Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Mondo islamico

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

Le vie, i luoghi, i mezzi di scambio e di contatto. Mondo islamico

Vincenzo Strika
Francesca Romana Stasolla

La rete degli scambi e dei contatti

di Vincenzo Strika

L'economia del mondo islamico antico presenta caratteristiche proprie, in quanto i conquistatori arabi si adattarono alle strutture commerciali dei Paesi conquistati, che spesso avevano una ben collaudata tradizione. In realtà anche nello Higiaz, la regione dove apparve l'Islam, esistevano forme consolidate di commercio. La Mecca, ad esempio, era un centro in cui transitavano le merci dall'Arabia meridionale verso il Levante o Alessandria d'Egitto e scambi avvenivano anche con la Mesopotamia, come dimostrano gli scavi di al-Faw. Questa rete commerciale però non si reggeva su una forte base economica, probabilmente per l'assenza di prodotti locali di pregio. La Mecca e Medina non raggiunsero mai il ruolo dei grandi empori commerciali d'Oriente o di Alessandria. Nel VII secolo l'Islam si espanse rapidamente nell'area che va dal Levante al Golfo Arabo-Persico e dallo Yemen all'Egitto, impadronendosi di una cospicua parte del commercio che faceva capo agli empori bizantini. La progressiva conquista del Nord Africa e della Spagna in Occidente e della Persia, dell'Asia Centrale e dell'India in Oriente non fecero che deviare le vie commerciali verso il Golfo, la Mesopotamia e il Mar Rosso, mentre il controllo dell'Asia Centrale accentuò il ruolo economico della Persia e della Mesopotamia, indebolendo ulteriormente Bisanzio. Il commercio si basava sia su un circuito locale sia su circuiti internazionali: i grandi proprietari terrieri convertitisi all'Islam, spesso divennero commercianti e i veri capitalisti dell'epoca. A essi si affiancò la nascente borghesia araba; si ha notizia di vere e proprie associazioni commerciali a base ereditaria, come le grandi famiglie di Siraf, dove divenne famosa quella dei Ramisht, il cui patrimonio è stato valutato a 10 milioni di dirhām, con "banche" e agenzie commerciali in tutti i porti delle rotte monsoniche, ad Aden e probabilmente nei porti egiziani. Altrettanto noti sono i Karimi, una dinastia di commercianti con base in Egitto che possedeva una flotta e agenzie nei porti del Mar Rosso e in India. Al Cairo era celebre il funduq al-karīm, situato a al-Fustat, la vecchia Cairo e quartiere portuale della città. La minacciata crociata nel Mar Rosso pose momentaneamente in crisi questo sistema, ma le organizzazioni commerciali ripresero l'attività, fino a quando le tassazioni e la monopolizzazione di taluni prodotti da parte dello Stato portarono alla loro decadenza. Alla fioritura del commercio contribuirono le colonie ebraiche, presenti un po' ovunque nel mondo musulmano e attivissime in questo ambito, come gli ar-Radhaniyya, operanti nel Mar Rosso, ma Ebrei erano presenti anche altrove, persino in un centro tipicamente islamico come Bassora. Possiamo dunque parlare di un capitalismo in embrione che, benché si scontrasse con il puritanesimo religioso che l'Islam manifesta in genere nei confronti delle grandi concentrazioni finanziarie, pone il mercante al vertice della scala sociale. Non di rado i mercanti erano buoni musulmani e così con le merci viaggiava anche la diffusione della nuova fede. Nella globalizzazione dell'epoca l'Islam costituì il primo "mercato comune" della storia. Questo avvenne in parte con le conquiste e in parte con le conversioni, soprattutto le rotte divennero più sicure, pirateria e brigantaggio furono combattuti ovunque. Un cenno a parte merita la disponibilità di metalli preziosi, che produsse una moneta "forte", la più credibile del tempo, il dīnār, di cui esemplari sono stati trovati nella Penisola Scandinava e intorno al Baltico e che di fatto sostituì il nomisma bizantino.

Le vie di comunicazione

L'estensione del territorio islamico dai confini della Cina all'Asia Centrale, dal Levante all'Arabia, al Nord Africa e alla Spagna, al quale gli Ottomani aggiungeranno a partire dal XIV secolo gran parte della Penisola Balcanica e dell'Europa centrale, pose l'Islam nelle condizioni di avvalersi di esperienze diverse in parte rielaborate in modo originale nei secoli seguenti. Bisogna tuttavia sottolineare che questo immenso territorio non fu mai unito politicamente: nel periodo omayyade i legami tra centro e periferia erano molto tenui, in quello abbaside (750-1258 d.C.) la Spagna musulmana si costituì in emirato a parte, più avanti movimenti centrifughi portarono ovunque a indipendenze di fatto. L'unità religiosa fu però ovunque sentita, costituendo la base di una relativa convergenza spirituale e culturale, alla quale contribuì specialmente il pellegrinaggio. L'incremento o la diminuzione dei traffici dipendevano dalle capacità economiche delle regioni più ricche, nelle quali, come vedremo, un posto a parte è detenuto dalle regioni centrali dell'impero abbaside, Mesopotamia e parte delle regioni limitrofe, laddove l'aggressività di cui seppero dare prova gli Ottomani nel XVI secolo non era accompagnata dall'adeguato supporto economico, in quanto le scoperte geografiche avevano modificato in termini geopolitici e di capitale l'intera situazione. L'oro proveniente dalle Americhe renderà debole la moneta ottomana provocando l'indebolimento dei traffici, dal quale si salveranno per un certo tempo la Persia e l'India. Il concentramento di capitali fu particolarmente grande nella Baghdad abbaside tra il IX e il X secolo, con un complesso bancario pubblico e privato senza rivali e che disponeva addirittura di un proprio quartiere. La borghesia mercantile finanziava i commerci, dai quali traeva ricchezza anche lo Stato con un sistema di tassazione molto efficiente. Si svilupparono così l'oreficeria, l'industria tessile, la fabbricazione della ceramica, nel quadro di una produzione che a sua volta alimentava un ricco commercio e poteva far fronte alle inevitabili perdite dovute nelle vie terrestri al brigantaggio e in quelle marittime alla pirateria e ai naufragi. I grandi centri commerciali erano prevalentemente nell'Asia musulmana. Infatti, secondo il geografo al-Muqaddasi (X sec.), nell'Occidente islamico esistevano soltanto 3 metropoli (miṣr) e cioè Cairo, Kairouan e Cordova, contro ben 13 in Asia: La Mecca, Damasco, Zabid nello Yemen, Baghdad e Mossul, in Iraq, Ahwaz, Shiraz, Hamadan, Ardabil, Sirjan e Nishapur in Iran, Samarcanda nell'Asia Centrale e Mansura in India. Va infine considerata la distinzione di fondo tra il commercio nel Mediterraneo e quello nell'Oceano Indiano: il primo fu condizionato dalla contrapposizione tra mondo cristiano e islamico, culminata nelle Crociate, il cui periodo coincide con la crescita delle Repubbliche Marinare italiane. Diversa la situazione nell'Oceano Indiano, che portò alla conversione di importanti comunità che contribuirono all'espansione dell'Islam in una situazione di relativo liberismo e se vogliamo tolleranza religiosa, fino all'avvento dei Portoghesi alla fine del XV secolo, che per raggiungere l'India si avvalsero del famoso Ibn Magid, un navigatore arabo. Il commercio con la Cina, già avviato in epoca preislamica, rifletteva gli alti e bassi della situazione interna cinese, ovvero era intenso quando regnava una dinastia forte, altrimenti s'indeboliva. Per il resto le comunicazioni nel mondo islamico adempivano alle stesse funzioni che avevano svolto nel mondo antico e cioè spostamenti militari, commercio, amministrazione e posta. A tutto questo l'Islam aggiunse le vie del pellegrinaggio, vera novità della civiltà musulmana.

Le vie del pellegrinaggio

L'Islam impone al credente di compiere almeno una volta in vita il pellegrinaggio nelle Città Sante. Questo precetto ha dato vita a un sistema di comunicazioni che dai confini dell'Islam si estendeva all'Arabia occidentale, raggiungendo La Mecca e Medina; la città di Gedda sul Mar Rosso deve la sua fondazione a questa esigenza. Il sistema si confonde con le altre vie di comunicazione; i pellegrini si univano alle carovane o ne formavano una a parte percorrendo gli stessi itinerari e usufruendo delle stesse agevolazioni. Di una singolarità delle vie del pellegrinaggio si può parlare soltanto nelle regioni adiacenti le Città Sante, Mecca e Medina e, se vogliamo, Gerusalemme. L'efficienza e sicurezza di queste vie variano di epoca in epoca a seconda del controllo che il potere centrale era in grado di esercitare sul proprio territorio. Nei momenti più felici, queste vie ebbero il patrocinio di califfi e alti funzionari dello Stato che provvedevano a garantire gratuitamente cibo e bevande ai pellegrini. Di grande importanza furono quindi le vie che collegavano l'Iraq abbaside con lo Higiaz, in quanto i grandi centri della Mesopotamia rimasero a lungo i più ricchi e i meglio collegati alle grandi vie commerciali dell'Oriente. Esisteva la via Bassora-Mecca e soprattutto la Kufa-Mecca, l'unica oggetto di studi accurati. Un importante crocevia era anche lo Yemen, dove confluivano i pellegrini dell'Africa orientale e dell'Oman. Esistevano una via costiera e una via interna, quest'ultima preferita per la relativa frequenza di luoghi di approvvigionamento idrico. I pellegrini che transitavano per la Siria e l'Egitto confluivano ad Ayla nel Golfo di Aqaba, dove erano raggiunti da quelli provenienti dall'Africa settentrionale. Anche da Ayla i pellegrini potevano scegliere una via costiera o alternativamente una interna. Bisogna notare che entrambe ricalcavano tracciati preislamici. La Kufa-Mecca, altrimenti nota come Darb Zubayda, era in origine una pista usata dai nomadi, ma fu ampiamente potenziata in epoca califfale. In effetti la presenza di oasi e dei relativi posti d'acqua ha fatto sì che il tracciato fosse usato molto prima dell'avvento dell'Islam. Nel periodo preislamico collegava la città lakhmide di al-Hira sull'Eufrate ai centri dello Higiaz. La strada fu usata per il pellegrinaggio già nel periodo omayyade, ma lo sviluppo maggiore risale agli Abbasidi. Su iniziativa dei califfi vennero scavati pozzi, costruiti serbatoi, case, a'lām (segni di riferimento) nei viaggi diurni, manār (fuochi notturni di orientamento) quando il mese del pellegrinaggio cadeva d'estate e le carovane si spostavano preferibilmente di notte. Durante il califfato di al-Mahdi il traffico sembra sia stato così veloce che il califfo durante il pellegrinaggio sarebbe riuscito a portare del ghiaccio fino alla Mecca. Nel X secolo questa celebre via decadde a causa degli sconvolgimenti ai quali fu sottoposto il cuore dell'impero abbaside con la rivolta degli Zeng e quella dei Qarmati, durante la quale fu saccheggiata la stessa Kufa. Il colpo di grazia fu la conquista mongola di Baghdad nel 1258, dopo la quale i pellegrini provenienti dal Khorasan e dalla Persia preferirono passare per la più sicura Damasco. Le principali vie del pellegrinaggio erano munite di tutti i dispositivi che potevano rendere confortevole il viaggio. Particolare cura era posta negli approvvigionamenti idrici; lungo il percorso erano dislocate case di pernottamento (bayt) e moschee, nonché recinti fortificati per le guarnigioni (qaṣr, ḥiṣn, manzil ). Al pellegrinaggio presiedeva una complessa organizzazione, con in testa un amīr al-ḥaǧǧ (principe del pellegrinaggio), designato direttamente dal califfo, il cui esercito provvide anche alla sicurezza fino a quando il potere centrale mantenne la sua efficienza. Va ancora sottolineato che il pellegrinaggio, oltre a costituire un sistema unificante dell'Islam, è stato anche un grande veicolo di comunicazione e contatto economico e culturale tra le varie parti del territorio musulmano. Lungo le principali vie erano dislocati importanti mercati, nei quali i mercanti scambiavano le loro merci, trasportandone altre nei rispettivi Paesi.

Le grandi vie di comunicazione

L'Islam si avvalse della riutilizzazione di vie preesistenti, ben collaudate da Romani, Bizantini e Persiani. I mercanti musulmani poterono raggiungere l'Europa, la Manica, il Mar Baltico e la Russia. Yaqut (XIII sec.) segnala colonie musulmane nell'area danubiana. Ancora più vivaci furono i traffici con l'Oriente. A Canton è accertata la presenza di una colonia musulmana già nel 758. In questa città, in parte per via fluviale, convergeva il commercio dall'interno. In seguito da Ch'uan chu, presso Amoy, mercanti musulmani raggiunsero la Corea e il Giappone. Ibn Khurradadhbih scrive che la costa oltre Canton era nota ai naviganti musulmani. L'Estremo Oriente era raggiunto per via terrestre percorrendo le Vie della Seta, già note in epoca preislamica. Le comunicazioni terrestri più che strade erano piste, sottoposte in taluni Paesi alle tempeste di sabbia e quindi bisognose di continua manutenzione, che si limitava comunque ai segnali di orientamento (a'lām, manār). Le vie marittime erano preferite a causa dei monsoni; questi venti scandivano i periodi di navigazione, la partenza e le soste. Nel periodo abbaside l'epicentro dei traffici erano la Mesopotamia e il Golfo Arabo-Persico. Da Bassora le rotte proseguivano per Siraf sulla costa persiana del Golfo, quindi, superata Hormuz, dai porti omaniti raggiungevano Daybul, non lontano da Mansura, vicino all'odierna Karachi, nell'India occidentale e da questa, nel Golfo del Bengala, Ballin (a nord dello Sri Lanka) donde proseguivano verso il Nord o alternativamente Kalah in Malesia, per poi raggiungere Canton e il Giappone. I navigatori arabi parlano di sette mari per raggiungere l'Estremo Oriente: Bahr Fars (il Golfo), Bahr Larwi (tra l'Oman e l'India occidentale), Bahr Harkand (Golfo del Bengala), Bahr Kardanǵ e Bahr Sanf (entrambi lungo le coste orientali dell'Indocina) e Bahr as-Sin (Mar della Cina). Verso l'Africa orientale, generalmente da Siraf e dall'Oman, le rotte raggiungevano l'isola di Socotra e da qui i vari porti degli attuali Somalia, Kenya, Tanzania, Mozambico e Repubblica Sudafricana. Un'altra via marittima di grande rilevanza era il Mar Rosso. Lo Yemen riassunse l'importanza tradizionale di crocevia tra l'Oceano Indiano, lo Higiaz, l'Africa orientale e il Mediterraneo. L'importanza di questa via era talmente grande che ai tempi di Harun ar-Rashid, che pare abbia lasciato nelle casse dello Stato 24 milioni di dīnār, si era pensato di scavare il Canale di Suez. Sembra che l'impresa fu abbandonata più che altro per il pericolo che la temibile flotta bizantina entrasse nel Mar Rosso, ostacolando le vie del pellegrinaggio. Nel Mediterraneo, che Muqaddasi chiamava ancora Mare dei Rum, cioè "Mare dei Romani", i traffici subirono alterne vicende, in quanto il dominio marittimo dei musulmani era contrastato dai Bizantini, il cui declino data dal IX secolo, ma a loro volta le flotte musulmane cominciarono qui a decadere nell'XI secolo, molto prima delle loro consorelle nell'Oceano Indiano. Il declino fu dovuto alla deforestazione e soprattutto allo sviluppo marittimo di Genova, Pisa e Venezia. I crociati conquistarono Ayla sul Mar Rosso e sebbene la città sia stata riconquistata da Saladino nel 1170, i Mamelucchi, che subentrarono agli Ayyubiti, subirono nel commercio le iniziative delle Repubbliche Marinare. Nel XV secolo poi i Portoghesi erano già penetrati nel Mar Rosso. A testimoniare la decadenza sono due celebri viaggiatori arabi, Ibn Giubair e Ibn Battuta, che, nel transitare nel Mediterraneo, usarono navi cristiane. Sembra comunque che almeno a partire dall'XI secolo fosse stata superata la contrapposizione religiosa tra i vari Paesi del Mediterraneo. Un posto a parte nel commercio mediterraneo è occupato dalla Spagna musulmana, i cui commerci, come la politica, ebbero direttrici diverse dal califfato abbaside. Anche nel periodo d'oro di Baghdad era più aperta verso l'impero bizantino e gli Stati cristiani. La ricchezza del Paese era essenzialmente dovuta ai prodotti di provenienza subsahariana, tra i quali primeggiava l'oro. Le carovane giungevano ad Awdaghost, donde proseguivano per Kairouan e da qui i prodotti erano smistati verso la costa, la Sicilia e i porti dell'Italia meridionale. Alternativamente, le carovane giungevano nel porto di Nul Lamta, donde raggiungevano la Spagna via mare o passando per Sigilmasa e l'Algeria arrivavano ad Almeria, che era il principale porto per le esportazioni. Il Libro di Ruggero di al-Idrisi tratta dei principali scali e percorsi. Malgrado la decadenza marittima, uno sviluppo notevole ebbe anche l'Egitto, ben collegato sia con le regioni africane, sia con l'Oriente, dal quale trassero vantaggio le Repubbliche Marinare italiane.

