LAZIO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

LAZIO

P. Rossi

(lat. Latium)

Il nome L. nella sua accezione moderna risale ai secc. 15°-16°, quando venne rimesso in uso dai geografi per designare un territorio meno vasto dell'attuale, che escludeva cioè il settore meridionale, incluso nei territori del regno di Napoli e ricondotto all'interno dei confini regionali solamente tra il 1927 e il 1934.Con il termine Latium veniva definita nella geografia antica una parte dell'Italia centrale delimitata a N-O dall'Etruria, a S-O dal mar Tirreno, a S-E dalla Campania, a E dal Sannio e a N-E dalla zona montuosa abitata dai Sabini, dagli Equi e dai Marsi (Ashby, 1927); un territorio cioè nato dall'annessione romana al Latium vetus del Latium novum o adiectum e che nella divisione amministrativa di Augusto, unito alla Campania, costituiva la Regio I, mentre l'Etruria formava la Regio VII e la Sabina entrava a comporre la Regio IV (Samnium).Questo frazionamento territoriale espresso concretamente nella divisione augustea si confermò, pur con continui spostamenti di confini, nei secoli successivi, quando Roma e i territori meridionali vennero controllati politicamente da Bisanzio, mentre i Longobardi occupavano il settore orientale. A questa suddivisione politica se ne andava affiancando un'altra, quella amministrativa della Chiesa, che dal sec. 4° aveva cominciato ad accumulare proprietà fondiarie, successivamente suddivise in compartimenti regionali dove si andava affermando il dominio papale a costituire il Patrimonium sancti Petri. Così dall'Alto Medioevo nuove denominazioni si imposero per il complesso delle regioni dipendenti da Roma. La zona alla destra del Tevere, dapprima etrusca, fu designata come Tuscia Romana o Patrimonium Tusciae, per distinguerla dalla Tuscia Langobardorum, e la linea di confine fu stabilita con Civitavecchia, Blera, Sutri, Bomarzo e Bagnoregio. La Sabina, che ancora nel sec. 5° costituiva per la Chiesa un sostanzioso patrimonio (Patrimonium Sabinense et Carseolanum), fu poi frazionata nel sec. 7° tra il ducato longobardo di Spoleto, con il territorio di Rieti, e la Sabina romana o suburbicaria, con la diocesi di Vescovìo (Forum Novum), che riuniva quelle antiche di Nomentum, Cures, Forum Novum (Duchesne, 1892). Tra questi distinti poli di attrazione si poneva Farfa, che beneficiò dapprima della protezione dei Longobardi e successivamente di quella di Carlo Magno, che nel 775 la liberava da ogni ingerenza politica e religiosa.La stessa denominazione di Latium, applicata alla zona meridionale, cadde in disuso, sostituita già dal sec. 7° da Campania, per indicare l'attuale Ciociaria e la diocesi di Tivoli, e da Maritima, per i territori tra i monti Lepini e il mare e tra Velletri e Terracina; quest'ultimo centro andava così a costituire il confine meridionale, perché il ducato di Gaeta (v.) rimase a lungo nell'area culturale bizantina per entrare poi nel regno di Sicilia (1136).La giurisdizione spirituale era gestita dalla Chiesa attraverso il frazionamento del territorio in diocesi, che poi in alcuni casi e in tempi diversi vennero raggruppate all'interno di confini più vasti come nel caso appunto già discusso di Vescovìo, di Terracina, che dal sec. 12° riunì anche Priverno e Sezze, di Tarquinia, che dal 1192 venne accorpata a quella di Viterbo, elevata in questa occasione al rango di sede episcopale, o ancora di Nepi e Sutri, riunite nel 1435.Il controllo politico nel ducato romano fu esercitato dall'impero d'Oriente fino al sec. 8°, quando l'exercitus si ribellò all'imperatore (727). Da quel momento al pontefice venne riconosciuto il potere politico, sancito ufficialmente dall'autonomia tributaria e dalla donazione di Pipino (754) seguita al viaggio di Stefano III nel regno