La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La genesi della vaccinologia

Storia della Scienza (2012)

La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La genesi della vaccinologia

Anne-Marie Moulin

La genesi della vaccinologia

Il termine vaccinologia è stato coniato nel 1975 dal celebre biologo americano Jonas Salk (1914-1995), che nel 1953 fu il primo a realizzare il vaccino antipoliomielitico. Questo neologismo, rapidamente diffusosi, sanciva la comparsa nel corso del XX sec. di una scienza razionale e sistematica che, superando l'empirismo del passato, esplorava metodicamente ogni aspetto della risposta vaccinica integrando tutte le questioni che questa poneva.

Mentre la vaccinazione, termine che risale all'epoca di Edward Jenner (1749-1823), è definita come l'introduzione nell'organismo di sostanze destinate a provocare una reazione di difesa, il termine vaccinologia designa una ricerca multidisciplinare che vede coinvolte simultaneamente numerose scienze biologiche (virologia, immunologia, genetica, epidemiologia) e sociali (antropologia, economia, etica); una tale diversità le permette di occupare un posto originale in campo scientifico.

Le radici della vaccinologia

La vaccinologia integra il contributo delle ricerche e della precedente pratica dei vaccini, avvalora la nozione di sistema immunitario, elaborata nel corso del XX sec., e si mantiene aggiornata sull'inventario sempre nuovo degli agenti patogeni: batteri, virus, parassiti.

L'influenza della vaccinazione sulle malattie

Secondo i demografi, il declino delle malattie infettive nel corso del XX sec. ha provocato un'esplosione demografica senza precedenti. La vaccinazione ha tuttavia svolto un ruolo diverso a seconda della malattia. In alcuni casi, essa è stata l'unico strumento di lotta, come è avvenuto con il vaiolo, che l'OMS ha debellato nel 1979, concludendo un'opera iniziata prima dell'era della microbiologia. L'eradicazione definitiva di questa malattia ha rafforzato nelle organizzazioni la fiducia nella vaccinazione quale importante mezzo per il controllo delle grandi endemie, ha facilitato la creazione da parte dell'UNICEF, nel 1975, del Programma esteso di vaccinazione (PEV) e ha incoraggiato le ambizioni di una sistematica eliminazione dei grandi flagelli. I vaccini contro il tetano (1921) e il morbillo (1969) hanno ugualmente contribuito al declino di queste due malattie.

Per contro, è difficile valutare il ruolo svolto dalla terapia antibiotica e dalla vaccinazione nell'eradicazione della difterite. Per quanto riguarda il vaccino antipoliomielitico (1954-1956) si spera di poter debellare la poliomielite entro il 2020 in tutto il mondo, ma a condizione di associare al vaccino attenuato preso per bocca (creato da Sabin nel 1956) quello contenente batteri morti (realizzato da Salk nel 1954), che mira a eliminare i ceppi vaccinici sul territorio.

Il BCG (bacillo di Calmette-Guérin), lo stesso germe utilizzato come vaccino antitubercolare (1921), pur riuscendo a evitare le forme gravi nei bambini, non ha eliminato i rischi polmonari negli adulti. La varietà dei programmi nazionali, legati a scelte storiche più che a considerazioni scientifiche, testimonia i dubbi persistenti sulla sua efficacia. Dal 1945 esiste un vaccino antiinfuenzale, ma è ben lontano dall'aver eliminato le epidemie e deve essere rivisto e corretto ogni anno in funzione delle mutazioni dei nuovi virus, correndo il rischio di venire un giorno superato in questa corsa contro il tempo.

A dispetto dei ripetuti tentativi e delle rinnovate speranze, per la maggior parte delle malattie parassiterie, in particolare per la malaria, non si conoscono ancora vaccini.

La risposta immunitaria alla vaccinazione

Gli immunologi hanno evidenziato nel corso del Novecento una nuova funzione dell'organismo: l'immunità. Il sistema immunitario ha il compito di controllare gli agenti patogeni presenti nell'ambiente e all'interno del corpo secondo due modalità: l'immunità cellulare (riconoscimento degli antigeni) e quella umorale (produzione di anticorpi specifici).

