Uberti, Lapo degli

Enciclopedia Dantesca (1970)

Uberti, Lapo degli

Arnaldo D'addario

Figlio di Farinata, fiero ghibellino come il padre e gli altri membri della casata, ne seguì la sorte dopo la sconfitta della sua Parte politica. Per le fortune del ghibellinismo si era impegnato fortemente tra l'altro intrattenendo strette relazioni con Ezzelino da Romano detto " il monaco " e con Ezzelino III suo figlio, anche mediante la consuetudine di amicizia con Cunizza, loro figlia e sorella, dimorante in Firenze dopo il 1260 nella casa di Cavalcante de' Cavalcanti.

Una carta del 12 febbraio 1266 documenta le trattative che egli condusse con il comune di San Gimignano onde ottenere, insieme con il fratello Azzolino, l'equipaggiamento necessario per prender parte alla difesa del regno meridionale contro Carlo d'Angiò; il documento è di soli quattordici giorni precedente alla battaglia di Benevento, e questo fatto proverebbe - secondo il Davidsohn che lo pubblica (Forschungen, II 889) - con quanta lentezza i ghibellini di Firenze si accingessero ad aiutare lo Svevo. Esule, nel 1282 fu avvicinato, insieme con il conte Guido Novello e i dinasti di Santa Fiora, da messi del re Pietro d'Aragona giunti in Pisa in cerca di alleati per la causa del loro sovrano. Nello stesso anno, tuttavia, Lapo fu anche oggetto di una nuova rappresaglia politica, attuata sotto veste religiosa mediante l'accusa di eresia lanciatagli contro dall'inquisitore di Firenze, il minorita fra' Salomone da Lucca. Costui citava dinanzi al suo tribunale Farinata - quantunque fosse morto -, la vedova di lui, Adaletta, e i loro figli - oltre a Lapo, Federigo e Maghinardo - e nipoti - Lapo e Itta di Azzolino -, e li condannò come patarini, ritenendo di aver provato la loro ammissione in quella setta mediante l'amministrazione del consolamentum. L'anno dopo, il podestà di Firenze, Aldighiero della Senazza, applicava la sentenza dell'inquisitore condannando i supposti eretici alla confisca dei beni e alla morte sul rogo; a nulla valse agli U. il ricorso al tribunale imperiale, ché Rodolfo si dichiarò incompetente ad accoglierlo, ritenendo che le sentenze fiorentine fossero state emesse in modo formalmente ineccepibile. Costretto alla fuga, Lapo si pose al servizio degli Aretini; nel 1288 ricevette da essi il comando della guarnigione di Laterina, che, tuttavia, i Fiorentini presero dopo otto giorni di assedio. L'anno seguente, nuovamente a capo di milizie aretine, difese - ma ancora senza successo - Chiusi attaccata da forze nemiche dopo la battaglia di Campaldino; anche Lapo fu coinvolto nel generale cedimento dei suoi alleati. Invano, nel 1290, insieme con Maghinardo U., egli si adattò a chiedere al comune di Firenze il perdono politico, promettendo obbedienza; né a lui, né ai Fifanti, né agli altri U., i Fiorentini concedettero la pace politica, quantunque lo stesso pontefice intervenisse (1304) a favore degli esuli. Il fallimento di questo tentativo costrinse Lapo e gli altri alla diaspora fuori di Toscana. Nel 1292 egli è a capo - questa volta con qualche successo - di milizie pisane contro Firenze; nel 1296, 1297, 1299 è podestà di Mantova, da dove passa, con uguali funzioni, a Verona, nel 1301 e 1303, per ritornarvi nel 1311 come vicario di Enrico VII; nel 1312 è a Roma, al seguito dell'imperatore, che aveva concesso cariche anche ai suoi figli, Farinata e Ghino.

Dopo questa data di lui non si ha più memoria; secondo il Davidsohn egli avrebbe già raggiunto i 65 anni.

Dubbia è l'attribuzione a questo Lapo di componimenti poetici, che, forse, meglio possono ritenersi opera di Lapo di Azzolino U., amico di Dante.

Bibl. - G. Negri, Istoria degli scrittori Fiorentini, Ferrara 1722, 345; Davidsohn, Storia II I 797, 802; II II 323, 377-378, 426, 466-467, 487-488, 523; III 655; IV I 43; III 339, 359; R. Renier, Liriche edite ed inedite di Fazio degli Uberti, Firenze 1883, pp. XCII-CXIII (espone criticamente i termini della problematica relativa alla controversa identità biografica di questo personaggio, con particolare riferimento alla sua qualificazione come poeta e alla discendenza da lui dell'autore del Dittamondo).

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