dei Franchi, che comportò il loro successivo intervento a difesa del papato contro i Longobardi, i quali dovettero restituire alla Chiesa anche i territori conquistati ai Bizantini. Durante il pontificato di Adriano I (772-795) i Longobardi furono sconfitti definitivamente dopo aver assediato per due volte Roma e aver devastato le campagne, i Bizantini erano stati esclusi dall'Italia centrale e Roma era ormai sotto la protezione dei Franchi, che rimasero alleati del papa - pur con alterne vicende - fino alla fine della dinastia, quando ai Carolingi subentrò anche nel L. il controllo delle grandi famiglie.Dal sec. 9° al 12°, la storia del L. si inserisce nelle vicende del papato, specie all'epoca dei sovrani sassoni, con i quali si rinnovarono le pretese dell'impero, e della successiva lotta per le investiture, che comportò l'estensione del patrimonio della Chiesa, teatro della guerra tra papi e antipapi.La viabilità rimase nel Medioevo più o meno invariata rispetto all'Antichità, anche se alcune vie consolari persero momentaneamente importanza per riacquistarla successivamente. A N attraversavano la Tuscia la via Aurelia, la Clodia, la Flaminia, l'Amerina e la Cassia, quest'ultima con un ruolo di particolare rilievo in quanto il suo tracciato coincideva con il tronco finale della via Francigena, la strada che conduceva i pellegrini dalla Gallia a Roma. A N-E la Salaria, cui si ricongiungeva la Nomentana, collegava Roma con la Sabina, mentre la Tiburtina a E raggiungeva l'Adriatico; a S-E la Prenestina, la Labicana, la Latina e l'Appia costituivano un legame con il Meridione, mentre l'Ardeatina, l'Ostiense e la Severiana univano Roma al litorale (Thomas Ashby, 1986).Quando nella Tarda Antichità le campagne si spopolarono, gli abitati si contrassero, tanto che sono state individuate necropoli anche in aree precedentemente abitate (Tarquinia, Vulci); altri centri, legati alle grandi arterie viarie, sembrano, dalla quantità delle sepolture rinvenute, aver conservato una certa importanza (Falerii Novi, catacombe dei Ss. Gratiliano e Felicissima; Nepi, catacombe di Savinilla; Sutri, area funeraria di S. Giovenale); non fu quindi un fenomeno così radicale quello dello spopolamento, anche perché dalle ricognizioni topografiche di superficie eseguite in modo abbastanza uniforme soprattutto nell'Ager Faliscus e Veientanum sono stati individuati numerosi siti di ville rustiche, fattorie, casae e tuguria, ma anche veri e propri villaggi, pagi o vici.I cimiteri (v.) rinvenuti nei territori laziali sono generalmente ipogei (quelli subdiali ovviamente si rintracciano con maggiore difficoltà); in linea di massima sono legati a siti martiriali e per questo spesso provvisti di una cappella, che, se non conservata, è però documentata dalle fonti o da resti reimpiegati in edifici posteriori. Quelli ipogei sono generalmente costituiti da una galleria - alcune volte preceduta da un vestibolo - da cui partono ad angolo retto altre gallerie più o meno brevi, come per es. le catacombe nel territorio di Anagni, di Colle San Quirico presso Paliano, di S. Vittoria a Monteleone Sabino, di ad Decimum presso Grottaferrata, con pitture del sec. 4°, di Zotico sulla via Labicana, di S. Ilario ad Bivium presso Valmontone, di Formello, di S. Cristina a Bolsena.Sui siti venerati - che comunque non erano esclusivamente cimiteri, ma anche e soprattutto luoghi martiriali o primitivi insediamenti monastici - è generalmente documentata una persistenza di frequentazione attraverso i secoli, che ha portato alla successiva costruzione di edifici, riutilizzanti in parte antiche strutture (Civita Castellana, S. Maria dell'Arco) o anche solo pezzi marmorei (Rignano Flaminio, Ss. Abbondio e Abbondanzio; Ponzano Romano, S. Andrea in flumine; Sant'Oreste, S. Silvestro