LAZIO

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

LAZIO (XX, p. 681)

Roberto ALMAGIA
Enzo PISCITELLI
Emilio LAVAGNINO

La superficie territoriale del Lazio non è mutata rispetto al 1931 (v. vol. XX, p. 685, tab.) ma è mutata la circoscrizione territoriale in seguito alla costituzione nel 1934 della provincia di Littoria, ora Latina (v. App. I, p. 797). La seguente tabella dà gli elementi statistici fondamentali.

La superficie agraria-forestale del Lazio si calcola in 16.377 kmq., così suddivisa: seminativi kmq. 8493; prato e pascoli kmq. 2505; colture legnose specializzate kmq. 1504; boschi (compresi i castagneti da frutto) kmq. 3460; incolto produttivo kmq. 415.

Tra le colture erbacee, il maggiore incremento era segnato, negli ultimi anni precedenti alla guerra, dal frumento, in virtù delle nuove aree ad esso adibite nella regione pontina: la produzione era stata di circa 3 milioni di q. annui nella media del quadriennio 1936-39; ridottasi dopo la guerra, è peraltro risalita a quasi 2,8 milioni nel 1946, ed è stata un po' inferiore (2,2 milioni) nel 1947.

Tra le colture arboree primeggia la vite: l'area ad essa destinata, che era di circa 158.000 ha. a coltura promiscua e 54.000 a coltura specializzata, nella media 1936-39 non è sensibilmente mutata (lieve aumento della coltura specializzata); la produzione dell'uva è salita da 4,13 milioni di q. a circa 4,35 nel 1946; ma nel 1947 è stata di circa 3,5 milioni di q. La coltura dell'olivo e la produzione dell'olio non hanno subìto danni rilevanti per effetto della guerra e sono ad un livello poco inferiore al prebellico.

Il patrimonio zootecnico del Lazio è stato calcolato nel 1942 a 297.000 bovini, 1.200.000 ovini, 70.000 caprini, 240.000 suini, circa 70.000 asini e 35.000 cavalli. I bufali, in numero inferiore a 1900 nel 1942, sono ora ulteriormente ridotti. Notevole importanza ha assunto l'allevamento del pollame (circa 2.850.000 galli e galline e 260.000 tacchini) e quello del coniglio.

Le linee ferroviarie del Lazio, talune delle quali gravemente danneggiate, in più tratti, dalla guerra, sono state interamente ripristinate, tranne il breve tratto Gaeta-Sparanise. Hanno poi preso un ulteriore grandissimo sviluppo le linee automobilistiche, specialmente per le comunicazioni tra Roma e i centri minori. Non meno di 180 servizî automobilistici pubblici facevano capo a Roma al 1° ottobre 1948 tra cui numerosissimi i collegamenti con i comuni del Lazio, dell'Abruzzo e della Toscana meridionale e anche con centri delle Marche, della Toscana, dell'Umbria, della Campania ecc. (Ascoli, Firenze, Grosseto, L'Aquila, Macerata, Napoli, Perugia, Rieti, Siena, Teramo, ecc.).

