La sociologia

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Claudio Fiocchi
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

La nascita della riflessione sociologica accompagna l’affermarsi della società moderna. Estremamente variegata, declinata in diverse chiavi metodologiche e teoriche, secondo tradizioni nazionali e interessi tematici, nel suo complesso la sociologia si connota come la prima scienza sociale che pone la società come nuovo oggetto di studio. La prospettiva sociologica è caratterizzata dalla de-naturalizzazione dell’esperienza umana e dalla sua contestualizzazione storica, ecologica, istituzionale e culturale, con una particolare attenzione ad alcuni processi socio-culturali che contraddistinguono la modernità: la secolarizzazione, la divisione funzionale, la razionalizzazione e l’individualizzazione. 

Sociologia e modernità

Max Weber

 Etica protestante e spirito del capitalismo  

L’ascesi laica protestante... operò con grande violenza contro il godimento spregiudicato della proprietà, e restrinse il consumo, in ispecie il consumo di lusso. D’altra parte essa liberò, nei suoi effetti psicologici l’acquisto di beni dagli ostacoli dell’etica tradizionalistica, in quanto non solo lo legalizzò, ma addirittura, nel senso che esponemmo, lo riguardò come voluto da Dio. La lotta contro i piaceri della carne e l’attaccamento ai beni esteriori non era, come attesta espressamente, insieme coi Puritani, anche il grande apologeta del Quaccherismo, il Barclay, una lotta contro il guadagno razionale, ma sibbene contro l’impiego irrazionale della proprietà. E questo consisteva nell’altro apprezzamento, da condannarsi come idolatria, delle forme ostensibili del lusso, che erano cosí vicine al modo di sentire feudale, in luogo dell’impiego voluto da Dio, razionale e utilitario, per i fini della vita del singolo e della collettività. Non si voleva imporre al possidente la macerazione, ma l’uso della sua ricchezza per cose necessarie e di pratica utilità [...] Poiché in quanto l’ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita professionale e cominciò a dominare la moralità laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile, lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all’attività puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via, secondo la concezione di Baxter, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli “eletti”. Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre l’ascesi imprendeva a trasformare il mondo e a operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre più grande nella storia. Oggi lo spirito dell’ascesi è sparito, chissà se per sempre, da questa gabbia. Il capitalismo vittorioso in ogni caso, da che posa su di un fondamento meccanico, non ha più bisogno del suo aiuto. Sembra impallidire per sempre anche il roseo stato d’animo del suo sorridente erede, l’Illuminismo, e come un fantasma di concetti religiosi che furono, si aggira nella nostra vita il pensiero del dovere professionale.

M. Weber, Etica protestante e spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1965

Emile Durkheim

La stabilità dei fatti sociologici

La struttura politica di una società è soltanto la maniera in cui i differenti segmenti che la compongono hanno preso l’abitudine di vivere gli uni con gli altri. Se i loro rapporti sono tradizionalmente stretti, i segmenti tendono a confondersi; nel caso contrario essi tendono a distinguersi. Il tipo di abitazione che si impone a noi è soltanto la maniera in cui tutti quelli che ci circondano e - in parte - le generazioni anteriori si sono abituati a costruire case. [...] Una regola giuridica è un assetto non meno permanente di un tipo architettonico [...]. Una semplice massima morale è certamente più malleabile; ma ha forme ben più rigide di un semplice uso professionale o di una moda. C’è così tutta una gamma di sfumature che, senza soluzione di continuità, collega i fatti strutturali più caratteristici alle libere correnti della vita sociale che non sono ancora imprigionate in nessuno stampo definito. Ciò significa che essi differiscono soltanto per il grado di consolidamento che presentano: gli uni e le altre non rappresentano altro che vita più o meno cristallizzata.