Attualmente sono considerati parte del sistema immunitario anche organi quali la pelle e l'intestino, oltre a quelli classici dell'immunità come la milza, il midollo, il timo e i gangli. Quando penetra nel corpo, l'antigene è digerito dai macrofagi che ne trasportano frammenti verso le cellule specializzate, le quali, a seconda dei casi, producono gli anticorpi o si differenziano in cellule citotossiche capaci di uccidere l'agente patogeno. Le cellule immunocompetenti producono molecole specifiche denominate linfochine (prodotte dai linfociti) o più generalmente citochine. Queste molecole, il cui numero aumenta in maniera costante, esercitano cicli di regolazione positiva o negativa su tutto il sistema, oppure su parte di esso, e possono influire ugualmente su altri sistemi tra i quali il sistema nervoso o il sistema ormonale.

Ogni reazione immunitaria provoca la produzione a catena di citochine che svolgono un ruolo preponderante nell'infiammazione. Questo concetto medico molto antico aveva assunto nel XIX sec., con Il′ja Il′jč Mečnikov (1845-1916), un significato positivo di aiuto nella lotta contro l'infezione. L'infiammazione è oggi riconosciuta, nel bene e nel male, come parte integrante del processo immunitario. Essa è benefica in quanto rinforza le reazioni che conducono all'eliminazione del microbo e potenzialmente pericolosa dal momento che può scatenare fenomeni di autoimmunizzazione rivolti contro l'organismo stesso e stabilizzarsi determinando affezioni croniche.

La reazione vaccinica rappresenta un modello eccellente per lo studio della reazione immunitaria. Lungi dall'essere un fenomeno univoco, essa varia in funzione di numerosi parametri come l'età del vaccinato (l'ottima capacità di reazione del bambino diminuisce con l'età), la modalità di somministrazione (per bocca, per iniezione, per nebulizzazione nasale), il tipo di vaccino (attenuato con batteri vivi o morti ma chimicamente attivi) oppure i suoi elementi costitutivi.

La risposta a ogni vaccino segue un percorso differente nell'economia del sistema immunitario: alcuni vaccini possono così potenziarsi od ostacolarsi. La comparsa dei vaccini cosiddetti combinati, che comportano più di sette 'valenze', ha permesso una riduzione dei tempi e una semplificazione dei calendari di vaccinazione. È cruciale convalidare la compatibilità interna di un tale programma.

La vaccinologia molecolare

Dopo le grandi scoperte sul DNA e la fabbricazione di proteine degli anni Sessanta, la vaccinologia ha attraversato una fase molecolare. Ciò ha significato una migliore conoscenza sia delle reazioni scatenate dall'introduzione di un antigene nel sistema immunitario, sia dei recettori e dei fattori che intervengono in ciascuna tappa.

A differenza dei vaccini storici, costituiti o dal batterio integro modificato con vari procedimenti, o da estratti grezzi (tossine del tetano o della difterite), quelli 'molecolari' sono vaccini per i quali si conosce con precisione la parte del microorganismo che immunizza. Il primo vaccino molecolare è stato, nel 1984, il vaccino contro l'epatite B, prodotto mediante il DNA-ricombinante, con l'introduzione in un lievito, in un batterio o in una cellula di un mammifero, di un gene appartenente al virus dell'epatite, in grado di produrre in gran quantità l'antigene vaccinico richiesto. Il vaccino molecolare risponde all'esigenza di elevata purezza chimica e sicurezza, garantendo al tempo stesso la specificità e l'efficacia che in precedenza avevano rappresentato i principali obiettivi dei vaccinatori.

Nei vaccini cosiddetti 'coniugati', un determinante specifico di un germe (per es., la capsula di rivestimento di natura glucidica del meningococco, l'agente eziologico della meningite cerebrospinale epidemica, ecc.) viene trasportato da una proteina immunizzante che non ha niente a vedere con esso, come la tossina tetanica, e che favorisce una risposta potenziata. Le attuali strategie di ricerca si basano sulla sequenziazione dei genomi degli agenti patogeni e sull'identificazione di antigeni interessanti per la protezione. Altre strategie prevedono la scelta di vettori virali viventi modificati, in grado di penetrare nelle cellule e innescare la sintesi di antigeni vaccinici nel citoplasma. Nel corso dell'ultimo decennio del Novecento, i vaccini contenenti DNA purificato, somministrati per via intramuscolare, hanno suscitato problemi analoghi a quelli della terapia genica per quanto concerne gli effetti a lungo termine che i frammenti degli acidi nucleici iniettati possono determinare nell'economia del corpo.

La vaccinologia assume un aspetto futurista quando, rielaborando al computer le informazioni provenienti dai laboratori di tutto il mondo, il biologo lavora al 'progetto' di un vaccino riuscendo a combinare idealmente gli immunogeni più adatti e sbarazzandosi degli elementi indesiderati.