sul Soratte e S. Maria Hospitalis; Ferentino, S. Maria Maggiore; Fianello, S. Maria Assunta; Monteleone Sabino, S. Vittoria; Torri in Sabina, S. Maria in Vescovìo). È così abbastanza frequente rintracciare i segni di antichi insediamenti altomedievali in costruzioni riferibili al sec. 11°-12°, quando era uso comune il riutilizzo dei pezzi altomedievali come materiale di spoglio, ma anche come elementi decorativi. Emblematico in questo senso il portale sinistro di S. Anastasio a Castel Sant'Elia, dove i pezzi provenienti dal ciborio del sec. 9° sottolineano a mo' di cornice la lunetta (Raspi Serra, 1974a, nr. 173).Con la presenza di nuclei monastici nei pressi di luoghi resi sacri dalla funzione cimiteriale (Castel Sant'Elia, S. Leonardo; Civita Castellana, S. Cesareo e S. Selmo; Vignanello, S. Lorenzo), favorito dalla natura del suolo, o in grotte naturali (Sant'Oreste, S. Romana sul monte Soratte), si stabilirono insediamenti monastici e chiese rupestri che diedero un'impronta particolare al territorio perché alcune volte legati in qualche modo al tessuto urbano (Castel Sant'Elia, S. Leonardo; Bomarzo, chiesa rupestre in località Montecasoli; Civita Castellana, S. Ippolito e S. Cesareo), altre volte privi di qualunque collegamento con esso (Ischia di Castro, chiesa rupestre in località Poggio Conte; Vignanello, S. Lorenzo). Di difficile datazione perché generalmente mancanti della documentazione storica relativa - che comunque, dove presente, rivela solamente la loro continuità ancora nel Tardo Medioevo (Sant'Oreste, S. Romana sul monte Soratte; Civita Castellana, S. Cesareo) -, tali strutture presentano generalmente più ambienti scavati nel tufo, decorati da affreschi (Vallerano, S. Salvatore, sec. 10°; Magliano Romano, Grotta degli Angeli, sec. 12°; Vallepietra, SS. Trinità, sec. 12°; Sant'Oreste, S. Romana sul monte Soratte, sec. 12°-13°; Civita Castellana, S. Cesareo, sec. 13°, e S. Selmo, secc. 13°-15°; Castel Sant'Elia, S. Leonardo; Bomarzo, chiesa rupestre in località Montecasoli, sec. 13°; Capradosso, S. Nicola, sec. 13°) o completati da strutture murarie (Sutri, S. Fortunata e S. Maria del Parto; Cottanello, S. Cataldo, sec. 12°-13°) o, nel caso di Ischia di Castro (chiesa rupestre in località Poggio Conte, sec. 13°), arricchiti da elementi architettonici ricavati nella stessa roccia (Raspi Serra, 1976), o ancora da arredi liturgici (S. Michele del Monte Tancia presso Monte San Giovanni in Sabina, sec. 11°).Il territorio intorno a Roma nel sec. 8° era invece segnato dalle domus cultae create da papa Zaccaria (741-752) e ampliate da Adriano I, che per approvvigionare Roma e il papato ne creò di nuove tra cui per es. quella di Capracorum, individuata nei dintorni di Formello e indagata da scavi archeologici che hanno permesso il recupero del tracciato delle strutture architettoniche della chiesa di S. Cornelio (779-780), a tre navate scandite da pilastri con unica abside (Whitehouse, 1980), e dell'iscrizione di Pasquale I (817-824), che, riferendosi a lavori compiuti nell'edificio, permette la datazione agli anni del suo pontificato dei pezzi relativi agli arredi (Roma, Mus. dell'Alto Medioevo).Scavi archeologici hanno permesso il recupero di altri impianti altomedievali quali per es. l'abbazia di Farfa (v.), dove dagli anni Sessanta a oggi è stato possibile indagare l'edificio del sec. 9°, peraltro non unitario, che rimanda a fenomeni artistici d'Oltralpe: una chiesa a navata unica, conclusa a O da un transetto, su cui si apre un'abside semicircolare con cripta a deambulatorio, e a E da un corpo quadrato tra torri; alla luce di nuovi ritrovamenti è stata anche proposta l'identificazione del c.d. torrione con il palatium che avrebbe ospitato Ludovico II nell'867 e nell'872 (Donaldson, McClendon, Whitehouse, 1980). Impianto classico basilicale a tre navate e tre absidi era invece quello che caratterizzava l'edificio di Gisulfo (797-817) a Montecassino (v.), che riutilizzava, ampliandola, la precedente costruzione a navata unica absidata (Pantoni, 1973). Questo edificio nel 1066 venne sostituito da quello desideriano - a tre navate, scandite da colonne, tre absidi e alto transetto - che indirizzò le scelte architettoniche campane e dei paesi laziali a esso connessi, come per es. il duomo di Terracina (v.), la cui consacrazione nel 1074 segnò probabilmente la conclusione dei lavori della prima chiesa, il cui cantiere venne riaperto tra il sec. 12° e il 13° per il campanile, il portico e gli arredi (Claussen, 1987).Il panorama artistico del L. meridionale venne infatti caratterizzato attraverso i secoli dai grandi insediamenti prima dei Benedettini a Montecassino e a Subiaco (v.) e poi dei Cistercensi (v.), che giunsero a Fossanova (consacrata nel 1208), a Casamari (consacrata nel 1217) e a Ferentino (S. Maria Maggiore, metà sec. 13°). Essi segnarono anche il territorio della Sabina, con S. Pastore presso Contigliano (1255-1264), e della Tuscia, dove per es. le absidi del duomo di Civita Castellana (1190 ca.) e di S. Maria di Castello a Tarquinia (1190 ca.) testimoniano dell'avvenuta formazione di nuove maestranze nel cantiere-scuola di S. Maria di Falleri nel territorio di Fabrica di Roma (1183 ca.), che condizionò quindi le scelte architettoniche della zona.Il L. è strettamente segnato dal frazionamento territoriale, che fece scaturire un panorama variamente articolato, ma nello stesso tempo abbastanza unitario nelle aree di contiguità territoriale. Nel sec. 11°-12° caratteristica comune nelle zone limitrofe a Roma, e quindi storicamente e con continuità legate a essa, sono appunto i caratteri romani ravvisabili non solo negli elementi decorativi o nelle preferenze iconografiche, ma in veri e propri rimandi culturali, che per es. in campo architettonico partendo dalla scelta dei materiali conducono a tipologie icnografiche.Nella fascia intorno a Roma infatti è generalmente il laterizio a prevalere su altri materiali, soprattutto quello di spoglio recuperato da antichi monumenti (Rignano Flaminio, Ss. Abbondio e Abbondanzio, prima metà sec. 12°) e usato anche per i campanili con beccatelli marmorei e cornici a denti di sega, scanditi in più piani di monofore o bifore (Civita Castellana, duomo, fine sec. 12°-inizi 13°, e S. Maria dell'Arco, seconda metà sec. 12°; Torri in Sabina, S. Maria in Vescovìo, sec. 12°). Lontano da Roma vennero invece impiegati generalmente blocchi regolari di tufo o calcare a seconda del tipo di materiale reperibile in loco, mentre subentrarono nuovi indirizzi culturali trasmessi ovviamente dal territorio limitrofo, che per la Sabina è ravvisabile nell'Abruzzo, per la Campania e Maritima nel Meridione, per la Tuscia nell'Umbria e nella Toscana. A queste aree geografiche rimandano per es. i campanili di S. Sisto a Viterbo e di S. Bruna a Gallese, arricchiti da vere e proprie statue-colonna, della metà del 12° secolo. Emblematici in questo senso anche i casi di Tarquinia (v.) - dove per es. in S. Martino (inizi sec. 12°) emergono chiaramente gli stretti rapporti politici e commerciali con Pisa e più in generale con la Toscana - e di Tuscania (v.), dove nel S. Giusto caratteri cistercensi si sovrappongono a quelli toscani, riconoscibili per es. nella cripta. Nel L. settentrionale la cripta ad oratorium registra una tale diffusione da assumere, nella seconda metà del sec. 12°, una rilevanza che diventa vero e proprio carattere architettonico, anche se acquisito (Tuscania, S. Pietro; Civita Castellana, duomo; Torri in Sabina, S. Maria in