Le arti decorative di corte e la polemica sul lusso

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Alessandra Acconci
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

È l’Encyclopédie a chiarire i risultati raggiunti dalle arti decorative nel Settecento europeo. Scienze, arti e mestieri perfezionano ricerche all’unisono, per una nuova idea dell’architettura di interni. Oltre le voci che l’Encyclopédie dedica all’architetto e all’arte, all’artigiano e all’artista, alla bellezza e all’espressione, alla forma e al genere, al gusto, all’imitazione, all’immaginazione e alla natura, gli autori affrontano le varie branche dei mestieri e delle tecniche legate alle arti, per raggiungere la funzionalità di cose finalizzate al “vivere civile” attraverso “la varietà, l’unità, la regolarità, l’ordine, la proporzione” (Diderot, alla voce “Arts”).

Le arti decorative come riflesso della vita sociale: l’arte di corte

Nel Settecento la nuova aristocrazia e la borghesia nascente optano per appartamenti più piccoli e per un arredo capace di confort e agrément.

Gli illuministi indicano i punti fondamentali alla base delle arti decorative e analizzano il piacere della simmetria che si unisce alla varietà, il gusto che genera il piacere della sorpresa e sottolineano come la percezione venga alimentata dalla curiosità.

Questi temi introducono la “vita delle forme” vista nell’ottica del Settecento, il legame con la natura e l’introduzione di nuovi materiali nell’architettura di interni e nell’arredo: la porcellana e la maiolica, le lacche, la seta e i tessuti pregiati, legni intagliati o lavorati con intarsi in avorio e madreperla, ornati in bronzo dorato.

Le arti decorative come riflesso

L’utile elegante, sensibile alle mode e al capriccio, evita la magnificenza e fa spazio all’esotismo, nei cabinets rivestiti di specchi, lacche o carte da parati, come la sala del castello di Charlottenburg, presso Berlino, dedicata nel 1706 alle collezioni di porcellane o il rivestimento di specchi nel castello di Ludwigsburg, presso Stoccarda (1716), e a Pommersfelden (Bamberga), a opera di Ferdinand Plitzner (1714-1719); mentre a Merseburg, presso Lipsia, Johann Michael Hoppenhaupt nel 1720 fa risaltare soprattutto la volta specchiante, sottolineando le pareti con l’ornato delle boiseries (legni intagliati). Un altro esempio di preciso rinnovamento del gusto è il gabinetto cinese nel Palazzo Reale di Torino (1733) con lacche giapponesi inserite nelle cornici disegnate da Filippo Juvarra; ma è comunque François de Cuvilliés a toccare il culmine del rococò nella Residenza di Monaco (1731) e nell’Amalienburg di Nymphenburg con gli stucchi di Johann Baptist Zimmermann (1739).

Nell’architettura di questi interni il rococò privilegia la decorazione parietale con specchiere, valorizzate da cornici intagliate di grande eleganza e in alcuni casi alternate a dipinti, come a Potsdam-Sansouci, nel castello di Federico II il Grande, dove la pittura è affidata ad Antoine Pesne (1745). Anche la Galleria degli Specchi con gli stucchi di Domenico Parodi, nel Palazzo Reale di Genova, rappresenta un interno di grande livello qualitativo, mentre è nella grande galleria di Seyter di Torino che nel 1737 operano Benedetto Alfieri (1700-1767), per le pareti a specchio, e il bronzista François Ladatte (o Francesco Ladetti).

La decorazione rocaille

La decorazione rocaille si collega a radici lontane, come è stato sottolineato a partire da Fiske Kimball, George Weise, Hermann Bauer, Roland Michel e Bruno Pons, per arrivare ad Alain Gruber (1992). Questi critici, infatti, indicano le fonti della decorazione rocaille proprio nel manierismo internazionale, attento a mettere in risalto le strutture capricciose; queste porteranno poi alla definizione dello “stile auricolare” con morfologie e significati decisivi per il rococò.

Nella seconda metà del Seicento il gusto delle grottesche si era arricchito grazie agli esempi di Francesco Borromini e Guarino Guarini, per passare alle tipologie dell’arabesco, introdotto nelle cornici degli arazzi, negli stucchi e divulgato nelle incisioni che saranno preziose invenzioni pionieristiche di Jean Bérain, di Juste-Aurèle Meissonnier e dei decoratori – tra cui Gilles-Marie Oppenordt e Nicolas Pineau – attivi nei primi decenni del Settecento.

