LAGUNA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

LAGUNA

Paolo Fabbri
Ireneo Ferrari

(XX, p. 382)

Negli ultimi cinquant'anni gli studi sulle l. sono stati stimolati in primo luogo dal fatto che gli ambienti lagunari furono teatro di importanti operazioni belliche, specie negli atolli del Pacifico negli anni 1941-45. Più di recente, l'ambiente lagunare si è imposto all'attenzione degli studiosi per le sue particolari condizioni biologiche, il cui studio si è naturalmente esteso al complesso delle condizioni ecologiche e ha indicato nelle l. un elemento di grande significato nelle operazioni di protezione ambientale che hanno contraddistinto gli anni a partire dal 1970. Si aggiunga il fatto che le coste di tipo lagunare non costituiscono situazioni eccezionali, ma si sviluppano sul pianeta per il 13% circa del totale.

Le strutture emergenti al largo su bassi fondali, che concorrono a intercludere gli specchi lagunari (lidi, cordoni, barre), sono formate da materiale di origine sia marina che continentale: quello di origine marina è recato dalle onde e spesso proveniente da grandi distanze, quello continentale è trasportato lungo costa dalle correnti e proveniente da sfoci fluviali o anche dall'erosione di prominenze costiere. Entrambi questi processi genetici furono già riconosciuti nel secolo 19° e all'inizio del 20°, anche se si pensava che uno escludesse l'altro: più recentemente, s'è visto che possono coesistere e che i cordoni lagunari costituiscono forme evolutive di scanni sommersi in particolari condizioni fisiografiche. Se è vero che tali emergenze possono verificarsi nel corso di fasi sia trasgressive sia regressive, resta il fatto che la maggior parte delle attuali formazioni lagunari si lega all'ultima trasgressione post-glaciale, nota come trasgressione Flandriana. Sulla base delle analisi al radiocarbonio, molti lidi lagunari sono stati datati a 6÷7000 anni fa, cioè al tempo in cui il livello marino cominciò a stabilizzarsi su valori non lontani dall'attuale.

Su queste basi, la formazione dei cordoni lagunari è stata attribuita all'abbassarsi − per fenomeni di costipamento o per subsidenza in genere − di piane alluvionali e al conseguente rimodellarsi del profilo d'equilibrio negli scanni sottomarini. L'azione delle onde, cioè, spianerebbe la parte più elevata dello scanno, rendendone i fianchi più acclivi, così che l'impulso delle onde stesse si orienta verso l'alto, recando materiale che si accumula in quella direzione. Col procedere della trasgressione, il fianco a mare dello scanno viene continuamente eroso, mentre lungo quello opposto procede la deposizione di materiale. In questo modo, lo scanno si sposta continuamente verso terra e, col crescere del livello marino nello spazio intercluso, ha luogo la formazione della laguna.

Anche O.K. Leontiev e altri hanno recentemente ipotizzato che i cordoni lagunari traggono origine da scanni sommersi in fase trasgressiva e nel corso di un movimento del drift litoraneo verso terra, all'interno della zona dei frangenti. Ma questi autori ritengono che, a livello marino costante, uno scanno così formato non possa emergere poiché, avvicinandosi questo alla superficie, l'ulteriore accrescimento sarebbe contrastato dallo stesso moto ondoso, che favorirebbe uno spianamento anziché un ulteriore accumulo. In altri termini, secondo questa teoria un'emersione di barra potrebbe verificarsi solo in concomitanza di un pur lieve abbassamento del livello marino, che metterebbe a nudo la struttura sommersa. In relazione a questa ipotesi, Leontiev e i suoi colleghi tendono a datare la formazione della maggior parte dei cordoni lagunari non già alla trasgressione Flandriana, ma alla fase regressiva tardoolocenica. La trasgressione successiva avrebbe in effetti costituito condizioni sfavorevoli alla conservazione dei cordoni lagunari e questo sarebbe provato dal fatto che molti di questi sono attualmente soggetti a processi di demolizione.

