MULVEY, Laura

Enciclopedia del Cinema (2004)

Mulvey, Laura (propr. Laura Mary Alice)

Victoria Harriet Duckett

Teorica del cinema, sceneggiatrice e regista cinematografica inglese, nata a Oxford il 15 agosto 1941. Famosa per il saggio Visual pleasure and narrative cinema (1975), la M. viene genericamente considerata la teorica femminista che ha introdotto strumenti psicoanalitici e semiotici nello studio del cinema classico hollywoodiano, ma il suo coinvolgimento nella produzione filmica va ben oltre la sintesi di teoria e prassi.

Dopo essersi laureata in storia (1964) all'Università di Oxford (St. Hilda's College) nei primi anni Settanta entrò nel movimento delle donne, impegnandosi in attività femministe che la incoraggiarono a riflettere e scrivere. Il suo primo articolo The spectacle is vulnerable: Miss World, 1970 venne pubblicato senza firma su "Shrew" (1971), la rivista del laboratorio londinese del movimento di liberazione delle donne. Con la pubblicazione di Visual pleasure and narrative cinema, scritto nel 1973 e pubblicato da "Screen" nel 1975 (trad. it. in Letteratura e femminismi, 2000, pp. 299-307), acquistò un ruolo di primo piano nell'ambito critico-teorico. Introducendo femminismo, psicoanalisi e semiotica nello studio del cinema classico hollywoodiano, la M. dimostra come l'oppressione patriarcale si estenda alla produzione culturale. La battaglia, limitata in precedenza alla politica del corpo femminile, venne a spostarsi quindi sulla questione dell'immagine e della rappresentazione della donna. Questo articolo, pubblicato e tradotto in tutto il mondo, è stato poi incluso nel suo primo libro, Visual and other pleasures (1989). Nel 1979 la M. iniziò la carriera accademica al Bulmershe College di Reading, divenendo poi professore di Film and media studies al Birkbeck College dell'Università di Londra. Il suo secondo libro, Fetishism and curiosity (1996) integra la sintesi di femminismo e psicoanalisi con un crescente interesse verso gli aspetti storico-sociali di miti e rappresentazioni.

Mentre andava esplorando la natura politica della rappresentazione, la M. si dedicava anche alla realizzazione di alcuni film: insieme a Peter Wollen ne scrisse e diresse sei, di cui fu anche la produttrice: Penthesilea: queen of Amazons (1974), Riddles of the Sphinx (1977), Amy! (1980), Crystal gazing (1982), Frida Kahlo & Tina Modotti (1983) e The bad sister (1983). Proponendo un modo alternativo di guardare e pensare il cinema, questi lavori costituiscono un segmento importante dell'avanguardia del cinema inglese degli anni Settanta, oltre a essere un passaggio significativo dal lavoro teorico alla realizzazione cinematografica. Nel 1994 la M. ha realizzato il suo settimo film, il documentario Disgraced monuments, con l'artista-filmmaker Mark Lewis.

Il suo lavoro costituisce una pagina importante dell'attività teorica e politica delle femministe anglosassoni, in quanto la M. ha individuato la connessione tra l'oppressione sociale delle donne e il linguaggio della mediazione culturale. Non più focalizzato sulla politica del corpo femminile, il movimento incominciava a interrogarsi sul perché e sul come le diseguaglianze di genere vengano reiterate e rinforzate nell'arte, nel cinema e nella pubblicità. Il modo di contestazione rappresenta un intervento critico rispetto alla tradizione di azione politica diretta; per questo il lavoro della M. non può essere compreso esclusivamente nel contesto della Film Theory (sulla quale v. Feminist Film Theory e teorie del cinema). L'applicazione che la studiosa fa della psicoanalisi freudiana mette in evidenza come la differenza sessuale sia in realtà frutto di una costruzione, sia quindi artificiale. Le immagini sessuate delle donne non rappresentano, sostiene, la realtà delle donne; esse sono invece il prodotto dell'inconscio maschile, che proietta le sue fantasie e ansie sull'immagine femminile. La teoria semiotica utilizzata dalla M. permette quindi all'immagine di funzionare quale segno di qualcosa d'altro, spostando l'attenzione dallo spettacolo delle donne all'inconscio maschile, proponendo il cinema come espressione di ingiustizie, desideri e tabù che strutturano e danno forma alla società patriarcale.

In un importante articolo successivo, Afterthoughts on "Visual pleasure and narrative cinema" inspired by King Vidor's Duel in the Sun (1946), pubblicato nel 1981, l'autrice si occupa di spettatorialità, struttura narrativa e genere: andando oltre la questione della rappresentazione e della differenza sessuale la M. si interroga su come la spettatrice veda un film e si identifichi con un cinema che fa parte integrante del sistema patriarcale e che ha le sue radici nell'arte popolare e nella cultura di massa. La psicoanalisi perciò espande il proprio dominio investigativo, ma nel contempo diventa suscettibile all'accusa di essere essa stessa convenzione culturale.

Questo spostamento dall'interrogazione polemica dell'immagine all'attenzione per il contesto storico ha favorito l'emergere degli studi di genere, dei Cultural Studies e della Queer Theory. Figura centrale nell'imporre la Feminist Film Theory, la M. è rimasta perciò sempre al centro delle trasformazioni intervenute nella lotta politica delle donne.

Bibliografia

F. Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Milano 1993, pp. 247-49; Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana, a cura di M.T. Chialant, E. Rao, Napoli 2000, ad indicem.

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