccini su orfani e immigrati. I giornali, del gruppo Hearst e non solo, dedicarono molto spazio a Harry Haiselden, un dottore di Chicago che sosteneva che un medico fosse autorizzato a privare bambini 'notevolmente difettosi' delle cure che avrebbero potuto salvar loro la vita. Grazie a film come The black stork (prodotto nel 1917 da Haiselden per far giungere il messaggio a un'audience di massa) e Men in white (dramma sulle complicazioni dell'aborto illegale, scritto nel 1933 da Sidney Kingsley), le problematiche di etica medica raggiunsero un pubblico più vasto. L'industria cinematografica americana divulgò molte delle questioni etiche proprie del rapporto tra medico e paziente, ma l'esercizio dell'autorità morale su tali temi rimase prerogativa di una classe medica virtualmente autonoma.

Questa autonomia fu ulteriormente rafforzata dagli enormi progressi compiuti dalla medicina nel XX secolo. La scoperta dell'insulina negli anni Venti, l'avvento degli antibiotici nei Quaranta e il calo della mortalità operatoria e puerperale contribuirono ad accrescere l'ammirazione pubblica per la professione medica e a isolare i suoi membri dalle possibili interferenze dei non addetti ai lavori. Tale isolamento subì tuttavia profonde trasformazioni con la Seconda guerra mondiale; a determinare la messa in discussione dell'autorità medica e dell'autonomia professionale intervennero diversi elementi.

Il riconoscimento dell'abuso di soggetti umani compiuto dai medici e dagli scienziati di area biomedica ebbe senz'altro un ruolo decisivo. Tra il 1946 e il 1947 tre giudici americani presiedettero il processo di 23 imputati nazisti noto come il 'processo ai medici' di Norimberga. Dopo 143 giorni di procedimento, la testimonianza di 85 persone e l'esame di quasi 1500 documenti, i giudici dichiararono 16 medici colpevoli di crimini di guerra e contro l'umanità. Sette di questi, fra cui l'imputato principale, Karl Brandt, commissario per la salute e la sanità del Reich e medico personale di Adolf Hitler, furono condannati a morte e giustiziati il 2 giugno del 1948. La sentenza di questo processo segnò profondamente la storia dell'etica della ricerca, formulando i dieci criteri della sperimentazione ammissibile sull'uomo noti come Codice di Norimberga. L'ombra del processo di Norimberga e il lascito dei raccapriccianti esperimenti condotti nei campi di concentramento sollecitarono organizzazioni come la World Medical Association e la World Health Organization a considerare con maggiore attenzione i diritti degli individui.

Negli anni Sessanta l'ambiente medico e il mondo in generale furono scossi dalla rivelazione di una serie di esperimenti pericolosi che erano stati condotti su soggetti umani ignari, che non avevano dato il proprio consenso. In Inghilterra, il medico Maurice H. Pappworth pubblicò un agghiacciante resoconto del modo in cui bambini, donne gravide e moribondi erano stati sottoposti ‒ senza saperlo ‒ a esperimenti ad alto rischio. L'anestesista Henry K. Beecher esortò gli Stati Uniti a porre maggiore attenzione alla tutela del benessere dei soggetti sperimentali, documentando come alcuni ricercatori noti e rispettati avessero esposto i propri pazienti a procedure pericolose per scopi di ricerca. La denuncia di Beecher includeva uno studio ancora in corso presso la Willowbrook State School, dove alcuni ricercatori della New York State University infettavano bambini ritardati con il virus dell'epatite. Nel 1972 si scoprì che il Public Health Service degli Stati Uniti, per seguire la progressione della sifilide, aveva privato del trattamento più di 400 pazienti afroamericani, e ciò sollecitò il Congresso a emanare nel 1974 il National research act. Questo regolamento introduceva una serie di strumenti di tutela dei soggetti sperimentali e, rispecchiando anche il crescente interesse generale per le dimensioni etiche della medicina, disponeva l'istituzione di una commissione nazionale 'che identificasse i principî etici di base' della ricerca biomedica e comportamentale. Fu un momento di transizione di notevole importanza per i ricercatori di area medica: quella che un tempo era stata un'attività regolamentata esclusivamente dall'interno della professione veniva sottoposta per legge a una supervisione esterna.

Oltre che con la scoperta degli abusi compiuti dalla ricerca, medici e pazienti dovettero confrontarsi anche con le implicazioni di nuove tecnologie, come la dialisi renale e il trapianto d'organo. Alcuni medici in vista invitarono la gente comune a intervenire nella discussione sull'uso delle risorse mediche limitate, che era nata negli anni Sessanta in seguito al grande successo della dialisi. La disponibilità di un numero ridotto di macchine restrinse inizialmente in misura notevole l'accesso alla costosa tecnologia. Le domande cui i medici si trovarono a dover rispondere erano, per esempio, quali pazienti avrebbero dovuto beneficiare della dialisi e quali criteri avrebbero dovuto essere utilizzati per identificarli. A Seattle, dove il medico Belding Scribner aveva inventato un efficace cateterismo per la dialisi, fu istituita una commissione formata da un ministro, un giurista, una casalinga, un commerciante, un sindacalista e due medici, preposta a stabilire quali pazienti avrebbero dovuto essere accettati. L'approccio con cui la commissione affrontava questioni di vita o di morte destò un notevole interesse quando l'esperimento di Seattle venne descritto in un articolo pubblicato dalla rivista "Life". Accanto alla gente comune, anche giuristi e filosofi diedero il proprio contributo alla soluzione del problema della distribuzione di una risorsa costosa in grado di salvare la vita delle persone.