Lo studio dei complessi lagunari è interessante anche per le peculiarità idrauliche e chimico-fisiche che essi presentano e per la dinamica dei processi sedimentari che vi hanno luogo. Questi aspetti hanno anche risvolti economici: per es. il fatto che le acque lagunari di regioni aride presentino in genere una salinità assai più elevata di quella delle acque marine favorisce il depositarsi sui fondali di minerali come la mirabilite, l'astrakhanite e l'epsolite, che costituiscono ricercate materie prime nell'industria chimica. Su un piano più strettamente scientifico, infine, deve ricordarsi che i sedimenti di fondo delle l. costituiscono un materiale insostituibile nelle ricostruzioni paleogeografiche delle zone costiere. Ciò è dovuto a varie circostanze favorevoli: nitidezza della stratificazione, presenza di resti organici, notevole variabilità laterale di facies e infine forte dipendenza dalle condizioni ambientali.

Bibl.: A. Guilcher, Morphologie littorale et sousmarine, Parigi 1954; V.P. Zenkovich, Processes of coastal development, Londra 1967; The encylopedia of geomorphology, a cura di R.W. Fairbridge, iii, Stroudsburg (Pennsylvania) 1968; O.K. Leontiev, Geomorphology of shorelines, Mosca 1975; UNESCO, Coastal lagoon research: present and future, Parigi 1981; Id., Méthodologie d'étude des lagunes côtières: résultats d'un atelier régional,... Abidjan, 6-11 mai 1985, ivi 1986.

Aspetti biologici. - Principali indirizzi di ricerca. - Negli ultimi decenni il progresso di conoscenze sulla biologia degli ambienti lagunari può essere riassunto, schematicamente, in una sequenza di tre fasi. La prima è dominata da studi a impronta fisiologica. La salinità è assunta come fattore chiave nella distribuzione degli organismi. La classificazione delle acque salmastre nota come Venice system (tab. 1), adottata nel 1958 a Venezia in un simposio della Società internazionale di limnologia, fu il punto d'arrivo di un'intensa stagione di ricerche ecofisiologiche, in particolare sull'osmoregolazione e sulla regolazione ionica negli organismi marini e salmastri, più in generale sul complesso degli adattamenti morfologici, fisiologici e comportamentali alla vita in ambienti a grande variabilità sia del contenuto salino totale che della composizione ionica (Remane e Schlieper 1971).

La seconda fase si connota per un approccio esplicitamente ecosistemico. Sono riprese e sviluppate le intuizioni degli autori più rappresentativi dell'ecologia degli ecosistemi (Margalef 1968, Odum 1973) sulla relazione funzionale che connette la bassa diversità biotica (la povertà di specie in primo luogo) all'elevata produttività degli ambienti lagunari, che è sostenuta dal consistente apporto di nutrienti assicurato sia dal carico esterno, proveniente dalle aree continentali, sia dall'accelerata mobilizzazione del carico sedimentario.

Questi fondamenti concettuali trovarono un livello più avanzato di elaborazione in un documento dell'UNESCO (1981) in cui si tentò una caratterizzazione di sintesi delle ''proprietà emergenti'' degli ecosistemi lagunari. Le l. furono definite come ambienti ad alta produttività, complessità e stabilità. L'alta produzione primaria sia delle microalghe che delle macrofite favorisce andamenti esplosivi della crescita delle popolazioni ed è dunque associata a una limitata diversità specifica delle principali comunità vegetali e animali. La grande complessità è dovuta alla diversificazione delle componenti biotiche ma anche alla varietà dei cicli di vita delle singole specie e inoltre alla molteplicità di habitat, di fronti e gradienti (verso il mare e verso le zone interne, lungo la colonna d'acqua, tra l'acqua e il sedimento, ecc.). L'alta stabilità, intesa come resilienza o flessibilità, cioè la capacità di recupero e ristrutturazione dei sistemi lagunari in risposta a fluttuazioni ambientali ampie e imprevedibili, è il risultato di retroazioni in cui sono implicati vari meccanismi e processi: i comportamenti migratori di talune specie, la forte connettività delle reti alimentari, i cicli dei materiali. Questa rappresentazione in chiave ecosistemica degli ambienti lagunari, attraverso la delineazione di tratti funzionali macroscopici, ebbe un notevole successo. Ne fanno fede gli atti di alcuni simposi e congressi internazionali che si tennero nei primi anni Ottanta (Lasserre e Postma 1982, Carrada e altri 1987 e 1988). È da ricordare, poi, l'importante contributo recato da autori francesi (Guelorget e Perthuisot 1983), che elaborarono un modello detto del ''dominio paralico'', incentrato sull'idea del ruolo preminente delle comunità lagunari autoctone e delle funzioni trofiche ad esse associate. Ne seguì un dibattito stimolante e assai animato (Sacchi 1985). Ma in quegli anni si ebbe soprattutto uno sviluppo intenso e diffuso di ricerche biologiche ed ecologiche, anche sulla spinta di una domanda crescente di interventi per la soluzione di non facili problemi gestionali (pesca e acquacoltura, conservazione delle zone umide, risanamento di ambienti degradati).