La regione, alla vigilia della seconda Guerra mondiale, aveva segnato notevoli progressi soprattutto nel campo agricolo, importanti lavori di bonifica erano stati quasi ultimati. Durante la guerra la lunga stasi del fronte e l'azione dell'aviazione alleata contro le linee di comunicazione dei Tedeschi sulla linea Minturno, Castelforte, Valle del Liri, produssero gravissimi danni, specialmente alla parte meridionale del Lazio: Cassino, Castelforte, Formia, Esperia, Minturno, Velletri, Valmontone, Fondi, Itri, Palestrina, la zona dei Castelli Romani, Anzio, Nettuno e molti altri centri abitati subirono ingenti distruzioni, fino a raggiungere in alcuni centri il 90% degli edifici, per non citare Cassino e i piccoli centri circostanti, dove la guerra non ha risparmiato né una casa né un muro. A nord di Roma il porto di Civitavecchia fu reso inservibile. Particolarmente colpite, nel patrimonio agricolo, zootecnico ed industriale, furono le provincie di Frosinone e Littoria (Latina). In seguito all'abbandono da parte della popolazione, molte zone dell'Agro Pontino tornarono paludose; la malaria fece la sua triste riapparizione lungo tutta la fascia costiera da Civitavecchia a Formia. Al settembre del 1944 si calcolava che, per tutto il Lazio, su una superficie produttiva non utilizzata, per cause di guerra, di 91.275 ha., 19.672 non fossero stati utilizzati per allagamenti; 30.013 per mine ed esplosioni; 41.590 per occupazione militare. L'opera di ricostruzione, intrapresa nella seconda metà del 1944, diede presto notevoli risultati. La malaria fu felicemente combattuta e vinta.

Danni provocati dalla guerra ai monumenti ed alle opere d'arte.

Oltre la completa distruzione della famosa Abbazia di Montecassino, nella stessa cittadina di Cassino si lamenta la perdita della chiesa di S. Maria delle Cinque Torri, una costruzione dell'VIII secolo, caposaldo dell'architettura bizantina in Italia; si sono potuti a stento identificare i ruderi delle sue mura, che non superano i tre o quattro metri d'altezza.

Bisogna arrivare ad Aquino per rallegrarsi che la più importante delle sue architetture medievali, la chiesa di S. Maria della Libera, sia, malgrado qualche danno già riparato, ancora in piedi. Ma poco più in là, a S. Vittore nel Lazio, le due chiese medievali di S. Nicola e di S. Maria sono state quasi completamente distrutte, e sorte analoga ha avuto a Pontecorvo l'antica parrocchiale. Gravi danni sono da segnalare anche a Minturno nel Castello, nell'antica casa Carafa e nella chiesa di S. Maria, mentre quella di S. Francesco può considerarsi quasi completamente distrutta.

A Ceccano è stata abbattuta l'importante chiesa di S. Maria in Flumine, di architettura gotica, costruita dai Cisterciensi negli ultimi anni del sec. XIII; tuttavia se ne tenterà la ricomposizione con gli stessi elementi raccolti sul terreno.

A Gaeta sono stati colpiti il duomo e le chiese di S. Giovanni a Mare e di S. Lucia, ma in maniera non gravissima. Ad Itri la chiesa di S. Martino può considerarsi distrutta, di quella di S. Maria non rimane in piedi che il bel campanile romanico.

A Fondi tutte le principali costruzioni medievali e rinascimentali, quali le chiese di S. Pietro e S. Maria ed il castello, sono state colpite, ma non in maniera irreparabile, come hanno dimostrato i restauri già compiuti. A Terracina, è stata sfigurata per i crolli la bella piazza antistante la cattedrale rimasta illesa. A Priverno i danni più gravi si sono avuti nelle chiese di S. Giovanni e di S. Nicola e nel convento di S. Lorenzo. A Cori è stata abbattuta la chiesa romanica di S. Pietro; della chiesa di S. Maria della Trinità non rimane che il campanile; le chiese di S. Oliva, del Salvatore e di S. Caterina sono state più o meno gravemente colpite. Anagni ha perduto qualche complesso architettonico medievale non dei più importanti, ché il duomo è intatto e il palazzo dei Papi è stato colpito solo lievemente.

Palestrina è in grandissima parte demolita nel suo nucleo urbano; ma le bombe, distruggendo quasi totalmente la parte più antica dell'abitato, hanno rimesso in luce i ruderi del grandioso Tempio della Fortuna, uno dei santuarî più famosi dell'antico Lazio (v. palestrina, in questa App.). Anche Subiaco è stata quasi distrutta nel suo nucleo urbano più antico e caratteristico; la bella cattedrale neoclassica, opera dei Camporese, è stata dimezzata. Le altre più importanti costruzioni medievali della cittadina e i due conventi famosi non hanno subìto danni di rilievo.