Le merci di scambio

Per capire l'intensità degli scambi e il conseguente sviluppo degli empori commerciali è innanzitutto necessario ricordare la varietà e quantità di prodotti che avevano origine o comunque transitavano nel territorio islamico e che non ha eguali nell'antichità. Nessun impero precedente si trovò infatti in condizioni così favorevoli. Non stupisce quindi il carattere mercantile che assunse la società islamica. Ibn Rusta distingue quattro categorie di persone viaggianti: marinai e commercianti; ambasciatori e corrieri; pellegrini e missionari; infine "coloro che viaggiano per altri motivi". Già questa classificazione dimostra il grande interesse per i viaggi, ma ne elenca anche i motivi ponendo al primo posto i mercanti. Nell'elenco non stupisce la comparsa di ambasciatori e corrieri. Ambasciate erano inviate in Cina già al tempo del califfo Othman (644- 656 d.C.) e proseguirono in seguito su iniziativa, soprattutto, dei governatori dell'Asia Centrale; talvolta gli ambasciatori erano essi stessi mercanti. Le spezie, usate per prodotti farmaceutici e la conservazione di generi alimentari, erano di provenienza specialmente indiana. Altra merce pregiata, anch'essa famosa sin dall'antichità, era la seta, osteggiata negli ambienti religiosi musulmani, ma che rimase fino all'inizio dell'Ottocento tra i più importanti prodotti del commercio intercontinentale. I bachi da seta furono introdotti nell'Asia Centrale e in Persia dalla Cina, già nel IV sec d.C. Nel X secolo divennero famose le sete di Merv. Fino al XIV secolo i Paesi musulmani ne avevano praticamente il monopolio nel commercio con l'Europa, fino a quando prima Lucca e poi Venezia divennero centri di produzione e di esportazione. Sebbene l'area maggiore gravitasse intorno alle città dell'Asia Centrale, importanti centri di produzione erano anche Isfahan, Damasco, Alessandria, Il Cairo e la Spagna musulmana. L'impero ottomano mantenne una buona produzione, fino a quando i progressi tecnici fecero prevalere i prodotti europei. Le sete di provenienza cinese erano comunque molto ricercate. L'affermazione della sericultura nell'Asia Centrale, indusse i Cinesi a spostare i centri di produzione verso sud, il che a partire dall'VIII secolo favorì le vie marittime che con il progressivo affermarsi dell'Islam erano ritenute più sicure. Grande importanza ebbe il cotone, originario dell'India e poi diffusosi in Persia e nell'Asia Centrale in particolare nell'attuale Uzbekistan. Grande produttore era anche l'Afghanistan. Il cotone di Kabul era esportato in Cina. Ma le città più famose per questa produzione erano Merv e Nishapur. Le stoffe di cotone di Merv, soprattutto i mulham, alimentavano una ricca esportazione, come i haffi di Nishapur. La produzione del cotone si affermò più tardi, tra il IX e il X secolo, nelle regioni del Levante, particolarmente nell'Anatolia meridionale e in Siria, ma anche in Andalusia, in Sicilia e nella stessa Mesopotamia. Baghdad e Mossul divennero centri di un'importante industria tessile: i baldechini di Baghdad e le mussoline di Mossul erano abbondantemente esportate in Italia. A loro volta le stoffe in cotone della Siria raggiungevano la Germania meridionale. Ma importanti centri dell'industria tessile del cotone erano anche l'Egitto, il Khuzistan (Arabistan), l'Andalusia e in Asia Centrale Merv, Bukhara e Samarcanda. La lana era prodotta in Andalusia e Algeria. Siria, Andalusia ed Egitto esportavano lino. Inoltre, nell'area islamica e nei Paesi limitrofi abbondavano l'oro e le pietre preziose, il corallo, le perle e l'ambra. L'oro si trovava nell'India occidentale e nell'Africa meridionale, ma anche in Armenia, nell'Altai e nel Tibet. L'argento era presente in Andalusia, Armenia e nella Penisola Balcanica, sembra anche nel Kosovo. Il primato delle pietre preziose spettava al Sudafrica, ma pietre preziose erano presenti anche nell'Arabia meridionale, nell'Hadramaut. Miniere di rame si trovavano in Spagna, Marocco e in Oman, altrimenti il metallo era importato dagli Urali. Il Levante e l'area delle sorgenti dei grandi fiumi mesopotamici subirono un graduale degrado ambientale con ripetuti tagli di alberi, le cui ripercussioni sono tuttora avvertite, mentre già nell'epoca delle crociate la scarsità di legno diede alle flotte cristiane la supremazia marittima, tanto che taluni porti furono abbandonati, spostando i commerci lungo direttrici terrestri fino all'epoca coloniale. A sostituire la carenza di legname fu parzialmente l'Africa, ma il teak e l'ebano erano legni preziosi e poco adatti alla costruzione di navi. Il teak, assieme alla palma da cocco, fu usato nella navigazione nell'Oceano Indiano. Un cenno a parte merita infine l'industria della carta, inventata dai Cinesi, poi trapiantata a Samarcanda e da qui a Baghdad e in Europa. Il papiro invece era tradizionalmente prodotto in Egitto e in Siria. Per ciò che riguarda i prodotti alimentari, il frumento era tipico dell'area siro-mesopotamica e in misura minore del Marocco e dell'Egitto. Venuta meno la domanda in seguito alle Crociate, fu sostituito dal cotone, che offriva maggiori possibilità commerciali. La Spagna durante l'occupazione musulmana (711-1492) fece importanti progressi nell'agricoltura e divenne uno dei Paesi più ricchi e popolosi d'Europa. Furono introdotte nuove colture come il riso e il cotone, accanto all'olio prodotto anche nell'Africa settentrionale. Il riso proveniva specialmente dalle valli dell'Indo e della Bassa Mesopotamia, regioni ricche d'acqua. Una merce di grande importanza era lo zucchero di canna, prodotto in India e introdotto in Europa nel periodo delle crociate.

I mezzi di comunicazione terrestri

I mezzi di trasporto nel mondo islamico non si discostano da quelli del periodo preislamico. In assenza di ogni tipo di meccanizzazione, le vie terrestri erano percorse dalle carovane, quelle marittime da navi di vario tipo, in entrambi i casi i popoli musulmani adattarono e talvolta svilupparono i sistemi precedenti. Mancò invece un sistema stradale paragonabile a quello romano, il che a volte faceva preferire le vie marittime. Soltanto i Mongoli, nel XIII secolo, avendo creato un impero che andava dalla Cina alla Mesopotamia, costruirono strade degne di questo nome. Infatti, il periodo mongolo rilanciò gli scambi terrestri con la Cina. Ragioni di comodo e di sicurezza consigliarono sin dall'antichità di raggruppare i mezzi di trasporto terrestri in convogli che viaggiavano lungo percorsi collaudati, con sicuri luoghi di approvvigionamento idrico. Il termine "carovana" deriva dal persiano kārwān. Al trasporto erano adibiti soprattutto i cammelli, ma nelle regioni montane erano preferiti i cavalli, i muli e gli asini. In India, dove non esistono deserti, nelle regioni pianeggianti non di rado le carovane erano costituite da buoi che trainavano carri, altrimenti si usava l'elefante. Il cammello offriva notevoli vantaggi, specialmente nelle regioni aride. La scarsa velocità era compensata dal carico: si è calcolato che un cammello era in grado di trasportare, nei Paesi a clima temperato, fino a 450 kg, cioè quattro-cinque volte il carico di un cavallo normale. Come è noto, esistono due tipi di Camelidi, il dromedario a una gobba, diffuso in Arabia, e il cammello a due gobbe, tipico invece della Battriana, molto ricercato per la sua adattabilità al clima. Durante le soste, la sicurezza era garantita dai ribāṭ e dai caravanserragli. Nei tragitti intervenivano invece scorte armate che proteggevano la carovana da ladri e predoni. Nei Paesi più caldi non di rado si preferiva viaggiare di notte. Le dimensioni di una carovana variavano a seconda dei casi, da una dozzina di animali poteva raggiungere anche 6000 cammelli, richiedendo allora una complessa organizzazione e una scorta.