Si arriva così alla terza fase, la più recente, in cui l'attività di ricerca si connota per una maggiore vivacità e molteplicità di approcci e metodi di studio. La produzione scientifica di questi ultimi anni è più ricca e aperta; si sta compiendo uno sforzo serio di superare il limite delle impostazioni in qualche modo assiomatiche che permeavano il documento UNESCO del 1981. L'approccio ecosistemico conserva una sostanziale vitalità; ma al suo interno l'interesse si concentra su obiettivi praticabili, su problemi scientificamente aggredibili.

In questo contesto, nella biologia delle l. come in altri campi della ricerca idrobiologica, è significativa l'espansione di alcune linee di ricerca: gli esperimenti condotti su popolazioni e comunità sia sul campo che in laboratorio; la costituzione di serie storiche di dati per una valutazione della variabilità nel lungo termine dei fattori idrologici e della composizione e struttura delle comunità; gli studi di biologia di popolazione (cicli e strategie di vita, basi genetiche dei polimorfismi, comportamenti e regimi alimentari, ecc.) come base per individuare a livello di specie o di entità sistematiche subspecifiche indicatori sensibili di cambiamenti ambientali rilevanti. Del pari significativa è l'attenzione sempre più viva verso l'ecologia microbica, che si occupa delle interazioni tra componenti microbiotiche (batteri, microalghe e protozoi che formano il cosiddetto microbial loop) e processi cruciali del ciclo dei nutrienti, e inoltre del ruolo e del destino del detrito e delle funzioni dei decompositori nella trasformazione e nei trasferimenti dei materiali in questo compartimento trofico, che è d'importanza essenziale negli ambienti lagunari (Knox 1986, Baker e Wolff 1987, Cole e Ferguson 1988, Cohen e Rosenberg, 1989.

La tradizione di ricerche biologiche sulle l. italiane non è particolarmente solida. Sono tuttavia da ricordare da un lato l'ampio repertorio bibliografico sui problemi gestionali connessi all'acquacoltura nelle valli venete (COSPAV 1982), dall'altro i lavori fondamentali di due insigni studiosi, Vatova (1960) e Sacchi (1985). Nell'ultimo decennio ricerche integrate a vasto spettro disciplinare, ma anche penetranti indagini specialistiche, sono state condotte sui popolamenti delle l. del delta del Po (Ambrogi 1985, ENEL-SIBM 1990, Viaroli e altri 1992) e della Laguna di Orbetello (Izzo 1988).

Struttura e funzioni delle comunità biologiche. − Le comunità vegetali. Le più importanti componenti di produttori sono rappresentate da piante vascolari, macroalghe, microalghe bentoniche ed epifitiche (insediate rispettivamente sul sedimento o su altre idrofite) e fitoplancton.