E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Ivrea, Edizioni di Comunità, 1969

Georg Simmel

Divisione del lavoro e modernità

Se consideriamo l’immensa quantità di cultura che si è incorporata negli ultimi cent’anni in cose e conoscenze, in istituzioni e in comodità, e la paragoniamo con il progresso culturale degli individui nel medesimo lasso di tempo - anche solo nei ceti più elevati - fra i due processi si mostra una terrificante differenza di crescita, e addirittura, per certi versi, un regresso della cultura degli individui in termini di spiritualità, delicatezza, idealismo. Questa sproporzione è essenzialmente effetto della crescente divisione del lavoro; questa richiede infatti al singolo una prestazione sempre più unilaterale, il cui più alto potenziamento determina spesso un deperimento della sua personalità complessiva. In ogni caso, l’individuo è sempre meno all’altezza dello sviluppo lussureggiante della cultura oggettiva. Forse meno nella coscienza che nei fatti, e nei confusi sentimenti che ne derivano, l’individuo è ridotto a una quantité negligeable, a un granello di sabbia di fronte a un’organizzazione immensa di cose e di forze che gli sottraggono tutti i progressi, le spiritualità e i valori [...]. Qui, nelle costruzioni e nei luoghi di insegnamento, nei miracoli e nel comfort di una tecnica che annulla le distanze, nelle formazioni della vita comunitaria e nelle istituzioni dello Stato, si manifesta una pienezza dello spirito cristallizzato così soverchiante che - per così dire - la personalità non può reggere il confronto.

G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, Roma, Armando Editore, 1995

La sociologia è una forma di conoscenza relativamente recente, la cui nascita, come si è visto dai contributi sul secolo XIX, si è accompagnata all’affermarsi di quel tipo di società che essa stessa ha contribuito a definire come “moderna”. Sociologia e modernità sono intimamente connesse: Michel Foucault per esempio ha interpretato il sapere sociologico come un discorso sulla modernità teso a fornire strumenti di governo delle popolazioni nelle società democratiche. D’altro canto, Robert Nisbet ne La tradizione sociologica (1966-1971) sostiene che la nascita della sociologia sia segnata da un paradosso: il suo essere votata alla modernità e il suo cercare nel passato alcune categorie di cui servirsi per interpretarla, paradosso rintracciabile nelle biografie intellettuali, spesso sospese tra liberalismo politico e conservatorismo morale, di chi ha contribuito a rinsaldare la tradizione sociologica. Per quanto articolato, riflessivo o contraddittorio possa essere il rapporto tra ordine sociale moderno e sociologia, la nascita dell’ottica sociologica – da rintracciarsi nel Settecento con autori come Bernard de Mandeville o Montesquieu (1689-1755) e definitivamente consacrata dall’invenzione ottocentesca del termine sociologie a opera di Auguste Comte nel suo Corso di filosofia positiva – segna una svolta nel sapere umano. Estremamente variegata e declinata in diverse chiavi metodologiche e teoriche nonché tradizioni nazionali e interessi tematici, nel suo complesso la sociologia può essere considerata a pieno titolo la prima scienza sociale che pone il gruppo o la collettività, un’entità che sta tra lo Stato e l’individuo, come nuovo oggetto di studio e di preoccupazione politica.

La prospettiva sociologica è caratterizzata dalla contestualizzazione storica, ecologica, istituzionale e culturale dei fenomeni e dell’esperienza umana. Le domande sociologiche de-naturalizzano l’esperienza umana ponendo enfasi sulla fenomenologia dell’essere in relazione a specifici contesti sociali ed eventi collettivi. A grandi linee, la nascita della sociologia è quindi da porsi in relazione al consolidarsi di un più vasto orientamento cognitivo che vede il mondo come prodotto di una costruzione umana piuttosto che frutto di un ordine naturale o divino. Esso può quindi essere studiato metodicamente, mediante forme di indagine empirica più o meno positiviste e affini alle scienze dure o, al contrario, interpretativiste e ispirate a una nozione di comprensione (Verstehen) affine alla conoscenza storica e letteraria. In linea generale, a livello epistemologico, la de-naturalizzazione operata dalla sociologia può a sua volta venire concepita in due modi: come la ricerca di leggi sociologiche (approcci positivisti); o come il tentativo di comprendere i significati che i soggetti attribuiscono alle proprie azioni (approcci interpretativisti). Si tratta di punti di vista che prendono una diversa distanza dal mondo e dal modo ordinario di accostarsi a esso: i positivisti postulano una discontinuità tra la conoscenza scientifico-sociale che si vuole oggettiva e le forme ordinarie della conoscenza, mentre i fautori dell’approccio interpretativo sottolineano la continuità del sapere scientifico con il conoscere quotidiano, sostengono che il conoscere si dia sempre a partire da una particolare posizione e anzi che è proprio la finitezza del punto di vista a permetterci di conoscere il mondo che ci circonda (prospettivismo) e arrivano a raccomandare, come suggerito tra gli altri da Pierre Bourdieu, la riflessività, ovvero l’applicazione degli strumenti sociologici di contestualizzazione critica al proprio stesso punto di vista scientifico.

