BONAMICO, Lazzaro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONAMICO (Bonamici, Buonamici, Buonamico), Lazzaro (Lazzaro da Bassano)

Rino Avesani

Figlio di Amico e Dorotea, nacque a Bassano del Grappa non nel 1479, come generalmente si scrive in base a un'erronea lettura dell'epigrafe sepolcrale, bensì nel 1477 o all'inizio del 1478.

L'appellativo Bonamico ripete il nome del bisavolo di Lazzaro e più tardi, nei rami collaterali (Lazzaro non ebbe discendenza maschile), diventò cognome nella forma Bonamici o Buonamici.

È certo che nella cittadina natale il B. frequentò la scuola di grammatica e ricevette la prima educazione letteraria. Il padre ne seguiva i progressi e indirizzava, verosimilmente, le affermazioni, se per compiacerlo il B. ancor giovane compose un'orazione, tuttora inedita, in lode di Alberto Pio di Carpi (Marangoni, in Nuovo Arch. Veneto, I, p. 304). E benché non sappiamo a quali motivi o circostanze questa orazione si connetta, essa rappresenta un elemento biografico non trascurabile, perché di personalità legate alla corte di Carpi, come il Musuro e Aldo Manuzio, il B. diventerà in seguito allievo ed amico.

Risulterebbe da una lettera che il Marangoni (ibid., pp. 304-305) attribuisce al B., che egli molto dovette per la sua formazione alle premure di uno zio, il quale l'avrebbe mandato a Firenze e, poi a Pavia, a Bologna, a Padova, perché studiasse diritto civile con l'Alciato, il Sozzini e l'Alessandrino. Tali notizie, che anche al Marangoni appaiono "incerte e confuse", sono in realtà tanto strane che sembrano doversi riferire a persona diversa dal Bonamico. L'insegnamento dei giuristi menzionati cade infatti in un periodo molto avanzato della sua vita e sufficientemente conosciuto da poter ragionevolmente escludere che egli abbia seguito i loro corsi; e soprattutto, per quanto si sa, il B. non mostrò mai interesse per gli studi giuridici.

"Artium scholaris" a Padova nel 1499, studiò latino con il Calfurnio e con Raffaele Regio, e greco con Niccolò Leoniceno e il Musuro. Anche il Pomponazzi lo ebbe discepolo nel secondo periodo del suo insegnamento padovano (1499-1509: a questo tempo sembrerebbero appartenere i frammenti delle sue esposizioni su alcuni libri della Fisica e sul quarto libro delle Meteore di Aristotele, scritti di mano del B. nell'Ambr. J 220 inf., ff. 89-149); e finché visse lo ebbe poi collaboratore e fidatissimo amico. In questi anni, e anche più tardi, durante la sua permanenza a Bologna, molto lo aiutarono Marco Antonio e Girolamo Cornaro, che gli procurarono libri da diverse biblioteche.

Si ricava da un'affermazione di Girolamo Negri che cominciò a insegnare nel 1502; ma non a Padova. verosimilmente, perché in un documento del 1503 compare a Bassano come "habitator Bassani" e "grammatice scholaris": il qual titolo, sia che significhi studente, come intese il Chiuppani, sia che significhi maestro, come qui forse è probabile, sembra in ogni modo dimostrare che a quella data il B. non era ancora laureato (nessuna delle date di laurea proposte dai biografi ha qualche fondamento).

Notizie più frequenti e sicure forniscono le sue lettere ad Aldo Manuzio, che fu anche per lui in certo senso maestro, e protettore. A Padova tra la fine del 1508 e l'inizio del 1509 il B. svolge per lui varie incombenze. Ricerca anche codici di autori greci, proponendo inoltre egli stesso al Manuzio nuovi testi da stampare: così, non avendo trovato l'esemplare dell'Ars rhetorica dello Pseudo-Dionisio di Alicarnasso, chiesto da Aldo, scrive che gli porterà da pubblicare il commento di Ammonio ai Priora analytica di Aristotele (che Aldo non pubblicò) e lo esorta inoltre a stampare Alessandro d'Afrodisia (che Aldo, del resto, aveva in parte già edito).

Degno di nota è il fatto che le prime lettere del B. siano scritte in greco secondo un esplicito "comando" di Aldo (lettera del 1º genn. 1509), e che, scrivendo successivamente in latino, il B. senta il bisogno di una giustificazione.

Tra il luglio e l'agosto 1509, in seguito alla rioccupazione di Padova da parte dei Veneziani e ai saccheggi che seguirono, gran parte degli studenti e dei professori fuggi. Tra essi fu verosimilmente il B., che appare a Venezia nel marzo 1510; forse è in casa di Aldo, dove si trova in ogni modo nel maggio successivo.

Intanto, per le autorevoli pressioni del Musuro, aveva accettato l'ufficio di precettore del giovanetto Francesco Cantelmo. Il 12 marzo 1510 ne dà notizia al Manuzio, che si trovava allora a Ferrara, pregandolo di stipulare gli accordi; e con una lettera dell'aprile gli chiede inoltre di procurargli il necessario salvacondotto. Tuttavia, per la insicurezza delle strade il viaggio dovette essere rinviato, cosicché nel maggio il B. era ancora a Venezia. È a Mantova, precettore del Cantelmo, nel settembre; ed è sempre in stretti rapporti con il Pomponazzi, attraverso il quale gli fa pervenire le sue lettere il Manuzio. Al Manuzio egli scrive ancora tre volte da Mantova nella primavera del 1511. Queste del periodo mantovano sono le ultime lettere che si conoscano del B. ad Aldo e sembrano testimoniare una amicizia tra i due estesa alla cerchia domestica e familiare e divenuta calda intrinsichezza.

Non sappiamo quanto si sia fermato a Mantova. Il Marangoni (ibid., p. 310, n. 2) suppone che, lasciata Mantova, dopo una brevissima sosta a Ferrara, si sia recato a Bologna nel 1515, probabilmente come precettore di casa Campeggi. A Bologna era certamente in quell'anno, ma vi era anche due anni prima, perché da Bologna è datata, "sexto kalendas Octobris M.D.XIII", una sua lettera a Scipione Carteromaco. In ogni modo tornò presto a Mantova, interrompendo gli studi, come egli scrive, di filosofia e di medicina. Il cardinale Sigismondo Gonzaga l'aveva chiamato perché insegnasse latino e greco a Galeazzo, figlio di suo fratello Giovanni. A Mantova era nel 1516, dove gli scrisse in quell'anno il Musuro, che inutilmente si era adoperato perché gli fosse assegnata la cattedra veneziana che egli aveva allora lasciato.

Restò presso i Gonzaga qualche anno. Nel 1519 è a Genova, in veste di precettore o consigliere del giovane protonotario Stefano Sauli. A poco tempo dopo risale un soggiorno del B. a Mantova dove si trattenne per oltre un mese.

A questo soggiorno si riferisce una sua lettera a Federico Fregoso, arcivescovo di Salerno, in cui egli ricorda come fatto apparentemente recente una sua permanenza presso di lui. Si tratta verosimilmente del medesimo viaggio a Salerno e a Napoli, di cui è parola in un'orazione parzialmente edita dal Marangoni (ibid., p. 305).

Sui suoi studi di questi anni può informare il cod. Ambr. O 122 suppl., dove appunto figura la data 1519: è scritto di mano del B., e contiene note su vari autori e, al ff. 136-222, su vari epigrammi dell'Antologia greca.

Sul cadere del 1519 è a Padova, dove legge latino e greco al Sauli, ma vi rimane poco tempo. Verso la fine del 1520, 0 all'inizio del 1521 tornò a Bologna. Nel darne notizia al Bembo, Cristoforo Longueil aggiungeva: "studiorum ne causa, quod quidem ipse affirmat, an vero ut Laurentii Campegii liberos instituat, nondum plane exploratum habeo" (Longolii Epist. libri IIII., Basileae 1562, p. 71). Entrambi i motivi, forse, erano veri. Certo anche lo attirava a Bologna il desiderio di vivere accanto al Pomponazzi, con il quale aveva sempre mantenuti rapporti amichevoli. E il 10 nov. 1521, subito nella prima lezione sul De partibus animalium, il Pomponazzi menziona il B. tra i "viri greci" ai quali ogni giorno ricorreva e che l'avrebbero dovuto correggere, se avesse sbagliato.

È perciò naturale che, quando Isabella d'Este mandò a Bologna il proprio figlio Ercole, il filosofo abbia discretamente insistito, perché come insegnante di latino e di greco venisse scelto il B., anche se era necessario elevare un poco lo stipendio che era stato offerto.

Ercole arrivò a Bologna l'11 dic. 1522; il 16 dello stesso mese il B. cominciò a leggere all'allievo le lettere di Cicerone, e su questo testo si svolgevano le lezioni ancora nel febbraio successivo. Non sappiamo se il B. abbia insegnato al Gonzaga per tutto il tempo che stettero entrambi a Bologna, cioè fino al 1525. Sappiamo invece che nei primi mesi del 1523 Ercole lo inviò a Carpi per vedere i libri di Alberto Pio confiscati da Prospero Colonna, perché cercava di ottenerli (il B. andò e fece la lista, che non ci è stata conservata, di quelli più preziosi; ma quando tutto era pronto Lionello Pio riconquistò Carpi).

Intanto il Pomponazzi avvertiva i fastidi della vecchiaia. Dettando il testamento il 20 maggio 1524, nominò il B. secondo dei cinque commissari per l'esecuzione delle ultime volontà. A Bologna si trattenne ancora qualche mese, ma nella seconda metà di quell'anno, come sembra, partì alla volta di Roma.

Dalle affermazioni di alcuni contemporanei si è dedotto che in questo periodo il B. abbia insegnato a Bologna anche pubblicamente, ma il suo nome non compare nei rotuli. Oltre a ciò, si scrive di solito che già allora era entrato in dimestichezza con Reginaldo Pole, e che il Pole lo portò con sé a Roma: ma ciò sulla fede del Papadopoli (p. 308), che non dà alcuna testimonianza (Querini, I, p. 214). In realtà, in quello stesso 1525, dopo aver passato l'agosto a Bologna, anche Lorenzo Campeggi si recò a Roma. E poiché, scrivendo da Carpentras il 17 maggio 1527 al B., che egli riteneva ancora a Roma, il Sadoleto aggiunge: "Imprimis vero amplissimis viris Campegiis patronis tuis et patri et filio... salutem dicas plurimam", se ne potrebbe dedurre che il B. avesse seguito a Roma il Campeggi continuando il suo ufficio di precettore.

Analogamente a quanto è avvenuto per il periodo bolognese, è stato scritto da alcuni che il B. insegnò nello Studio romano, e in questo senso si è interpretato un passo dell'orazione funebre tenuta da Girolamo Negri, il quale si trovava anch'egli a Roma in quel tempo. Ma il Negri afferma soltanto che il B. era tenuto in tale considerazione, che molti letterati accorrevano ad ascoltarlo, e ciò può alludere soltanto alle dotte riunioni del gruppo colocciano. Si osservi inoltre che nel Dialogo delle lingue dello Speroni, la cui azione si svolge poco dopo la chiamata del B. a Padova (29 sett. 1530), dopo aver detto che sempre aveva "pregato Domeneddio" perché gli desse "grazia ed occasione... di far conoscere al mondo... il valore e l'eccellenzia di queste due lingue" (il greco e il latino), il B. aggiunge: "ora che Dio la mi ha conceduta..." (Opere di S. Speroni degli Alvarotti, I, Venezia 1740, p. 167), ciò che male si intenderebbe se già prima avesse avuto (a Roma, specialmente) l'occasione di un pubblico insegnamento.

