Le Esposizioni universali

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Luigi Carlo Schiavi
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

A cavallo tra Ottocento e Novecento le grandi esposizioni hanno avuto il compito e il merito di progettare e realizzare gli spazi in cui collocare i prodotti della civiltà industriale, integrare le nuove relazioni tra arte, mercato e pubblicità, e preannunciare il conflitto ormai aperto tra cultura d’élite e cultura di massa. Dalla seconda metà del Novecento quel modello, con le sue logiche spaziali e temporali, entra lentamente in crisi. Sistemi più articolati governano la promozione commerciale e culturale delle merci, fino a farne un’esposizione universale permanente. 

Le fiere del progresso

Le grandi esposizioni nazionali e internazionali hanno costituito, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, una fondamentale occasione per la sperimentazione di innovative scelte architettoniche e per la promozione dell’immaginario collettivo del moderno sistema produttivo capitalista. A partire dal Settecento le esposizioni si articolarono seguendo gli sviluppi dell’innovazione tecnologica, dei commerci e delle informazioni. Dopo alcune esposizioni industriali e agricole che si svolsero in Inghilterra, la prima esposizione di Parigi del 1798 diede inizio all’evoluzione di un modello che si realizzò pienamente pochi decenni dopo, con l’Esposizione universale di Londra del 1851. La manifestazione ebbe grande successo e si caratterizzò per la costruzione del luminoso e trasparente contenitore di ferro e vetro del Crystal Palace, realizzato dall’architetto di serre e giardini Joseph Paxton.

Del 1855 è l’Esposizione universale di Parigi, manifestazione voluta da Napoleone III con lo stesso spirito con cui aveva promosso la trasformazione urbanistica realizzata da Haussmann di Parigi. L’elemento principale dell’impianto espositivo è il Palazzo dell’industria eretto, al centro degli Champs-Elysées, dall’ingegnere Barrault e dall’architetto Viel.

Dall’altra parte dell’oceano Atlantico, la celebrazione dello sviluppo economico e politico degli Stati Uniti ha luogo nel 1876 durante l’Esposizione di Philadelphia, per la prima volta distribuita in più padiglioni diversificati stilisticamente e divisi secondo i generi di produzione.

Nel frattempo in Europa hanno luogo, sempre a Parigi, l’esposizione del 1867 e quella del 1878, consacrata alla scienza, alla ricerca e alla diffusione del sapere. Se fino a quel momento gli impianti espositivi erano stati generalmente concepiti come interventi provvisori, in queste occasioni, invece, l’esposizione sfrutta, oltre al Champ-de-Mars, l’altura di Chaillot sull’altra riva della Senna, zona ancora poco urbanizzata, ma oggetto dei nuovi indirizzi di urbanizzazione di Parigi.

Le esposizioni del Novecento: utopie e mercato

Anche se nei dieci anni successivi si realizzano altre sei esposizioni (Sidney, Melbourne, Amsterdam, Anversa, Barcellona e Bruxelles), la più importante è senz’altro quella parigina del 1889. La mostra, decisa per le commemorazioni nel centenario della Rivoluzione francese, si contraddistingue per due opere: la Galérie des machines di Dutert e Victor Cottancin e la torre alta 300 metri progettata da Gustave Eiffel.

L’esposizione di Parigi del 1900 è l’ultima a conservare ancora lo spirito ottocentesco, ma già lascia intravedere i cambiamenti socio-culturali che avrebbero caratterizzato il XX secolo. Infatti, i grandi miglioramenti dei mezzi di comunicazione avevano nel frattempo molto ridimensionato la necessità di spazi per il confronto tra le varie produzioni nazionali, tramutando sostanzialmente le grandi esposizioni in immensi complessi propagandistici. L’esposizione parigina si caratterizzò, in ogni modo, da una parte per il concorso indetto per l’impostazione generale, da cui emersero proposte estremamente avveniristiche (come ad esempio il collegamento tra le diverse sezioni dell’esposizione tramite ferrovie sopraelevate e alti ponti sospesi sulla città), dall’altra per l’innovativa sostanziale integrazione tra arti plastiche e prodotti industriali. Nonostante che dalla seconda metà dell’Ottocento avesse registrato un importante sviluppo industriale, l’Italia ebbe un ruolo decisamente secondario nella definizione del modello espositivo. Tra le manifestazioni più importanti vanno comunque ricordate l’Esposizione di Milano nel 1881 e l’Esposizione Internazionale di arte decorativa di Torino nel 1902, in cui il progetto vinto da Raimondo D’Aronco, pur essendo chiaramente influenzato dalla secessione, costituisce l’unico rilevante esempio rinnovamento delle forme architettoniche in un panorama italiano fortemente in ritardo rispetto alle altre nazioni europee.