Al di là di questioni di metodo, le analisi dei primi grandi sociologi che operano tra Ottocento e Novecento soprattutto in Germania e Francia, da Weber a Durkheim a Simmel, hanno messo a fuoco alcuni processi socio-culturali ritenuti determinanti per la definizione della modernità. Hanno per esempio sottolineato che la secolarizzazione, ovvero il fatto che la religione si ritiri dalla vita pubblica e venga confinata nel privato, si accompagna a una divisione funzionale delle sfere e delle funzioni nel sistema sociale. Hanno tematizzato la nascita degli Stati nazionali moderni, che, come abbiamo visto nei contributi sulla sociologia ottocentesca, Weber concepisce come enti monopolizzatori della violenza legittima, e lo sviluppo di una moderna sfera economica caratterizzata dal mercato, che Simmel associa alla diffusione del denaro come mezzo di scambio. Nell’ottica sociologica, a differenza di quanto avviene nella storiografia, la modernità indica alcuni processi e caratteristiche delle società post-tradizionali più che tracciare i confini di un periodo storico preciso. Tra i molti processi sociali teorizzati dalla tradizione sociologica, due spiccano sugli altri: la razionalizzazione (ovvero il prevalere di forme di pensiero e organizzazione efficientiste, che enfatizzano prevedibilità, strumentalità e formalismo mirando a perfezionare i mezzi per il conseguimento di fini dati mediante una suddivisione analitica e calcolata dei compiti) e l’ individualizzazione (ovvero l’enfasi sull’individuo visto come unica combinazione di ruoli e preferenze socialmente standardizzate, e lo sviluppo della nozione di individuo come entità separata, originale, e peculiare, da cui devono partir le scelte e i valori). I classici di metà Novecento e di tradizione americana hanno da un lato proseguito questa traccia, dall’altro se ne sono distaccati tentando di definire in modo analitico e onnicomprensivo le caratteristiche del sistema sociale (Parsons) o impegnandosi in una varietà di ricerche empiriche – sui media, la devianza, la scienza, i gruppi di riferimento, il sistema politico – introducendo nella pratica sociologica il linguaggio delle variabili (Paul Lazarsfeld) con l’obiettivo di sviluppare teorie di medio raggio (Robert Merton) empiricamente falsificabili.

Il primato del sociale

Anche per il suo tentativo di coniugare ricerca empirica e sistematizzazione analitica, la sociologia è spesso apparsa come una terza cultura (Lepenies) tra scienza e letteratura; e come una disciplina mediana, più teorica della storia, meno astratta della filosofia. Per esemplificare lo scarto segnato dallo sviluppo delle scienze sociali rispetto alla tradizione filosofica morale e politica da cui pure traggono in parte origine, possiamo ricordare il lavoro di uno dei padri della sociologia contemporanea Émile Durkheim (1858-1917). Con Durkheim si ha il passaggio da una teoria contrattualista – che da Hobbes in poi ha considerato l’ordine sociale come il prodotto di un contratto tra individui presociali – a una teoria sociologica che si figura l’essere umano come sempre plasmato dal mondo sociale in cui vive. Durkheim rovescia il modello hobbesiano: il contratto sociale cioè non emerge dall’assenza del sociale (il così detto stato di natura); al contrario esistono condizioni sociali che rendono il contratto una soluzione pensabile, accettabile e raccomandabile. Le condizioni sociali, i rituali e i valori vengono a essere posti all’origine del modello conoscitivo.

