LE TECNOLOGIE DUALI: APPLICAZIONI CIVILI E MILITARI

XXI Secolo (2010)

Le tecnologie duali: applicazioni civili e militari

Valerio Briani
Giovanni Gasparini
Valérie Miranda

Lo sviluppo, la conoscenza e l’impiego delle tecnologie rappresentano il principale fattore evolutivo delle società moderne e ne determinano il rispettivo posizionamento economico, in termini di catena del valore, produttività e redditività, nonché di potenza relativa, definita quale capacità di protezione degli interessi vitali e di influenza sugli altri attori dell’arena internazionale. Le principali innovazioni tecnologiche si sviluppano grazie a due fonti di finanziamento, quella privata, legata alla libertà imprenditoriale, e quella pubblica, determinata dagli obiettivi di politica governativa. In questo secondo ambito, un ruolo consistente ha storicamente giocato la politica di sicurezza e difesa dello Stato, che si manifesta in investimenti in ricerca e sviluppo a fini militari. La logica delle due guerre mondiali e del confronto bipolare ha determinato nel corso del 20° sec. una crescita rapidissima di tecnologie espressamente legate al dominio militare (basti pensare all’ambito nucleare, alla missilistica, alle reti di comunicazioni sicure). Dalla fine della guerra fredda, accanto alla domanda militare declinante, si è affermata in misura crescente una domanda di sicurezza non più risolvibile, ormai, soltanto con un approccio di tipo militare, essendo contestualmente aumentata la possibilità di soddisfare tali richieste (di difesa militare e di sicurezza in generale) grazie a tecnologie che emergono dal tessuto produttivo complessivo.

Il paradigma di trasferimento tecnologico unilaterale e lineare dal militare al civile, tipico del periodo che va dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, è stato superato da un’impostazione circolare in cui la molteplicità degli attori e delle finalità spinge, in contesti di risorse scarse e di elevatissima competizione su scala globale, a un’integrazione. La possibilità di impiegare la stessa tecnologia per soddisfare esigenze di diverso tipo (difesa dello Stato, sicurezza dei cittadini da un ampio spettro di rischi e applicazioni che possono anche non aver nulla a che fare con la sicurezza) garantisce un potenziale di mercato assai più elevato, a costi inferiori e distribuiti su un numero molto più grande di soggetti.

Le tecnologie duali per loro natura rimangono peraltro di difficile categorizzazione. La dualità, infatti, può essere determinata dall’utenza, nel caso dell’impiego da parte militare di tecnologia ampiamente diffusa a livello civile, la cui sofisticazione ormai spesso raggiunge o addirittura supera i requisiti militari (si pensi al settore della crittografia dei dati per il sistema finanziario), o dalla combinazione originale di più tecnologie di provenienza civile, o, infine, dall’esplicito impegno governativo o imprenditoriale a perseguire soluzioni tecnologiche comuni a più attori per problemi simili (come gli investimenti congiunti nel settore dell’osservazione della Terra dallo spazio).

La parte introduttiva di questo saggio si limita a individuare quali siano i settori generici più promettenti da questo punto di vista e a discutere i due modelli di riferimento dell’attuale e futuro sviluppo tecnologico occidentale in un ambito di globalizzazione della sicurezza e della difesa: il modello statunitense, tuttora dominante, e quello (emergente) europeo, legato soprattutto alla sicurezza civile. A seguire, verrà affrontato il problema del controllo di queste tecnologie duali, poiché esse presentano costitutivamente interrogativi ai regimi preposti al contenimento degli effetti negativi di una loro utilizzazione. Basti citare le biotecnologie, utili per migliorare la medicina ma anche passibili di impiego quali armi devastanti, o il più classico ambito nucleare, in cui la tecnologia serve per la produzione di elettricità o di testate dall’enorme potere distruttivo. Infine, saranno presentate alcune considerazioni circa le prospettive future dell’impatto delle tecnologie duali sugli equilibri politici globali.

Le principali aree tecnologiche duali

Parlando di tecnologie duali, è opportuno fare una distinzione tra beni che sono per loro natura duali e beni il cui utilizzo non proprio rende duali. Per es., un motore progettato per aerei da carico è un prodotto intrinsecamente duale: è destinato alla propulsione di aerei, civili o militari che siano. I meccanismi di lancio per satelliti sono invece progettati e disegnati con uno scopo preciso: possono però essere utilizzati come sistemi di lancio di missili balistici (o possono fornire le conoscenze per la costruzione di tali sistemi). Vanno inoltre menzionati i casi in cui è l’abbinamento di tecnologie a determinare la dualità: per es., un normale computer disponibile al pubblico che, inserito in una rete con altre macchine analoghe, può diventare uno strumento di progettazione utilizzabile da un’industria militare che non dispone di computer con capacità di calcolo avanzate.

Nel corso degli ultimi decenni il novero delle tecnologie e dei prodotti duali è cresciuto notevolmente. Il contenuto tecnologico dei materiali militari si è elevato, generando una domanda di tecnologia che è stata soddisfatta anche dall’ampio mercato di beni civili (a sua volta sempre più tecnologicamente avanzato). Con l’avvento della cosiddetta rivoluzione negli affari militari l’utilizzo di tecnologie civili in campo militare si è fatto ancora più estensivo. Tale rivoluzione mette l’accento sulla capacità di raccolta, diffusione e scambio di informazioni sul campo di battaglia. La sua applicazione pratica ha quindi coinciso con l’adozione, da parte degli eserciti, di tecnologie di comunicazione fino ad allora destinate principalmente a uso civile.

Il campo dell’information technology (IT), ossia la tecnologia della gestione dell’informazione, è sostanzialmente duale. Sensori avanzati, insieme a computer e sistemi di comunicazione basati su tecnologia informatica, sono impiegati dagli eserciti più moderni per l’acquisizione, il riprocessamento, la gestione e la comunicazione in tempo reale delle informazioni (video, audio o di altro genere). Reti di sensori di rilevamento o di tracciamento costituiscono oggi un importante strumento utilizzato dagli eserciti e dalle agenzie di sicurezza per ottenere informazioni sul campo di battaglia o in aree sottoposte a controllo. Computer con elevate capacità di calcolo servono anche per la progettazione di sistemi d’arma avanzati come aerei da combattimento o missili, e per le simulazioni di utilizzo. Tuttavia i computer, anche di elevata potenza, sono oggi un bene di massa disponibile su tutti i mercati e ampiamente usato nei più svariati modi da milioni di persone in tutto il mondo. Anche strumenti come microfoni, rilevatori di temperatura o di movimento hanno un utilizzo estensivo in campo civile. Vengono impiegati, per es., per il monitoraggio di macchinari e della distribuzione di energia elettrica, per la gestione degli inventari e il tracciamento delle merci, o come sistemi di sicurezza per edifici, abitazioni, infrastrutture. I sensori per uso militare sono parzialmente differenti da quelli per uso civile: devono necessariamente essere più piccoli, resistenti e capaci di maggiore autonomia e potenza per essere utilizzati in condizioni estreme e rimanere affidabili. La tecnologia di base rimane però la stessa.

