Le avanguardie storiche e il cinema

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Luigi Catalani
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

A partire dall’esaltazione futurista del cinema come "mezzo di espressione più adatto alla plurisensibilità dell’artista futurista", le potenzialità formali e poetiche del cinema vengono esplorate dalla mania sperimentatrice delle avanguardie, alla quale si formeranno personalità e opere di straordinaria orginialità destinate a restare riferimento nella storia della visione.

Vite futuriste

Per tutte le cinematografie europee la prima guerra mondiale segna una fase di profonda trasformazione, il passaggio a un vero e proprio regime industriale e una modernizzazione delle strutture produttive, necessaria anche per fronteggiare la concorrenza sempre più aggressiva di Hollywood, la cui ascesa inarrestabile ha inizio proprio verso il 1915. Ma la guerra è anche il periodo in cui giungono a maturazione le prime istanze sperimentali, che nel corso degli anni Venti nutrono la stagione eroica delle avanguardie.

Le prime ricerche di natura sperimentale hanno luogo in Italia, dove Bruno Corra e Arnaldo Ginna, muovendo da suggestioni di chiara ascendenza simbolista, lavorano fin dal 1908 intorno all’ipotesi di una "musica dei colori", che li porterà ben presto a intercettare il progetto sinestetico del futurismo. Enunciata nel 1916 dai numerosi firmatari del Manifesto della cinematografia futurista (Marinetti, Corra, Ginna, Settimelli, Balla, Chiti) l’idea che il cinema costituisca "il mezzo di espressione più adatto alla plurisensibilità dell’artista futurista" tenta di darsi una traduzione concreta nella progettazione di un piccolo numero di film. Ma l’unico di questi che giunge effettivamente a realizzazione, Vita futurista (1916), oggi documentato solo da pochi frammenti, sembra ben lontano dalle arditezze teoriche del Manifesto, che arriva a proporre l’uso del montaggio e dei trucchi cinematografici come mezzo per "scomporre e ricomporre l’universo". Secondo le ricostruzioni, sembra che il film, diretto da Arnaldo Ginna e con un’apparizione dello stesso Marinetti, consistesse nell’illustrazione della giornata tipo di un futurista, scandita in quadri e inframmezzata da titoli quali "Come dorme un futurista e come dorme un passatista" o "Cazzottatura futurista". Anche un altro film girato nel 1916 da un autore vicino, pur se non organico, al futurismo, Thais, di Anton Giulio Bragaglia, mostra una ricerca più attenta ai valori plastici del profilmico, con profusione di eccentriche scenografie astratte, che non alle risorse specificamente cinematografiche del mezzo.

In Francia

Quest’ultimo aspetto comincia invece a farsi prevalente nel dibattito estetico che si sviluppa in Francia durante la guerra e a cui prende parte, insieme a diversi intellettuali, anche una nuova generazione di cineasti pieni di entusiasmo. Sostenuti dall’attenzione critica di due figure carismatiche come Ricciotto Canudo – al quale si deve la definizione del cinema come "settima arte" – e Louis Delluc – autore anche di alcuni notevoli film – giovani registi come Jean Esptein, Abel Gance, Marcel L’Herbier, Jacques de Baroncelli, Germaine Dulac si battono per liberare il cinema dalle forme antiquate del film d’arte e contribuire alla rivelazione delle sue possibilità inespresse. Oggi noto con il nome di Prima Avanguardia e già identificato da Delluc con il termine di "impressionismo" questo movimento si riconosce in un comune interesse per gli aspetti propriamente fotografici del cinema, che viene celebrato in primo luogo per la sua capacità "fotogenica" di reinventare poeticamente quel che registra. Lavorando per lo più su soggetti melodrammatici – e spesso ispirati, in sintonia con la ricerca filosofica e letteraria coeva di Bergson e di Proust – ai temi della memoria e del ricordo, questi registi si muovono in direzione di un cinema d’autore reso riconoscibile da un proprio stile "cinegrafico". Film come Fête Espagnole (Dulac, 1919, su sceneggiatura di Delluc), Coeur fidèle (Epstein, 1921), El dorado (L’Herbier, 1921), La Roue (Gance 1922) segnano un crescendo di sperimentazione e insieme la maturazione di progetti sempre più complessi e ambiziosi, fino a L’Inhumaine di L’Herbier (1924) e soprattutto al colossale Napoléon di Gance (1927).

Una ricerca più radicale in direzione di un cinema "puro", antinarrativo, astratto e in certi casi perfino non-fotografico caratterizza invece i lavori della Seconda Avanguardia, inaugurata da una serie di opere di ispirazione dadaista. Con Retour à la raison Man Ray si cimenta con l’ipotesi del film senza macchina da presa grazie alla tecnica del rayogramma, mentre Marcel Duchamp esplora con Anémic Cinéma il campo del film concettuale. Il cubista Ferdinand Léger si diverte a fare a pezzi gli oggetti per ricomporli in burattini meccanici, sfruttando per il suo Ballet mécanique (1924) una tecnica mista di découpage e animazione. Questi tentativi senza precedenti attirano un giovanissimo René Clair, che nel 1924 firma con Entr’acte un’opera d’esordio in puro stile dada. Di pochi anni successivo è l’incontro tra il cinema e l’emergente avanguardia surrealista. Dulac, che dopo gli esordi nel cinema commerciale ha rivolto un’attenzione crescente alla rappresentazione della vita mentale dei personaggi, dirige, su sceneggiatura di Antonin Artaud, La Coquille et le Clergyman, opera di alta ricerca che tuttavia viene pubblicamente sbeffeggiata da Artaud con il rumoroso supporto dei surrealisti. Il dibattito sulle analogie tra il film e il sogno, alimentato tra gli altri da Robert Desnos, si svolge parallelamente alle prime esperienze cinematografiche di Luis Buñuel, che fa il suo apprendistato come aiuto regista di Epstein sul set di La Chute de la Maison Usher (1928). Il genio di Buñuel, in cui converge tutto un decennio di studio e ricerca collettiva, esplode nel 1928 con Un Chien andalou, firmato anche da Salvador Dalí, aprendo una carriera che nell’arco di mezzo secolo di capolavori porterà la vena più crudele del surrealismo direttamente nel cuore del cinema moderno.