I mezzi di navigazione

In assenza di una flotta militare potente, l'affermazione del mondo islamico nei traffici marittimi fu dunque circostanziale e dovuta a congiunture favorevoli. Sicurezza permettendo, gli Arabi preferirono le vie terrestri, anche in considerazione dei fondali bassi e delle formazioni corallifere presenti nel Mar Rosso e nel Golfo. Altro ostacolo allo sviluppo della marineria fu la cronica scarsità di legno. I testi arabi riportano peraltro molti nomi di navi, ma il criterio di classificazione non si basava sulla tipologia della nave, ma sul suo uso, ad esempio se da pesca o da trasporto fluviale. Conosciamo così oltre 200 nomi, ma ben poco sulla tecnica di costruzione, salvo quando il tipo è sopravvissuto fino ai nostri giorni, o qualche raro esempio riprodotto nell'arte o vagamente descritto in opere letterarie. Il più delle volte, le navi erano costruite con tavole legate tra loro con fibre di palma. La tecnica della legatura con chiodi fu conosciuta più tardi e molto probabilmente imitata dalle flotte cristiane. Nell'Oceano Indiano il tutto era facilitato dai monsoni, che però soffiavano in determinati periodi. Le navi erano piuttosto piccole e costruite con teak e palma da cocco, che forniva anche i legamenti. L'impermeabilità era precaria e assicurata per quanto possibile con grasso di balena. L'arte della navigazione raggiunse un notevole sviluppo; la navigazione prevalente era costiera e fluviale, quest'ultima di grande importanza nelle regioni del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate. La navigazione fluviale presentava indubbi vantaggi, poiché nel periodo delle piogge i fiumi erano percorribili in entrambi i sensi. Questo tipo di navigazione esigeva navi a fondo piatto. Nei fiumi della Mesopotamia si usavano zattere sostenute con pelli di capra gonfiate, ma il mezzo più comune era il kelek. L'Eufrate e il Tigri erano collegati da canali che oltre all'irrigazione provvedevano al trasporto, agevolato dal fatto che il livello dell'Eufrate era leggermente inferiore a quello del Tigri. La rete fluviale della Mesopotamia permetteva i collegamenti con la Siria e anche con parte della Persia, essendo il Karun navigabile fino ad Ahwaz e oltre. Per il trasporto merci si usava il kurkur, anch'esso di origine preislamica. Altro tipo d'imbarcazione era lo zaww, forse molto simile alla gondola. Ancora in Mesopotamia era in uso lo zawraq. Lo stesso termine fu usato per un tipo di nave nel Mediterraneo, evidentemente più grande. Quanto alle navi militari esistevano le ḥarraqah, che lanciavano proiettili incendiari. Talvolta erano navi molto eleganti con la prua a forma di animale, come quelle che il califfo al-Amin fece costruire per la sua corte. Per il trasporto truppe si usavano le sumayriyyāt, di cui non si conoscono molti particolari, ma che dovevano essere zatteroni protetti da qualche sovrastruttura. Anche nell'impero ottomano, che fu una potenza militare di tipo essenzialmente terrestre, si sviluppò la marineria nel tentativo di raggiungere la supremazia anche sui mari, anche se inizialmente si trattò di navi molto modeste, a un solo albero e a una sola vela.

Empori marittimi, fluviali e terrestri

L'abbondanza dei prodotti e la ricchezza delle classi alle quali faceva capo il commercio favorirono la creazione di una fitta rete di comunicazioni e di scambi che portò alla formazione di empori terrestri e marittimi, punti di riferimento regionali, dai quali venivano operati gli smistamenti successivi su aree più o meno ampie; l'importanza dell'emporio derivava dal commercio di transito. Non mancarono nel mondo islamico città "carovaniere", ma la formazione di un'élite, che nei suoi limiti possiamo definire "capitalista", comportò la concentrazione degli interessi in determinati centri, favoriti da zone agricole circostanti, da percorsi collaudati già in epoca preislamica, ma anche da motivazioni politiche, di sicurezza e prestigio, come nel caso di Baghdad e Samarra, o ancora da ragioni economiche, come saranno i grandi empori in Persia, in India e nell'Asia Centrale. Queste città, condizioni politiche permettendo, divennero i centri industriali dell'epoca. La produzione era concentrata prevalentemente nel sūq e si basava sulle corporazioni di mestiere o comunque su interessi comuni. La novità dell'Islam furono i centri religiosi, meta di un assiduo pellegrinaggio al quale si associava il commercio. L'aumento delle relazioni commerciali che fu tipico dei primi secoli islamici, ma anche l'indubbio fervore religioso favorì il loro sviluppo, come nel caso della Mecca, già centro commerciale in epoca preislamica. Meno noto è che altre città, come Kairouan in Occidente, i centri sciiti di Nagiaf e Kerbela in Iraq e Meshhed in Persia divennero importanti centri economici, associati al pellegrinaggio, ma anche a quella tipica istituzione islamica che è il waqf (fondazione pia) per la quale i profitti di negozi e terreni potevano confluire nell'istituto religioso, creando così quel nucleo di capitale necessario alle attività commerciali. Il sobborgo sciita di al-Kazimiyya a Baghdad è tuttora un fiorente centro commerciale, al quale il pellegrinaggio contribuisce in modo notevole. Centri di pellegrinaggio divennero per ragioni di prestigio anche Baghdad e Cordova, la prima per la presenza di alcune necropoli in cui sono sepolti mistici famosi, l'altra per ragioni politiche: la sua Grande Moschea, la terza del mondo, voleva rivaleggiare con la capitale abbaside ed era talvolta considerata la Kaaba dell'Occidente. La capitale andalusa d'altra parte nel X secolo era un emporio commerciale di prima grandezza, con traffici che si dilatavano dall'Africa all'Europa e attraverso Alessandria e Bisanzio potevano raggiungere l'Asia Centrale e l'Estremo Oriente. Distingueremo per ragioni di comodo gli empori terrestri da quelli marittimi, un'appendice dei quali si possono considerare gli empori fluviali, talvolta molto importanti essendo il mondo musulmano attraversato da fiumi navigabili, come il Nilo, il Tigri e l'Eufrate e in misura minore il Guadalquivir, l'antico Betis, lungo il quale, oltre a Cordova si trovava Siviglia, famosa per le sue esportazioni di cotone e prodotti agricoli. In certi casi l'emporio era terrestre e fluviale insieme. È il caso di Bassora, Baghdad e Il Cairo, o anche fluviale e marittimo, come Alessandria, collegata al Nilo mediante un canale artificiale. Gli Omayyadi (661-750 d.C.) avevano il loro centro a Damasco. I primi contatti che gli Arabi ebbero con il mare furono quindi i porti del Levante, storicamente concepiti come scali per rifornire le grandi città dell'interno, Gerusalemme, Damasco e Aleppo. Giaffa continuò a essere anche in epoca musulmana lo scalo preferito di Gerusalemme, meta del pellegrinaggio delle tre religioni monoteistiche. Altro porto importante era Gaza che, con Ascalona, Acri, Tiro, Sidone e Antiochia, divideva i traffici commerciali con l'interno. Gli Arabi ereditarono la grande tradizione marinara levantina che risaliva ai Fenici e che continuò a perfezionarsi nei periodi successivi, incluso il periodo romano, durante il quale furono costruite (o restaurate) le infrastrutture portuali. Nel periodo islamico il prevalente carattere di conflittualità con il mondo cristiano non favorì i traffici. La scarsa attrattiva economica della sponda nord non portò, salvo brevi periodi, a una supremazia marittima islamica nel Mediterraneo. Gli Stati musulmani rimasero più spesso sulla difensiva, al punto che talune infrastrutture portuali vennero distrutte per non agevolare le flotte cristiane. È il caso di Ascalona, distrutta da Saladino pochi anni dopo la conquista di Gerusalemme, nel 1187, per il pericolo di una nuova invasione crociata dal mare. L'ultimo baluardo cristiano, San Giovanni d'Acri, resse fino al 1291 soltanto grazie alla supremazia marittima. Soltanto in epoca coloniale i porti del Levante riprenderanno l'importanza d'un tempo. L'Occidente islamico, il Maghreb, non sviluppò empori marittimi paragonabili a quelli orientali. L'Andalusia ebbe un periodo fiorente fino al X secolo, quando si costituì in emirato, poi califfato omayyade. Importanti centri furono il porto di Almería (al-Mariyya) e Denia (Danya). Fu verso l'Asia che il mondo islamico sviluppò i traffici maggiori. La conquista del Sind (India occidentale) fu opera di Mohammed ibn Qasim che forse fondò al-Mansura sull'estuario dell'Indo, probabilmente sul posto o nelle vicinanze di Brahmanabad. Era un emporio importante, in quanto vi facevano capo centri regionali minori. Nel periodo abbaside altro scalo preferito era Khambayat. Sul delta dell'Indo si affermò anche Daybul, mentre Surat divenne il porto principale per il pellegrinaggio alla Mecca. Le merci dall'India raggiungevano il Golfo e l'Iraq, seguendo percorsi ben collaudati, forse già dalla preistoria. Siraf, direttamente sul Golfo, infatti aveva illustri precedenti. La città era strettamente collegata a Shiraz e parte dell'organizzazione commerciale sembra risiedesse in questa città. Bassora fu fondata sullo Shatt al-Arab come accampamento militare nel 638 d.C. Non era esattamente un porto fluviale, ma la città era percorsa da una rete di canali che le valsero il nome di Venezia d'Oriente e che agevolavano il traffico locale. Lo Shatt al-Arab, allora come adesso, aveva una navigazione difficile. Il traffico commerciale si fermava preferibilmente a Siraf e Ubulla, l'antica Apologos, ma tutto questo non toglieva molto all'importanza di Bassora in quanto centro economico, secondo soltanto a Baghdad. Un canale collegava Bassora a Ubulla. Perciò le merci vi giungevano mediante piccoli scafi o via terra. La città d'altra parte possedeva il suo porto fluviale, collegato al mirbad, il grande centro carovaniero che nell'espansione di Bassora divenne importante centro finanziario. La rete di canali, integrati ove necessario da percorsi terrestri, ne faceva assieme a Baghdad un sistema di comunicazioni che, fatte le debite proporzioni, ricorda i moderni bacini fluviali del Volga, del Danubio e del Reno. I traffici con l'Oriente ben presto raggiunsero la Cina. Al commercio con l'impero "celeste" parteciparono anche città che non possiamo qualificare come empori, ma che finirono col rientrare nell'assetto economico regionale, come Kufa e Wasit; quest'ultima, oggi in rovina, possedeva un quartiere "cinese". Con la Cina gli Arabi erano probabilmente venuti in contatto già in epoca preislamica: nel 758 esisteva a Canton (in arabo Khanfu) una colonia di mercanti musulmani. A capo della colonia c'era un musulmano di nomina governativa. Con permessi speciali i mercanti potevano viaggiare anche nell'interno. Alla vendita delle merci presiedevano funzionari della dogana cinesi. Le merci acquistate erano trattenute con un complesso sistema che garantiva gli eventuali danni fino all'entrata dell'ultima nave, una volta finito il monsone. Il declino economico della Mesopotamia abbaside a partire dall'XI secolo ebbe ovviamente riflessi negativi sui traffici. La stessa Siraf, che all'inizio ne trasse vantaggio, sarà sostituita da Kish e Hormuz. Il declino definitivo avverrà a causa della pirateria che si era sviluppata nell'isola di Kish. Hormuz, capitale del regno omonimo, già nel X secolo era il porto naturale del Kirman, del Sistan e del Khorasan. Il nucleo originario, noto come la "vecchia Hormuz", era sul continente. Nel XIII secolo il centro finanziario e commerciale si trasferì nella vicina isola di Jarun, che divenne un emporio di fama mondiale. Le merci erano poi esportate in Persia e in Asia centrale, o in Iraq, donde raggiungevano il Mediterraneo, segno della decadenza dei percorsi terrestri. L'importanza delle rotte del Golfo nei primi secoli dell'Islam ebbe ripercussioni negative nei traffici del Mar Rosso che facevano capo all'Arabia meridionale. In epoca preislamica era famosa per il commercio dell'incenso la città di Zafar, poi decaduta. Non così l'omonima città costiera, fiorente ancora nel XIV secolo, come la descrisse Ibn Battuta. Importante per il pellegrinaggio era Zabid, nello Yemen, l'emporio principale tra Aden e La Mecca. Il rilancio delle rotte del Mar Rosso avvenne quando in Egitto si costituì nel X secolo la forte dinastia dei Fatimidi e Aden riguadagnò importanza controllando la sponda meridionale del Mar Rosso. Le sue vicende sono strettamente associate ad Alessandria, che fu conquistata dagli Arabi nel 642 d.C. Nei primi secoli dell'Islam Alessandria era tuttavia in decadenza a vantaggio di al-Farama (al-Farma), la cui ascesa sembra dovuta ai Radhaniyya, un'organizzazione di mercanti ebrei che commerciavano merci europee verso l'Oriente e al ritorno portavano i prodotti dall'India e dalla Cina. Una grave secca del Nilo che danneggiò al-Farama e l'ascesa delle vie del Golfo portarono alla loro decadenza. Il momento di declino di Alessandria fu dovuto anche allo scarso sviluppo del commercio con la sponda nord del Mediterraneo essendo le Repubbliche Marinare in via di sviluppo. L'ascesa di Alessandria riprese nei periodi ayyubite e mamelucco nell'epoca delle crociate. La fama della città in Occidente emerge dalla celebre descrizione che ne dà Guglielmo di Tiro, che la definisce "il mercato dei due mondi... Tutte le spezie, gioielli e altri oggetti preziosi che sono assenti in Europa, vi giungono dal mare e dal Nilo, portando i prodotti dalle Indie, da Saba, dalle due Etiopie, Persia e Paesi vicini". Allo sviluppo della città contribuirono le Repubbliche Marinare, specialmente Venezia e Genova, ma anche Marsiglia e Barcellona. Alessandria aveva il vantaggio che una parte del percorso era fluviale, perciò molto meno costoso. Le navi che provenivano dall'Oriente dopo aver fatto scalo a Aden sbarcavano le merci nei porti del Mar Rosso, come Qusayr, donde venivano trasportate ai porti fluviali, come quello di Aswan, e da qui al Mediterraneo. Una via alternativa portava all'estremità nord del Mar Rosso, più precisamente a Qulzum, l'attuale Suez. Nel periodo più aggressivo delle crociate questa via era, però, ritenuta insicura. Erano ancora le spezie a guidare gli scambi. A gestire il commercio era talvolta la Corte, altrimenti gli stessi mercanti. Il periodo mamelucco fu un periodo di notevole instabilità politica che favorì l'emergere di caste militari, per affrontare la minaccia rappresentata dai crociati e dai Mongoli. L'accentramento del potere e le alte tassazioni ridussero l'iniziativa privata e contribuirono al declino della città. Per gli Arabi il Paese marinaro per eccellenza è l'Oman, il cui ruolo è stato agevolato dalla situazione geografica, che porterà gli Omaniti a incrementare i traffici con l'Oriente e con l'Africa orientale, utilizzando tra l'altro l'isola di Socotra. Il primo centro importante è stato Suhar, forse l'Omanum Emporium di Tolemeo, la cui fortuna deriva dalla zona fertile circostante e dalle miniere di rame che si trovano della regione, nota nell'antichità come Magan. La regione e quindi la città che all'inizio dell'era cristiana era chiamata Oman divennero il naturale fornitore di rame della Mesopotamia. Era una città ricca e prosperosa, come dimostrano scavi archeologici. Altri porti omaniti erano Matrah e Masqat, l'attuale capitale. In epoca ottomana, più che Istanbul, il porto importante fu Izmir, favorito nel rilancio delle rotte che portavano al Golfo, all'epoca di Solimano il Magnifico entrato in gran parte nell'impero ottomano. Gli Ottomani vinsero sui Persiani, ma non poterono impedire la supremazia occidentale che, già affermata con i Portoghesi, continuò con gli Olandesi e infine con gli Inglesi. Di gran lunga più importanti per i traffici furono i porti dell'Oceano Indiano, inizialmente limitati all'India occidentale, ma poi, grazie anche al commercio, l'Islam si estese fino alla penisola malese e in Indonesia. L'islamizzazione dell'Indonesia iniziò verso il XIII secolo e portò alla creazione di importanti sultanati, le cui capitali, come nel caso di Atièh e Malacca, divennero importanti centri commerciali. Gli Arabi e i Persiani conservarono un indiscusso primato sul sistema commerciale, sia per l'assenza di una potenza rivale, sia per la diffusione dell'Islam, ma anche per la tolleranza che i governanti musulmani dimostrarono nei confronti delle altre religioni, come in India per gran parte dell'epoca Moghul. Caratteristica degli empori terrestri è il loro sorgere accanto a città preesistenti, generalmente in situazioni favorevoli, come l'abbondanza d'acqua e una ricca produzione agricola. Abbiamo già ricordato Damasco, città bizantina e tradizionalmente orientata verso il Mediterraneo. La conquista araba fu una svolta decisiva nella storia della città, separata ormai dall'impero bizantino e sempre più rivolta verso l'Oriente, tendenza che si accentuò con la caduta degli Omayyadi nel 750 d.C. Gli Abbasidi fondarono una nuova capitale, Baghdad sul Tigri, la capitale culturale musulmana per eccellenza, che cumulava i vantaggi dell'emporio terrestre e di quello fluviale; non sappiamo quale dei due aspetti abbia maggiormente contribuito alla sua ricchezza come centro commerciale attivo nell'esportazione soprattutto di tessuti, di cotone e di seta, ma anche di cristalli. Altro centro importante della Mesopotamia era Mossul, il cui nome in arabo al-Mausil deriva dal fatto che la città si sviluppò alla confluenza di alcuni bracci e affluenti del Tigri. Come Baghdad, Mossul era emporio terrestre e porto fluviale su una rotta molto importante, perché collegata da una parte al sistema di comunicazioni del Sud mesopotamico e dall'altra al Levante e all'Asia Centrale. Lo sviluppo maggiore della città appartiene all'epoca degli Atabeg. Famosi i suoi tessuti, come le "mussoline" ricordate da Marco Polo. L'avvento dell'Islam in Iraq (il termine è antico, ma si riferiva a territori diversi) comportò la crescita di alcune città, ma anche la decadenza di altre, come al-Hira in prossimità dell'Eufrate, situata in una zona molto fertile, ma danneggiata dalla fondazione di Kufa e dalla vicinanza di Nagiaf, il maggiore centro del pellegrinaggio sciita. Importanti i centri della Persia di cui ricorderemo almeno Hamadan nell'Iran centrale. Nell'Asia Centrale i centri principali erano Bukhara, Merv e soprattutto Samarcanda, noto emporio commerciale famoso per l'industria della carta. Per l'Africa va fatta una distinzione tra le regioni orientali e occidentali, che non erano separate tra loro, ma gravitavano preferibilmente le une verso l'Arabia e la Mesopotamia e le altre verso i centri del Mediterraneo occidentale. Le prime, oltre all'oro e le pietre preziose del Sudafrica, esportavano talune spezie ed erano comunque collegate al sistema dei monsoni. Il Madagascar era forse il leggendario Waq-Waq. Dei porti dell'Africa orientale ricorderemo Melinda, Mombasa, Zanzibar e Kilwa, punti di riferimento per il traffico degli schiavi. Meno conosciuta è l'importanza dell'Africa occidentale, che aveva un attivo commercio con le regioni maghrebine, ivi compresa la Spagna musulmana. Awdaghost era l'emporio principale, che collegava l'Africa nera alle regioni musulmane dell'Atlantico e da qui attraverso Sigilmasa al Marocco e alle altre regioni maghrebine. Awdaghost era importante per il commercio dell'oro; esportava anche ambra pregiata. Nel X secolo fu sede di un sultanato e decadde a partire dall'XI secolo, fino a scomparire del tutto. Sigilmasa era situata più a nord e fu fondata, secondo al-Bakri nel 758, sul Wadi Ziz. Era un emirato importante e considerata la "porta del deserto". Centro fondamentale di transito delle carovane transahariane, era collegata al porto atlantico di Nul Lamta. Si ritiene che vi transitassero ogni anno 50.000 cammelli, trasportando oro, sia dall'Africa nera che dal Sudan, ma anche cumino, henna e zucchero. La città rientrava nel bacino del Senegal. Decadde con la graduale affermazione degli Stati coloniali. Timbuctù (Tumbuktu), da centro culturale divenne un centro commerciale a partire dal XV secolo. Vie carovaniere la collegavano al Sudan, all'Egitto, a Tunisi e al Marocco; aveva relazioni commerciali con l'Italia, specialmente Firenze.

