GUIDICCIONI, Laura

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUIDICCIONI, Laura

Teresa Megale

Nacque a Lucca il 29 ott. 1550 da Niccolò e Caterina de' Benedetti. Appartenente a una famiglia di antica nobiltà, crebbe in un ambiente colto, che in passato era stato animato da Giovanni Guidiccioni (morto nel 1541). In una data non precisabile, sposò il nobile Orazio Lucchesini, con il quale intorno al 1588 si trasferì a Firenze seguita dalla madre, rimasta vedova.

Dell'attività poetica della G. rimangono due sonetti, lacerti di una produzione che si intuisce ben più nutrita: Vera gloria di Trebbia, unico e raro, nella stampa bolognese del Re Torrismondo di T. Tasso (G. Rossi, 1587) in lode del dedicatario dell'edizione, Alessandro Viustini Piacentini bolognese; e Se di lacrime, nella Raccolta di diversi accademici sanesi pubblicata da Gismondo Santi (Siena 1608, p. 219).

Il primo sonetto è un'importante testimonianza dei rapporti della G. con T. Tasso, il quale sembra riferirsi a lei nel sonetto Mentre ancor non m'abbaglia il dolce lume (in Delle rime et prose, parte quarta, Venezia, G. Vasalini, 1586, p. 126), diretto a una gentildonna senza nome, il cui quarto verso, "in riva al Serchio, vago e nobil fiume", conterrebbe un'allusione alla Guidiccioni.

A Firenze la G. si inserì nell'attività festiva della corte, che viveva in quegli anni un'intensa fase di sperimentalismo artistico. Secondo un dispaccio dell'ambasciatore estense Ercole Cortile, che la definisce "molto bella", capace di cantare "molto bene", sebbene "sia un poco inanzi per il tempo" (Newcomb, p. 272), partecipò da protagonista ai preparativi per le nozze granducali tra Ferdinando I de' Medici e Cristina di Lorena, celebratesi nel maggio 1589. Il 17 dic. 1588 la madre della G. riferì al figlio Ippolito, rimasto a Lucca, che la G. e Orazio "si fanno honore in ogni cosa" (Nerici, p. 309) e, in effetti, nel giugno 1589 Orazio Lucchesini ebbe l'ufficio di segretario della granduchessa, forse anche per il contributo determinante che la poetessa seppe dare alle feste nuziali.

Per l'occasione la G. - unica donna della schiera di accademici dilettanti al servizio della corte medicea, tra cui Giovanni Maria Bardi e Ottavio Rinuccini, che tentarono la riforma del melodramma - fornì la canzone a ballo O che nuovo miracolo, che, in forma di Coro di dei e pastori, concluse il sesto e ultimo intermedio della Pellegrina, incentrato sul tema platonico del dono della musica fatto dagli dei agli uomini per lenirne gli affanni. La canzone (in Solerti, 1902, pp. 799-801), scritta dalla G. su una musica e una coreografia già composte dal musicista romano Emilio de' Cavalieri, fu interpretata tra gli altri da un terzetto di voci femminili composto da Vittoria Concarini moglie di Vittorio Archilei, Lucia Caccini e da Margherita, allieva degli Archilei, che oltre a cantare danzarono e si accompagnarono con chitarre spagnole e napoletane e cembali.

Ottenuto il riconoscimento artistico, la G. divenne una frequentatrice abituale della corte medicea, dove si legò soprattutto alla cantatrice romana Vittoria Archilei, interprete delle musiche di Emilio de' Cavalieri e apprezzata cantante da camera. Per il Carnevale 1590 fu allestita una "pastorale bellissima composta ora a posta da Laura con una musica miracolosa" (Nerici, p. 309), come riferì la madre. Si tratta del Satiro, di cui si è perduto il testo, rappresentato di nuovo con molta probabilità prima del 1595. Nel 1590 la G. consegnò a Emilio de' Cavalieri, che per il Carnevale di quell'anno compose forse intermedi o cori per una rappresentazione fiorentina dell'Aminta, un'altra pastorale, interpretata sempre dalla Concarini Archilei: La disperazione di Fileno, di cui sopravvivono soltanto alcuni disegni per i costumi di mano di Alessandro Allori (il Bronzino). La disperazione di Fileno, alla cui stesura collaborò forse lo stesso compositore, avrebbe come modello l'egloga di Juan de la Encina Tres pastores. Fileno, Zambardo y Cordonio, pubblicata nel 1509.