Il trapianto d'organo pose medici e pubblico di fronte a una questione analoga. Il chirurgo sudafricano Christiaan Barnard elettrizzò il mondo quando, nel dicembre del 1967, annunciò di aver eseguito il primo trapianto di cuore da un uomo a un altro. L'asportazione di un cuore che continuava a battere da una ragazza ventiduenne ‒ gravemente ferita in un incidente automobilistico ‒ e il suo trasferimento nel torace di Louis Washkansky, misero seriamente in discussione le definizioni tradizionali della morte. La determinazione della morte era già stata sfidata dai medici che sottoponevano i pazienti comatosi alla ventilazione forzata, permettendo in questo modo alla respirazione di continuare anche in assenza di attività cerebrale.

I medici si domandavano che tipo di vita potesse essere quella di una persona in coma irreversibile e quando sarebbe stato giusto prendere dal corpo di questi pazienti gli organi che avrebbero potuto salvarne altri in fin di vita. Una soluzione americana a questo problema fu l'istituzione, nel 1968 presso la Harvard Medical School, di una commissione incaricata di studiare la definizione della morte cerebrale. Ne facevano parte non soltanto medici ma anche un professore di diritto alla salute, uno di etica sociale e uno storico della scienza. La relazione che ne risultò conteneva nuovi criteri per la determinazione della 'morte cerebrale' che esercitarono una notevole influenza sulla pratica e sulla legislazione medica americane. Nello stesso anno il ministero della Salute francese e il Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) stabilirono criteri analoghi, che ridefinivano la morte in funzione dell'attività cerebrale.

Nel corso degli anni Sessanta i movimenti per i diritti civili sfidarono la segregazione razziale negli ospedali e nelle banche del sangue del Sud. Negli anni Settanta i movimenti per la salute delle donne misero in discussione il controllo maschile del corpo femminile e la tradizionale autorità della professione medica. Nel 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti decretò che l'aborto, praticato entro una certa fase della gestazione, è una forma di diritto costituzionale alla privacy. In quegli stessi anni, in America, la 'crisi' della cattiva pratica medica comportò una crescita enorme del numero di azioni legali intentate contro i professionisti.

La bioetica

La bioetica è nata nel clima sociale e politico della medicina americana dei primi anni Settanta. Il termine 'bioetica' è comparso per la prima volta nel 1970 in un articolo pubblicato dall'oncologo Van Rensselaer Potter, della University of Wisconsin. Preoccupato della salvaguardia dell'ambiente, Potter prefigurava che una nuova disciplina avrebbe combinato scienza e filosofia per offrire un 'approccio cibernetico all'interminabile ricerca di saggezza del genere umano'. Nel 1971 il medico Andre Hellegers e i suoi colleghi dell'appena nato Kennedy Institute of Ethics (fondato presso la Georgetown University) si sono appropriati del termine per riferirsi a una disciplina finalizzata a trattare dimensioni religiose ed etiche delle questioni mediche concrete. L'enfasi posta da Georgetown sugli aspetti morali della medicina e della ricerca medica è stata oggetto della massima attenzione da parte dei media, del pubblico, dei medici e dei filosofi. L'interesse per la bioetica ha permeato anche il lavoro dell'Institute of Ethics, Society and the Life Sciences di Hastings on Hudson (poi Hastings Institute), fondato nel 1969 dallo psichiatra Willard Gaylin e dal filosofo Daniel Callahan. Queste organizzazioni hanno pubblicato riviste che si sono proposte come un nuovo forum per il dibattito intellettuale e hanno sviluppato una serie di strumenti per il lavoro di ricerca, che comprendono un'enciclopedia di bioetica e una bibliografia, per rendere più accessibile il lavoro sul campo.

La bioetica, come disciplina e come forza sociale, ha ricevuto un enorme impulso dal governo americano. Nel 1974 la commissione nazionale istituita con il National research act ha chiamato esperti di molte discipline diverse (medici, giuristi, etici, scienziati e gente comune) a discutere una vasta gamma di temi, tra cui la sperimentazione su feti, la ricerca condotta su prigionieri, bambini o malati di mente e la psicochirurgia. I lavori della commissione hanno avuto termine nel 1978. Due anni dopo il Senato degli Stati Uniti ha autorizzato l'istituzione di una commissione presidenziale quadriennale per lo studio dei problemi etici in medicina e in ricerca medica e comportamentale, che ha elaborato una serie di documenti relativi alla questione del rifiuto delle terapie salvavita.