Tra i letterati che si riunivano intorno ad Angelo Colocci acquistò ben presto una posizione di rilievo. Ebbe tra essi discepoli e amici e importante, perché destinata a durare e a influire nella sua vita, fu l'amicizia che allora, forse, iniziò con Iacopo Sadoleto.

Poco dopo la partenza del Sadoleto per Carpentras, inasprendosi la situazione militare, anche il B. lasciò Roma. La notizia del sacco, come egli stesso ebbe a scrivere, lo raggiunse prima di Pesaro. Si stabilì a Venezia, dove, in risposta a una sua raccomandazione per il tipografo Niccolò Zoppino, gli scriveva l'11 sett. 1527 Celio Calcagnini rallegrandosi con lui per lo scampato pericolo.

Poco tempo dopo è a Padova, dove insegna privatamente; ed è già molto legato agli studenti polacchi, se per le loro pressioni raccomanda la causa di uno di essi al Bembo (vedi la sua lettera autografa, in data 10 dic. 1529, nel Vat. Barber. lat. 2158, ff. LXXVr-v e LXXVIv; copia coeva, ibid., f. LXXIVr-v; nello stesso codice, ff. LXXIXr e LXXIXbis v, un'altra letterina di raccomandazione autografa del B. al Bembo, da Padova, 25 nov. 1530; copia di poco posteriore, ibid., f. LXXVIII).

Il 29 sett. 1530 gli vengono affidate con 300 ducati di stipendio le letture di latino e di greco allo Studio, che accettò per le istanze di Niccolò Tiepolo e di Lorenzo Bragadin, oltre che degli studenti, lasciando cadere pressanti inviti da Roma. Desiderava finire i suoi giorni dove aveva passato la giovinezza e compiuto quasi interamente i suoi studi. Fu per la Serenissima un acquisto di grande prestigio, se a motivo del B. si diceva in Germania "solos Venetos sapere" (così B. Ramberti nel 1530 da Augsburg: F. Degli Agostini, Istoria degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754, p. 561).

II corso di quell'anno fu sulla Pro lege Manilia ed ebbe inizio il 3, 0, più probabilmente, il 4 novembre (ci sono conservate delle recollectae nell'Ambr. H 28 inf., dal quale risulterebbe anche che la lettura dell'orazione fu finita nel dicembre 1531).

Il B. continuò a insegnare allo Studio di Padova per tutto il resto della sua vita, ma specialmente nei primi anni non mancarono dubbi e ripensamenti.

L'8 giugno 1532 Wigle van Aytta van Zwichem (Viglius Zuichemus) scriveva ad Erasmo che il B. intendeva tornare a Bologna (Opus epistolarumDes. Erasmi Roterodami, X, p. 30). Infatti, molti studenti oltramontani, capeggiati da Stanislao Osio, desideravano che il B. insegnasse greco a Bologna. Dopo un incontro con lui a Padova all'inizio dell'estate, essi ottennero il consenso del vicelegato pontificio, che era il Guicciardini e, dietro richiesta del B., quello del cardinale Campeggi. Il B. stesso, adducendo motivi di famiglia, riconosceva di sentirsi attirato da un migliore stipendio. Ma Gaspare Contarini, allora riformatore dello Studio, si oppose in Pregadi: "atento domino Lazaro da Bassan, qual leze in latin et greco a Padova, vol andar lezer a Bologna, li sia intimato non vadi et lezi tutte do le letion con ducati 350 a l'anno..." (Marino Sanuto, Diarii, LVII, Venezia 1902, col. 121). Lo stipendio veniva aumentato di 50 ducati e il B. rimase.

A richiesta degli studenti, il corso del 1532-33 fu tenuto su quel "dicendi scribendique artificium" di cui gli antichi si servivano "ad ea persuadenda, quae privatis publicisque in rebus singulis ac universis salutaria esse arbitrabantur".Forse il B. lesse anche altri testi, ma per prima cosa tornò alla Pro lege Manilia. Tanto si ricava dal discorso De orationeCiceronis pro lege Manilia, conservato nell'Ambr. D 386 inf. e pubblicato dall'Antonibon, pp. 33-36 (l'Antonibon ritiene si tratti dell'orazione inaugurale del 1530: ma erroneamente, perché in esso il B. espone agli studenti come avesse desiderato andare a Bologna e poi vi avesse rinunciato; ed è anche interessante che qui egli stesso ricordi malumori e ostilità nei suoi confronti, alle quali la recente decisione di Venezia avrebbe dovuto por fine, e alle quali invece altre fecero seguito negli anni posteriori).

Verso la fine di ottobre del 1532 era giunto a Padova il Pole con lettere del Sadoleto per il Bembo e per il B. (ai quali anche il Sadoleto mandava il De liberisrecte instituendis, sollecitando il loro parere prima della pubblicazione). Il Pole, desideroso di riprendere gli studi letterari, chiamò il B. nella sua casa e, se la sua speranza andò delusa, perché preso totalmente dagli studi teologici, avvenne invece che in tale contubernio si risvegliasse vivissimo nel B. il mai spento interesse per la filosofia.

In tempi passati aveva promesso agli amici di scrivere un'opera filosofica. Nella primavera del 1534, forse anche in seguito a una sollecitazione del Pflug, pensò di dedicarvisi con impegno, abbandonando la scuola. Ne scrisse al Sadoleto, che a questo secondo proponimento si mostrò decisamente contrario: e il B. continuò a insegnare. Si era trattato verosimilmente di una crisi passeggera, al maturarsi della quale, forse, non erano stati estranei i disagi procuratigli da una grave caduta, che gli era occorsa verso la fine del 1533. In ogni modo, pare che dopo di allora non abbia più pensato a scrivere di filosofia.