L'innovazione riguarda anche le modalità di somministrazione dei vaccini, che possono essere assunti per mezzo di alimenti geneticamente modificati. Tutto ciò ha portato a un vasto processo di sostituzione dei vaccini storici, di cui non si è più disposti a tollerare gli effetti secondari più o meno gravi, né la variabilità; questo processo è tuttavia ben lontano dall'essersi concluso. Se i vecchi vaccini contro la pertosse e la rabbia sono stati soppiantati da quelli più affidabili e sicuri, il vaccino Rockefeller contro la febbre gialla, efficace ma responsabile di alcuni casi di encefalite, è tuttora utilizzato. Per il vaiolo, in caso di nuova insorgenza, si dispone solamente del vecchio vaccino che non ha ancora tratto beneficio dalle metodologie molecolari. I governi si affidano a tal fine all'industria.

Il ruolo dell'industria

La molecolarizzazione dei vaccini ha portato alla ribalta l'industria farmaceutica e l'importanza che questa ha raggiunto nella vaccinologia le conferisce una ulteriore specificità. La fabbricazione dei vaccini si è trasferita dal laboratorio dello scienziato agli stabilimenti industriali quando è stato necessario produrre milioni di dosi per il primo grande test clinico, quello del vaccino antipoliomielitico, realizzato negli Stati Uniti nel 1954-1955. Nel 1956, l'incidente verificatosi nei laboratori della ditta Cutter (un lotto di vaccini insufficientemente inattivati ha provocato autentici casi di poliomielite) ha evidenziato in modo allarmante la necessità di adottare criteri standard nella fabbricazione dei vaccini e di garantire una sicurezza a prova di imprevisti. L'industria ha così sviluppato metodi di produzione di massa, una metodologia e competenze specifiche.

I vaccini sono stati inizialmente prodotti utilizzando animali vivi come la mucca e in seguito cellule provenienti da animali morti. A partire dagli anni Sessanta lo sviluppo di linee cellulari continue ha permesso la crescita di ceppi virali in colture cellulari, consentendo la fabbricazione di vaccini stabili e dei sottotipi associati.

Le crescenti esigenze di sicurezza, già considerevoli per quanto riguarda la fabbricazione di un vaccino omologato, sono ancora maggiori quando si tratta di far approvare un nuovo prototipo. La severità dei test clinici necessari per far passare il vaccino dalla fase 1 di non-tossicità alla fase 2 di efficacia e alle fasi 3 e 4 di sperimentazione sulla popolazione ha avuto come conseguenza la concentrazione dell'industria dei vaccini in un numero, che tende ancora a ridursi, molto piccolo di multinazionali.

Il costo crescente dei nuovi vaccini tende anche a rendere problematico il loro uso nel Terzo mondo. L'esempio del vaccino contro l'epatite B, sperimentato in Senegal già dai primi anni Ottanta, ma reso disponibile nel resto dell'Africa a un prezzo ragionevole soltanto vent'anni dopo, è diventato memorabile. I vaccini sono uno degli strumenti più semplici ed efficaci per ridurre il divario che sussiste tra i vari paesi riguardo alla mortalità per malattie infettive; sarebbe quindi auspicabile sottrarli alle leggi del mercato e considerarli un 'bene pubblico globale', amministrato dalle organizzazioni internazionali e dagli Stati. Sarebbe altrimenti difficile garantire, nel momento in cui fossero disponibili i vaccini contro la malaria e l'HIV, che i paesi del Terzo mondo nei quali avrebbero avuto luogo i test ne possano beneficiare. I vaccini costituiscono inoltre una carta vincente dal punto di vista politico e diplomatico: durante la guerra in Afghanistan è stata negoziata una tregua per consentire il normale svolgimento delle giornate contro la poliomielite.

La vaccinologia presenta quindi una dimensione etica e politica, oltre a quella sociologica e antropologica conosciuta da lungo tempo.

La dimensione sociale

La vaccinologia segue tutte le fasi della produzione di un vaccino, fino alla sua applicazione sul territorio. Alcune realtà sociali si sono spesso mostrate diffidenti, tendendo a identificare le politiche di vaccinazione con l'arsenale delle costrizioni statali: tasse, censimenti e altre fastidiose incombenze. La storia ha registrato vere e proprie rivolte; per esempio la 'guerra del vaccino', scatenata nel 1903 a Rio de Janeiro dall'imposizione del vaccino antivaioloso, è rimasta celebre in America Latina.