Nel 1595 la G. rimaneggiò la famosa scena della moscacieca del Pastor fido di G. Guarini (atto II, scena II) in una pastorale che intitolò Giuoco della cieca. La "pastorella tutta in musica" (Settimani, V, p. 428) della G., musicata dal Cavalieri, fu messa in scena a palazzo Pitti, nella sala delle statue, in occasione delle visite dei cardinali Alessandro Peretti di Montalto e Francesco Maria Bourbon Del Monte, il 29 ott. 1595 e il 5 genn. 1599. Fu replicata nello stesso luogo, per la visita dell'arciduca Ferdinando d'Austria il 6 giugno 1598.

Nel Giuoco della cieca ballano e cantano quattro ninfe, scherzando intorno ad Amarilli bendata. La ripresa dello spettacolo della G. è spia dell'interesse che la corte fiorentina riservò ai temi pastorali, in particolare tasseschi e guariniani, e di come la tradizione spettacolare ferrarese abbia influenzato la riforma del melodramma. Il Giuoco della cieca ebbe - come spesso accadeva - anche una fortuna pittorica: ancora nel 1654, Orazio Fidani dipingeva una Mosca cieca, con Mirtillo, Amarilli, Corisca e le ninfe.

La G. morì a Firenze, molto probabilmente nel 1597, secondo la testimonianza di una lettera di Emilio de' Cavalieri datata 29 novembre di quell'anno (Kirkendale, 2001, p. 358).

Per lungo tempo si è erroneamente creduto della G. anche la Rappresentatione di Anima, et di Corpo (Roma, N. Muzii, 1600), il dramma in un prologo e tre atti musicato da Emilio de' Cavalieri, rappresentato per la prima volta a Roma nell'oratorio di S. Maria in Vallicella nel febbraio 1600. Il testo della Rappresentatione, nella quale la storiografia musicale ravvisa il primo esempio compiuto di melodramma, è stato attribuito da D. Alaleona nel 1905 in modo inconfutabile alla penna del padre filippino Agostino Manni, che lo scrisse in collaborazione con Dorisio Isorelli.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mss., 130: F. Settimani, Memorie fiorentine, V, c. 428; G.C. Croce, La gloria delle donne, Bologna 1590, p. 13; G.M. Crescimbeni, Commentari… intorno alla sua istoria della volgar poesia, II, 2, Roma 1710, pp. 281 s.; L. Bergalli, Componimenti poetici delle più illustri rimatrici d'ogni secolo, Venezia 1726, p. 87; G.M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 142; L. Allacci, Drammaturgia accresciuta e continuata fino all'anno MDCCLV, Venezia 1750, col. 417; L. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1879, pp. 306-310, 326 s.; E. Carrara, La poesia pastorale, Milano s.d., p. 378; A. Solerti, L. G. Lucchesini ed Emilio de' Cavalieri (I primi tentativi del melodramma), in Riv. musicale italiana, IX (1902), pp. 797-829; Id., Gli albori del melodramma, I, Milano-Palermo-Napoli 1904, pp. 47-56; Id., Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905, p. 19; D. Alaleona, Su Emilio de' Cavalieri, la "Rappresentatione di Anima et di Corpo" e alcune sue composizioni inedite, in La Nuova Musica, X (1905), 113, pp. 35-38; 114, pp. 47-50; D. Maraffi, In Repubblica al tempo di L. G., in Riv. musicale italiana, LI (1949), p. 212; N. Pirrotta, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Torino 1969, pp. 283 s.; R. Allorto, G., L., in Enc. dello spettacolo, VI, Roma 1954, coll. 46 s.; W. Kirkendale, Cavalieri, Emilio de', in Diz. biogr. degli Italiani, XXII, Roma 1979, p. 661; A. Newcomb, The Madrigal at Ferrara, 1579-1597, I, Princeton 1980, pp. 92 s., 272; W. Kirkendale, Emilio de' Cavalieri "gentiluomo romano". His life and letters, his role as superintendent of all the arts at the Medici court, and his musical compositions, Firenze 2001, pp. 186-212, 358; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", M. Bandini Buti, Poetesse e scrittrici, I, pp. 321 s.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE