Le novità in tema di indagini preliminari

Il libro dell anno del diritto 2018 (2018)

Le novità in tema di indagini preliminari

Antonella Marandola

La l. 23.6.2017, n. 103, meglio nota come “riforma Orlando”, sembra protesa prevalentementeal soddisfacimento della durata ragionevole dei processi. È in quest’ottica che il legislatore ha apportato delle sporadiche modifiche alla normativa processuale dedicata alle indagini preliminari prevalentemente volte, da un lato, a realizzare una rapida ed immediata definizione dei procedimenti, con evidenti effetti sul piano temporale, e dall’altro lato, una (minimale) implementazione delle garanzie dei soggetti processuali.

La ricognizione

La cd. “riforma Orlando” non ha operato una modifica strutturale delle disposizioni processuali dedicate alle indagini preliminari, intese in senso lato. Gli interventi appaiono settoriali, non organici e frammentari. Ciò nonostante essi consentono di individuare un filo conduttore comune nella rapida ed immediata definizione dei procedimenti.

La focalizzazione

Un’attenta lettura dell’intervento operato dalla tanto attesa l. n. 103/2017 sul versante delle indagini pare, innanzitutto, fornire delle soluzioni normative ad alcune questioni applicative capaci di superare talune impasses procedurali, com’è avvenuto per la problematica legata alle condizioni di incapacità dell’indagato e per la determinazione degli “effetti” derivanti dall’elezione del domicilio presso il difensore d’ufficio. Le modifiche si estendendo, in secondo luogo, all’ampiamento del diritto dell’assistito in custodia cautelare o in stato di arresto o fermo a conferire con il difensore e del diritto della persona offesa ad avere conoscenza dello “stato ”del procedimento. Il fine dell’accelerazione procedurale è, invece, sotteso alla disciplina dettata in tema di effetto della riserva “inevasa” di incidente probatorio formulata dall’indagato e, soprattutto, nella nuova regolamentazione dei termini per l’azione penale (o meno)1.

Incapacità irreversibile dell’imputato

Nel quadro appena prospettato s’inserisce la riforma della disciplina dei cd. eterni giudicabili (art. 71 e 72 bis c.p.p.).

Il legislatore prevede che qualora non possa essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che per infermità sopravvenuta al fatto ovvero originaria (C. cost., 24.7.1998, n. 340) l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche d’ufficio perizia. Se la situazione si prospetta durante le indagini preliminari si procede con incidente probatorio.

Se all’esito degli accertamenti si accerta che effettivamente l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo o al procedimento il giudice ne dispone la sospensione. Alla scadenza del sesto mese, ovvero anche prima se necessario, il giudice dispone ulteriori accertamenti e così provvede ad ogni successiva scadenza di sei mesi, salvo che sia possibile che il procedimento possa riprendere il suo corso.

Il legislatore ha ritenuto che questa disciplina potesse essere corretta nel caso in cui gli accertamenti peritali avessero evidenziato una situazione irreversibile tale da rendere inutile la ripetizione degli accertamenti, considerando altresì – come effetto combinato – che la Corte costituzionale (C. cost., 14.2.2103, n. 23) ha precisato che la sospensione del procedimento poteva essere disposta a condizione che l’incapacità apparisse “reversibile”.

Si è, conseguentemente, previsto che nel caso in cui gli accertamenti disposti dovessero evidenziare l’irreversibilità della condizione dell’imputato, il giudice pronuncia una sentenza per difetto di una condizione di procedibilità, con la conseguenza che, qualora il soggetto riacquistasse la capacità di partecipare al processo (o forse anche una condizione reversibile), il procedimento potrebbe riavviarsi. A tal fine l’art. 345, co. 2, c.p.p. è stato interpolato con un riferimento alla sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 72 bis c.p.p.2

La sentenza di improcedibilità non potrebbe essere pronunciata nel caso in cui il soggetto risulti pericoloso, dovendo essere applicata una misura di sicurezza (diversa dalla confisca).

La previsione prospetta, peraltro, degli interrogativi in ordine alla possibilità di poter disporre un provvedimento archiviativo, ove la riferita situazione di irreversibilità si prospettasse nel corso delle indagini preliminari3.