In Europa, benché queste grandi rivolte popolari appartengano al passato, la vaccinazione ha sempre suscitato un dibattito legato agli obblighi ai quali si accompagna. Paradossalmente però, negli anni Ottanta, fu l'abbandono della vaccinazione antivaiolosa, del tutto legittimo dal momento che la malattia era stata debellata, a provocare la mobilitazione dei cittadini. L'obbligo della vaccinazione non appariva più assoluto bensì condizionale, in funzione dei dati epidemiologici del momento, e conseguentemente suscettibile di una continua revisione.

Considerati in passato come inevitabili fastidi legati all'universalità dei programmi di immunizzazione e agli imprevisti della Natura, gli incidenti e i rischi della vaccinazione sono apparsi come un ingiustificato sacrificio da parte dell'individuo alla maggioranza trionfante, uno scandalo inaccettabile nell'epoca moderna. I dibattiti sull'opportunità e l'efficacia del BCG nella lotta contro la tubercolosi, per esempio, hanno diffuso l'idea di una scelta possibile per il cittadino, a condizione che esso sia debitamente informato. I vecchi vaccini, giudicati insufficientemente purificati, e quelli nuovi, considerati troppo sperimentali, hanno ugualmente suscitato diffidenza, tanto più che una larvata critica al potere dei medici coesiste con la credenza nell'onnipotenza della scienza medica, ritenuta in un certo senso miracolosa.

Gli abitanti dei paesi industrializzati, preoccupati per la formula dei vaccini e per la presenza di componenti indesiderabili o dagli effetti sconosciuti, rivendicano sempre più una vaccinazione 'personalizzata'. Stabilito in funzione dello stile di vita e delle patologie di ciascuno, questo nuovo tipo di vaccinazione sarà guidato, in un prossimo futuro, dal profilo genetico che permetterà di censire la suscettibilità di ogni cittadino a infezioni e ad allergie.

Nei paesi del Terzo mondo le rivendicazioni riguardano piuttosto i modi neocoloniali con i quali i programmi sono organizzati e sviluppati senza informare le popolazioni. In Camerun, per esempio, un vaccino contro il tetano neonatale, destinato alle donne in età fertile, ha provocato violente sommosse. Un po' ovunque grava sui vaccini il sospetto di soffocare silenziosamente la fecondità dei paesi poveri. Le reazioni di rigetto testimoniano, in Africa e in Asia, una persistente incomprensione da parte delle popolazioni nei confronti di programmi che non le convincono e di cui si sentono strumento.

Per qualificare le reazioni delle popolazioni, gli antropologi hanno sostituito il termine negativo resistenza con quello di accettabilità, che li porta a considerare concretamente e in dettaglio le rappresentazioni popolari del vaccino e del suo modo di agire nel corpo.

La vaccinologia, come la medicina nel suo insieme, deve radicarsi in un sistema di prove e dotarsi progressivamente di ingranaggi istituzionali. I medici hanno concepito una 'clinica dell'immunizzazione', dove sono messi sotto osservazione tutti i bambini che hanno subito un danno a causa della vaccinazione o che sono suscettibili di presentarne uno.

L'OMS ha creato il Global Advisory Committee on Vaccine Safety, formato da esperti indipendenti e da ditte produttrici di vaccini che valutano i rischi di una vaccinazione e consigliano i governi. Ha istituito inoltre la Vaccine Safety Net, una rete che raccoglie i dati sugli incidenti e le complicazioni causati dalla vaccinazione. In Europa sono apparsi programmi per indennizzare i cittadini che hanno subito danni in seguito a una vaccinazione e nel 1999 è stata istituita a Ginevra una cattedra di vaccinologia. L'OMS ha promosso anche l'istituzione di una rete di esperti del settore in grado di fornire agli abbonati un'informazione globale e completa. La rete può anche organizzare inchieste, interpellare i poteri pubblici e l'industria e, in linea di massima, reagire all'annuncio di un inedito effetto indesiderabile. L'idea è quella di favorire un ampio dibattito pubblico, come è auspicabile in un vero regime democratico. Si pone infatti la questione se l'obbligo di vaccinazione sia ancora oggi opportuno, tenendo presente la tendenza a liberare l'individuo da vincoli e a renderlo artefice delle sue scelte.

La vaccinologia in tal modo ha favorito la creazione di istituzioni nelle quali, in maniera originale, ricercatori, industriali e consumatori cooperano sia con coloro che devono prendere decisioni, sia con i rappresentanti degli Stati e delle grandi organizzazioni internazionali. Sono anche sorte fondazioni a scopo umanitario, come per esempio la Fondazione Bill Gates, che hanno scelto di investire nei programmi di vaccinazione.