Beni e tecnologie nucleari sono un’altra categoria di prodotti interamente duali. Le strutture, i macchi­nari, le procedure e i materiali necessari per alcuni metodi di produzione di energia sono esattamente gli stessi che permettono la produzione di armi atomiche. Uno dei principali modi per produrre energia dal nucleare consiste nell’arricchimento dell’uranio mediante centrifughe; lo stesso procedimento permette di ottenere uranio altamente arricchito necessario per un ordigno atomico. L’arricchimento dell’uranio non è l’unico metodo per produrre energia nucleare, e possedere uranio arricchito non è sufficiente per costruire una bomba atomica: tuttavia, il dualismo delle tecnologie nucleari costituisce un serio problema di non proliferazione.

Anche il campo dell’aeronautica è considerato un’area tecnologica quasi completamente duale (non a caso le principali industrie aeronautiche operano indistintamente sia nel campo civile sia in quello militare). Materiali, componenti specifiche (motori, sensori ecc.), tecniche di costruzione, conoscenze scientifiche del campo aeronautico sono intrinsecamente duali, utili per costruire aerei civili e militari.

Specificatamente duale è il settore spaziale, a cui appartiene uno dei sistemi duali più conosciuti e utilizzati, il global positioning system (GPS). Il GPS, sistema di posizionamento basato su una costellazione di 31 satelliti, nasce come strumento militare e viene poi aperto all’uso commerciale (anche se rimane sotto il controllo del dipartimento della Difesa americano). Oltre al posizionamento, i satelliti sono poi impiegati per altri scopi civili come comunicazioni audio e video, produzione di immagini e dati per scopi scientifici, previsioni meteorologiche. Le stesse applicazioni, tuttavia, sono utilizzate dalle forze armate statunitensi per ottenere informazioni sulle aree di combattimento, per la comunicazione tra le varie unità, o per il puntamento di missili di vario tipo. Infine, altre aree scientifiche le cui tecnologie sono principalmente duali sono la chimica e la biologia. Le armi chimiche e biologiche sono bandite dai trattati internazionali proprio per la loro terrificante efficacia, e non dovrebbero teoricamente figurare negli arsenali militari. Diversi Paesi sono però sospettati di possederne. Oltre che nel campo degli armamenti veri e propri, agenti chimici sono utilizzati in campo militare anche per il miglioramento di esplosivi, combustibili e carburanti, o per altri usi (per es., come fumogeni). Lo sviluppo di queste tecnologie duali viene perseguito in ambito occidentale con diverso impulso e differenti modelli di riferimento.

Il modello statunitense

La ricerca militare e duale negli Stati Uniti

Il modello di sviluppo tecnologico dipende da due fattori concorrenti: una forte spesa privata in ambito tecnologico e una visione di politica pubblica in cui il sostegno alle tecnologie nel settore militare rimane forte e stabile da decenni. Con una spesa militare in continuo aumento e pari, nel 2007, al 45% di quella mondiale, gli Stati Uniti si distinguono anche per la quantità delle attività svolte nel campo della ricerca a fini militari. Secondo le stime dell’Office for management and budget della Casa Bianca, la ricerca a scopi di difesa nazionale ha rappresentato, nell’anno fiscale 2009, circa il 60% del budget federale per ricerca e sviluppo (R&S).

Un attore di primo piano nella ricerca militare statunitense è il dipartimento della Difesa (DoD, Department of Defense), il quale finanzia attività di R&S (comprendenti non solo la ricerca, di base e applicata, e lo sviluppo in senso stretto, ma anche le fasi successive di collaudo e ingegnerizzazione) sia extra moenia sia intra moenia. All’interno del DoD, la principale agenzia di ricerca è la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), il cui obiettivo statutario è assicurare agli Stati Uniti la superiorità tecnologica rispetto a potenziali avversari. Per le attività extra moenia, il DoD si avvale, oltre che di una serie di centri privati non-profit, di una rete di laboratori di ricerca a livello federale, gestiti, tra gli altri, dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration), l’ente spaziale statunitense, dal dipartimento dell’Energia (DoE, Department of Energy) o, dal 2003, dal dipartimento per la Sicurezza nazionale (DHS, Department of Homeland Security). Importante è poi il ruolo delle industrie, che hanno acquisito un peso crescente nel finanziamento delle attività di R&S, fino a coprire i due terzi delle relative spese (Flamm 2005).

Il forte orientamento militare della ricerca statunitense si spiega innanzitutto con la necessità che gli Stati Uniti hanno sempre sentito di garantire il proprio primato tecnologico. Inoltre, almeno fino alla fine degli anni Settanta del 20° sec., gli ingenti investimenti nella ricerca e nell’industria militare sono parsi pienamente giustificabili in virtù della fiducia riposta nel meccanismo di spin-off, in base al quale si riteneva che la semplice ricaduta di conoscenze scientifiche e tecnologiche dal settore militare a quello civile avrebbe garantito da sola la crescita dell’economia. Tale paradigma ha mostrato i suoi limiti già nel decennio successivo, in corrispondenza di un crescente e rapido sviluppo della tecnologia in settori civili (elettronica, trasporti, macchine utensili) cruciali anche per la difesa e dall’emergere, quali leader nel settore, di imprese europee e giapponesi, a detrimento dei concorrenti statunitensi. In questo nuovo contesto, è emersa dunque una duplice consapevolezza. Da un lato, il riconoscimento della necessità di elaborare politiche industriali che, sfruttando le potenzialità del settore civile, potessero favorire lo sviluppo di tecnologie civili da trasferire poi su prodotti militari (spin-on; Reppy 2006). Dall’altro, l’ammissione che la diffusione delle conoscenze tecnologiche dal settore militare a quello civile non potesse più avvenire su base automatica, ma dovesse essere il frutto di specifici investimenti per programmi che fin dall’inizio avessero previsto un duplice uso, militare e civile, delle conoscenze sviluppate. In entrambi i casi, la chiave di volta era dunque rappresentata dalle tecnologie duali.