In Germania

Tratti profondamente diversi manifesta l’avanguardia espressionista che appare in Germania nel periodo della Repubblica di Weimar. Qui il tentativo di dare forma figurativa e narrativa al profondo disagio che la popolazione tedesca vive dopo la guerra conduce in tutti i campi artistici all’elaborazione di uno stile basato sulla deformazione grottesca, l’esagerazione, la caricatura. Nel cinema ciò si traduce in una serie di film di genere fantastico che, a volte coltivando intenti allegorici nei confronti della situazione sociale contemporanea, tentano di rappresentare quel malessere per mezzo di astruse scenografie dipinte, rese spettrali dall’uso di forti contrasti di luce. È la formula lanciata dal produttore Pommer con Das Kabinett des Dr. Caligari (1920) diretto da Robert Wiene, su sceneggiatura di Carl Mayer e Hans Janowitz (1890-1954), film che ottiene un successo eccezionale in tutto il mondo.

Il gusto della deformazione violenta, allucinata, prevale ancora in titoli come Das Wachsfigurenkabinett (1924) di Paul Leni, Schatten (1924) diretto da Arthur Robinson (1883-1935), e in maniera quasi macchiettistica in Von Morgen bis Mitternacht (1920) diretto da Karl Heinz Martin (1886-1948). I film che praticano fino in fondo questo stile grafico e artificioso sono poco numerosi, mentre l’impronta espressionista traspare in maniera meno plateale, ma sicuramente più significativa, in gran parte del miglior cinema tedesco degli anni Venti, dal Lubitsch di Die Puppe (1919), al Murnau di Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1921), all’intera produzione muta (e sonora) di Fritz Lang. In queste e altre opere, la rinuncia agli eccessi stilistici del Caligari è posta al servizio di una messa in scena e una narrazione trasparenti, usate allo scopo di rendere credibili i peggiori incubi e fantasmi.

L’avanguardia russa

Consistente il capitolo dell’avanguardia russa. Dopo la tabula rasa della rivoluzione, che vede emigrare in Francia buona parte dei professionisti del cinema – Evegenij Bauer, il principale regista del periodo zarista, muore in Crimea mentra tenta l’espatrio –, la sfida di un sovvertimento dei canoni narrativi e ideologici del cinema borghese è assunta da una nuova generazione di autori. Dà il via alla ricerca Lev Kulešov, giovanissimo maestro della scuola di cinema di Mosca che avrà fra i suoi allievi, Vsevolod Pudovkin, Boris Barnet, Olga Koklova. Costretto a insegnare cinema senza pellicola e senza macchina da presa, studia gli effetti di montaggio ottenuti dai registi americani e prova a riprodurli alla moviola montando tra loro frammenti di vecchie pellicole. Giunge così a enunciare il celebre principio secondo il quale il senso del film non è dato dal contenuto delle singole inquadrature, ma dall’effetto generato dalla loro combinazione (effetto Kulešov). Questa acquisizione ha valore fondativo ed è alla base di tutte le principali poetiche del cinema sovietico degli anni Venti. Ma se nella loro pratica realizzativa Kulešov e Pudovkin si mantengono nell’orbita di un uso prevalentemente narrativo del montaggio, Ejzenstejn si spinge fino a sperimentare la produzione di effetti di senso di ordine concettuale per mezzo di rapide associazioni visive, nell’intento di dar vita a un cinema intellettuale capace di svolgere un’azione formativa sullo spettatore. La sua allieva Esfir Wub (1894-1959), riscrive la storia del passaggio rivoluzionario smontando e rimontando le riprese degli operatori dello zar in Padenie dinastii Romanovych, uscito come Oktjabr’ di Ejzenstejn nel 1928, durante le celebrazioni del decimo anniversario della rivoluzione. Se Kulešov decostruisce ironicamente gli stereotipi antibolscevichi della propaganda americana in Neobycajnye prikljucenija Mistera Vesta v strane bol’sevikov (1924), Pudovkin e Dovzenko si servono del montaggio per dar vita a una serie di grandi affreschi epici innervati di lirismo. Diversa è la posizione di Dziga Vertov, che, negando nel modo più deciso la possibilità che il cinema possa essere un’arte, chiama il mondo dei professionisti a una svolta in direzione del film non recitato, di un cinema che sia lo specchio della "vita colta in flagrante". Di qui la valorizzazione della funzione informativa del film e lo sviluppo di una pratica cinematografica interamente collocata sul versante del documentario.

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