Colloqui del ristretto o arrestato con il difensore

Un secondo intervento normativo ha riguardato l’art. 104 c.p.p. relativamente ai colloqui del difensore con l’imputato non solo in stato di custodia cautelare, ma anche in stato di arresto o di fermo. Confermando una linea riformatrice presente nella riforma, tesa ad inasprire le previsioni in relazione ai delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e co. 3-quater, c.p.p., si prevede che solo in questi casi, sussistendo specifiche ed eccezionali esigenze di cautela, il giudice, su richiesta del p.m., con decreto motivato, possa dilazionare per un tempo non superiore a cinque giorni l’esercizio del diritto del soggetto in vinculis di conferire con il proprio difensore che, diversamente, potrebbe esercitare questa facoltà sin dall’inizio dell’esecuzione della misura. Se il termine di cinque giorni copre evidentemente il tempo per l’espletamento dell’interrogatorio di garanzia – prima del quale il soggetto dovrebbe poter conferire con il suo difensore, anche nel caso del fermo o dell’arresto, considerato il tempo della celebrazione della convalida – il potere esercitato dal p.m. dovrebbe riguardare solo il tempo antecedente la partecipazione dell’imputato all’udienza di cui all’art. 391 c.p.p.

Difensore di fiducia ed elezione di domicilio: effetti

L’art. 1, co. 24, l. n. 103/2017 introduce un co. 4-bis all’art. 162 c.p.p. con cui si prevede che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario. La norma consente di superare la diffusa prassi dell’elezione di domicilio “forzata” presso il difensore d’ufficio che originava la cd. “falsa reperibilità” dell’imputato e premetteva di procedere in assenza dello stesso ai sensi dell’art. 420 bis, co. 2, c.p.p. La normativa previgente aveva, infatti, introdotto un meccanismo presuntivo, che prescindeva ampiamente da ogni indagine circa la effettiva conoscenza del processo penale da parte dei soggetti (per lo più stranieri e senza fissa dimora) che dopo l’invito ad eleggere domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio, non avevano più alcuna notizia del procedimento penale a loro carico. A sua volta, il difensore di ufficio non aveva, poi, la concreta possibilità di reperirli.

L’aporia è eliminata dalla riforma che introduce, da un lato, l’effettiva conoscenza in capo all’interessato del procedimento a suo carico (e dei suoi successivi sviluppi) e, dall’altro lato, a fronte del consenso prestato, consente un contatto diretto tra il difensore d’ufficio e la parte assistita, eliminando, così, ogni differenza con la difesa fiduciaria.

L’ art. 162, co. 4-bis, c.p.p. permette, ora, al difensore d’ufficio indicato come domiciliatario, di acconsentire o meno a tale elezione (con ciò che ne consegue sul piano della disciplina del procedimento in assenza)4. L’assenso deve essere raccolto e/o accertato da parte dell’Autorità procedente. Esclusa la necessità della forma scritta, le concrete modalità di accertamento e documentazione dell’assenso sono già oggetto di prassi e/o protocolli emessi dall’Autorità Giudiziaria; il mancato assenso dovrebbe attivare il ricorso alla procedura ordinaria di notificazione ex artt. 157 e 159 c.p.p. e non quella prevista all’art. 161, co. 4, c.p.p.

La nuova garanzia per la persona offesa

Sono ispirate alle esigenze, ultimamente notevolmente rafforzate, di assicurare maggiori poteri alla persona offesa, le modifiche – tra loro collegate – previste dagli artt. 90 e 335 c.p.p. Con l’inserimento di un comma 3 bis in quest’ultima norma, si prevede che, trascorsi sei mesi dalla data della denuncia o della querela, la persona offesa – se ciò non pregiudica le indagini – può chiedere all’autorità che ha in carico il procedimento, di informarlo sullo stato del medesimo. Trattasi di un elemento aggiuntivo rispetto alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato (già previsto nella formulazione originaria della lett. b), co. 1, dell’art. 90 bis c.p.p.). Il termine di sei mesi coincide con la possibile prima richiesta di proroga delle indagini preliminari e non dovrebbe trovare ostacoli nel potere di segretazione del p.m. ai sensi del comma 3 bis dello stesso art. 335 c.p.p. Naturalmente, le esigenze investigative potranno prevalere sul contenuto delle informazioni che potranno essere fornite: in ogni caso dovrebbero collocarsi al di là di quanto la persona offesa è in grado di conoscere sulla scorta delle previsioni che la riguardano. A rafforzare e a rendere effettiva questa facoltà, con la modifica dell’art. 90 bis c.p.p., attraverso l’inserimento, al comma 1, lett. b), del richiamo alla nuova previsione, si stabilisce che, sin dal primo contatto con l’autorità procedente, venga fornita alla persona offesa, in una lingua a lei comprensibile l’informazione relativa a questa facoltà.