Dopo una piccola anticipazione costituita dal programma dello Small business innovation research che, istituito nel 1982 e ancora in corso, prevede il trasferimento di tecnologie sviluppate in laboratori militari a piccole e medie imprese statunitensi grazie a fondi del DoD, l’amministrazione Clinton si fece carico di delineare, nel corso degli anni Novanta, una politica ufficiale in materia di duali. Obiettivo di tale strategia era servirsi delle caratteristiche e del modus operandi del settore commerciale per favorire una razionalizzazione, e quindi una maggiore efficienza, del sistema di produzione militare. Di tale sistema si lamentavano l’eccessivo divario temporale tra la scoperta/sviluppo di nuove tecnologie e il loro concreto utilizzo; i costi eccessivi a fronte di budget militari più limitati; una debolezza intrinseca della base industriale della difesa dovuta soprattutto a procedure di procurement (acquisizione dei beni) complesse e poco concorrenziali. La collaborazione tra settore commerciale e Difesa, invece, mediante investimenti diretti nella R&S per tecnologie duali, l’integrazione della produzione militare e commerciale e, infine, l’introduzione di capacità commerciali nei sistemi militari, poteva rivelarsi la soluzione ideale. Queste politiche hanno avuto un forte impatto sulle attività del DoD, soprattutto in termini di razionalizzazione delle attività di ricerca, ormai dedicate sempre più spesso a tecnologie duali, e di utilizzazione di componenti commerciali in sistemi d’arma. Tuttavia, l’elevata priorità attribuita a livello federale alle politiche duali non ha avuto largo seguito dopo l’amministrazione Clinton. Non per questo la dipendenza del sistema militare statunitense dalle tecnologie civili è diminuita (Reppy 2006).

La rivoluzione negli affari militari e le tecnologie duali

Nel quadro dello scenario internazionale postbipolare delineatosi successivamente alla fine della guerra fredda e agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, la ridefinizione del nemico contro cui combattere, come pure la crescente imprevedibilità delle sfide alla sicurezza internazionale, hanno comportato un ampliamento dei compiti delle forze armate, rendendo necessaria una trasformazione negli affari militari. Avviata già all’indomani della prima guerra del Golfo nel 1991, essa ha subito negli ultimi anni una brusca accelerazione e ha trovato piena attuazione nella recente operazione Iraqi freedom del 2003. La Revolution in military affairs (RMA) consiste in un significativo cambiamento dei concetti strategici, degli assetti militari e dell’organizzazione stessa delle forze armate americane, individuando nella disponibilità delle informazioni il fattore centrale delle sfide da affrontare. Questo approccio trova la sua massima espressione nella nuova teoria del network centric warfare, il cui scopo è trasformare il vantaggio di possedere e controllare informazioni in uno strategico e tattico (Carati 2008). Sotto il profilo strategico, il miglioramento del proprio sistema di raccolta, gestione e condivisione delle informazioni consente agli Stati Uniti di ridurre l’indeterminatezza circa l’origine delle minacce alla propria sicurezza, cui corrisponde, dal punto di vista operativo, una migliore conoscenza del campo di battaglia, sempre più spesso situato in territori rischiosi e problematici per le truppe.

Nel quadro di una guerra ormai digitalizzata, la tecnologia, e in particolare l’IT ampiamente sviluppata dal settore civile/commerciale, assume un ruolo determinante e il sistema militare statunitense, intenzionato a mantenere il proprio primato, ne risulta sempre più dipendente. Se nel passato esigenze di natura militare avevano dato un forte impulso allo sviluppo dell’informatica (si pensi, per es., a Internet, che, con il nome di ARPANET – Advanced Research Projects Agency Network –, fu tra i primi progetti finanziati dalla DARPA), ora il binomio risulta invertito. Esempi principali delle attuali applicazioni duali sono dunque l’IT, l’elettronica, i sistemi di comunicazione digitalizzata e integrata, quelli di navigazione satellitare e a fibra ottica e di identificazione, divenuti indispensabili per soddisfare le cosiddette capacità C4IEW (Command, Control, Communications, Computers, Intelligence and Electronic Warfare).

Tale tendenza sembra confermata anche dalla natura dei programmi, esplicitamente duali, finanziati dalla DARPA nell’anno fiscale 2009. Tra questi sono infatti inclusi sensori fotonici a banda larga, utilizzabili sia per i sistemi wireless commerciali sia per applicazioni militari; sensori che in ambito civile forniranno immagini ad alta definizione utili per la navigazione in auto, per la tutela dell’ordine pubblico e a scopi medici, mentre, a fini militari, forniranno immagini multiscopo; sistemi laser i quali, oltre il DoD, interesseranno il settore delle telecomunicazioni commerciali; circuiti integrati tridimensionali, la cui applicazione duale comprende dispositivi di comunicazione mobile, processori a segnale digitale e sistemi computerizzati integrati e ad alta definizione. Rilevanti, infine, sono quei programmi che intendono migliorare la qualità del segnale GPS rispetto a possibili interferenze o in condizioni di difficile utilizzazione.

Le tecnologie duali e la mancata revolution in business affairs

Una questione ancora attuale, in quanto insoluta, nel dibattito americano sulle tecnologie duali riguarda la razionalizzazione della base industriale della difesa che, secondo i piani proposti fin dagli anni Novanta del 20° sec. dall’amministrazione Clinton, poteva ottenersi grazie all’integrazione della produzione militare e di quella commerciale. Tuttavia, le ripetute iniziative tese a favorire l’inclusione, tra i suppliers (fornitori) della Difesa, di nuove imprese civili hanno ottenuto un successo limitato, incontrando l’ostilità tanto dei tradizionali contractors (beneficiari di contratti) della Difesa quanto delle industrie civili preoccupate per le lungaggini burocratiche tipiche del dipartimento della Difesa (Flamm 2005). Le regole del procurement (approvvigionamento) della Difesa sono rimaste infatti sostanzialmente immutate dai tempi della Seconda guerra mondiale. Il sistema resta ancora caratterizzato da prezzi amministrati, derivanti da costi particolarmente alti, cicli di sviluppo piuttosto lunghi e un mercato nazionale poco aperto e concorrenziale.

