Lapillo

Enciclopedia Dantesca (1970)

lapillo

Bruno Basile

I cari e lucidi lapilli che ‛ ingemmano ' il cielo di Giove (Pd XX 16) sono, con ardita metafora, " quelli beati spiriti, che erano come pietre preziose, chiare e splendienti " (Buti). Va ricordato comunque che nei lessici medievali lapillus era spiegato " parvus lapis vel gemma " (cfr. Papias Vocabulista, nell'edizione veneziana del 1496).

Come notava il Tommaseo, lapillus non era però estraneo ai classici nell'accezione di " pietra preziosa " (cfr. Orazio Epist. I X 19 [Tommaseo], a cui sono da aggiungere almeno Sat. I II 80, Ovid. Ars. am. III 129 e Mar. I CX 4). Possibile, secondo il Parodi, un rapporto - che pare assai suggestivo - con il metaforismo del sermone De sanctis angelis di s. Bonaventura, dove si legge:" Beati angeli sunt a Deo, a summo artefice politi, immo lapides pretiosi... ". L'immagine si collega all'identificazione anima beata-gemma, che è tipica dell'ultima cantica della Commedia (v. anche BALASSO; MARGHERITA; RUBINO; TOPAZIO).

Bibl. - Parodi, Lingua 395; per un inquadramento generale, A. Levavasseur, Les pierres précieuses dans la D.C., in " Revue Études Italiennes " IV (1957).

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