Invero, nel coordinare la previsione dell’informativa nell’art. 90 c.p.p., ove già figurava la facoltà di chiedere informazioni sullo stato del procedimento ed il richiamo inserito, ora, nell’art. 335, co. 3-ter, c.p.p., a sua volta richiamato in materia di iscrizioni dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 90 bis c.p.p., sembra emergere che le notizie debbano riguardare il contenuto aggiornato delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato.

È dubbio che analogo potere spetti al suo difensore5.

Riserva di incidente probatorio

La “riforma Orlando” è intervenuta sulla disciplina degli accertamenti tecnici non ripetibili.

La disciplina di cui all’art. 360 c.p.p. evidenziava una smagliatura nell’ordito procedimentale. Era, infatti, previsto che il p.m., non procedesse agli accertamenti tecnici non ripetibili in presenza della riserva di incidente probatorio formulata dalla difesa, eccettuata l’ipotesi in cui il differimento per l’espletamento dell’incidente probatorio non rendesse gli accertamenti non più utilmente espletabili. L’erronea valutazione da parte del p.m. sull’eccezione difensiva rendeva i risultati degli accertamenti non utilizzabili nel dibattimento.

La disciplina non chiariva a chi spettasse promuovere l’incidente probatorio, ed anche ammesso che provvedesse il p.m., mancava una indicazione temporale entro la quale la difesa doveva indirizzarne al g.i.p. la relativa richiesta. Con il nuovo comma 4-bis dell’art. 360 c.p.p. si prevede ora che la riserva di incidente probatorio perde efficacia e non può essere ulteriormente formulata se la richiesta della difesa non è proposta entro dieci giorni dalla formulazione della riserva. Al di là della ritenuta eccessività del termine e del richiamo improprio all’inefficacia6 (posta l’assenza di un atto processuale sul quale essa può “cadere”), la soluzione normativa permetterà al p.m. di espletare gli accertamenti tecnici non ripetibili senza alcun rischio, sussistendo o meno le condizioni dell’irripetibilità di non poter utilizzare i risultati conseguenti.

Dovrebbe ritenersi che se nel termine della richiesta dovessero maturare le condizioni per l’impossibilità di svolgere utilmente gli accertamenti, il p.m. dovrebbe poter procedere.

Durata delle indagini

Una maggiore organicità è identificabile nelle modifiche introdotte in materia di durata delle indagini. Com’è noto nella logica del cd. sistema bifasico, che aveva connotato una delle scelte di fondo del codice di rito del 1988, una significativa novità era sicuramente rappresentata dalla previsione di tempi determinati (artt. 50, 405 e 407 c.p.p.) non escluse le proroghe, esse pure determinate, per lo svolgimento delle indagini preliminari, per le quali comunque erano fissati tempi massimi. Sono note le vicende successive che hanno determinato l’elefantiasi delle investigazioni e lo spostamento del baricentro del processo nella fase investigativa. Nello schema si è anche inserita l’introduzione dell’art. 415 bis c.p.p. Entro i riferiti termini, integrati da quelli conseguenti al deposito degli atti, il p.m. era tenuto a richiedere l’archiviazione o ad esercitare l’azione penale. L’eventuale mancata iniziativa, nell’esercizio dell’azione penale o nella sentenza di archiviazione, prevedeva l’avocazione del Procuratore generale.

Il sistema, a parte la constatazione dell’inerzia del Procuratore generale, aveva evidenziato come, scaduti i termini delle indagini, mancasse un ulteriore termine entro il quale il p.m. doveva determinarsi: il combinarsi dei due elementi incideva sulla durata ragionevole del processo e sul decorso della prescrizione, senza considerare la discrezionalità che veniva assegnata al p.m. Peraltro, in alcune sedi giudiziarie non poche erano le difficoltà nello scorrimento dei procedimenti alla fase dibattimentale davanti al giudice monocratico.

In questo contesto, interviene la modifica agli artt. 407 e 412 c.p.p. Con il comma 3-bis dell’art. 407 c.p.p. si prevede che “in ogni caso”, il p.m., entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo delle indagini preliminari e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415 bis c.p.p., deve («è tenuto») a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione. Su richiesta del Procuratore della Repubblica, con decreto motivato, il Procuratore generale può prorogare per non più di tre mesi, questo termine, qualora si tratti di notizie di reato che rendano particolarmente complesse le indagini per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone indagate o di persone offese: si tratta della situazione di cui alla lett. b), co. 2 dell’art. 407 c.p.p. Per i reati di cui all’art. 407, co. 2, lett. a), nn. 1, 3 e 4, c.p.p. il termine è di quindici mesi. Qualora entro questi termini, il p.m. non assuma le più volte riferite determinazioni, dovrà immediatamente darne comunicazione al Procuratore generale.