Non abbandonò invece un altro progetto, che gli veniva ricordato dal Pflug nel 1535, cioè di scrivere sulla lotta dell'Europa cristiana contro i Turchi. Neppure quest'opera fu compiuta, ma la sola intenzione è degna di nota, perché frutto di quella medesima religiosità che traspare dalle lettere al Pole e al Contarini, quando furono elevati alla porpora, e di quell'interesse per gli avvenimenti politici e militari contemporanei, che è testimoniato in varie lettere e poesie e non fu estraneo alla sua lettura degli storici antichi.

Gli pervenivano nel frattempo autorevoli e onorifici inviti. Nel 1534, come pare, Clemente VII l'avrebbe voluto a Roma; l'anno successivo Stanislao Osio tentò di attirarlo in Polonia; più tardi Ferdinando d'Austria era disposto a pagare 800 ungari l'anno per averlo a Vienna, mentre Cosimo de' Medici gli offriva l'insegnamento della filosofia morale a Firenze. Ma ogni volta la Repubblica veneta si oppose a che egli lasciasse lo Studio, acconsentendo però quasi di biennio in biennio, allo scadere delle riconferme, ad elevargli lo stipendio. Tuttavia, una ulteriore richiesta del B. in questo senso, avanzata nel 1543, non venne accolta; anzi, nel 1544 i riformatori si lamentarono perché in quell'anno avrebbe fatto cattive lezioni. Sdegnato, il B. aprì le trattative per trasferirsi a Pisa e pareva risoluto a partire; ma nel novembre 1545 accettò la riconferma a Padova per quattro anni, dopo che lo stipendio era stato portato a 500 ducati. Non è escluso che queste ricorrenti richieste di carattere economico si connettano alla sua decisione di accasarsi. Prese, infatti, in moglie Caterina Tamagnini.

Già al tempo della sua permanenza a Bologna il B. si era creata la fama di puntiglioso ciceroniano. Leonardo Casembroot scriveva ad Erasmo il 6 giugno 1526 da Padova che molti in Italia gli erano contrari a motivo di Cicerone,"presertim Bononiae, vbi Lazarus quidam regnauit Aristarcus, non dicam Erasiniomastix" (Opus epist. Des. Erasmi, VI, p. 356). E nelle lettere di Viglius Zuichemus ad Erasmo del 1531-32 il nome del B. appare come il vessillo dei ciceroniani, cioè a dire degli antierasmiani (benché niente venga riferito di lui contro Erasmo), come il segno di contraddizione, intorno al quale non mancavano di sorgere polemiche e controversie. L'atteggiamento del B. in quegli anni si ricava dal Dialogo delle lingue dello Speroni, dove egli afferma sì di volere "più tosto... saper parlare, come parla M. Tullio, latino, che esser papa Clemente" e di stimare più "la lingua Latina di Cicerone, che l'imperio di Augusto", ma questi giudizi, specialmente se accostati ad altri sul volgare ("nominatelo come vi piace, solo che Italiano non lo chiamiate; essendo venuto tra noi d'Oltre il mare e di là dall'alpi, onde è chiusa l'Italia"), rivelano meno un retore infatuato, che un uomo pensoso delle condizioni politiche italiane trascorse e presenti, al quale la lingua e la civiltà latina apparivano come la sola grandezza superstite dal naufragio di un grande passato: che è, appunto, l'atteggiamento più nobile, ancorché patetico, di quella tradizione umanistica, che congiunge il Valla al Sigonio. La polemica, se polemica era, non si volgeva contro Erasmo. Quando apparve, di Erasmo, la Responsio adPetriCursii defensionem, il B. non sostenne le parti del nazionalismo ciceroniano, ma approvò quell'opuscolo, pur non approvando quel genere di letteratura.

Così riferiva ad Erasmo Damiano de Gois, il futuro storico portoghese, che alla scuola del B. dal 1534 al 1538 intensificò la lettura delle opere filosofiche di Cicerone, di cui infatti tradusse in portoghese il Cato maior. Intanto il B., che aveva fino allora interpretato oratori e poeti, si volgeva agli storici e il corso del 1539-40 fu tenuto su Livio e Tucidide.

Con il tempo anche le sue riserve verso i testi volgari si vennero probabilmente attenuando, poiché anch'egli, come appare dai Ragionamenti della lingua italiana di Bernardino Tornitano, non mancava di frequentare a Padova l'Accademia degli Infiammati. La notizia del Tornitano si riferisce al 1542. Non sappiamo invece quando il B. abbia composto i Concetti della lingua latina, scritti per l'appunto in volgare.

Furono pubblicati postumi per la prima volta nel 1562 da Publio Francesco Spinola e da lui dedicati "all'honorato et valoroso signor Girolamo Autari, cavalier di Cipro", che a Venezia aveva inutilmente cercato un maestro di latino per i propri nipoti. Lo Spinola certo intervenne tacitamente nel testo, perché almeno tre volte negli esempi che illustrano le regole viene fatto il nome del dedicatario (ediz. 1562, pp. 28, 52), ma, dato il carattere di tali interventi, è probabile che non sia andato oltre. Se dunque appartiene al B., è interessante un accostamento tra il latino e il volgare che si legge a proposito del participio presente (p. 135: "Et abbreviamo il dire, usando i participii con bellezza dell'oratione: il che imitarono i nostri Toscani..."), perché sembrerebbe testimoniare che alla fine egli non era rimasto sordo ai pregi del volgare. E soprattutto il fatto che in volgare abbia scritto il trattatello mostra che aveva superato l'atteggiamento riferito dallo Speroni (Opere..., p. 168: "egli si vorrebbe dare per legge... a' litterati, che mai da loro, se non costretti da alcuna necessità, non si parlasse volgare alla maniera degli ignoranti") e accettava la situazione di cultura in cui si trovava a operare. La lunga vicinanza con il Bembo, il cui nome pure ricorre negli esempi, non era stata evidentemente senza effetto.

