Le Fèvre d’Étaples, Jacques

Dizionario di filosofia (2009)

Le Fèvre d’Étaples, Jacques (latinizz. Faber Stapulensis) Umanista e teologo francese (Étaples, Passo di Calais, 1455 ca


Nérac 1536). Fu uno dei maggiori rappresentanti dell’umanesimo e dell’evangelismo francese. Acquisita una larga preparazione filologica a Parigi, fu in Italia (a Pavia, Padova, Roma, Firenze) tra il 1486 e il 1492, ove conobbe tra gli altri Pico della Mirandola e Ficino e maturò il proprio amore per il mondo antico. Tornato in Francia, insegnò nel collegio del card. Lemoine: qui iniziò lo studio e il commento di Aristotele; poi, il suo interesse si allargò ai primi tempi cristiani e alla patristica greca: tradusse e commentò lo pseudo-Dionigi, Ignazio, Policarpo, Giovanni Damasceno, Basilio, Gregorio di Nazianzo; ristampò opere di filosofi e mistici medievali (Riccardo di S. Vittore, Raimondo Lullo, ecc.), diffuse la traduzione ficiniana (rivista) del Corpus hermeticum e stampò le opere di Cusano (1514). Quindi affrontò il testo biblico rivedendo (ma senza controllo sul testo ebraico) la Vulgata geronimiana; passò ai commenti scritturali: Paolo (1512; le sue pagine furono forse conosciute da Lutero, che certamente lesse e postillò lo Psalterium quintuplex di Le F.), i Vangeli (1522), le epistole cattoliche (1527), accentuando i motivi parenetici ed esaltando lo spirito evangelico. Frattanto Le F. si era recato a Meaux (1520) presso il vescovo G. Briçonnet, già suo alunno, ardente propugnatore della riforma della Chiesa; intorno al vescovo e all’umanista si raccoglie tutto un gruppo di ferventi riformatori: G. Roussel, l’ebraista Fr. Vatable, M. Mazurier, P. Caroli (e a contatto con loro anche l’allievo di Le F., G. Farel, che passerà al luteranesimo). Nella convinzione che un ritorno alla vera parola della Scrittura fosse il più valido strumento di riforma, Le F. si dedicò alla traduzione in volgare della Bibbia (1523-28). Già nel 1521 e nel 1523 la Sorbona aveva cercato di colpire Le F., ma la protezione di Francesco I l’aveva salvato; nel 1525, mentre il re era prigioniero in Spagna, una commissione di inquisitori iniziò il processo contro il gruppo di Meaux; Le F., con Caroli e Roussel, si rifugiò a Strasburgo. Fu ancora l’intervento di Francesco I a salvare Le F., che tornò in Francia (1526) al castello di Blois, dove curò la versione francese dell’Antico Testamento. Ma alla Sorbona si cercava continuamente ogni mezzo per perseguire Le F., del quale si condannava anche la revisione critica cui aveva sottoposto alcune agiografie medievali; l’umanista allora si trasferì a Nérac (1529-30), protetto da Margherita di Navarra (a Nérac, nel 1534, Le F. incontrò il giovane Calvino). Diversi e contrastanti i giudizi sulla figura di Le F., ora considerato fautore del luteranesimo, ora rivalutato nei suoi intenti di riformatore cattolico; certo egli fu uno dei più caratteristici esponenti dell’evangelismo che circolava in molti ambienti umanistici dove il richiamo all’interiorità, alla fede e alla grazia contro il formalismo esteriore, al più diretto contatto con la Bibbia al di là della gerarchia ecclesiastica, poteva essere inteso, e spesso storicamente lo divenne, come riformismo luterano; in realtà, però, non vi fu in Le F. volontà di rottura con la tradizione ecclesiastica quanto piuttosto ricerca del senso più vero e più intimo di quella tradizione.

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