Bibliografia

Fonti:

M. Reynaud, Relations de voyages faits par les Arabes et les Persans dans l'Inde et la Chine, Paris 1845; Ibn Battutah, Riḥlah (edd. C. Defrémery - B.R. Sanguinetti), I-IV, Paris 1853-59; Mas'udi, Muruj adh-dhahab (edd. C. Barbier de Meynard - Pavet de Courteille), Paris 1861-77; Ibn Khurradhbih, al-Masalik wa'l-mamalik (ed. C. Barbier de Meynard), in JAs, 6, 5 (1865), pp. 5-527; Ibn Hawqal, Kitāb ṣurat al-arḍ (ed. M.J. De Goje), Leiden 1873; Muqaddasi, Aḥsan at-taqāsim fī 'l-ma'rifat al-aqālim (ed. M.J. De Goeje), Leiden 1877.

In generale:

G. Le Strange, The Lands of the Eastern Caliphate, Cambridge 1905; Id., Baghdad during the Abbasid Caliphate, Oxford 1924; G. Ferrand, Introduction à l'astronomie nautique arabe, Paris 1928; E. Levi-Provençal, L'Espagne musulmane au Xe siècle, Paris 1932; H. Terrasse, Notes sur les ruines de Sijilmasa, Alger 1936; J. Sauvaget, Akhbār as-Ṣīn wa 'l-Hind (Relation de la Chine et de l'Inde), Paris 1948; H. Fahmi, Muslim Sea Power in the Eastern Mediterranean, London 1950; G.F. Hourani, The Arab Seafaring in the Indian Ocean, Princeton 1951; A. Lewis, Naval Power and Trade in the Mediterranean A.D. 500-1100, Princeton 1951; W. Heyd, Histoire du commerce du Levant au Moyen Âge, Amsterdam 1959; A.S. Atiyah, Crusades, Commerce and Culture, Bloomington - Oxford 1962; G. Hourani, Arab Seafaring, Beirut 1963; R. Di Meglio, Il commercio arabo con la Cina dalla jāhiliyya al X sec., in Scritti in onore di L. Veccia Vaglieri, Napoli 1964, pp. 523-52; Id., Il commercio arabo con la Cina dal X sec. all'avvento dei Mongoli, in AnnOrNapFil, 1965, pp. 87-104; Jamal ad-din ash-Shayyal, Ta'rīḫ madīnat al-Iskandariyyah fī 'l-'aṣr al-Islami [Storia della città di Alessandria in epoca islamica], Alexandria 1967; A. Miquel, La géographie humaine du monde musulmane, I-IV, Paris 1967-88; D.S. Richards (ed.), Islam and Trade in Asia, Oxford 1970; H. Grosset-Grange, Les traités arabes de navigation, in Arabica, 19 (1972), pp. 240-52; P. Chalmeta, El señor del Zoco en España, Madrid 1973; A. Williamson, Harvard Archaeological Survey in Oman, 1973, Sohar and the Sea Trade of Oman in the Tenth Century A.D., in ProcSemArSt, 4 (1974), pp. 78-96; V. Fiorani Piacentini, L'emporio ed il regno di Hormuz (VIII - fine XV sec. d.C.), in MemIstLomb, 35, 1 (1975); F. Gabrieli, Viaggi e viaggiatori arabi, Firenze 1975; La navigazione mediterranea nell'alto Medio Evo. Atti XXV Settimana CISAM 1977, Spoleto 1978; V. Fiorani Piacentini, Vie carovaniere e processi di popolamento del Khorasan orientale: il Kuhestan "Regione dei monti" (Iran Orientale), ibid., 1979; Sa'd ar-Rashid, Darb Zubaidah. The Pilgrim Road from Kufa to Mecca, Riyad 1980; G.R. Tibbetts, Arab Navigation in the Indian Ocean before the Coming of the Portugueses, London 1981; E. Ashtor, East-West Trade in the Medieval Mediterranean, London 1986; Id., Studies in the Levantine Trade in the Middle Ages, London 1987; M. Tolmacheva, On the Arab System of Nautical Orientations, in Arabica, 27 (1989), pp. 180-89; A. Miquel, L'Islam et sa civilisation, Paris 1990; A. Nabi Khan, al-Mansura. A Forgotten Arab Metropolis in Pakistan, Karachi 1990; V. Fiorani Piacentini, Merchants and Merchandise and Military Power in the Persian Gulf (Suriyanj/Shahriyaj- Siraf ), Roma 1992; Mercati e mercanti nell'Alto Medio Evo: l'area euroasiatica e l'area mediterranea. Atti XL Settimana CISAM 1992, Spoleto 1993; L. Boulnois, La via della seta, Milano 1993; P.B. Corcellet, La via delle spezie, Milano 1993; D. Abulafia, The Role of Trade in the Christian Contacts during the Middle Ages, in D.A. Agius - R. Hitchcock (edd.), The Arab Influence in Medieval Europe, Reading 1994, pp. 1-24; W. Kleiss, Karawanenbauten in Iran, I, Berlin 1996.