Le incisioni che illustrano libri, quali il Nouveau livre de différentes cartouches pour ornement des armes di Duvivier (1712), Formes cartels et rocailles di Mondon, i Tableaux d’ornements et rocailles di Lajoue (1734), il Livre d’ornements di Meissonnier (1734) e Vases rocailles e Cartouches rocailles di Peyrotte (1743), costituiscono il repertorio di base per le decorazioni di stucchi e intagli dorati, ma anche per il mobilio e la decorazione. Si spiegano così le modellazioni dinamiche elaborate a Parigi negli anni di Filippo II d’Orléans che, assunta la reggenza per il giovane Luigi XV, si orienta verso un cerimoniale meno fastoso rispetto a quello di Versailles e frequenta salotti intellettuali dell’aristocrazia. Si afferma allora l’alta borghesia – in primo piano è il banchiere e collezionista Crozat – e le novità della decorazione da Parigi raggiungono non solo i castelli, ma anche la provincia, le ville e, tramite la corte, l’Italia. È questo il caso di Torino, con i matrimoni di Carlo Emanuele III, e così con i principi di Carignano, di Parma, di Colorno e, dal 1748, con Louise-Elisabeth, figlia di Luigi XV, sposa di Filippo di Borbone duca di Parma, Piacenza e Guastalla.

Per tutto il secolo il gusto francese è dominante nella decorazione attraverso i repertori delle incisioni, i viaggi degli artisti e la circolazione delle opere. La corte accoglie a Parigi grandi artisti come Charles Cressent, dal 1719 attivo per il duca d’Orléans e richiesto dalle casate europee per gli splendidi risultati ottenuti nei legni impiallacciati, arricchiti con bronzi dorati e cesellati (Parigi, Musée des Arts Décoratifs; Londra, Wallace Collection; Monaco, Residenz Museum).

Le sue consoles figurano nelle tavole di Mariette, nell’Architecture française, come testimonianza di una civiltà che riqualifica le arti minori, indicate quali arti preziose; per gli ebanisti lo attesta ancora Bernard van Risenburgh con stupendi esemplari, quali la commode, ora al Quirinale.

In parallelo trionfano i modelli di André-Charles Boulle: appoggiato da Luigi XIV, attinge agli arabeschi di Jean Bérain irrobustendoli con l’intarsio del bronzo, del rame e della tartaruga, come dimostrano i mobili a Versailles, o lo specchio della duchessa di Berry, ora a Londra (Wallace Collection). Fanno ancora parte di questo gusto decorativo i mobili prestigiosi di Pietro Piffetti, dal 1733 ebanista al servizio della corte sabauda: le sue invenzioni puntano sulla varietà raffinata dei legni intarsiati in madreperla e avorio, conclusi con i bronzi dorati e cesellati da François Ladatte che proseguirà con gli stessi paradigmi della decorazione rocaille fino al 1775 (si vedano gli esemplari ora al Palazzo Reale di Torino, a Stupinigi e al Quirinale).

Dal fasto all’arredo orientato al confort e all’agrément

Agli inizi del secolo il legame ancora esistente col gusto barocco, come dimostrano le preferenze per mobili “di grande architettura”, registra un passaggio decisivo; Pierre Verlet individua così i mobili de confort et d’agrément, destinati a piccoli ambienti, anticamere per la conversazione o la lettura, boudoir e studioli legati all’uso quotidiano che privilegia eleganza e semplicità. Troviamo allora la table cabaret, per il caffè e il tè, la table servante e la table de voyage, il secretaire e la table de nuit, piccole specchiere e scatole per il corredo dedicato al bagno e ancora piccole sedie, accanto alle poltrone e alle sedie da gioco. Anche consoles, commodes (cassettoni ad ante o a cassetti) e scrittoi seguono i passaggi legati alle esigenze sociali, gli stessi che sono puntualmente registrati dalle tipologie degli orologi – tra cui quelli di Philippe Caffieri del 1760 al Victoria and Albert Museum di Londra – e degli argenti per l’arredo della tavola.

Si passa così dagli argenti di Adnet, Bonnestrenne e Duvivier che nel 1733-1734 si ispirano, per zuppiere e candelieri, ai disegni di Juste-Aurèle Meissonnier (ora a Lugano, Collezione Thyssen-Bornemisza e Parigi, Musée des Arts Décoratifs), a quelli di Thomas Germain, che negli stessi anni fissa le morfologie ondulate dello stile rocaille, riprese anche a Torino dal Paroletto e da Lorenzo Lavy per le zuppiere. Il gusto passerà poi agli argenti per le corti di Vienna e di Danimarca e resisterà fino alle innovazioni di Luigi Valadier e Robert-Joseph Auguste, attivo nel 1770 per Giorgio III d’Inghilterra con un’eleganza classicista.

La polemica sul lusso e l’attenzione per i mestieri e le arti utili

Nel corso del Settecento, nell’età dell’Illuminismo, si accende la discussione sui riflessi morali del lusso, ricollegato alla moda e alle arti decorative; e se da un lato i moralisti seguono Jacques-Bénigne Bossuet e François de Salignac de la Mothe Fénelon con norme severe, gli illuministi sottolineano il peso che il lusso ha sul versante economico, alimentando le arti e i mestieri come nuove attività sociali. Si giustifica infatti la promozione sociale conquistata con la ricchezza come una necessità universale per gli interessi della collettività (voce “Luxe” dell’Encyclopédie).

