LANDOLFO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANDOLFO

Valeria Beolchini

Ultimo principe longobardo di Benevento, sesto di questo nome, fu associato al trono dal padre Pandolfo (III) nell'agosto o settembre 1038.

In quell'anno Guaimario (IV) di Salerno riuscì, grazie all'appoggio dell'imperatore Corrado II il Salico e dei Normanni di Rainulfo (I) Drengot conte di Aversa, a estendere il proprio dominio anche sul Principato di Capua, divenendo così il sovrano più potente dell'Italia meridionale. Benevento rimase estranea a questi rivolgimenti politici e scelse la linea della chiusura verso l'esterno.

La carenza di fonti e la laconicità delle notizie riportate dagli Annales Beneventani rendono complicato ricostruire il clima politico nella capitale longobarda. L'annosa turbolenza dell'aristocrazia beneventana tornò a manifestarsi in maniera eclatante nel 1041, quando Pandolfo (III) e L. dovettero affrontare una congiura ordita ai loro danni. Come già nel 1015, quando vittime della congiura erano stati lo stesso Pandolfo (III) e il padre Landolfo (V), anche in questo caso non pare che l'episodio abbia avuto conseguenze durature. Recentemente è stato ipotizzato che a capo della cospirazione fosse il fratello stesso di L., Atenolfo, che, in quanto escluso dall'associazione al trono, avrebbe così tentato di acquisire il potere; fallita la congiura, si sarebbe poi aggregato alle milizie normanne, a capo delle quali risulta essere stato nella battaglia di Montepeloso.

Nel 1047 Enrico III marciò sull'Italia meridionale per ristabilire la supremazia imperiale. In tale occasione riconobbe i Normanni come vassalli dell'Impero e concesse loro l'investitura per tutte le terre che occupavano, allo scopo di rallentarne lo slancio espansionistico e al contempo di limitare il potere di Guaimario (IV) di Salerno. In tal modo però l'imperatore si alienò definitivamente il favore dei principi Pandolfo (III) e L., che vedevano nei vicini Normanni dei potenziali invasori. Fu per questa ragione che quando Agnese di Poitou, sposa dell'imperatore, di ritorno da un pellegrinaggio al Gargano si recò a Benevento, i principi le riservarono una fredda accoglienza, per poi addirittura chiudere le porte della città all'arrivo di Enrico III, pochi giorni dopo. L'imperatore reagì ponendo la città sotto assedio e inducendo Clemente II a scomunicare i sovrani e i loro sudditi. Privo però delle forze necessarie per un attacco non previsto, Enrico III si ritirò al Nord affidando ai Normanni l'incarico di portare a termine la sua vendetta, autorizzandoli a saccheggiare i territori longobardi ribelli.

Si può far risalire a questa data l'inizio della parabola discendente che portò, nel volgere dei successivi trent'anni, alla fine del Principato di Benevento. Pandolfo (III) e L. si trovavano ormai chiusi in un isolamento che non erano in grado di sostenere, in aperta ostilità con tutti i poteri presenti in Meridione: l'imperatore tedesco, il papa, i Bizantini, i Normanni e anche il principe di Salerno. È infatti proprio presso quest'ultimo che si rifugiò in quegli stessi anni Dauferio, membro del casato beneventano, osteggiato dai principi suoi parenti nel desiderio di vita ascetica. Invano Pandolfo (III) e L. chiesero insistentemente che il giovane fosse rimandato a Benevento: Guaimario (IV) prima lo ospitò a lungo presso la sua corte, poi gli offrì un rifugio sicuro nella badia di Cava (Cava de' Tirreni). Solo dopo che L. si recò personalmente a Salerno e promise che la vocazione di Dauferio sarebbe stata assecondata, il giovane gli fu riconsegnato.

La chiusura beneventana verso l'esterno si ebbe nuovamente nella primavera 1050, quando venne negata l'accoglienza in città a Leone IX, di ritorno da un pellegrinaggio al Gargano. Il pontefice confermò allora la scomunica già pronunciata dal suo predecessore. L'episodio fu all'origine dell'ennesima rivolta cittadina, il cui esito fu l'espulsione da Benevento di Pandolfo (III) e di L. "cum sculdays suis" (Annales Beneventani, p. 137). All'inizio del 1051 Leone IX ricevette a Roma una legazione beneventana, incaricata di portare la sottomissione della città al potere pontificio in cambio della protezione dai vicini Normanni. Questi infatti controllavano Bovino, Troia e Ascoli, e con esse tutte le vie di comunicazione che collegavano Benevento con la Puglia. La cintura appenninica non aveva potuto contenere a lungo l'avanzata normanna, che ormai accerchiava il Principato su tutti i lati.