Quando nel 1547 fu eretto nel salone della Ragione il monumento per la lapide che si riteneva di Tito Livio, toccò a al B. dettare l'iscrizione metrica, che fu incisa sul cartiglio di bronzo. E così il distico che fu inciso sul frontone, quando fu restaurata ad Arquà la cosiddetta fontana del Petrarca (1547-48).

Gravemente infermo, dettato il testamento, il B. morì il 10 febbr. 1552.

Tale data è riferita dallo Scardeonio, che insieme con altri amici ne raccolse l'ultimo respiro. E figura nell'iscrizione del monumento sepolcrale, dove ancora oggi si legge: "Vixit annos LXXIIII obiit/IIII idus februar. MDLII".Tranne che da I. Ph. Tomasini (Urbis Patavinaeinscriptiones sacraeet prophanae, Patavii 1649, p. 119) e dal Memmo (p. 71 n.), l'iscrizione fu pubblicata tuttavia in modo inesatto, con conseguenti errori presso i biografi.

Il giorno dopo fu sepolto provvisoriamente nella chiesa di S. Antonio, dove Girolamo Negri recitò l'orazione funebre. Poco dopo la salma fu traslata in S. Giovanni di Verdara, dove la vedova e la figlia avevano eretto il monumento funerario, decorato con un busto di Danese Cattaneo.

Del B. abbiamo a stampa una ventina di epistole metriche e poco più di quaranta epigrammi: una produzione non vasta, che nuove esplorazioni nel settore manoscritto verosimilmente non arricchiranno di molto. Benché non vi manchino motivi encomiastici e moralistici, nell'insieme si tratta di versi piani e gradevoli, che risentono, come già osservarono i contemporanei, di modelli oraziani. I moderni hanno posto in rilievo imitazioni dell'Antologiagreca, della quale inoltre il B. tradusse in latino alcuni epigrammi. E i toni freschi e personali con cui è descritta la primavera nell'epistola al Giberti, o taluni accenti vibrati, come nell'epigramma a Roma, meritano rilievo nella storia della poesia latina cinquecentesca.

Come scrive più volte egli stesso e confermano i discepoli (esplicito l'epigramma di Giano Teseo Casopero al B. in relazione a un corso sulle Verrine: "...Mille auctor mendis corruptus, at ipse nitorem / Restituis, longe barbarienique fugas...", citato da I. Morelli, Bibliotheca manuscripta..., p. 465, e riportato ora da G. Cianflone, Giano Teseo Casoperopoeta latino del XVIsec. e gliumanisti calabresi e veneti, 2 ed., Napoli 1955, p. 52), emendò il testo di molti autori. E a questa sua attività filologica, per la quale era necessaria ampiezza di confronti, si connetteva in buona parte la continua e pressante ricerca di libri. Di grande importanza sarebbe perciò la ricostruzione della sua biblioteca, che finora non è stata neppure iniziata.

Tuttavia, il significato della sua personalità non si risolve sul piano letterario, né su quello filologico. Il suo atteggiamento alieno da ambizione non basta a spiegare il fatto che, all'infuori di qualche epigramma e di qualche lettera in raccolte pubblicate da altri, niente sia apparso a stampa di suo lui vivente, e poco anche dopo la sua morte. Come testimonia clamorosamente la Ad L. B.epistola expostulatoria iocosa stampata anonima nel 1552 e ricomparsa poco dopo tra le Epistolae di Giovanni Giustiniani, ai contemporanei non sfuggì la singolarità di una tale situazione, e non a caso si trova più volte ricordata la sua passione per il gioco delle carte (donde la favola di un suo amore senile per certa "Trappolina"). Nonostante le promesse, poco amava scrivere. Nella sua polemica epistola metrica a Paolo Giovio e nella lettera con cui il Negri inviò ad Alessandro Campeggi l'orazione funebre per il B. è anzi esplicitamente dichiarata la sua diffidenza verso i molti contemporanei, che scrivevano solo per desiderio di gloria e poco curavano le opere degli antichi, "a quibus ad nos omnis doctrina et sapientia defluxit" (Sadoleti Epistolarum Appendix, pp. 128-29). Come egli stesso faceva sapere al Giovio, tutto il suo impegno era rivolto alla scuola; era soprattutto un impegno etico, cioè pedagogico. Non mancarono i risultati, se il Pflug per suo conto riteneva di ben meritare civilmente, inviando allievi alla scuola del B., perché molti di essi tornavano forniti di tali doti, che potevano essere utili allo Stato. Certo, l'aspetto economico della professione non veniva trascurato (si ha notizia che acquistò più volte terreni: nel 1523, nel 1526, nel 1534 e nel 1539; G. B. Verci, Parere..., pp. 33-4; G. Zonta, F. Negri l'eretico e la suatragedia "Il libero arbitrio", in Giorn. stor. della lett. ital., LXVII [1916], p. 268 n. 2), ma si comprende che gli amici e i discepoli abbiano fatto per lui il nome di Socrate. Del resto il Sadoleto in una lettera al Colocci e poi nel De liberis recte instituendis aveva rilevato come nel B. questo fosse soprattutto straordinario, che in lui la filosofia pareva essere stata maestra non solo del dire, ma anche del fare.

Francesco Sansovino (Della cronica universale del mondochiamata già Sopplimentodelle croniche parte terza..., Venetia 1574, f. 704r) scrisse di lui: "fu famoso huomanista. Haveva impedita la lingua: con tutto ciò dava sì nuovi sensi alle cose di Cicerone et d'altri che fu tenuto maraviglioso".E il Muret, istituendo un facile e fortunato accostamento tra il B. e Romolo Amaseo, li ricordò insieme come i più validi ed influenti insegnanti di latino che avesse avuto l'età del Bembo e del Sadoleto (M. A. Mureti Scripta selecta, I, Orationes. Praefationes, Lipsiae 1887, p. 169).