Se da un lato la vaccinologia è particolarmente attenta ai virus emergenti, come quello dell'AIDS o quelli che causano le febbri emorragiche (per es., Ebola), dall'altro essa si è sviluppata anche al di fuori del familiare campo delle malattie infettive. Il vaccino contro Helicobacter pylori, per esempio, ha come bersaglio il batterio responsabile dell'ulcera dello stomaco mentre quello contro l'epatite B è stato il primo vaccino attivo contro un virus a proteggere anche dal tumore del fegato indotto dall'epatite. L'analisi molecolare ricerca le caratteristiche antigeniche delle cellule cancerogene che potrebbero fornire vaccini. Si tratta di un rinnovato approccio vaccinico alla terapia per il cancro che, in auge all'inizio del XX sec., si era rivelato deludente. Inoltre, alcuni vaccini potrebbero non solo svolgere un ruolo preventivo, ma anche esercitare la loro azione di difesa nei confronti di un'infezione conclamata: è questa una delle speranze riposte nella ricerca di un vaccino contro l'AIDS.

La vaccinologia, dopo aver rielaborato gli elementi costitutivi della sua tradizione storica, ha assunto le caratteristiche di una scienza generale della manipolazione dell'organismo. Le nozioni di rischio, su scala individuale e di popolazione, vi svolgono un ruolo di primo piano ed essa è stata descritta dall'antropologo David Napier come un'icona dell'epoca postmoderna: pensare 'vaccinologicamente' significa rifiutare di considerare l'altro come un nemico ed entrare in contatto con lui per modificarlo ed esserne modificati.

Se per la storia della scienza la vaccinologia resta un affascinante esempio di ricerca dagli sviluppi nuovi e molteplici, essa costituisce anche un caso interessante per la moderna filosofia della scienza, se non altro per l'importanza dei protagonisti industriali, per i metodi di fabbricazione, per i procedimenti e i brevetti depositati, fattori che fanno passare in secondo piano il ruolo dei singoli ricercatori. Nel contesto della vaccinologia il ruolo delle teorie biologiche è limitato ai dispositivi sperimentali, che danno loro un senso e una particolare occasione di applicazione.

Il futuro

La vaccinologia è indotta, sulla base di un'esperienza secolare, a formulare una questione fondamentale che rimette in discussione l'oggetto stesso che la definisce. Ci si domanda se sia saggio proseguire la vaccinazione ed estendere il suo dominio a nuove malattie. Alcuni biologi si interrogano in effetti sui limiti dell'intervento umano. La vaccinazione, questa avventura collettiva globalmente coronata dal successo e quasi unanimemente celebrata, ha forse raggiunto i suoi limiti naturali, dal momento che ha da tempo reso inoffensivi numerosi tipi di virus e batteri; ciononostante già altri e ben più temibili agenti patogeni ci minacciano. Questi ultimi abitano in un organismo che fornisce loro veri e propri nascondigli: aderiscono ai recettori delle cellule, i quali costituiscono pertanto una sorta di scudi viventi, e si proteggono con le molecole circolanti.

La questione centrale della vaccinologia, sulla base dell'analisi del suo ruolo storico, è quella di prefigurare il suo avvenire nel corso degli anni o dei secoli futuri. Ci si chiede se sia possibile non solo eliminare le malattie conosciute e classificate ma anche aggiungere indefinitamente nuovi vaccini al repertorio del sistema immunitario che, per quanto forse non sovraccarico, come suggerito da un'ingenua intuizione, è quantomeno modificato. Ci si può poi domandare se un eventuale indefinito progresso non avrebbe come contropartita una crescente selezione dei germi presi di mira, o un loro scostamento dai prototipi vaccinici, che potrebbe trasformarli in germi differenti in grado di determinare il ritorno dell'epidemia. Precise osservazioni suggeriscono la concreta possibilità di tali fenomeni.

Se nel corso del recente passato si poteva concludere che la vaccinazione era una scelta storica ma irreversibile, arriverà forse un momento in cui questa scelta sarà rimessa in discussione e confrontata con altre strategie. È uno dei doveri della vaccinologia favorire al suo interno una riflessione capace di dare all'impegno sulla vaccinazione tutti i suoi connotati, compreso quello critico. Tratto originale per una scienza a dominante biologica, la vaccinologia comporta necessariamente una riflessione storica e filosofica sulle scelte delle società umane.

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