Nell'aprile dello stesso 1051 i messi papali - il cardinale Umberto di Silva Candida e il patriarca Domenico di Grado - ricevettero a Benevento formale giuramento di fedeltà al pontefice, cui seguì il ritorno a Roma con una ventina di nobili longobardi, inviati in ostaggio dagli stessi concittadini a garanzia del sopraggiunto accordo. Il 5 luglio Leone IX fece la sua solenne entrata a Benevento e prese possesso della città a nome proprio e dell'imperatore. La difesa dell'antica capitale venne allora affidata ai fedeli Guaimario (IV) e Drogone d'Altavilla conte di Puglia, ma non appena il pontefice fu tornato a Roma ripresero le incursioni normanne.

L'anno seguente il concordato di Worms sancì la sovranità papale su Benevento "vicarionis gratia", benché non sia chiaro se con la formula si intendesse la sola città o l'intero Principato: di fatto comunque l'autorità papale rimase sempre limitata alla capitale e al territorio immediatamente circostante.

Nonostante la sconfitta di Civitate del febbraio 1053 - a seguito della quale la presenza bizantina in Puglia e Calabria si ridusse al controllo di poche città della costa, mentre il resto del paese passò sotto i Normanni -, Leone IX riuscì a trovare un accordo con i vincitori e a salvare Benevento dall'invasione. Il pontefice fu costretto dai Normanni a un lungo soggiorno nella città, dove rimase dal giugno 1053 fino al marzo 1054, data in cui finalmente poté tornare a Roma. Fu allora che i Beneventani richiamarono in città i principi Pandolfo (III) e L., ormai consapevoli che nemmeno l'autorità della Chiesa poteva garantire sufficiente protezione contro i temibili Normanni.

Nel gennaio 1055 l'antico casato longobardo riprese il potere nella capitale avita, mantenendo però rapporti molto stretti con il Papato. Una conferma della regolare ripresa del controllo dinastico sulla città viene dalla notizia dell'associazione al trono, nell'agosto 1056, del giovane Pandolfo (IV) che, secondo gli usi tradizionali dei discendenti di Atenolfo, andava così ad affiancare il padre e il nonno nell'esercizio del governo. La situazione era però definitivamente mutata: nel 1060 l'anziano Pandolfo (III) si fece monaco in S. Sofia, atto simbolico interpretabile come una sostanziale rinuncia al potere principesco ormai destinato a estinguersi a fronte dei nuovi equilibri politici.

La scelta di Pandolfo (III) di ritirarsi in S. Sofia sottolinea il forte legame esistente fra il monastero e il ramo beneventano dei discendenti di Landolfo il Vecchio. Fino alla fine del Principato, infatti, i sovrani longobardi considerarono S. Sofia la loro "chiesa privata": qui si svolgevano le loro cerimonie e qui probabilmente venivano sepolti, almeno dopo la definitiva scissione del Principato di Benevento da quello di Capua nel 981. In realtà i privilegi concessi al monastero dagli ultimi capuanites non erano costituiti da donazioni estensive di terre, ormai impossibili a causa della già ricordata perdita di controllo principesco sul territorio circostante Benevento. Venivano però ciclicamente confermati ed estesi i diritti abbaziali sulle popolazioni che vivevano nelle aree dipendenti da S. Sofia e, ciò che più conta, la protezione principesca impedì a Montecassino di far valere le proprie pretese di proprietà sul ricco monastero, che nella seconda metà dell'XI secolo controllava ormai un vasto patrimonio che si estendeva da Termoli e Lesina, sulla costa adriatica, fino a Sessa Aurunca e alla foce del Volturno sul versante tirrenico.

Negli anni seguenti, L. perse gradualmente il controllo sulla città e sul territorio, passati definitivamente sotto il pieno dominio pontificio. Non solo egli presenziò in qualità di vassallo della S. Sede alla cerimonia solenne di consacrazione della chiesa di Montecassino il 1° ott. 1071, ma nell'agosto 1073 prestò anche giuramento di fedeltà al pontefice Gregorio VII, promettendo di rispettare i diritti del ceto aristocratico cittadino. Il papa si era intanto recato nell'antica capitale longobarda per definire con i Normanni la situazione di Benevento alla vigilia dello scontro con l'imperatore, ottenendo garanzie circa l'incolumità della città; è significativo rilevare come in tale occasione Gregorio VII risiedesse ne "lo plus grand palaiz" (Amato di Montecassino, p. 299), con ogni probabilità da identificare con lo stesso palazzo principesco.

Il 7 febbr. 1074 Pandolfo (IV), erede designato al trono, fu ucciso dai Normanni in battaglia a Montesarchio, vicino Benevento. Dopo tale data non si hanno più notizie di L., che morì il 27 nov. 1077.

Si chiuse così dopo cinque secoli la storia della dominazione longobarda in Italia meridionale: il 21 maggio 1062 era stato espulso da Capua l'omonimo Landolfo (VI), sostituito da Riccardo (I) Drengot, e lo stesso era avvenuto a Salerno, dove Gisulfo (II), dopo essersi arreso, era stato esiliato da Roberto il Guiscardo, verso la fine del maggio 1077. A L. successero i rettori pontifici, espressione della potente aristocrazia cittadina, e a questi spettò il compito negli anni successivi di difendere la città dai sempre più agguerriti tentativi di conquista da parte dei Normanni.

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