Sono numerosi invece i fattori che rendono ormai imperativo un cambiamento: in primis, il rapido e continuo sviluppo dell’IT che avviene quasi unicamente nel settore commerciale, escludendo di fatto, anche in termini di budget da destinare ad attività di R&S, le industrie della difesa; in secondo luogo, la centralità che l’elettronica e l’IT rivestono oggi negli affari militari e nel warfare moderno; infine, i rischi che una produzione sempre più globalizzata di tali tecnologie duali comportano per il vantaggio nazionale statunitense tanto nell’ambito civile quanto in quello militare. La proposta più valida per far fronte in maniera adeguata a tali criticità sembra quindi essere quella, già avanzata in passato, di un’integrazione della produzione militare e commerciale, in modo tale da sfruttare le caratteristiche intrinseche delle tecnologie duali. I vantaggi corrisponderebbero infatti a una riduzione, grazie alle economie di scala, dei costi fissi di industrializzazione, all’adozione di pratiche commerciali di controllo dei costi e all’eliminazione di costi ulteriori derivanti dall’applicazione di una regolamentazione specifica per l’acquisto di prodotti militari (Flamm 2005; Reppy 2006).

La tecnologia duale del domani: le nanotecnologie

Un settore emergente che promette importanti applicazioni duali in molteplici ambiti, anche e soprattutto a fini di sicurezza nazionale, è quello delle nanotecnologie, di cui gli Stati Uniti sono attualmente i leader riconosciuti a livello mondiale. Le applicazioni commerciali delle nanoscienze sono ancora agli albori e riguardano, al momento, applicazioni passive di prima generazione, quali nanoparticelle, catalizzatori, rivestimenti esterni e nanocomposti, per prodotti cosmetici, parti di automobili, abbigliamento e attrezzature sportive. Gli investimenti per la ricerca si rivelano dunque fondamentali in questo stadio: secondo dati forniti dall’Office of management and budget, la National nanotechnology initiative (NNI) ha ottenuto finora, a partire dal suo lancio nel 2001, investimenti federali pari a circa 10 miliardi di dollari, di cui 1,5 miliardi per il solo 2009. La ricerca favorisce inoltre la convergenza delle nanotecnologie con altri settori, incluse le biotecnologie, l’IT e le scienze cognitive. Tali contaminazioni produrranno risultati positivi anche per il futuro utilizzo di queste tecnologie in ambito militare, obiettivo cui si stanno dedicando le diverse agenzie di ricerca della Difesa. Le applicazioni militari più immediate riguarderanno sicuramente i nuovi materiali, più leggeri e resistenti di quelli attuali, utili sia per i mezzi di trasporto sia per gli equipaggiamenti dei soldati.

Nel settore dell’elettronica, le nanotecnologie permetteranno la creazione di sensori e computer di dimensioni sempre più ridotte utili per il miglioramento delle comunicazioni e dei sistemi di processamento dei dati o, in un futuro più lontano, se combinati a sistemi nanomeccanici, per la realizzazione di proiettili ad alta tecnologia. L’impegno del governo statunitense a favore delle nanotecnologie è stato finora notevole, ed è auspicabile che tale trend positivo continui per il futuro. In particolare, è opinione diffusa che, come per le altre tecnologie duali, debba essere attribuito un sempre maggiore impulso alle innovazioni commerciali e alle loro applicazioni militari, mediante crescenti finanziamenti in R&S e un maggiore coordinamento tra le varie agenzie federali interessate (Carafano, Gudgel 2007).

Il modello europeo

Le politiche di ricerca nell’Unione Europea

Il quadro che emerge dall’Europa in materia di R&S è sensibilmente diverso da quello statunitense. Nonostante si produca un terzo delle conoscenze scientifiche mondiali e si siano conseguiti notevoli risultati nei settori medico, chimico, aeronautico e delle telecomunicazioni, essa stenta a tenere il passo con gli Stati Uniti nel tradurre tali eccellenze in servizi e prodotti innovativi («Osservatorio strategico», 2006, suppl. n. 6). Nell’arco dell’ultimo decennio la spesa in R&S dell’Europa a 27 membri è rimasta sostanzialmente immutata, sempre al di sotto della soglia del 2% del PIL e inferiore di un punto percentuale rispetto a quella statunitense (European commission 2008). I limiti della ricerca europea sono vari, tra cui: la frammentazione delle competenze tra i vari Stati membri, di ostacolo alla concentrazione delle capacità; i ridotti investimenti in R&S da parte delle industrie; un apparato industriale hi-tech poco research-intensive e di dimensioni limitate.

La risposta dell’Unione Europea è stata il lancio, nel 2000, di uno spazio di ricerca europeo (ERA, European Research Area) che intende creare un terreno favorevole all’incremento degli investimenti europei in R&S (fino a raggiungere il 3% del PIL), rendendo così l’Europa più competitiva. Sebbene positivi, i risultati raggiunti non sono finora sufficienti, esistendo ancora forti barriere nazionali a una reale mobilità dei ricercatori e al trasferimento di conoscenze e tecnologie.

La differenza tra le politiche di ricerca europea e statunitense appare ancora più evidente confrontando la quota dei rispettivi investimenti in ricerca militare e civile. Mentre, come si è detto, gli Stati Uniti devolvono circa il 60% del budget a favore di ricerche per la difesa, per l’Europa tale proporzione risulta invertita. Con una spesa per la R&S civile pari all’85% del budget totale, l’Europa sembra confermare anche in quest’ambito il suo status di potenza civile.

Oltre ai singoli Stati membri, l’unico soggetto deputato a promuovere, a livello sovranazionale, attività di ricerca militari, con l’obiettivo statutario di incrementare le capacità di difesa e sicurezza dell’Europa e rafforzare il suo potenziale industriale e tecnologico, è l’Agenzia europea della difesa (EDA, European Defence Agency), istituita nel 2004. Il budget comunitario di competenza della Commissione, invece, finanzia esclusivamente la ricerca civile (o duale come si vedrà in seguito), restando le decisioni in materia di difesa tra le prerogative dei singoli Stati membri.

La ricerca in materia di sicurezza

In Europa il campo della ricerca militare si è tradizionalmente mantenuto distinto da quello civile. Tuttavia, il recente mutamento del contesto internazionale e l’emergere di nuove minacce alla sicurezza europea hanno reso evanescente il confine tra sicurezza e difesa, ora sempre più spesso ridefinite in termini, rispettivamente, di sicurezza interna ed esterna. In questo nuovo quadro di riferimento, la Commissione europea ha riconosciuto l’esigenza di dedicare specifici investimenti alla ricerca nel campo della sicurezza civile, coordinando così le iniziative degli Stati membri e favorendo l’ottimale sfruttamento delle capacità scientifiche, tecnologiche e industriali europee. Dopo alcune azioni preparatorie a budget limitato avviate tra il 2004 e il 2006, la ricerca in tema di sicurezza è diventata un progetto specifico del Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (7PQ). Si tratta di uno stanziamento di bilancio piuttosto consistente, oltre 50 miliardi di euro, che finanzia per sette anni (2007-2013) attività di ricerca con uno specifico valore aggiunto europeo. Esso copre diversi settori, dalla salute ai trasporti, dai prodotti alimentari alle biotecnologie, dalle nanoscienze alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, fino allo spazio e alla sicurezza, questi ultimi con un budget specifico di 1,4 miliardi ognuno.