A questa previsione si correla la modifica dell’art. 412 c.p.p. ove si stabilisce che il Procuratore generale presso la Corte di appello, se il p.m. non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto dall’art. 407, co. 3-bis, c.p.p., dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari.

Senza entrare nel dibattito politico-istituzionale che ha interessato questa previsione7 (fra le altre: difficoltà delle procure generali di “smaltire” le informazioni delle procure; applicazione di sostituti procuratori della Repubblica; rischi di gestione delle udienze preliminari e dei dibattimenti davanti al Tribunale monocratico; possibilità di determinazioni affrettate), restano alcuni nodi interpretativi.

Invero, a parte la considerazione che l’avocazione andrebbe disposta anche se il p.m. non dovesse aver concluso le indagini con il deposito degli atti ex art. 415 bis c.p.p., resterebbero da chiarire, considerato il contenuto del secondo periodo dell’art. 412 c.p.p. (il Procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione), i poteri del Procuratore generale tra avocazioni delle indagini ed avocazione ai (soli) fini dell’esercizio dell’azione penale (la norma non fa riferimento, forse per un difetto di coordinamento, alla mancata archiviazione), fermo restando che, una volta informato il Procuratore generale, il p.m. non potrebbe più determinarsi (neppure in pendenza della richiesta di proroga).

Al di là della natura perentoria ovvero ordinatoria del termine, la previsione sembrerebbe conferire – nonostante il criterio della indispensabilità – ampi poteri al Procuratore generale, che forse potevano maggiormente giustificarsi nella formulazione della previsione nel testo antecedente all’introduzione dell’art. 415 bis c.p.p.

Le disposizioni in esame si applicano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell’apposito registro di cui all’art. 335 c.p.p. e non dall’entrata in vigore della legge in commento.

Termine delle indagini contro noto identificato

La riforma interviene, infine, sull’art. 415 c.p.p., inserendo un nuovo comma 2-bis il quale dispone che il termine semestrale per l’esercizio dell’azione penale fissato dall’art. 405, co. 2, c.p.p. e decorrente dalla data di iscrizione nel registro degli indagati, in caso di iscrizione coatta ex art. 415, co. 2, c.p.p., va computato dal provvedimento del giudice e non dalla data di effettiva iscrizione. La novella riduce quello spazio temporale fra l’ordine del g.i.p. e l’iscrizione del nominativo della persona sottoposta alle indagini identificata, che vanificava l’intera costruzione delle tempistiche investigative appena menzionate.

I profili problematici

Non sono molte le questioni problematiche aperte dalla riforma in relazione alle modifiche introdotte in materia di indagini preliminari. Certamente quelle più evidenti investono le modalità con le quali dichiarare l’incapacità dell’indagato, ma, soprattutto, il rispetto della disciplina dei termini entro cui devono essere definiti i procedimenti e quella dell’avocazione. V’è da dire che è sicuramente questo un punto qualificante della riforma, che muove dalla constatazione della grave inerzia degli uffici del p.m. in questo segmento procedurale, come dimostra il fatto che lo stesso Parlamento abbia impegnato il Governo ad «un monitoraggio sin dalle prime applicazioni della legge al fine di verificare l’adeguatezza delle misure organizzative poste in essere dagli uffici delle Procure presso i Tribunali e delle Procure generali finalizzate all’attuazione della normativa»8.

Note

1 Cfr., amplius., Gialuz, M.Cabiale, A.Della Torre, J., Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, fasc. 3, 2 ss.

2 Per ulteriori problemi, Giarda, A., Le nuove indagini preliminari: rinforzo di garanzie ed accelerazioni funzionali, Dir. pen. e processo, 2017.

3 Spangher, G., Gli “eterni giudicabili”, in La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, a cura di G. Spangher, Pisa, 2017, 102.

4 Cfr., Parodi, C., Riforma Orlando: tutte le novità, Milano, 2017, 58; Spangher, G., Elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, in Spangher, G., La riforma Orlando, cit., 106.

5 Così, Parodi, C., Riforma Orlando, cit., 41.

6 V., Giarda, A., Le nuove indagini preliminari, cit.

7 Marandola, A., Termini per l’esercizio dell’azione penale e avocazione del Procuratore Generale, in Spangher, G., La riforma Orlando, cit., 1073.

8 Cfr., Odg n. 9/4368/53, Rossomando, Palese.

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