I contenitori da trasporto nel periodo medievale e islamico

di Francesca Romana Stasolla

Le anfore

Il venir progressivamente meno dei rapporti commerciali, ma prima ancora politici ed economici, che avevano collegato le sponde del Mediterraneo nel periodo romano e, sia pure in diversa misura e secondo diverse direttrici, nel periodo tardoantico, determinò una flessione, ma non una interruzione, nella produzione anforaria. Tale crisi investì in modo particolare il Mediterraneo occidentale, mentre in Oriente le condizioni di maggiore stabilità politica ed il mantenimento di una migliore organizzazione statale consentirono il prosieguo delle produzioni anche successivamente alle conquiste arabe. La difficoltà di tracciare un quadro delle produzioni e della rete di distribuzione per il periodo medievale, e ancor più nelle regioni islamizzate, deriva soprattutto dalla scarsezza e dalla disomogeneità delle fonti archeologiche. Le indagini di scavo in siti importanti del Mediterraneo e delle coste del Mar Nero consentono comunque di determinare alcune tipologie e di ancorarle cronologicamente, mentre dallo studio dei relitti postclassici è possibile ricavare informazioni sulla rete commerciale che, sia pure con minore diffusione, continuò ad esistere. Utili informazioni sulla terminologia e sugli aspetti semantici del termine anfora vengono anche dalle fonti documentarie. La caratteristica prevalente delle anfore medievali rispetto alle forme precedenti è costituita dalla tendenza a più modeste proporzioni. Questo dato, probabilmente da mettere in relazione anche con la diversa tipologia delle imbarcazioni, era stato tipico delle anfore tardoantiche di provenienza orientale. Ed è proprio dalle regioni egeo-orientali e dall'area pontica che provengono la maggior parte delle produzioni medievali finora note, oltre che molti prototipi per le anfore prodotte in Italia. I mutamenti formali rispetto alle anfore tipiche della piena età imperiale erano già cominciati nel periodo tardoantico, quando erano apparse sui mercati occidentali le produzioni orientali, caratterizzate da minori dimensioni e dalla presenza di costolature esterne e di decorazione dipinta. Dal punto di vista morfologico, le anfore medievali frequentemente si riallacciano all'evoluzione di tali contenitori e tendono ad assumere forme globulari o piriformi, con breve collo e spesso sono prive di puntale. Il carico composito del relitto di Yassi Ada, in Asia Minore, della prima metà del VII secolo, costituisce un'importante esemplificazione di questi passaggi formali. Un altro problema tipico delle anfore medievali, che sembra investire soprattutto quelle di produzione italica, è costituito dalle analogie morfologiche tra anfore da trasporto ed anfore da immagazzinamento o da dispensa. Questo fenomeno, evidente soprattutto in contesti della prima metà del IX secolo, ha fatto avanzare l'ipotesi che ci sia stata una sorta di riconversione dell'anfora da trasporto in recipienti a fondo piano, simili ma destinati ad uso domestico. Parallelamente, non va dimenticato il contributo dato ai commerci transmarini dall'uso di materiali e di contenitori alternativi alle anfore, come le botti e gli otri in pelle. Tale utilizzo sembra prevalere in ambito islamico: la documentazione della Geniza (Il Cairo) infatti evidenzia la netta prevalenza di recipienti non ceramici in epoca fatimide. Sono comunque forse di terracotta i grandi contenitori (zarf ) ordinati nel 1061 da un mercante tunisino per l'olio egiziano ed importati dalla Siria; lo stesso termine è utilizzato ad Almería nel 1141 in riferimento a recipienti per l'allume. Le fonti documentarie forniscono attestazioni anche per quelle aree dove la mancanza di rinvenimenti potrebbe far ipotizzare la scomparsa delle anfore: da tale documentazione viene infatti confermata (ad es., per l'Italia settentrionale) la continuità della terminologia romana in riferimento alla principale misura di capacità del vino, l'anfora ed i suoi sottomultipli. Se nell'ambiente romano il termine anfora permane anche in epoca medievale (ancora nel X secolo compare come unità di misura nel Breve di Migliarina) ad indicare il principale recipiente ceramico da trasporto, in area bizantina prevalgono i termini magarikon o megarikon che, come nel caso dell'anfora, alludono anche all'unità di misura, il magariko. L'area nordafricana, le cui esportazioni avevano costituito un aspetto fondamentale dell'economia del periodo tardoantico, decadde economicamente in seguito alle conquiste arabe. Anche nella Zeugitana e nella Bizacena, infatti, la produzione di olio cessò non oltre il IX secolo. Per quanto riguarda l'Italia, i rinvenimenti di anfore medievali provengono soprattutto da Roma e dai suoi dintorni, oltre che dalle regioni meridionali della penisola, a testimonianza di un commercio interregionale che si svolgeva soprattutto lungo le coste tirreniche centro- meridionali. Dalle stratigrafie di VII secolo di Porto provengono piccole anfore dal corpo globulare, con fondo ombelicato o arrotondato, collo troncoconico ed anse impostate sotto l'orlo e sulla spalla. Si tratta di un tipo diffuso in tutto il Mediterraneo, rintracciato anche ad Istanbul, a Cipro ed in altre località dell'Egeo, oltre che a Roma (Crypta Balbi) ed in vari siti dell'Italia meridionale (Miseno, Napoli, Otranto, Cefalù, ecc.), anche se non necessariamente alla vicinanza morfologica corrisponde una medesima origine. La geografia della distribuzione di questo tipo di anfora consente di ipotizzare un mercato non esclusivamente locale, ma ancora veicolato da vettori marittimi: la derivazione morfologica dai tipi tardoantichi di tradizione orientale costituisce un ulteriore elemento a sostegno degli stretti legami con il mondo bizantino, anche se forse è corretto parlare di importazioni di modelli anforari, più che di contenitori veri e propri. Appare altrettanto evidente come il traffico marittimo lungo le coste centromeridionali della penisola fosse almeno in parte funzionale ai bisogni dell'annona romana, come confermato anche da fonti scritte. Non doveva però essere secondario alle motivazioni di tale commercio il ruolo della Chiesa nell'approvvigionamento urbano, che poteva contare sui vasti possedimenti ecclesiastici dell'Italia meridionale, almeno fino alla loro conquista da parte dell'imperatore Leone III Isaurico (730). È comunque significativo che i rapporti commerciali segnati dalle anfore siano continuati anche dopo tale data, almeno fino all'inizio e forse alla metà del IX secolo. A partire da questo periodo, la creazione delle domuscultae nelle campagne romane compensò almeno in parte la perdita dei possedimenti confiscati e determinò una ulteriore regionalizzazione nella rete distributiva segnata dalle anfore. A Roma, la circolazione delle anfore da trasporto sembra perdurare fino all'età carolingia, con modelli sempre più standardizzati e sempre più prossimi alle olle acquarie e alle anfore da dispensa, che ne rappresentano l'ultima evoluzione. A questo proposito, i materiali rinvenuti negli scavi romani della Crypta Balbi hanno restituito una seriazione cronologica che consente di apprezzare le modifiche morfologiche che hanno segnato il passaggio dalle anfore vere e proprie alle anfore "acquarie" di XI secolo, globulari e con larghe anse a nastro e fondo concavo, sostituite nel XIII secolo da recipienti simili, ma con corpo biconico e basso collo, contenitori da dispensa e non più da trasporto. In Campania il castrum di Miseno ha restituito una fornace ancora in funzione nell'VIII secolo che produceva anfore di piccola taglia, la cui distribuzione doveva essere limitata alla costa tirrenica centromeridionale. Sempre nell'Italia del Sud, ma sul versante adriatico, nello scavo delle fornaci di Otranto, caposaldo bizantino fino al 1064, accanto a produzioni di età bizantina che dal punto di vista morfologico dipendono dai coevi tipi globulari orientali, sia pure prive di decorazione incisa a pettine, sono state rinvenute anfore realizzate in loco tra X e XIII secolo. La presenza di questi contenitori può essere ricollegata alla documentazione scritta che attesta il rifornimento di olio da Bari a Costantinopoli nel 1051 ed è singolare la presenza ad Istanbul di anfore di probabile produzione locale (Saraçhane 67), ma che richiamano morfologicamente quelle pugliesi. Sempre a Otranto sono state rinvenute le anfore cosiddette à cannelures (Otranto XX), diffuse tra XI e XII secolo anche in altri siti dell'Italia meridionale (Salerno, Napoli, Reggio Calabria, relitto di Marsala). Sono di produzione maghrebina o forse anche siciliana e attestano i rapporti commerciali con le aree islamiche. La presenza di tali contatti nel XII secolo è confermata dalla documentazione della Geniza, che menziona Amalfi, Lucca, Salerno e Venezia come città con le quali erano stabiliti rapporti commerciali. Sono databili a fine XI - metà XII secolo, presentano analogie con quelle rinvenute in altre località dell'Italia meridionale (Zisa di Palermo, Napoli, Capaccio Vecchia, Altavilla Silentina) e sono forse da mettere in relazione con il termine cadus, menzionato nella documentazione trecentesca del Cilento in riferimento a recipienti per il trasporto di derrate solide. Nella Penisola Iberica dopo il VII secolo cessano tracce significative di produzioni anforarie. Il rinvenimento al largo delle coste provenzali del relitto d'Agay (X sec.) ha consentito una maggiore conoscenza delle produzioni da trasporto nelle aree islamizzate. L'imbarcazione doveva infatti provenire dal litorale orientale della Penisola Iberica (Sharq al-Andalus) e trasportava un carico composito, comprendente anche grandi giare, con o senza anse, con superficie liscia o costolata e decorata da incisioni realizzate con le dita o con un coltello. Appare significativo che recipienti analoghi siano stati rinvenuti anche nei coevi relitti di Bataguier e di Rocher de l'Estéou, sempre lungo il litorale provenzale. È soprattutto nel tardo Medioevo che si diffondono tali contenitori da trasporto, le "giare islamiche", la cui origine si riconduce al Nord Africa e alla Spagna. Sono inoltre presenti forme intermedie di giare-anfora diffuse anche in Italia e soprattutto in Toscana. Per quanto riguarda le aree orientali, gli scavi di Saraçhane (Istanbul) hanno consentito il rinvenimento di anfore di VIII secolo analoghe alle produzioni globulari egee di VI-VII secolo e vicine tipologicamente agli esemplari rinvenuti a Porto e a Roma. Anche se non è possibile stabilire al momento una esatta dinamica delle importazioni e delle esportazioni tra le aree orientale ed occidentale del Mediterraneo, la presenza di tali affinità morfologiche costituisce la spia per il passaggio almeno di modelli, se non di contenitori, fra Oriente ed Occidente. Proprio a Saraçhane è stato comunque osservato come a partire dall'VIII secolo l'area di origine delle anfore, benché al momento non precisabile, sia diversa da quella dei contenitori dei periodi precedenti, ad attestare le mutate condizioni economiche e commerciali dell'impero bizantino. Ancora nel VII secolo sono attestate le anfore "a sacco", che presentano affinità formali con le Late Roman Amphora 5-6, di produzione palestinese. I rinvenimenti del monastero di Kellia, in Egitto, sono particolarmente esaustivi per dimostrare come l'invasione islamica almeno in alcune aree non abbia sovvertito le dinamiche commerciali né abbia proposto nuovi modelli per i contenitori da trasporto, visto che ancora nell'VIII secolo non ci sono interruzioni nelle produzioni, ma solo una lenta diminuzione, né sostanziali modifiche formali nella fattura delle anfore. Un dato di conforto in tal senso viene dai ritrovamenti medio- orientali, soprattutto in area siriana, palestinese e giordana (Pella, Khirbet al-Karak, Khirbet al-Mafgiar, Gebel Usais, ecc.), dove appare evidente l'ampia diffusione cronologica fino ad epoca abbaside della bag amphora, termine nel quale sono probabilmente comprese tipologie affini, ma al momento non identificabili con chiarezza. Le regioni delle aree egea, pontica e balcanica, oltre che le zone circostanti il Mar Nero, hanno restituito un gran numero di attestazioni archeologiche di epoca medievale. L'analisi delle anfore conservate nei musei turchi ha consentito a N. Günsenin (in Deroche - Spieser 1989) di formulare una tipologia che al momento costituisce il miglior punto di riferimento per le anfore di tali aree e che permette di convogliare in gruppi più generali buona parte delle tipologie realizzate all'interno delle varie edizioni regionali o legate ai singoli scavi. Queste anfore, le cui caratteristiche comuni sono costituite dalle dimensioni ridotte e dalla presenza di anse sormontanti l'orlo, sono importanti perché attestano tra IX e XIV secolo la presenza di una rete commerciale marittima tra l'area egea e quella del Mar Nero. La mancanza di riscontri archeologici per l'epoca successiva al XIV secolo, insieme al rinvenimento di relitti con carico composto da recipienti lignei e/o di fibra vegetale, ha fatto dedurre il ricorso a nuovi sistemi di trasporto delle derrate, soprattutto alla sostituzione delle anfore con le botti, come sembra confermato dalla mutata unità di misura del carico navale, dall'anfora appunto alla botte.