Il Programma europeo di ricerca in materia di sicurezza ha formalmente natura civile. Non potrebbe essere altrimenti considerato che la Commissione non ha competenza o potere decisionale in ambito militare. Tuttavia, di fatto, molte delle tecnologie oggetto delle ricerche finanziate dal 7PQ hanno natura duale (si pensi, anche nel caso europeo, all’ICT, Information and Communication Technology, o alle tecnologie satellitari) e quindi, pur pensate per una prima applicazione di tipo civile, possono trovare utilizzo anche a fini militari, come, per es., nelle missioni dell’UE nel quadro della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD). La sovrapposizione dei concetti di sicurezza e difesa trova pertanto attuazione concreta nella ricerca a fini di sicurezza, che diventa l’anello di collegamento tra ricerca civile e militare e lo strumento con cui ottimizzare le scarse risorse a disposizione in Europa per la difesa facendo sì che applicazioni militari possano beneficiare dei più ingenti investimenti civili.

Indicativo in tal senso è quanto avviene sul piano industriale, dove si sta colmando, di fatto, la distanza tra ricerca civile e militare. Le principali industrie della difesa europee (EADS, Thales, BAESystems, Finmeccanica) partecipano infatti ai bandi del 7PQ. La dualità delle tecnologie e le sinergie che ne derivano tra settore civile e militare, dalla fase di R&S a quelle di sperimentazione e produzione, comportano loro un duplice vantaggio. Da un lato, le industrie, configurandosi anche come operatori della sicurezza, allargano progressivamente la propria quota di mercato e diventano più competitive grazie alle economie di scala. Dall’altro, dal momento che applicazioni di sicurezza e militari condividono, almeno per i primi livelli della scala tecnologica, la gran parte dei requisiti, esse riescono a beneficiare dei cospicui investimenti per la ricerca civile per sviluppare tecnologie che, in un secondo momento, potranno avere un utilizzo a scopi di difesa. Il processo di spin-off europeo da settore civile a militare appare dunque invertito rispetto a quello degli Stati Uniti, dove, almeno fino alla seconda metà degli anni Novanta, sono state le enormi risorse a disposizione della ricerca militare a stimolare e trainare la ricerca civile.

Nell’ottica inversa, anche l’EDA si è interessata alle tecnologie duali, considerando la loro centralità per l’integrazione delle capacità civili e militari dell’UE, requisito sempre più sentito nelle missioni PESD. L’attenzione dell’Agenzia si rivolge in particolare alle capacità di informazione e comando, il cui equipaggiamento è spesso condiviso da militari e civili. Tra i progetti cui l’EDA partecipa in tal senso, spesso in stretto coordinamento con la Commissione europea, i più rilevanti riguardano le software defined radio (cioè collegamenti radio completamente realizzati mediante software), cui ricorrono i militari, ma anche polizia, guardia costiera, addetti al controllo delle frontiere e al soccorso umanitario, e gli aerei a pilotaggio remoto che, pur avendo finora un’applicazione prevalentemente militare, sono sempre più richiesti anche a scopo civile, per es., come supporto per un più efficace contrasto all’immigrazione clandestina o ai traffici illegali.

Lo spazio e le tecnologie duali

Il settore in cui le tecnologie duali trovano più frequente applicazione è lo spazio. Ciò risulta vero tanto per gli Stati Uniti quanto per l’Europa, sebbene i rispettivi investimenti in ambito civile e militare non siano ancora comparabili. Tuttavia, come dimostrato dai crescenti finanziamenti dell’Agenzia spaziale europea (ESA, European Space Agency) e dalla previsione di un’apposita voce «spazio» nel 7PQ, l’attenzione che l’Europa sta dedicando allo sviluppo di un sistema spaziale comunitario è crescente. La necessità strategica di sviluppare capacità spaziali autonome è stata già da tempo riconosciuta dalla politica spaziale europea, che ha rilevato gli effetti positivi di tale scelta sotto il profilo sia scientifico-tecnologico (incremento degli investimenti) sia industriale (ulteriore sviluppo dell’industria hi-tech europea e conseguente riduzione del divario con gli Stati Uniti). Lo spazio è inoltre un assetto decisivo anche per la PESD: pur orientate principalmente verso il civile, le tecnologie spaziali europee si rivelano in molti casi adatte anche a un impiego militare. Ne sono la prova i due più importanti programmi spaziali europei, Galileo e GMES (Global Monitoring for Environment and Security). Galileo è un sistema di navigazione satellitare globale complementare (e forse migliore) al sistema GPS americano. Presumibilmente operativo dal 2013, al di là delle tradizionali applicazioni civili, rappresenterà un ulteriore strumento a disposizione dei decisori europei per lanciare, e poi gestire, missioni PESD in tempi più rapidi e in maggiore autonomia, senza necessariamente dipendere dal GPS. L’iniziativa GMES, invece, già in parte operativa, ha lo scopo di integrare in un’unica struttura sovranazionale gli attuali sistemi nazionali di osservazione terrestre e di crearne altri ex novo a livello europeo per fornire informazioni ambientali a supporto di tutte le politiche comunitarie interessate (ambiente, agricoltura, pesca, trasporti), inclusa la PESD, nei campi della protezione civile, dell’aiuto umanitario e della prevenzione e gestione delle crisi.

In un settore particolarmente impegnativo dal punto di vista finanziario come quello spaziale, il ricorso a sistemi duali costituisce un indubbio vantaggio per l’UE. In virtù della comunanza tecnologica tra capacità spaziali civili e militari, i costi possono essere condivisi tra più ministeri e, applicando le economie di scala, è possibile evitare inutili duplicazioni. Tuttavia, nonostante i vantaggi, vi è una certa riluttanza a riconoscere esplicitamente Galileo e GMES quali sistemi duali. Essi sono infatti formalmente considerati dei programmi civili che dovranno restare sotto controllo civile. La cooperazione con sistemi di natura non civile e l’utilizzo a fini militari di informazioni sensibili fornite da Galileo o da GMES non sono esclusi a priori. Essi, tuttavia, sembra dovranno costituire un semplice supporto, senza comportare la creazione di strutture militari ufficiali parallele o sostitutive di quella civile. Si tratta quindi di una soluzione intermedia in un campo, quello della sicurezza/difesa, che resta caratterizzato da collaborazioni a livello intergovernativo e in cui sembra esserci ancora poco spazio per un’integrazione in senso sovranazionale (Alberti 2008).