Non a caso le grandi amicizie che sostennero e in certo modo orientarono la sua vita portano i nomi del Manuzio, del Pomponazzi, del Sadoleto e anche del Pole e del Contarini. Come forse nessun altro insegnante, il B. realizzò per generazioni di studenti italiani ed europei quegli ideali pedagogici della cultura umanistica, che si erano venuti armonizzando, nel Veneto specialmente, con la pensosa religiosità del primo Cinquecento.

Iconografia. Il busto eseguito da Danese Cattaneo per il monumento sepolcrale è il solo ritratto autorevole del B.; è in bronzo, a grandezza naturale (cm. 76 × 68 × 31). Dopo la soppressione della chiesa di S. Giovanni di Verdara (1818) fu acquistato dai conti Roberti e da Giambattista Roberti donato nel 1841 al Museo di Bassano, dove si trova tuttora (foto Alinari n. 20.502, più volte riprodotta, specialmente nelle guide della città). Sul monumento sepolcrale, che insieme con altri monumenti di S. Giovanni di Verdara fu trasferito nel chiostro dei novizi della basilica di S. Antonio, fu posta una copia in pietra di Nanto. Una copia in bronzo fu eseguita da A. Tis per un principe Hohenzollern. In una medaglia settecentesca con al verso una derivazione del busto del Cattaneo compare al recto un ritratto del B. giovane, cioè, secondo la leggenda, in età di venticinque anni (di una medaglia con questo solo ritratto fa menzione il Verci, Vita..., p. 75). È stata fatta l'ipotesi che questo ritratto giovanile risalga a un originale perduto. Di entrambi i ritratti, ma specialmente del busto del Cattaneo, esistono vari disegni (di Carlo Paroli, Francesco Roberti, Valentino Novelletto) e incisioni (una di D. Conte su disegno del Roberti).

Opere ed edizioni. Dopo la morte del B. gli amici ne pubblicarono i carmi che riuscirono a reperire: L. Bonamici Bassanensis Carminum liber, Venetiis 1572 ("non sine gravibus mendis", come notò il Morelli, Bibl. manuscripta, p. 462). Si scrive di solito che l'edizione fu curata da Alessandro Campesani: in realtà pare che il Campesani abbia voluto l'edizione e ne abbia sostenuto le spese, ma ne sia stato curatore Alessandro Ferrazzi (si vedano i due epigrammi del Ferrazzi al Campesani, ibid., ff. Aiv e 55v). Prima e dopo questa data, singoli carmi o gruppi di essi furono pubblicati in diverse raccolte poetiche: vedi Mazzuchelli, pp. 2325-26 e Verci, Vita..., pp. 75-80. Il carme a Benedetto Ramberti in lode della campagna è riportato anche dall'Eccius, pp. XV-XX; quelli per la morte di Lucia Dal Sole sono riprodotti da E. Zorzi, Lucia dal Sole nella poesia dei suoi tempi(sec. XVI), in Boll. Del Museo civico di Padova, XLVIII (1959), p. 114 (sul B. anche pp. 109 e 111); per il carme a Torquato Bembo in morte del padre vedi M. Pecoraro, Per la storia deicarmi del Bembo. Una redazione non vulgata, Venezia-Roma 1959, pp. 53, 56, 57; la raccolta Pannoniae luctus, che contiene l'epitafio per Tommaso Zalaházy vescovo di Eger e Veszprém (non compreso nell'ediz. Campesani-Ferrazzi) è riprodotta in E. Kovács, A krakkói egyetemés a magyarmüvelödés. Adalékok amagyar-lengyelkapcsolatokXV-XVI. századitörténetéhez, Budapest 1964, pp. 191-203 (l'epitafio è a p. 199); un carme Ad Divam MariamVirginem è stato pubblicato dal Morelli, Bibl.manuscripta..., p. 463; altri epigrammi, dal Marangoni in Nuovo Arch. Veneto, II, pp. 192-95 (e vedi p. 155).

Quindici lettere a diversi furono incluse nella raccolta Epistolae clarorum virorumselectae dequampluribus optimae adindicandam nostrorum temporum eloquentiam, Venetiis 1556, ff. 1r-14r, 15r-20v = Parisiis 1556, ff. 1r-13r, 14r-19v. In seguito vi furono aggiunte le tre lettere a Damiano de Gois (= Damiani a Goes Aliquot opuscula, Lovanii 1544, [eiii]v[eii]v, fiv-fiiv, dove soltanto hanno la data completa), la In Thucididemet Liviumpraefatio e una lettera a P. F. Contarini: Epistolaeclarorum virorum... Nunc demum emendatae…, Venetiis 1568, ff. 1r-11r, 12r-16v, 105r-110v, 125v-126v = Coloniae Agrippinae 1586, pp. 1-17, 19-27, 187-197, 223-224. Qualche altra lettera fu pubblicata in altre raccolte: Mazzuchelli, p. 2326; Verci, pp. 81-84; Morelli, pp. 463-4; tre lettere ha pubblicato il Verci, Vita..., pp. 91-96, da un codice appartenuto al Facciolati, ora della Biblioteca del seminario di Padova; la lettera al Carteromaco del 1513 fu pubblicata da A. Chiti, S. Forteguerri(il Carteromaco), Firenze 1902, p. 103, e vedi pure pp. 41 e 58 (in base all'autografo, Vat.lat. 4103, f. 33r; una copia settecentesca è nel Vat. lat. 9065, f. 146r); lettere intere o brani di lettere da codici Ambrosiani ha pubblicato il Marangoni, passim. Per le lettere ai Manuzio (e dei Manuzio al B.), E. Pastorello, L'epistolario manuziano..., Firenze 1957, pp. 31-33 (nn. 185-187, 193, 209-211, 215-216, 218-219, 221), 36-37 (nn. 265, 279-280) e vedi anche alla p. 222; Id., Inedita Manutiana..., Firenze 1960, p. 23 e vedi anche alle pp. 543-544.