Nelle l. la distribuzione delle macrofite (categoria cui possono essere ascritte sia le piante superiori che le macroalghe) è stata oggetto di ricerche accurate. Sono proposti vari criteri di classificazione. Il più semplice è quello che individua una zonazione caratteristica: nelle aree solo parzialmente o periodicamente sommerse le associazioni sono dominate dalle fanerogame dei generi Spartina, Phragmites, Juncus, ecc.; nelle zone più direttamente influenzate dal mare si possono trovare banchi di Cymodocea e Posidonia; negli ambienti salmastri si distinguono poi aptofite (attaccate a substrati duri: è il caso della macroalga Enteromorpha), rizofite fissate su fondali mobili (ne è un esempio Ruppia), pleustofite galleggianti o adagiate sui fondali (le più diffuse sono alcune macroalghe come Ulva, Gracilaria, Cladophora e Chaetomorpha). Sui letti di macrofite vengono generalmente fatte stime di copertura e determinazioni quantitative di biomassa. Dall'elaborazione dei dati di biomassa si possono ricavare stime di produzione durante la stagione di crescita.

Il contributo delle microalghe sia epifitiche sia bentoniche alla produzione primaria degli ecosistemi lagunari può essere rilevantissimo. Biomasse cospicue di microalghe, per lo più diatomee, sono state osservate sulle porzioni sommerse di piante vascolari, sui talli di macroalghe e a diretto contatto del fondo. La produzione delle microalghe bentoniche viene stimata per lo più con metodi indiretti, cioè determinando su carote di sedimento tenute in incubazione il tasso di assimilazione fotosintetica del carbonio inorganico con il metodo del 14C o le variazioni del contenuto di ossigeno disciolto secondo le assunzioni del metodo delle bottiglie chiare e scure.

L'importanza del fitoplancton è limitata principalmente dall'esigua altezza idrometrica e dalla torbidità dell'acqua; si hanno tuttavia frequentemente fioriture assai intense di alghe planctoniche, principalmente diatomee e dinoficee. La composizione, la diversità e la successione nel breve termine del fitoplancton sono largamente condizionate dall'idrodinamismo e dal riciclo dei materiali. In relazione alla notevole disponibilità di nutrienti e all'instabilità della colonna d'acqua, il popolamento è per lo più dominato da specie di piccola taglia ed elevato tasso di crescita, tipiche di acque fertili e turbolente. La produzione del fitoplancton si determina con i metodi classici d'incubazione (del 14C e dell'ossigeno). Diffusa è la pratica di calcolare il contenuto di clorofilla-a come parametro di biomassa, ma il procedimento è erroneo. Più corretto, nonostante le inevitabili approssimazioni, è il metodo di stima della biomassa come biovolume calcolato sulla base delle dimensioni e della forma delle singole cellule. Il contenuto di clorofilla-a per unità di biovolume può dare indicazioni interessanti sullo stato fisiologico e sulla fase di crescita delle popolazioni algali.

Detrito, decomposizione e ciclo dei nutrienti. La produzione primaria sostiene reti alimentari complesse (fig. 1). Le alghe planctoniche, epifitiche e bentoniche sono in parte direttamente ingerite da consumatori dello zooplancton e dello zoobentos. In piccola misura anche le macrofite sono direttamente ''brucate''. Ma la biomassa prevalente dei produttori nelle l. segue la via del detrito; viene trasformata in sostanza organica particellata e disciolta che può essere assimilata direttamente dagli animali e costituisce, d'altra parte, il substrato del metabolismo eterotrofico di funghi e batteri. A loro volta i microorganismi eterotrofi, cui si deve la mineralizzazione dei materiali organici e dunque il riciclo dei nutrienti assimilabili dai produttori, rappresentano, assieme alle particelle di detrito cui sono associati, una fonte essenziale di cibo per gli animali planctonici e bentonici. Ovviamente entra a far parte del detrito anche tutta la sostanza organica dei prodotti di escrezione e dei resti degli organismi morti. Il fitto intreccio di relazioni e retroazioni che coinvolge le diverse componenti biotiche, in sostanza, toglie operatività agli approcci tradizionali dell'ecologia energetica, basati sull'individuazione di catene alimentari lineari e distinti livelli trofici.