Oltre a problematiche di natura politico-istituzionale, il ricorso a sistemi duali pone altri interrogativi tecnici, relativi, per es., alla rapidità, tempestività e affidabilità dei servizi, alla condivisione delle informazioni e alla loro protezione per evitare usi impropri da parte di terzi, e problemi finanziari, derivanti dagli scarsi investimenti dei Paesi europei nel settore delle applicazioni spaziali e della difesa in generale. Per il momento, tali ostacoli sembrano essere più facilmente superabili a livello nazionale. Caso emblematico in tal senso, sempre nell’ambito dell’osservazione terrestre, è la costellazione di satelliti italiana COSMO-SkyMed, in corso di dispiegamento e in futuro integrabile nel GMES. La peculiarità del sistema, concepito, finanziato e realizzato dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) e dal Ministero della Difesa, è la sua natura esplicitamente duale. Ciò significa che esso fin dall’inizio si è rivolto a una duplice categoria di utenti finali: civili e militari. Al fine di risolvere alcune delle problematiche generalmente poste dai sistemi duali, sono stati adottati alcuni accorgimenti tecnici. La copertura globale, per es., avviene mediante radar (e non con il sistema ottico solitamente usato), consentendo di operare in qualsiasi condizione atmosferica e fornendo immagini ad alta definizione e di qualità superiore, con tempi rapidi di rivista, risposta, ordinazione dei dati e consegna agli utenti. Inoltre, il nodo della modalità di distribuzione delle informazioni è stato sciolto predisponendo, in base a regole precedentemente concordate dagli utenti finali, due canali di diffusione dei dati, con differenti livelli di sicurezza, in base alle informazioni che si ricevono e il loro successivo utilizzo.

La regolamentazione delle esportazioni di beni e tecnologie duali

I regimi multilaterali a livello globale

Il tema del controllo della tecnologia duale ha cominciato a imporsi nel dibattito politico con l’inizio della guerra fredda e con la conseguente necessità di impedire che tecnologie aventi possibili applicazioni militari cadessero in mano all’avversario sovietico.

In campo occidentale il controllo del commercio di beni duali era coordinato, insieme a quello delle esportazioni di armamenti, dal CoCom (Coordinating Committe for multilateral export control), creato nel 1949. Il CoCom includeva tutti i Paesi NATO (North Atlantic Treaty Organization), tranne l’Islanda ma con Giappone e Australia, e operava sulla base del principio del consenso, dando in pratica a ogni membro il diritto di veto sull’esportazione di un determinato bene da parte di ogni altro membro.

Alla fine della guerra fredda i membri del CoCom decisero di rimpiazzare il Comitato con un accordo meno restrittivo, che lasciasse ai singoli membri la responsabilità di determinare quali beni esportare e che non fosse diretto contro alcun Paese (un accordo quindi il più possibile inclusivo). L’Accordo di Wassenaar (WA, Wassenaar Arrangement), successore del CoCom, è stato negoziato tra il 1994 e il 1996 ed è entrato in vigore nel novembre di quest’ultimo anno. Vi partecipano 40 Stati, tra i quali la maggior parte dei Paesi europei, gli Stati Uniti e la Federazione Russa (non la Cina). Esso costituisce oggi il principale strumento di controllo delle esportazioni, sia di armi convenzionali sia di beni e tecnologie duali. Questi ultimi sono elencati in una lista che viene aggiornata periodicamente e divisi nelle seguenti categorie: materiali avanzati, sistemi di produzione, elettronica, computer, telecomunicazioni, strumenti di protezione delle informazioni, sensori e laser, strumenti di navigazione e avionica, beni e materiali legati alla marina e alla navigazione, sistemi di propulsione.

Le norme di Wassenaar impegnano gli Stati partecipanti a controllare le esportazioni o i trasferimenti dei beni contenuti nella lista; gli Stati sono tuttavia liberi di autorizzare o meno l’esportazione dei beni controllati, anche nel caso in cui per un determinato prodotto essa sia già stata negata da un altro Stato partecipante. Due volte l’anno gli Stati aderenti riportano tutte le autorizzazioni negate o rilasciate per l’esportazione dei beni controllati. Nel caso di prodotti particolarmente sensibili (elencati in due appositi annessi) la notifica deve avvenire entro due mesi.

Nel corso della guerra fredda, la comunità internazionale (includendo in questo termine Paesi sia occidentali sia del blocco comunista) aveva elaborato altri regimi di controllo delle esportazioni di beni duali per contrastare la proliferazione di armi di distruzione di massa. Tali regimi erano destinati al controllo di tecnologie legate a campi di applicazione specifici. Tra i più importanti vanno ricordati il Missile technology control regime (MTCR, per il controllo della tecnologia missilistica), il Nuclear supplier group (NSG, per il controllo di materiali nucleari) e l’Australia group (AG, per il controllo di materiali e componenti chimici e biologici). Questi tre regimi hanno in comune il carattere informale; non si tratta di organizzazioni sovranazionali con il potere di determinare il comportamento degli Stati membri, ma sono piuttosto forum in seno ai quali gli Stati partecipanti si impegnano a seguire determinate linee guida nelle esportazioni di beni duali, elencati in apposite liste di controllo. L’MTCR è un’associazione informale, nata nel 1987, composta da 34 Stati che condividono l’obiettivo della non proliferazione di sistemi di lancio di armi di distruzione di massa, primariamente missilistici. Gli Stati membri si impegnano a vigilare sui trasferimenti di missili, equipaggiamenti missilistici, materiali e tecnologie (incluse quindi tecnologie duali) che possano essere usati per il lancio di armi di distruzione di massa. La lista MTCR include sistemi missilistici, razzi e meccanismi di lancio satellitare, ma anche aerei senza pilota, componenti per la realizzazione e la produzione di tali sistemi e meccanismi di guida (in gran parte, quindi, beni duali).

L’AG (dal nome del Paese promotore) è un forum informale, nato nel 1985, che ha l’obiettivo di impedire la diffusione incontrollata di materiali che possano contribuire alla proliferazione di armi chimiche o biologiche. Al pari degli altri regimi, anche questo accordo si è dato delle linee guida che impegnano i partecipanti a vietare i trasferimenti di determinate sostanze chimiche o biologiche a Paesi importatori che presentino fondati rischi di proliferazione. I controlli sono estesi anche a materiali di laboratorio, equipaggiamenti e tecnologie legati alla chimica o alla biologia (beni, quindi, principalmente duali).