L'edizione Campesani-Ferrazzi dei carmi fu riprodotta dal Verci, che insieme ripubblicò le lettere comprese nella seconda edizione delle Epistolae clar. vir.: L. Bonamici Bassanensis Carmina etepistolae una cumeius vita aIo. B. Verciconscripta; quibus adduntur carminanonnulla FaustiniAmici et AndreaeNavarini, Venetiis 1770, pp. 1-50, 53-66, 81-112; e ripeté l'edizione "ad usum scholarum" e con l'aggiunta dei carmi di Giovanni Cotta, a Venezia nel 1786 ("corruptissime tamen - scrive il Morelli, p. 462 -, erroribus iisdem typographicis ex altera editione in altera repetitis").

Da vecchi cataloghi di biblioteche si ha notizia di due orazioni "in Ciceronis et Demosthenis interpretatione", stampate a Strasburgo (Morelli, p. 464; Mazzuchelli, pp. 2326-7; Verci, Vita..., pp. 84-85), che si aggiungono a quelle sulla Pro lege Manilia e su Livio e Tucidide.

Dei commenti sono a stampa alcuni brani di quello alla Pro legeManilia (Antonibon, pp. 39-49). Alcuni scolii alla I Olintiaca di Demostene, conservati nell'Ambr. D 355 inf., sono pubblicati dal Marangoni, II, p. 196 (ivi, p. 171, n. 2, per altre postille a Demostene nell'Ambr. C 235 inf.).

Per tutta la produzione del B. resta da fare uno spoglio sistematico dei manoscritti, a cominciare dai codici pinelliani dell'Ambrosiana (tra i quali, forse, nota il Morelli, p. 463, in base a un indice di mano di Lorenzo Pignoria, anche "Bonomici censura in Paulum Jovium de piscibus Romanis reperiretur"): qui basti un rinvio all'Antonibon, pp. 56-58; Ae. Martini-D. Bassi, Catalogus codicumGraecorum Bibl. Ambrosianae, II, Mediolani 1906, pp. 597 n. 597; 677 n. 582; 829 n. 716; 1049 n. 958; 1057 n. 973; 1138-39 n. 1070); M. Vogel-V. Gardthausen, Die griechischenSchreiber desMittelalters undder Renaissance, Leipzig 1909, pp. 451-52; A. Rivolta, Catal. dei codici pinellianidell'Ambrosiana, Milano 1933, pp. 32 e 74; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, London-Leiden 1963 e 1967, vedi Indice. Per le lettere si aggiunga il cod. Harl. 6989 del British Museum: Hirsch, Damião de Gois, p. 96, n. 39.

Dei Concetti della lingua latina non si conoscono manoscritti; dopo l'edizione dello Spinola (1562), furono riediti a Venezia altre cinque volte: 1563, 1564, 1567 (due volte), 1581, talora sotto il nome di Aonio Paleario: Verci, Vita..., pp. 85-87.

Fonti e Bibl.: Profili biografici del B. hanno dato già i contemporanei: Hieronymi Nigri Veneti Canonici Patavini In L.B. funere oratiohabita Pataviitertio Id.Febr. M.D.LII., Venetiis 1553 (due edizioni), ristampata in I. Sadoleti Epistolarum Appendix. Accedunt HieronymiNigri et PauliSadoleti vitae acrariora monumenta, Romae 1767, pp. 129-137; B. Scardeonii De antiquitate urbisPatavii et clariscivibus Patavinis libri tres..., Basileae 1560, pp. 246-247 e vedi pure p. 366. Da usare, al solito, con cautela: N. C. Papadopoli Historia Gymnasii Patavini..., I, Venetiis 1726, pp. 307-8; produce anche docc. sulla famiglia F. Memmo, Vita e macchinedi Bartolommeo Ferracino..., Venezia 1754, pp. 64-74 (nota XXIV); da ricordare infine G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2322-27, e Io. G. Eccius, Lazarus Bonamicus, Lipsiae 1768. Del Verci, piuttosto che la Vita premessa all'edizione dei carmi e delle lettere del B., restano fondamentali il Parere intorno al casato diL. B., in Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXVI, Venezia 1774, e la Vita di L. B. incontinuazione delle notiziestorico-critiche degli scrittori bassanesi,ibid., XXVIII, Venezia 1775, (questa si è citata sopra), entrambi apparsi anche, con la medesima numerazione di pagine, in G. Verci, Not. intorno alla vita e alle operedegli scrittori della cittàdi Bassano, II, Venezia 1775; resta però anche vero il giudizio di J. Morelli, Bibliotheca manuscriptaGraeca et Latina, I, Bassani 1802, p. 464 (sul B., anche pp. 251, 462 e 471): "Bonamici... Vita, a Io. Georgio Eccio... breviter minusque accurate tractata, et a Vercio non bene, licet non semel, descripta, novo esset commentario illustranda". A questa esigenza non corrispondono esaurientemente né il profilo di G. Antonibon, Di L. B. e del suocommento alla Maniliana di Cicerone..., Cividale 1893, pp. 7-14, né lo studio di G. Marangoni, L. B.e lo Studio padovano nellaprima metà del Cinquecento, in Nuovo Arch. Veneto, n.s., I (1901), pp. 118-151, 301-318, e II (1901), pp. 131-196, dove sono utilizzate largamente fonti edite e inedite, ma non sempre con sufficiente senso critico.