L’immagine del sociale proposta da Durkheim, come emerge dal suo testo La divisione del lavoro (1893), è di forte integrazione e stabilità, tanto da essere stata fonte di ispirazione per quella corrente di studi che viene denominata funzionalismo, che considera la società come un sistema di funzioni sinergiche e che vede nel lavoro di Talcott Parsons il suo momento topico, più recentemente ripreso in chiave cibernetica dal tedesco Niklas Luhman. Nel suo Il sistema sociale (1951) Parsons mette a fuoco i modelli relativamente stabili di aspettative normative e istituzionalizzate (valori) che strutturano le interrelazioni tra gli attori sociali.

Individui e società

Come si evince con chiarezza nei capitoli relativi alla nascita e affermazione della sociologia, nel XIX secolo sono in particolare Karl Marx e Max Weber, hanno posto maggiore enfasi sul conflitto, sulle divisioni e sui confini che innervano il tessuto sociale considerando come il mutamento sociale sia stato favorito sia da fattori economici che da fattori culturali.

Nel XX secolo, al concetto marxiano di classe (la posizione occupata nelle relazioni di produzione) e a quello weberiano di status (la posizione occupata nel sistema di riconoscimenti e onori in vigore in una certa cultura) si affianca soprattutto quello di genere (gli attributi e le opportunità dispensate alle persone in base al loro sesso). Soprattutto a partire dagli anni Settanta del Novecento la teoria femminista ha infatti contribuito ad arricchire la tradizione del conflitto, mostrando come la struttura e la genesi della società moderna si reggano anche su una particolare divisione sessuale del lavoro che ha divaricato sfera pubblica e privata, confinando spesso le donne nella seconda.

Gli effetti che l’organizzazione sociale moderna sembra produrre sull’identità personale sono stati oggetto di numerose riflessioni sociologiche e in particolare del lavoro di Norbert Elias e di Georg Simmel. Nel suo Il processo di civilizzazione (1969), Elias ha sostenuto che i cambiamenti a livello del controllo politico che hanno dato luogo allo Stato moderno hanno mutato, allo stesso tempo, le condizioni per la stabilizzazione dell’identità personale. Le paure fondamentali che giocano una parte decisiva nella vita delle persone nelle società posttradizionali si riferiscono all’esclusione sociale, all’incapacità di controllare e comprendere le lunghe e complesse catene di interdipendenza, alla difficoltà di interpretare le azioni e le intenzioni degli altri, anziché riferirsi alla violenza fisica e imprevedibile come avveniva nelle società tradizionali. L’eguaglianza promossa dal consolidarsi degli Stati democratici e la differenziazione funzionale hanno reso necessarie una più stretta cooperazione meno carica di emozioni e una psicologizzazione del modo di porsi (cioè una mutua identificazione e una osservazione costante di se stessi e degli altri). I controlli esterni sull’azione e i sentimenti si sono quindi tradotti in autocontrollo, tanto che la soglia della vergogna e del disgusto si è innalzata non solo in pubblico ma anche in privato. Non si tratta semplicemente di un autocontrollo più stringente, bensì di un modello di autocontrollo che è allo stesso tempo più ineluttabile e più differenziato, per cui nelle società contemporanee si creano spazi di “controllato decontrollo” delle emozioni dove l’esibizione del sentimento e della passione è prescritto e regolamentato. Molti di questi spazi di liberazione controllata delle emozioni hanno a che fare con la cultura di consumo portata dall’affermarsi del mercato. È proprio al mercato che Georg Simmel guarda per rendere conto delle forme di interazione (Wechselwirkung) e di identità che caratterizzano la modernità. Nella sua celebre Filosofia del denaro (1900), Simmel sostiene che in un’economia monetaria sviluppata il soggetto non ha modo di fondersi con le cose: le merci sono soggette a rapida obsolescenza e incombe su di loro lo spettro della conversione in denaro. In effetti, il denaro crea una distanza tra persone e proprietà, e quindi tra persone e persone. Ciò fornisce al soggetto una certa libertà, ma si tratta di una libertà priva di qualsiasi direttiva che porta con sé una costante inquietudine. Nel complesso la cultura moderna sfocia in due direzioni apparentemente opposte: da un lato verso il “livellamento” e la massificazione, dall’altro verso l’“indipendenza” e l’“autonomia” della persona. La modernità ha quindi tratti ambivalenti, perché la costituzione del soggetto si configura come un processo attivo ma, se l’obiettivo è un’identità stabile nel tempo, inconcludente, che, come dirà Foucault “obbliga il soggetto al compito di produrre se stesso”.