L’SNG, nato a metà degli anni Settanta, si propone di favorire il commercio di tecnologie, materiali e attrezzature nucleari impedendo però che questi possano essere utilizzati per scopi militari. I prodotti controllati includono non solo materiali nucleari, ma anche materiali per la costruzione di reattori, equipaggiamento per il riprocessamento e l’arricchimento di materiali nucleari e tecnologie associate. Nel 1991 l’NSG ha aggiunto all’originaria serie di linee guida una seconda serie dedicata esplicitamente ed esclusivamente a beni duali connessi al nucleare; ossia beni che possano contribuire alla costituzione di un ciclo nucleare o ad attività di proliferazione ma avere anche altri utilizzi (per es., nell’industria). Tuttavia, beni e tecnologie duali in campo nucleare mettono a dura prova i regimi di controllo delle esportazioni e di non proliferazione. I casi della Repubblica democratica popolare di Corea e dell’Irān sono emblematici, poiché questi Paesi sono stati comunque in grado di sviluppare programmi segreti di arricchimento dell’uranio, pur essendo firmatari del Treaty of the non-proliferation of nuclear weapons (noto come Non-proliferation treaty, NPT, firmato nel 1968, entrato in vigore nel 1970 e poi rinnovato nel 1995). Il Trattato sancisce il diritto all’utilizzo dell’energia nucleare per scopi civili e permette, quindi, l’acquisto di tecnologie che possono consentire lo sviluppo di programmi militari segreti. Il carattere duale dei beni nucleari costituisce, di conseguenza, un serio impedimento per i regimi di non proliferazione.

Va anche sottolineata l’oggettiva difficoltà di controllare le esportazioni di beni duali in generale. A volte è l’utilizzo combinato di diverse tecnologie non duali che ne rende possibile lo sfruttamento per scopi militari: tale genere di dualità latente non può evidentemente essere sottoposto a controllo. Inoltre, lo sviluppo tecnologico sempre più rapido complica l’aggiornamento continuo delle liste di controllo dei regimi multilaterali. A ciò occorre aggiungere che la redazione delle liste e le procedure burocratiche per il rilascio delle autorizzazioni devono tenere conto degli interessi di chi produce e mette in vendita in modo legittimo beni duali, e non possono perciò divenire eccessivamente restrittive. Un altro punto debole dei regimi di controllo delle esportazioni risiede nel loro carattere informale. Il rispetto dell’accordo e delle linee guida, nonché l’interpretazione delle stesse, viene lasciato agli Stati membri: è possibile infatti che uno Stato rilasci autorizzazioni per l’esportazione di beni negate in precedenza da altri Paesi. Non esiste alcuna istituzione sovranazionale che abbia il compito di verificare l’effettiva applicazione degli accordi, così come alcun meccanismo sanzionatorio nei confronti di eventuali violazioni da parte degli Stati partecipanti. Regole più restrittive non avrebbero raccolto l’assenso di un numero abbastanza elevato di Stati e avrebbero probabilmente determinato il fallimento delle iniziative.

La regolamentazione a livello europeo

Ogni Paese membro dell’Unione Europea ha introdotto nella propria legislazione delle leggi finalizzate a regolare esportazioni di beni duali in base agli obblighi assunti con la partecipazione ai vari regimi internazionali. Per uniformare i regolamenti dei vari Stati membri, l’UE ha ritenuto di emanare il regolamento n. 1334/2000, concernente nuove disposizioni in materia di controllo delle esportazioni dei prodotti dual-use. La regolamentazione è stata successivamente emendata con il regolamento n. 1167/2008, che assume le modifiche delle liste di beni duali effettuate dal WA, dall’MTCR e dall’AG. La lista europea delle dualità sottoposte al regime comunitario è costituita dall’accorpamento delle liste relative ai suddetti accordi e dai beni soggetti all’SNG e alla Convenzione sulle armi chimiche (CWC, Chemical Weapons Convention, firmata nel 1993). La provenienza di ogni bene elencato dalla rispettiva lista è infatti esplicitamente richiamata dal codice assegnatogli. La lista europea è composta da dieci categorie, ognuna delle quali è a sua volta composta da 5 sottocategorie: prodotti, macchinari per la costruzione, materiali, software, tecnologie. La regolamentazione non è però applicabile per i trasferimenti di beni duali all’interno dell’UE. La circolazione di tali beni entro i confini dell’Unione è infatti liberalizzata in base al principio del libero mercato comunitario, con alcune eccezioni per beni duali particolarmente sensibili che richiedono un’autorizzazione all’esportazione (per il loro valore di proliferazione e/o per il loro altissimo contenuto tecnologico). Tali beni sono elencati in una breve lista che comprende tecnologie stealth (materiali disegnati per assorbire onde elettromagnetiche, per ridurre la riflessività radar o la firma radar di un oggetto), particolari componenti di sistemi missilistici, crittografici, alcune sostanze chimiche (ricin, saxotoxin) e speciali materiali fissili (uranio arricchito, plutonio).

La richiesta di autorizzazione al trasferimento di beni duali in ambito comunitario può anche essere effettuata da uno Stato membro qualora la destinazione finale del bene sia fuori dall’Europa. Per l’esportazione al di fuori del continente, il regolamento prevede quattro differenti tipi di autorizzazioni. La prima, l’unica realmente comunitaria, è la community gener­al export authorisation e copre la maggior parte delle esportazioni di beni duali verso Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Svizzera e Norvegia, Stati che hanno stretti legami con l’UE e i cui controlli di sicurezza sono ritenuti efficienti e sicuri. Per le esportazioni verso altri Paesi è richiesta un’autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali. La global authorisation è garantita a un singolo produttore per esportare un particolare bene in determinati Paesi. Una individual licence è concessa a un produttore per l’esportazione a un determinato cliente. Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Svezia, Norvegia, Paesi Bassi e Gran Bretagna prevedono inoltre la possibilità di rilasciare un’autorizzazione generale nazionale (national general export authorisation). Gli Stati europei svolgono quindi un importante ruolo nella concessione delle licenze, nella redazione di leggi per l’esportazione (che devono comunque rientrare nelle linee guida comunitarie), nella gestione delle procedure burocratiche e anche nella comminazione delle sanzioni da applicare in caso di violazione delle normative. Una tale condivisione di competenze e poteri tra UE e Stati membri si spiega con la riluttanza degli Stati a lasciare alle istituzioni comunitarie la competenza su un’area così delicata e strategicamente importante, come quella delle esportazioni di beni duali.