In particolare, la stretta interdipendenza che negli ambienti lagunari esiste tra sedimento e masse d'acqua rende concettualmente e concretamente insostenibile una separazione tra catena del pascolo e catena del detrito. Ciò rafforza l'esigenza di condurre ricerche integrate sui processi di produzione, di decomposizione e di circolazione dei nutrienti. Ma l'ottica ecosistemica in cui si colloca evidentemente tale strategia non può significare la rincorsa dietro improbabili e indefinibili proprietà emergenti. Le più recenti esperienze di ricerca biologica nelle l., come si è già accennato, segnalano la tendenza a focalizzare il massimo di attenzione su funzioni e meccanismi chiave: da quali fattori idrodinamici, fisici, chimici, biologici è limitata e modulata la produzione primaria; come si esprime la competizione per i nutrienti tra le diverse comunità di produttori; quale ruolo nel riciclo dei nutrienti hanno le componenti del cosiddetto microbial loop ma anche il disturbo (bioturbation) dovuto all'attività degli organismi dello zoobentos; quali sono i tassi di decomposizione dei materiali organici di diversa provenienza (per es. dalle diverse specie di macrofite); quali sono i tassi di rigenerazione dei nutrienti in rapporto alla decomposizione; e nelle condizioni di anossia che frequentemente si verificano nella l., qual è l'effettiva incidenza dei processi di denitrificazione e solfato-riduzione, quali le connessioni tra i cicli sedimentari dell'azoto, dello zolfo, del ferro e del fosforo, e quali attività batteriche specifiche vi sono implicate e attraverso quali meccanismi.

Le comunità animali. L'analisi delle popolazioni e delle comunità di ''macroconsumatori'' (zooplancton, zoobentos, necton) non è del tutto separabile da questo nodo di questioni, almeno nel senso che anche per queste componenti biotiche s'impone, al di là di un inventario delle specie e di una descrizione sommaria in termini di parametri di struttura (densità, biomassa, dominanza, diversità), uno sforzo di ricerca su aspetti funzionali.

Nelle piccole baie costiere aperte al mare o soggette a notevoli apporti di acque dolci, lo zooplancton è rappresentato di volta in volta da organismi marini o dulciacquicoli. Nelle l. abbastanza ampie rispetto all'afflusso di acque dal mare, si può riconoscere invece una zonazione di caratteristiche idrologiche e di stato trofico cui si sovrappone un gradiente di struttura dello zooplancton. E nelle zone più interne, più confinate, dove il ricambio delle acque è più lento, il popolamento è decisamente autoctono, tipicamente lagunare.

Esso comprende soprattutto protozoi, rotiferi, diverse specie del copepode calanoide Acartia (fig. 2) e meroplancton, che è costituito dagli stadi larvali di forme bentoniche, principalmente policheti, molluschi e crostacei. Le correnti di marea attuano un continuo trasferimento di biomassa planctonica tra le l. e il mare. C'è dunque una forte dipendenza della struttura del plancton lagunare dalla variabilità di fattori idrodinamici. Nei casi in cui il trasporto tidale dello zooplancton è stato valutato, per es. da I. Ferrari e M.G. Mazzocchi (Ambrogi 1985), è stata riscontrata una cospicua esportazione a mare di biomassa autoctona della laguna. Ma l'elevata produzione dello zooplancton autoctono richiede soprattutto analisi dettagliate del ruolo trofico di questa comunità, rispetto sia alle fonti di alimento (microalghe, detrito minuto e batteri), sia alla predazione da parte di pesci planctofagi (fig. 3).

Nello studio del macrozoobentos per molto tempo è stato seguito un approccio bionomico ispirato ai modelli di classificazione delle comunità elaborati da Pérès (1967). Sui fondi mobili e incoerenti delle l. del delta padano (Ambrogi 1985, ENEL-SIBM 1990) prevalgono, secondo questa classificazione, "biocenosi eurialine ed euriterme di acque salmastre", nettamente differenziate da quelle insediate nel mare prospiciente. Esse sono dominate da policheti (Capitella capitata, Polydora ciliata, Neanthes succinea, ecc.), da bivalvi (Cerastoderma glaucum, Abra ovata, Crassostrea sp., Mytilus galloprovincialis, ecc.) e gasteropodi (Hydrobia sp.). Anche i crostacei vi sono rappresentati, con diverse specie di anfipodi, isopodi e decapodi. Sulla base dei comportamenti alimentari si distinguono filtratori (principalmente bivalvi), detritivori (principalmente policheti), carnivori, ecc. Un altro criterio di classificazione riguarda le modalità d'insediamento sul substrato: accanto alle forme che vivono infossate nel sedimento (infauna), ne esistono altre vagili e altre ancora associate ai banchi di macrofite o a depositi di biomasse in decomposizione. Sui substrati duri sono insediate forme sessili e incrostanti: le più comuni appartengono a cirripedi (Balanus spp.), molluschi, briozoi e policheti serpulidi (Ficopomatus enigmaticus o mercierella).