Vescovìo; Rieti, cattedrale; Nepi, cattedrale; Sutri, cattedrale; Vetralla, S. Francesco; Norchia, S. Pietro).In questi contesti culturali, in qualche modo conosciuti e indagati più approfonditamente, si inseriscono anche casi che a tutt'oggi possono essere definiti problematici perché non compiutamente risolti. Basti qui segnalare da una parte il S. Flaviano a Montefiascone, anomalo esempio di chiesa doppia in un contesto più 'tradizionale', e dall'altra il S. Valentino a Ferentino, sovrapposto all'oratorio dei Ss. Filippo e Giacomo con una soluzione di totale indipendenza, probabile risultato di fasi costruttive diverse e autonome che hanno prodotto un edificio a due piani con la caratteristica abside pensile.Indubbiamente la planimetria più diffusa è quella basilicale conclusa da tre absidi, due delle quali in spessore di muro (Tuscania, S. Pietro, fine sec. 11°, e S. Maria Maggiore, seconda metà sec. 12°) o emergenti (Tarquinia, S. Martino, inizi sec. 12°; Palombara Sabina, S. Giovanni in Argentella, prima metà sec. 12°; Ponzano Romano, S. Andrea in flumine, 1160 ca.; Vetralla, S. Francesco, fine sec. 12°; Viterbo, cattedrale, 1192 ca.), mentre l'icnografia basilicale romana con un'unica abside e colonne che sorreggono archi sembra indirizzare le scelte architettoniche di S. Anastasio a Castel Sant'Elia, di S. Pietro a Tivoli, dell'Immacolata Concezione a Ceri, o del S. Antimo a Nazzano, fabbriche queste databili tra la fine del sec. 11° e la fine del 12°, dove i rimandi alla cultura romana non vengono evidenziati solo dalle architetture, ma anche dai cicli pittorici, indici al tempo stesso di quella coesistenza dinamica all'interno della pittura romana di atteggiamenti stilistici diversi che attende ancora di essere circoscritta sul piano storiografico (Aggiornamento scientifico, 1987-1988, II, p. 257) e che si presenta particolarmente intricata per la mancanza di solidi elementi di datazione. Se infatti il rapporto Montecassino-Roma allo stato attuale delle conoscenze non sembra possa essere indirizzato in toto a favore della capitale, anche altri problemi a esso connessi potrebbero essere rivisti alla luce di più precise cronologie. È il caso degli affreschi di S. Pietro a Tuscania, la cui datazione non ancora risolta - alla fine del sec. 11° o al secondo quarto del 12° - porta con sé le questioni di Ceri e di Vallerano, così come dalla cronologia di S. Anastasio a Castel Sant'Elia dipende quella della Grotta degli Angeli a Magliano Romano (oggi a Roma, Mus. del Palazzo di Venezia).A questa corrente, che condizionò con i suoi fenomeni attardati il L. fino alla fine del sec. 12°, subentrò quella che, provenendo dal cantiere siciliano di Monreale, caratterizzò fortemente il contesto meridionale con stilemi e formule riscontrabili per es. nella cripta del duomo di Anagni (v.), nell'abbazia di Grottaferrata (v.), nel S. Nicola di Filettino.In molti monumenti la plastica venne 'firmata' dai componenti delle famiglie di marmorari romani (v. Cosmati; Vassalletto), a cui, più o meno contemporaneamente, si affiancarono da una parte un uso dell'Antico inteso in senso 'politico' (Viterbo, cattedrale), dall'altra una corrente classicista, documentata per es. dalla pergula di S. Giovanni in Argentella a Palombara Sabina (sec. 12°) o dai pezzi di S. Vittoria a Monteleone Sabino, e infine una scultura c.d. devozionale, attestata soprattutto da opere a tutto tondo, presente più o meno uniformemente su tutto il territorio e in tutte le epoche, che ha la sua massima espressione all'inizio del sec. 13° nella Deposizione lignea del duomo di Tivoli, con precisi caratteri umbri (Parlato, Romano, 1992).Alla fine del sec. 12° il panorama culturale del L. cambiò aspetto grazie a due fattori determinanti e conseguenti: la costituzione nel 1143 del senatus