La regolamentazione negli Stati Uniti

La regolamentazione delle esportazioni di beni duali dagli Stati Uniti è regolata dall’Export administration act (EAA) del 1979, che costituisce il quadro di riferimento delle Export administration regulations. Dopo il 1989 tali regolamenti hanno conosciuto un certo rilassamento, ma la sostanza del sistema di controllo non è cambiata, e i regolamenti statunitensi per l’esportazione di beni duali continuano a rimanere complessivamente più restrittivi rispetto a quelli europei. Il sistema statunitense prevede una commercial control list dei beni duali in cui rientrano tutti i beni e materiali compresi nelle liste dei regimi multinazionali di cui gli Stati Uniti sono parte (inclusi WA, MTCR, NSG e AG). Inoltre la lista statunitense comprende beni che il governo intende tenere sotto controllo sulla base di tre principali criteri. I beni possono essere inseriti nella lista per ragioni legate alla sicurezza nazionale (se si tratta di beni la cui esportazione potrebbe contribuire al miglioramento delle capacità militari di Paesi ostili o non alleati), o per motivi legati alla politica estera (le esportazioni possono essere vietate se ciò serve a promuovere obiettivi di politica estera o per aderire agli obblighi internazionali), oppure, infine, se l’esportazione del bene viene giudicata dannosa per l’economia nazionale (criterio inserito negli anni Cinquanta del 20° sec., in un periodo di scarsità di alcuni materiali, ma ormai desueto e considerato raramente).

La procedura per richiedere una licenza di esportazione di beni duali prevede un esame della richiesta da parte del dipartimento del Commercio. Il processo di richiesta per le licenze è gestito dall’apposito Bureau of industry and security. Tuttavia, è possibile che la competenza per l’esame della licenza sia del dipartimento di Stato, del dipartimento della Difesa o di quello dell’Energia, a seconda della ragione per la quale il bene è stato inserito nella lista. Nel complesso, il sistema è giudicato come estremamente lento e macchinoso. Per di più, critiche sono state anche mosse all’ampiezza dei criteri della lista, che, secondo molti, finisce per danneggiare inutilmente i produttori statunitensi.

Le attuali regole per l’esportazione sono al centro di un acceso dibattito, strutturato essenzialmente attorno a due posizioni: di coloro che vorrebbero liberalizzare maggiormente le esportazioni e di coloro che ritengono un’ulteriore liberalizzazione dannosa per la sicurezza nazionale. La macchinosità e la lentezza delle procedure costituiscono uno dei principali argomenti dei sostenitori di una maggiore liberalizzazione, i quali ritengono che l’eccesso di burocrazia finisca per danneggiare l’industria nazionale nel suo complesso. Anche il mantenimento di un’industria forte e competitiva, si può notare, costituisce un interesse nazionale di sicurezza, in quanto consente agli Stati Uniti di mantenere un vantaggio strategico nella creazione di nuove tecnologie da utilizzare anche per scopi di sicurezza e difesa. Infine, diversi osservatori sottolineano l’inutilità di avere rigidi controlli su beni che possono essere acquistati liberamente in altri mercati (per es., su quello europeo o russo). Al momento, sembra che tali preoccupazioni siano più forti degli argomenti a favore di una regolamentazione più severa. È possibile, quindi, che si determini un graduale rilassamento dei regolamenti statunitensi.

Conclusioni

L’ambito delle tecnologie duali si presenta come un dinamico intreccio di interessi politici ed economici talora divergenti e la cui sintesi risulta difficile, poiché esse rappresentano allo stesso tempo un’opportunità e una minaccia. Gli sviluppi in settori tecnologici duali quali le nanotecnologie, le biotecnologie, i nuovi materiali, i sensori, lo spazio, le fonti energetiche, l’IT, costituiscono un campo d’innovazione irrinunciabile per il mantenimento della crescita economica globale e della sicurezza delle società occidentali. Sia il modello statunitense sia quello europeo, pur partendo da premesse diverse e in qualche misura opposte, mirano allo stesso risultato, ovvero una posizione avanzata nell’ambito delle tecnologie duali, che consenta loro di impiegare al meglio risorse sempre più scarse e conservare, quindi, un vantaggio competitivo economico e strategico rispetto ai potenziali concorrenti.

Il superamento tecnologico di Paesi terzi non sembra realistico nel breve e medio periodo, ma non si deve dimenticare come i processi di sviluppo non sempre siano lineari e prevedibili. Soltanto il presidio costante delle aree di ricerca più promettenti permette di evitare capovolgimenti nella gerarchia dello sviluppo tecnologico. Vi sono, tuttavia, le avvisaglie di un rapido avvicinamento da parte di attori sinora meno avanzati, in particolare in area asiatica, grazie ai forti investimenti cinesi e indiani; la più ampia diffusione delle tecnologie duali, tipica della loro natura, favorisce questo meccanismo di rapido catch-up. Inoltre, la natura mista pubblico-privata delle soluzioni tecnologiche consente anche a Paesi relativamente piccoli, in cui però sono presenti grandi capacità intellettuali, di svilupparsi rapidamente, e un discorso analogo vale per attori di tipo non statuale, siano essi grandi imprese multinazionali e associazioni o, nel caso più pernicioso, gruppi criminali o terroristici.

Si pongono, pertanto, dei problemi per quanto riguarda gli equilibri di potere internazionali, che vengono a essere sempre più influenzati dalle capacità di sviluppo delle tecnologie duali e dalle implicazioni del trasferimento di tali tecnologie verso terzi. Gli attuali regimi di controllo, pensati in un periodo di relazioni internazionali bipolari o multipolari, risultano sempre meno soddisfacenti, inadatti a un mondo non polare a potenza diffusa. Gli aspetti regolamentari assumono, dunque, una rilevanza almeno pari a quella dell’allocazione di risorse pubbliche nel settore. Le tecnologie duali sono allo stesso tempo un fattore di crescita della sicurezza e di potenziale minaccia alla stessa. Sta alla politica internazionale regolare, per quanto possibile, questo fenomeno di primaria importanza per l’avvenire delle nostre società.

Bibliografia

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Si veda inoltre:

J. Reppy, Managing dual-use technology in an age of uncertainty, «The forum», 2006, 4, 1, art. 2, http://www.bepress.com/forum/vol4/iss1/art2/ (19 luglio 2010).