Il lavoro di Simmel e ancor più quello di Elias tentano di fondere un’analisi macro (che pone enfasi sulla struttura sociale, sulla riproduzione dell’ordine e su processi storici di lungo periodo) con un’analisi micro (attenta all’interazione, all’elaborazione individuale dei significati, alle emozioni). Anticipano in questo una buona parte della sociologia contemporanea che, grazie anche alla teoria poststrutturalista e alla sua attenzione alle forme sociali della soggettività, ha tentato di integrare azione e struttura, micro e macro, individuo e società – come per esempio la teoria della strutturazione del britannico Anthony Giddens e varie declinazioni della teoria della pratica di scuola francese (Bourdieu, Boltanski). Nella tradizione sociologica gli approcci micro hanno del resto spesso funzionato da antidoto al funzionalismo – si pensi per esempio all’interazionismo simbolico che, da Mead a Blumer, ha sottolineato i simboli mediante i quali i soggetti interagiscono e i continui aggiustamenti creativi che essi compiono localmente per rispondere agli altri; o alla fenomenologia di Schutz, e Berger e Luckman e alla tradizione della Scuola di Chicago, da Park a Thomas, da Hughes a Becker, che in modi diversi hanno considerato le regole di comportamento, le identità e ruoli, le esperienze specifiche di particolari e spesso circoscritti e a volte marginali mondi d’azione sociale.

Interazione e vita quotidiana

Tra gli autori ormai classici che nel secondo Novecento si sono occupati di identità, interazione e vita quotidiana spiccano le figure di Erving Goffman e di Harold Garfinkel . Entrambi si sono chiesti non perché, bensì come funzionano le istituzioni sociali, considerando i modi in cui i fini vengono perseguiti, piuttosto che dando definizioni astratte dei fini in quanto tali. Mettendo a fuoco l’interazione “faccia a faccia”, Goffman cerca di considerare da un lato come l’identità si costituisca a partire da una serie di rituali (di deferenza e contegno) di presentazione del sé e, dall’altro, come le “cornici” (frames) culturali che determinano le condizioni di tale presentazione possano essere create, mantenute e modificate nel corso dell’interazione. L’ etnometodologia proposta da Garfinkel mette a sua volta in evidenza il taken-for-granted (“dato per scontato”) che ci orienta nel mondo senza che ce ne accorgiamo, e si chiede in che modo i membri di un gruppo sociale riescano a rendere conto a se stessi e agli altri delle proprie azioni, legittimandole e facendole apparire ovvie e normali. In entrambe le posizioni la stabilità e la realtà stessa della vita quotidiana si basano sulla condivisione di implicite aspettative culturali rispetto a ciò che si deve dire e fare. Anticipando quelli che saranno i temi del post-strutturalismo – secondo cui le forme di soggettività sono un fondamentale collante sociale prodotto dal sociale stesso – questi autori proseguono la tradizione antiessenzialista inaugurata da Wright Mills e considerano che anche i motivi e le emozioni non sono dati naturali e presociali né residui irrazionali come voleva Vilfredo Pareto, bensì fatti simbolicamente mediati che si realizzano attraverso forme prettamente sociali. La sociologia arriva quindi a estendere la propria ottica di denaturalizzazione dal mondo sociale all’identità, e dall’identità al sentire soggettivo, giungendo oggi a mostrare che persino quanto noi riteniamo più intimo e privato, come l’esperienza corporea, è in realtà mediato da codici culturali condivisi che noi stessi contribuiamo a sostenere, o ai quali ci appoggiamo nel tentativo di modificarli.

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