romano, che rese sempre più autonome e potenti le grandi famiglie, e quindi la successiva alleanza tra il papa e i Comuni del Lazio. Con la politica di Innocenzo III (1198-1216), volta a ristabilire la supremazia spirituale e temporale del papato, molti paesi laziali divennero di fatto città-satellite della Chiesa (Rieti, Anagni, Ferentino, Segni, Viterbo) e, come tali, luogo di residenza del papa, anche se - successivamente, con modalità e tempi diversi per ognuno di essi - dovettero subire la volontà di dominio del Comune di Roma e in alcuni casi scegliere temporaneamente l'alleanza con Federico II, come Viterbo nel 1239.Numerosi centri in questa situazione restaurarono le antiche mura o ne costruirono di nuove, munite di porte (Viterbo, Rieti); vennero eretti nuovi edifici di uso civile, come la rocca di Montefiascone (fine sec. 13°), o religioso, come il palazzo papale di Viterbo (1266) per la residenza dei pontefici, i quali dal 1257 con Alessandro IV vi si stabilirono per lunghi soggiorni. Clemente IV (m. nel 1268) e Adriano V (m. nel 1276) furono sepolti in monumenti (Viterbo, S. Francesco) che, se pur manomessi (D'Achille, 1990; Iazeolla, 1990), vennero sicuramente indirizzati dal clima internazionale di quegli anni e per questo indicati anche come prototipi dei monumenti funebri a muro e con figura giacente. Se questa ipotesi è difficilmente verificabile perché presuppone una datazione ad annum del monumento, complessa per i numerosi spostamenti subiti (D'Achille, 1989), è però indice del fatto che i centri periferici non subivano più solamente l'influenza delle regioni artisticamente 'forti', ma erano essi stessi trainanti o comunque avevano una fisionomia propria, derivata dalla fusione e dalla rielaborazione di diverse culture. Non era più un rapporto unidirezionale, ma vero e proprio scambio culturale. In quest'ottica va analizzata anche la presenza nel sec. 13° dei Mendicanti, che, segnando capillarmente il territorio con edifici generalmente a navata unica coperta a tetto e crociera sul coro (rettilineo e non emergente o poligonale e molto sporgente), si adeguarono comunque ai modi locali assumendo caratteri umbri, abruzzesi, piceni (Civita Castellana, S. Susanna, 1230; Rieti, S. Francesco; Viterbo, S. Francesco, 1253 ca.; Amatrice, S. Francesco; Ferentino, S. Francesco; Capranica, S. Maria delle Grazie e S. Francesco; Montefiascone, S. Francesco; Bolsena, S. Francesco; Ischia di Castro, S. Rocco; Cittaducale, S. Agostino, 1309), ma di rimando ritrasmisero probabilmente agli stessi centri le icnografie delle loro chiese 'a fienile' per le grandi sale dei palazzi pubblici.La presenza a Roma di figure di rilievo come Pietro Cavallini (v.) poté comunque avere riflessi significativi sul territorio, per es. nel S. Nicola a San Vittore del Lazio (inizi sec. 14°), nel S. Antonio Abate a Ferentino (inizi sec. 14°), ma anche e soprattutto nell'affresco in controfacciata di S. Maria in Vescovìo (1295 ca.), che però in Sabina resta come unico documento 'romano' del sec. 13°, in una regione ormai abruzzese anche nella statuaria lignea e nell'oreficeria. Con il trasferimento del papa ad Avignone (1305-1377) vennero infatti invertite le direttrici artistiche e non fu più Roma ad avere un ruolo di guida ma, seppur con difficoltà, cominciarono a emergere nel panorama culturale i centri periferici, che costituirono la nuova forza centripeta ancora oggi documentabile nei resti di affreschi presenti sul territorio (Viterbo, S. Maria Nuova e S. Francesco; Bolsena, S. Cristina; Rieti, duomo, S. Agostino e S. Domenico; Filacciano, S. Egidio; Amaseno, S. Maria di Auricola; Priverno, S. Giovanni Evangelista e S. Antonio Abate; Minturno, Annunziata; Romano, 1992).

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