I lavori sono terminati nel 1983, tuttavia l'investimento del governo americano nella bioetica è proseguito fino agli anni Novanta. Il presidente William J. Clinton ha istituito una commissione nazionale di consulenza sulla bioetica; George W. Bush ha autorizzato un consiglio presidenziale sulla bioetica a fornire la sua consulenza in merito alla ricerca sulle cellule staminali, argomento assai dibattuto per via dell'origine fetale di alcune linee cellulari. Un altro organo del governo federale, il National Endowment for the Humanities (NEH), ha incoraggiato lo sviluppo della disciplina della bioetica finanziando la creazione di diversi dipartimenti accademici di bioetica e umanistica medica. Esso ha anche sovvenzionato una nuova organizzazione interdisciplinare, la Society for Health and Human Values, che ha offerto alle facoltà di medicina la propria competenza nell'inserire le materie umanistiche ed etiche nei curricula universitari.

La bioetica, secondo Callahan, "è originaria degli Stati Uniti". Alcuni storici del movimento bioetico ne citano tra le fonti il liberalismo americano, che ha privilegiato l'autonomia individuale. Pur essendo nata negli Stati Uniti, la bioetica ha suscitato un interesse e sollecitato un investimento che sono internazionali. Analogamente a quelli americani, anche i governi e le organizzazioni di altre nazioni hanno istituito commissioni per la bioetica, preposte alla definizione di linee di condotta in medicina e biologia. Nel 1985 il Consiglio d'Europa ha istituito un comitato di esperti sulla bioetica. La World Health Organization e l'UNESCO hanno commissioni dello stesso tipo, che consigliano i capi di Stato in merito a iniziative politiche quali la mappatura del genoma umano. L'International Bioethics Committee dell'UNESCO, per garantire che tutta l'umanità possa beneficiare dei risultati di questa impresa scientifica, ha redatto la Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell'uomo.

Le differenze nell'organizzazione politica, nella filosofia e nella storia dei vari paesi hanno fatto sì che le numerose commissioni per la bioetica giungessero a conclusioni diverse in merito alle norme della sperimentazione clinica e a temi quali l'eutanasia e l'uso di organismi geneticamente modificati. Nonostante l'impegno che viene tuttora profuso nella messa a punto di linee guida per la tutela dei soggetti umani, la conduzione delle prove cliniche rimane oggetto di grandi controversie. Un'area che ha destato recenti preoccupazioni è quella della ricerca sulla pandemia mondiale di AIDS. I ricercatori americani, che hanno sottoposto a sperimentazione nuovi farmaci e regimi di trattamento antiAIDS nei paesi in via di sviluppo, hanno suscitato critiche e incontrato una notevole resistenza all'applicazione degli stessi standard etici il cui rispetto è richiesto per la sperimentazione sull'uomo negli Stati Uniti.

È stato osservato che i cittadini dei paesi poveri in cui la spesa sanitaria annuale è seriamente limitata potranno usufruire ben poco dei farmaci messi a punto mediante tali ricerche. Date le disparità infrastrutturali e finanziarie tra l'Occidente e i paesi in via di sviluppo, è probabile che i problemi della ricerca internazionale si acuiscano piuttosto che risolversi, alla luce dei profondi cambiamenti, intervenuti nei trasporti, nelle comunicazioni e nel commercio, che hanno creato la società globale.

Negli anni Novanta lo sforzo internazionale teso al sequenziamento del genoma umano ha posto analoghe questioni in merito all'equità della distribuzione tanto della conoscenza quanto dei vantaggi che ne derivano. Il più grande lavoro di mappatura del genoma umano ha implicato la raccolta del DNA di diverse popolazioni del mondo, finalizzata alla creazione di un data base potenzialmente rappresentativo della diversità umana. In diverse parti del mondo, tuttavia, alcuni gruppi si sono opposti a ciò che è sembrato loro non molto dissimile da una sorta di 'biopirateria' sia da parte delle grandi compagnie farmaceutiche sia dell'Occidente, poiché la conoscenza e i brevetti che potrebbero derivarne difficilmente saranno condivisi con le popolazioni autoctone. I bioetici hanno partecipato a molte di queste discussioni, ma non è ancora chiaro come la bioetica possa risolvere il problema.

A partire dagli anni Settanta la bioetica è diventata una disciplina accademica e molti college, università e facoltà di medicina offrono corsi di bioetica. Coloro che partecipavano al movimento bioetico vi arrivavano inizialmente a partire da diverse discipline, quali il diritto, la teologia, la filosofia e la medicina; oggi la formazione postlaurea offre corsi avanzati di bioetica e un orientamento professionale per chi desidera lavorare come bioetico nelle industrie, nel sistema educativo o sanitario o nel governo. Esistono numerose riviste accademiche specializzate e società professionali. I bioetici compaiono frequentemente nei media più popolari attraverso i quali le loro tematiche ricevono una notevole attenzione.

Con la rivoluzione delle tecnologie genetiche già in atto e con la prospettiva della clonazione umana e della 'progettazione' di bambini 'su misura' (i cosiddetti designer babies) mediante tecnologie riproduttive sempre più avanzate, è probabile che la bioetica continuerà a crescere e a svilupparsi sia come campo d'indagine sia come discorso sociale e culturale.

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