A Valmontone la chiesa del Gonfalone e quella della Madonna delle Grazie sono state semidistrutte; danni gravissimi ha riportato il palazzo Doria che domina il paese; la bella collegiata ha subìto danni alle strutture.

Dei paesi e delle cittadine che dai monti intorno Roma guardano la pianura, Tivoli ha molto sofferto; si lamentano distruzioni gravissime nei più vecchi e caratteristici quartieri, le costruzioni chiesastiche che presentano i danni più rilevanti sono quelle di S. Filippo, l'altra medievale della Carità, quella di S. Giovanni e l'altra del Gesù, ricostruita da G. della Porta su di una architettura più antica, forse del sec. V; i danni, già riparati, alla Villa d'Este possono considerarsi nel complesso lievi.

Dei centri che sorgono sui colli Albani, Lanuvio è stata abbattuta quasi totalmente, mentre Velletri, colpita nella cattedrale, nella chiesa di S. Maria in Trivio e in quella di S. Lucia, registra le perdite più gravi nel crollo di alcuni suoi palazzi, tra cui quello Ginnetti con la bella scala di Martino Lunghi, e l'altro del municipio (Vignola e G. della Porta).

A Nemi le due navi romane sono state completamente distrutte dal fuoco appiccato, sembra, dai Tedeschi. Danni gravi hanno riportato i centri di Ariccia, Genzano, Albano e Marino dove è stato in parte abbattuto il cinquecentesco palazzo Colonna.

Lievi nel complesso i danni subiti dalla Badia greca di Grottaferrata; gravissimi quelli sofferti dal nucleo urbano, dalle chiese, specie dalla cattedrale, e dalle ville di Frascati; la più danneggiata è stata la villa Falconieri.

A Roma, la Basilica di S. Lorenzo fuori le mura, colpita in pieno, ha riportato danni gravissimi: la perdita delle coperture, il distacco e la distruzione delle pitture ottocentesche della navata maggiore, la distruzione della zona centrale del bel pavimento a mosaico, il crollo del portico di facciata, ecc.; ma la costruzione si è potuta integralmente restaurare (v. roma, in questa App.).

A settentrione di Roma i danni più gravi sono da segnalare a Civitavecchia, a Tarquinia e a Viterbo (v. in questa App.). A Civitavecchia si lamenta il crollo totale di uno dei torrioni angolari della fortezza eretta da Antonio da Sangallo il giovane in riva al mare, la distruzione di una gran parte della cattedrale e danni gravissimi alla parte più antica della città.

A Tarquinia è stato colpito e danneggiato il famoso palazzo Vitelleschi, del sec. XV, sede del Museo Etrusco; tuttavia gli oggetti delle collezioni, tempestivamente rimossi, non hanno subìto danni e la bella architettura è già reintegrata. Verso Viterbo, Vetralla ha subìto notevoli distruzioni nel suo nucleo urbano; è stata colpita non gravemente la chiesa di S. Francesco. A settentrione di Viterbo sono stati lievi i danni alle chiese di Montefiascone, Tuscania, Bagnoregio e Canino. Più sensibili quelli al S. Francesco di Bolsena, ove però il crollo degli intonaci ha rivelato interessanti pitture dei secoli XIV e XV, e al duomo di Acquapendente.

La tempestiva rimozione delle opere d'arte mobili ha in complesso evitato perdite gravi alle pitture e agli oggetti raccolti nei musei.

Bibl.: C. Brandi, Mostra dei frammenti ricostituiti di Lorenzo da Viterbo, Catalogo, Roma 1946; E. Lavagnino, Offese di guerra e restauri al patrimonio artistico dell'Italia, in Ulisse, II (1947), pp. 177-181 (con bibl.).

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