Per le fonti sono specialmente da tener presenti gli studi del Verci e del Marangoni, passim (elenchi sono dati dal Verci, Vita..., pp. 88-90 e dall'Antonibon, pp. 59-64). Qui sono da menzionare: C. Calcagnini, Opera aliquot, Basileae 1544, pp. 133, 140, 167, 172, 213; I. Ph. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, pp. 341, 409; I. Sadoleti De liberisrecte instituendis, in Opera quaeexstant omnia, III, Veronae 1738, p. 97, e Epistolae, Romae 1760-64, con relativa appendice, già citata, ad Indicem; Epistolarum Reginaldi Poli... et aliorum ad ipsum, a cura di A. M. Querini, I, Brixiae 1744, pp. 209, 214-15, 279, 283-86, 288, 292, 307; II, ibid. 1745, pp. XL-XLI, XLIII, 10-13; IV, 1752, pp. 46-47; I. Facciolati, De Gymnasio Patavinosyntagmata XII. ex eiusdemGymnasii Fastis excerpta, Patavii 1752, pp. 49 e 59; G. Chiuppani, Storia di unascuola di grammatica dal Medio Evofino al Seicento(Bassano), in Nuovo Arch. Veneto, n. s., LVII (1915), p. 107.

Per alcuni punti o aspetti particolari si vedano inoltre: V. Cian, Un medaglione del Rinascimento: Cola Bruno messinese e le suerelazioni con PietroBembo (1480 c.-1542), Firenze 1901, pp. 43-44, 61-2, 65, e Contro il volgare, in Studi lett. e linguisticidedicati a P. Rajna, Firenze 1911, pp. 276-78, 283, n. 3; Th. Simar, Christophe Longueil humaniste(1488-1522), Louvain 1911, pp. 85-86, 158, 160-161, 182; M. Haile, Life of R. Pole, 2 ediz., London 1911, pp. 21, 95, 129-30, 143, 147-148, 231; P. Paschini, Un amico del card. Polo: A. Priuli, Roma 1921, pp. 14, 21, 29, 31-35, 39, 46-47, 54; G. Ellinger, Italien und der deutscheHumanismus in derneulateinischen Lyrik, Berlin und Leipzig 1929, pp. 252, 257-258, 265, 493; Opus epistolarumDes. ErasmiRoterodami…, a cura di P. S. Allen e H. M. Allen, VI, Oxonii 1926, p. 356; IX, a cura di H. M. Allen e H. W. Garrod, ibid. 1938, pp. 378-80, 414, 478-9; X, ibid., 1941, pp. 28-30, 98, 196; XI, ibid. 1947, pp. 206-209, 270-271; J. Hutton, The GreekAnthology in Italyto the year 1800, Ithaca, New York 1935, pp. 34, 180-181, 229; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., pp. 98, 103, 474; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1960, pp. 16-19, 32; B. Nardi, Saggi sull'aristotelismo padovano dal sec. XIVal XVI, Firenze 1958, pp. 173, 341; P. Bembo, Opere in volgare, a cura di M. Marti, Firenze 1961, pp. 668-669; M. Marti, Dal certoal vero..., Roma 1962, pp. 253, 256; B. Nardi, Mantuanitas Vergiliana, Roma 1963, pp. 204, 217-218, 229, 239, 254, e Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze 1965, pp. 45, 55, 58, 60, 68, 200, 209, 219, 229, 359, 378; E. F. Hirsch, Damião de Gois. The lifeand thoughtof a Portuguese humanist, 1502-1574, The Hague 1967, pp. 54, 79, 81, 96, 99-104, 107, 109, 115, 142; B. Cavalcanti, Lettere edite e inedite, a cura di Chr. Roaf, Bologna 1967, pp. XXXVI, 95, 99, 107; C. Dionisotti, Geografia e storia dellalett.ital., Torino 1967, p. 157; P. F. Grendler, Five Italianoccurrences of "Umanista", 1540-1574, in Renaissance Quarterly, XX (1967), pp. 324-325; J. Pflug, Correspondance, a cura di J. V. Pollet, I, Paris 1969, ad Indicem. Sull'iscrizione del B. per il monumento a Livio, Iac. Ph. Tomasini, Titus LiviusPatavinus.Editio novissima..., Amstelodami 1670, pp. 74-76, 112; P. Brandolese, Pitture,sculture,architetture ed altre cose notabili diPadova, Padova 1795, p. 9. Sull'iscrizione per la fontana di Arquà, I. Ph. Tomasini, Petrarcha redivivus, Patavii 1650, p. 118 (e incisione con il mon. a p. 122); O. Ronchi, Guida storico-artistica di Padovae dintorni, Padova 1922, p. 211; A. Dal Zotto, Arquà Petrarca, Padova 1962, pp. 49-50 e fotografia moderna della fonte a p. 31 (come autore del distico il Dal Zotto fa anche il nome di Antonio Querengo, ma a favore del B. sta il fatto che il distico si trova nel suo Carminum liber e compare con il suo nome nella tradizione extra-vagante: così, ad es., nel Vat. lat. 6875, f. 260r). Per l'iconografia: T. Roberti, Il busto di L. B. nelMuseo di Bassano, in Arte e storia, V (1886), p. 45; L. Chiarelli, Iconografia bassanese, in Boll. del Museo civico di Bassano, VI (1909), p. 90; L. Planiscig, Venezianische Bildhauer derRenaissance, Wien 1921, p. 421, fig. 445 e pp. 423-24; P. M. Tua, Bassano del Grappa, Trento 1932, pp. 12-13; R. Pallucchini, Un busto in terracotta diDanese Cattaneo, in L'Arte, n.s., V (1934), pp. 67-68 e 71, fig. 2; G. Barioli, Indice fot. delleopere d'arte di Bassano, Venezia 1961, p. 26. Sulla rimozione del monumento sepolcrale dalla chiesa di S. Giovanni di Verdara al chiostro dei novizi della basilica di S. Antonio, B. Nardi, Saggi sull'aristotelismopadovano..., p. 388, n.; e A. Sartori, Precisazioni su G. Calfurnio, in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze lett.ed arti, LXXVI, 3 (1963), pp. 88-90.

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