Particolare importanza, alla vigilia del primo conflitto mondiale riveste l’inaugurazione nel 1914 dell’Esposizione del Deutscher Werkbund di Colonia, a cui partecipano tutte le più importanti figure della cultura architettonica d’avanguardia europea. Tra i vari progetti, assai differenti ma fortemente influenzati reciprocamente, il teatro di Colonia progettato da Henri van de Velde, il padiglione austriaco di Josef Hoffmann, il palazzo per uffici e la galleria delle macchine realizzati da Walter Gropius e la Glashaus di Bruno Taut, che celebra, attraverso la cupola vetrata, il mito modernista della luce e della trasparenza.

Dopo il primo conflitto mondiale la natura delle proposte mutò radicalmente, spostandosi da un prevalente interesse per le sperimentazioni tecnico-architettoniche a un’attenzione verso la progettazione di innovative tecniche espositive. Si vennero, in altre parole, a definire soluzioni che sarebbero state in seguito largamente utilizzate negli allestimenti di esposizioni permanenti e musei.

A Parigi nel 1925 si svolge l’Esposizione internazionale di arte decorativa. Con la premiazione del padiglione di Konstantin Mel’nikov, in cui la disarticolazione dello spazio interno si realizza tramite la rottura della copertura in molteplici piani inclinati, viene conferito un primo riconoscimento ufficiale alla nuova architettura sovietica.

Nella stessa occasione Le Corbusier e Pierre Jeanneret (1896-1967) costruiscono il padiglione de l’Esprit Nouveau, vero e proprio manifesto dell’architettura moderna e del funzionalismo. Il programma si basa su due punti: l’alloggio-tipo, di realizzazione esclusivamente industriale con l’impiego sistematico di elementi standard, e lo studio di quei princìpi di standardizzazione nel contesto urbano.

Il tema dell’abitazione moderna troverà nel 1927 un altro importante momento di sperimentazione durante l’Esposizione del Deutscher Werkbund di Stoccarda con la progettazione, coordinata da Ludwig Mies van der Rohe, del quartiere Weissenhof. L’architetto tedesco, pochi anni dopo, realizza anche il padiglione della Germania per l’Esposizione internazionale di Barcellona del 1929. Costruito come edificio provvisorio, il padiglione di Mies propone una nuova concezione dello spazio, nel quale trasparenze e semplicità cooperano alla risoluzione di un’architettura in cui interno ed esterno si compenetrano armonicamente.

Nel 1930 l’esposizione di Stoccolma sancisce il definitivo rinnovamento nell’organizzazione del fenomeno espositivo su grande scala. L’architetto svedese Gunnar Asplund, responsabile dell’impianto espositivo generale, propone un originale progetto in cui i padiglioni vengono concepiti come semplici strutture provvisorie disposte intorno agli oggetti esposti.

Nel 1937 a Parigi si svolge una nuova Esposizione internazionale d’arte e tecnica. Alla retorica che contraddistingue il linguaggio dei padiglioni sovietico, tedesco e italiano, si contrappone il progetto di Josep Lluis Sert per il padiglione della Repubblica spagnola. Costruito su tre piani, con struttura in ferro e rivestimento in eternit ondulato e materiale traslucido, l’allestimento appare come un perfetto esempio di collaborazione tra architetti, scultori e pittori (al suo interno il famoso Guernica di Pablo Picasso, una fontana di Alexander Calder e un affresco di Juan Miró).

Nella Fiera Mondiale di New York del 1939 emerge per raffinatezza e sperimentalismo il padiglione finlandese progettato da Alvar Aalto che, proponendo una grande parete ondulata di legno suddivisa in quattro fasce di lettura inclinate, genera originali relazioni verticali e orizzontali tra grafica e oggetti esposti.

Pochi mesi dopo, con lo scoppio della guerra in Europa, si interrompe la stagione delle grandi manifestazioni espositive, tra cui la prevista Esposizione universale di Roma del 1942, che avrebbe dovuto rappresentare i fasti internazionali del regime fascista e indirizzare il futuro sviluppo urbanistico della capitale italiana.

In conclusione, se dalla prima metà dell’Ottocento le grandi esposizioni avevano svolto un ruolo fondamentale nel progettare gli spazi più innovativi per l’esibizione dei prodotti della civiltà industriale, dalla seconda metà del Novecento le logiche che avevano contraddistinto il modello delle grandi esposizioni entrano lentamente in crisi. Le nuove realtà determinate dall’avvento della cultura di massa e i più complessi meccanismi di promozione delle merci troveranno altre strade più adatte a soddisfare le esigenze di comunicazione e di consumo.

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