Land art

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Forma d’arte contemporanea, nota anche come earth art, earth works («arte della terra», «lavori di terra»), sorta intorno al 1967 negli Stati Uniti e caratterizzata dall’abbandono dei mezzi artistici tradizionali per un intervento diretto dell’operatore nella natura e sulla natura. In tale scelta era insito un rifiuto del museo, come luogo dell’opera d’arte, e del mercato artistico: le opere hanno per lo più carattere effimero e restano affidate specialmente alla documentazione fotografica e video, a progetti, schizzi ecc. Gli artisti che hanno individuato nella natura la loro area operativa, infatti, non puntano tanto al risultato quanto al processo e alla realizzazione di un’esperienza esemplare; donde l’affinità che lega questo tipo di ricerca all’arte concettuale e, più in generale, all’arte di comportamento.

Si ricordano, come esempi di l., i solchi tracciati in un campo di grano e sulla riva ghiacciata di un fiume, nonché lo scavo profondissimo effettuato nel deserto del Nevada, a opera, rispettivamente, degli statunitensi D. Oppenheim e M. Heizer; o anche l’impacchettamento con materiale plastico e corda di diverse migliaia di metri quadri di costa in Australia, a opera di Christo.

Tra i seguaci di questa tendenza, che nasce da un atteggiamento rigorosamente anti-formale in antitesi con il figurativismo della pop art, come pure con le fredde geometrie della minimal art, e che, con il richiamo a temi ecologici, vuole contrapporsi al tecnicismo e all’urbanesimo esasperati della società contemporanea, ricordiamo ancora gli statunitensi W. De Maria e R. Smithson, gli inglesi R. Long e B. Flanagan, gli olandesi M. Boezem e J. Dibbets. In Italia esperienze di l. si sono avute soprattutto in rapporto con l’arte povera.

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