Tra le più recenti indagini sul macrozoobentos delle l. si ricordano gli studi su dinamica, ciclo biologico e strategia di vita delle popolazioni (accanto a specie altamente produttive e a rapido ciclo di crescita se ne hanno altre a crescita lenta e con lunghi tempi di generazione) e le analisi delle comunità su serie temporali di lungo termine per una valutazione della risposta biologica alle variazioni dell'ambiente, in particolare al disturbo connesso ad attività umane. Un problema d'interesse generale che può essere opportunamente affrontato sulle comunità del macrobentos è quello della biodiversità. Si tratta di valutare gli effetti sulla diversità specifica dell'eutrofizzazione delle l. e delle cadute estive di distrofia che spesso vi si verificano comportando prolungate condizioni di anossia sui sedimenti. L'enorme sviluppo di macrofite che determina questi fenomeni ha anche effetti diretti sull'attecchimento degli organismi bentonici sui fondali e, in tempi relativamente lunghi, sulle caratteristiche fisiche e chimiche del sedimento. D'altra parte esiste il problema dell'insediamento di specie esotiche invasive. Nel delta del Po queste sono rappresentate, tra le altre, dai molluschi Crassostrea sp., Scapharca inaequivalvis, Rapana venosa, Tapes phillippinarum, e dalla già citata mercierella.

Anche negli studi sulle comunità bentoniche l'attenzione tende sempre più a concentrarsi sulle componenti di piccole dimensioni. È stato evidenziato, in particolare, il ruolo determinante del meiobentos (cui sono attribuiti convenzionalmente organismi di dimensioni tra 0,5 e 1 mm, appartenenti per lo più a nematodi e copepodi arpacticoidi), sia come fattore di stabilizzazione del sedimento, sia come nodo di trasferimenti energetici. In alcuni casi si è visto che il meiobentos rappresenta la principale via di flusso energetico tra produttori e predatori bentofagi (Knox 1986). Numerose evidenze sono state fornite sull'alimentazione selettiva di specie ittiche sugli arpacticoidi bentonici.

La distribuzione dell'ittiofauna negli ambienti lagunari è generalmente ben conosciuta. Le ricerche di G. Gandolfi, E.J. Ioannilli e R. Vitali nel delta padano (Ambrogi 1985) hanno messo in evidenza l'importanza che nelle l. assume la presenza di un contingente di specie eurialine autoctone (il nono, la bavosa, pesci ago e gobidi). A questo contingente si associano da un lato specie marine litorali (spratto, sardina, acciuga, ecc.) saltuariamente presenti, dall'altro specie che compiono migrazioni trofiche in l. restandovi stabilmente insediate per lunghi periodi dell'anno (latterino, muggini, branzino e orata, passera, ancora gobidi e pesci ago). Attraverso le l. transitano anche l'alosa e l'anguilla nel corso delle loro migrazioni tra fiume e mare.

Rilevante, ovviamente, è il ruolo delle popolazioni ittiche, che generalmente si nutrono di specie dello zooplancton e dello zoobentos (fig. 3), nella regolazione della struttura di queste comunità. Ma a loro volta molte specie di pesci sono sottoposte a un pesante controllo sia attraverso la pesca sia per la predazione esercitata da uccelli piscivori (ne è esempio ben noto il cormorano).