Le nuove concezioni settecentesche sono decisive per rinnovare dall’interno le arti decorative, introducendo nuove tecniche come quella della porcellana. È il caso delle ricerche dell’alchimista Bottger – attivo a Dresda dal 1708 alla corte di Augusto il Forte – al fine di ottenere un impasto per la porcellana dura, traslucida e brillante, di derivazione cinese. Dopo la manifattura di Meissen (1710) si apre a Venezia intorno al 1720 una manifattura diretta da Vezzi e dal 1764 un’altra guidata da Geminiano Cozzi, con produzione di pezzi brillanti e ricche dorature.

Nella fabbrica di Le Nove (Bassano) si utilizzano per teiere e boccali decorazioni tratte dalle stampe popolari della calcografia Remondini. A Torino, per le ville dell’aristocrazia, la fabbrica dei Rossetti privilegia invece decori eleganti alla Bérain, in sintonia con i ricami “bandera”.

Sul finire del secolo in Piemonte spetta alla fabbrica attiva dal 1776 a Vinovo la produzione di vasellame e statuette legate alla decorazione rocaille di Strasburgo. Anche in Toscana dal 1737, con la fabbrica di Doccia, vengono adottati motivi decorativi floreali in azzurro che passeranno dai modelli rocaille a quelli neoclassici. Un’altra area attivissima è quella napoletana con la fabbrica di Capodimonte, sostenuta dal 1743 da Carlo III di Borbone, dove nel 1757 lavora Giuseppe Gricci, oltre che per servizi in pasta tenera e per gruppi con scene di genere, anche per il gabinetto di porcellana, un capolavoro assoluto passato poi dalla reggia di Portici a Capodimonte.La fabbrica viene in seguito trasferita nel palazzo del Buen Retiro presso Madrid, ma è a Vincennes nel 1738 e poi a Sèvres dal 1756 che la porcellana emerge con una qualità artistica superba, tanto da inserire nelle decorazioni scene di genere di Jean-Antoine Watteau e di François Boucher, accanto ai biscuit in pasta tenera modellati da Etienne-Maurice Falconet.

A Vienna si privilegia invece la produzione di porcellane con paste dure, individuate da Claudius Innocentius du Paquier, con preferenze per il color ruggine, il nero e il rosso, abbinati all’oro.

Ancora più raffinate le scelte a Dresda per gruppi ispirati all’esotismo e alla commedia italiana; su questa linea troviamo dal 1752 a Berlino la creazione di servizi per le tavole di Federico II il Grande, mentre dal 1753, a Nymphenburg (Monaco), i gruppi plastici modellati da Franz Anton Bustelli.

Degna di rilievo è anche la produzione di ceramica inglese, in particolare quella di Josiah Wedgwood. Attivo dal 1754 con oggetti a imitazione della pietra bianca e dell’agata, la sua “vernice verde” gli permette poi di produrre i servizi “a forma di cavolo” con decorazioni a decalcomanie; dal 1769, nel suo laboratorio Etruria, Wedgwood produce vasi neri “basalto”, a imitazione di quelli scoperti nelle tombe etrusche.

I temi dell’antico e la nuova funzionalità della decorazione

I viaggi del Grand Tour tra Roma, Napoli e Paestum e le nuove edizioni erudite, come le Antichità ercolanensi (1757), aprono nuove strade anche per i repertori della decorazione. Li ritroviamo nelle palmette e nei bordi perlinati, nell’inserto di nastri e finti cammei, teste e zampe leonine, grottesche e profili di danzatrici, rilevati con tonalità che vanno dal rosso pompeiano al verde giada, ai gialli e al bianco-stucco, accanto a marmi pregiati e a legni esotici. La decorazione entra allora negli interni con nuovi assemblaggi visivi e ideali, come dimostra la villa del cardinal Alessandro Albani a Roma (1756-1763), su progetto di Carlo Marchionni, che Johann Joachim Winckelmann indica come “la più stupenda opera che mai sia stata immaginata ai nostri dì”.

Anche per il giardino colonne di porfido, graniti e alabastri orientali si uniscono ai ritmi classici naturali con allori, pini e lecci, tempietti e quinte arboree, considerati da Goethe come paradigmi unici. L’interno abbina la sensibilità del rococò e la vitalità dell’antico come nel caso del rilievo di Antinoo, proveniente dalla villa di Adriano a Tivoli, inserito nella cornice settecentesca.

Accanto all’esotismo i modelli dell’antico entrano nella decorazione per il mobilio e l’arredo. In Piemonte, oltre le carte alla cinese, utilizzate nelle ville della corte e dell’aristocrazia, negli anni di Vittorio Amedeo III – che sostiene la nuova Accademia delle scienze – è attivo per gli interni Giuseppe Maria Bonzanigo, maître sculpteur di cui resta il parafuoco del 1776 per il matrimonio del principe sabaudo con Clotilde di Francia, sorella di Luigi XVI, accanto alla poltrona “à la reine”, ora nel Palazzo Reale di Torino.

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