Numerose ricerche sull'ittiofauna e sull'avifauna hanno messo in luce il rischio di scomparsa di specie dagli ambienti lagunari. Le cause sono da ricondurre, di volta in volta, ai fenomeni delle specie immigrate o introdotte e ai fattori di degrado legati all'eutrofizzazione e alla distrofia, all'inquinamento da pesticidi, ecc. Ma l'aspetto più preoccupante riguarda la perdita di diversità di habitat umidi dovuta a processi d'interramento e a manipolazioni pesanti (arginature, banchinature, canalizzazioni, ecc.). L'indicazione operativa che proviene da questi studi è, anzitutto, un'indicazione ad attuare interventi di riparazione e di risanamento e, in prospettiva, a perseguire obiettivi di ''rinaturazione'' che puntino alla massima diversità biologica attraverso il mantenimento della più elevata diversità di habitat negli ambienti lagunari.

Bibl.: A. Vatova, Condizioni ecologiche e fasi di marea nell'alta Laguna Veneta, in Nova Thalassia, 2 (1960), pp. 1-61; J.M. Pérès, The Mediterranean benthos, in Oceanogr. Mar. Biol. Ann. Rev., 5 (1967), pp. 449-533; R. Margalef, Perspectives in ecological theory, Chicago 1968; A. Remane, C. Schlieper, Biology of brackish water, New York 1971; E.P. Odum, Principi di ecologia, Padova 1973; I. Ferrari, V.U. Ceccherelli, V. Gaiani, Zooplancton e regime alimentare di novellame di orata, spigola e mugilidi nella Sacca di Scardovari (Delta del Po), Convegno risorse biologiche e inquinamento marino, Progetto finalizzato C.N.R., Roma 10-11 novembre 1981, pp. 71-81; UNESCO, Coastal lagoon research, present and future, Technical Papers, in Marine Science, 32 (1981); COSPAV, Materiali per una bibliografia sulla Laguna e sul Golfo di Venezia, Consorzio per lo Sviluppo della Pesca e dell'Acquicoltura del Veneto, 1982; Proceedings of the International Symposium on coastal lagoons, Bordeaux, 8-14 September 1981, a cura di P. Lasserre, H. Postma, in Oceanol. Acta, nr. sp., 1982; O. Guelorget, J.-P. Perthuisot, Le domaine paralique, in Trav. Lab. Géol., 16 (1983); Ecologia del Delta del Po, a cura di R. Ambrogi, in Nova Thalassia, 7, 2 (1985); C.F. Sacchi, Le sel de La Palice: réflexions sur le paralin méditerranéen, in Mém. Biol. Mar. Oceanogr., 15 (1985), pp. 71-89; G.A. Knox, Estuarine ecosystems: a systems approach, i e ii, Boca Raton (Florida) 1986; Biological surveys of estuaries and coasts, a cura di J.M. Baker, W.J. Wolff, Cambridge 1987; G. Carrada, I. Ferrari, O. Guelorget, F. Lumare, J.-P. Perthuisot, Les lagunes méditerranéennes, in Bull. Ecol., 18, 2 (1987), pp. 185-86; Le lagune costiere: ricerca e gestione, a cura di G. Carrada, F. Cicogna, E. Fresi, Massalubrense 1988; The nitrogen and sulphur cycles, a cura di J.A. Cole, S.J. Ferguson, Cambridge 1988; G. Izzo, Risanamento ambientale della Laguna di Orbetello: il ruolo dell'attività microbica dei sedimenti nella distrofia della Laguna di Orbetello, ENEA/RT/PAS/88/12, 1988; Microbial mats. Ecological physiology of benthic microbial communities, a cura di Y. Cohen, E. Rosenberg, Washington (DC) 1989; ENEL-SIBM, Symposium on the ecology of the Po river delta, Collected Contributions, i e ii, Proceedings, 1990; P. Viaroli, A. Pugnetti, I. Ferrari, Ulva rigida growth and decomposition processes and related effects on nitrogen and phosphorus cycles in a coastal lagoon (Sacca di Goro, Po river delta), in Marine Eutrophication and Population Dynamics, Fredensborg 1992, pp. 77-84.

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