Gli altri contenitori da trasporto

A partire dal VII secolo, l'uso dell'anfora tende a diminuire, a vantaggio di una grande varietà di recipienti da trasporto, nell'analisi dei quali si pongono due ordini di problemi. Per quanto riguarda i contenitori ceramici, sostitutivi delle anfore soprattutto nel periodo islamico, è al momento arduo stabilire se si trattasse di recipienti per il trasporto transmarino o piuttosto destinati all'immagazzinamento; in realtà, per queste grandi giare in terracotta è presumibile pensare ad una duplice funzione. La parallela diffusione dei materiali organici per la realizzazione dei contenitori ha invece determinato il mancato ritrovamento dei loro resti materiali, così che i dati archeologici in nostro possesso sono fortemente mutili e condizionati dalla povertà dei rinvenimenti. Solo qualche fortunato episodio di conservazione ha consentito di rileggere alla luce delle evidenze le fonti documentarie ed iconografiche che attestano la diffusione di contenitori non ceramici. La tradizione araba, meno avvezza ai recipienti in terracotta ‒ tanto che nelle aree islamizzate nelle quali continuò la produzione di anfore non si assistette ad alcun mutamento formale, ‒ contribuì ad un processo di sostituzione delle anfore, legate ad un sistema commerciale e di organizzazione territoriale delle risorse profondamente mutato già tra VII e VIII secolo. Ampia diffusione avevano senza dubbio le botti, contenitori lignei di origine celtica che erano utilizzati soprattutto per il trasporto del vino; di essi non si conosce con esattezza la data d'inizio d'uso, anche se le prime attestazioni letterarie risalgono a Cesare (Gall., VIII, 42, 1). Le evidenze archeologiche dirette sono piuttosto scarse, soprattutto a causa della mancata conservazione dei resti lignei, ma le fonti letterarie e iconografiche possono in qualche modo integrare tale lacuna. Oltralpe, il monumento di Neumagen e i bassorilievi di Langres e Cabrières contengono rappresentazioni di botti, mentre varie attestazioni della loro presenza provengono dalle coste danubiane. La stessa iconografia di Sucellus, divinità gallica che presiedeva alla fabbricazione della birra, mostra un martello e una botte. La situazione sembra essere diversa in Italia, dove il termine cupa, in riferimento a recipienti per la fermentazione e la conservazione del vino, è attestato da svariate fonti e solo nel V sec. d.C., in una novella di Valentiniano III, è riferibile a contenitori da trasporto. Lo stesso Plinio (XVI, 42) utilizza una perifrasi per alludere alle botti galliche, per le quali evidentemente mancava un preciso corrispettivo. Questo non vuol dire però che le botti siano rimaste sconosciute: è del III sec. d.C. infatti il cosiddetto "sarcofago dei bottai", da Ancona ma di produzione ravennate, con una scena di degustazione, mentre nelle catacombe di Roma ci sono varie rappresentazioni pittoriche di età tetrarchica, quali il celebre "cubicolo dei bottai" dell'ipogeo di Vibia e la rappresentazione del carico delle botti nel cimitero di Priscilla. A partire dal IV sec. d.C. anche a Roma le botti erano oggetti comunemente utilizzati in alternativa alle anfore, che però non sono mai state soppiantate dai recipienti lignei; sembra invece ben attestata la compresenza dei due tipi di contenitori. Le botti sembrano sostituire le anfore in Occidente in maniera considerevole a partire dal VII secolo, mentre in Oriente l'uso dei contenitori ceramici sembra proseguire molto più a lungo, tanto che solo a partire dal XVI secolo la portata delle navi viene calcolata in botti e non in anfore. Le fonti documentarie di epoca altomedievale sono ricche di menzioni di botti, sia negli elenchi dei beni domestici, sia come indicazione di unità di misura. La varietà lessicale riscontrata testimonia un uso diffuso e differenziato di questi contenitori: compaiono ad esempio la buttedecito (botte per aceto), la butte minore, la butte granaria, la butticella granaria, la bote da vino. Dalle stesse fonti è possibile dedurre le modalità di realizzazione di tali recipienti: è attestata infatti la botticella de scandole, oltre alla presenza nell'XI secolo di circlis, di salicibus e di malta per la riparazione di organea, recipienti che possono essere identificati con le botti, visto l'uso di cerchi, di salici (utilizzati per legare tra loro i cerchi ancora nel XV sec.) e di malta, probabilmente un composto di calce e sugna con funzione impermeabilizzante. In area bizantina sono molto diffuse borracce in pelle di capra con uno scheletro ligneo nella parte cilindrica prossima alla base circolare, così che riempiendosi si gonfiavano solo da una parte e a differenza degli otri erano più adatte al trasporto di liquidi su animali da soma. Inoltre, la presenza di un lato piatto ne consentiva una migliore base di appoggio, anche se il vaso poteva essere pure poggiato verticalmente. Questi recipienti sono noti con il nome di askodabla dal Libro delle Cerimonie di Costantino Porfirogenito e ad una primitiva versione in pelle succedettero tipi realizzati nei materiali più svariati, legno, lamine metalliche, terracotta. Derivati da contenitori diffusi già nell'età del Bronzo nell'area egea, acquistano grande fortuna nel periodo tardoantico e sono stati rinvenuti lungo le coste settentrionali del Mar Nero (VIIIIX sec.), in Bulgaria e in Grecia (X-XIV sec.), oltre che, più sporadicamente, in alcuni siti occidentali, tanto da identificare un gruppo di area romana. In realtà, contenitori analoghi non sono estranei ai siti occidentali già nel VI secolo, epoca a cui rimontano gli esemplari di legno, terracotta e bronzo da Colonia e da Concevreux, mentre le fonti iconografiche ne attestano il perdurare dell'uso in Germania e in Italia fino al XIX secolo. Dalla produzione tarda del Nord Africa e della Spagna provengono grandi giare di terracotta con decorazione a stampo o a punzone, utilizzate sia per l'immagazzinamento delle derrate che per il commercio a lunga distanza. Questi recipienti, diffusi tra XI e XIII secolo non solo nella Sicilia musulmana, dove per altro venivano prodotti anche nei periodi aghlabide e fatimide, ma anche nei relitti arenatisi lungo le coste meridionali della Francia (ad es., nei relitti di Batéguier, di Rocher de l'Estéou, d'Agay) e rintracciati in Liguria e in Toscana. Tali contenitori giungevano lungo le rotte commerciali che collegavano il Maghreb islamizzato con l'Andalusia, soprattutto nella zona di Alicante, e con le coste italiane, secondo direttrici non ancora ben chiare. I documenti della Geniza del Cairo costituiscono una delle fonti più chiare per la conoscenza della molteplicità di contenitori utilizzati nei traffici transmarini ed in primo luogo confermano la predilezione per gli otri nel commercio marino nel periodo fatimide. Inoltre, attestano l'uso di involgere beni solidi e non fragili, in primo luogo le stoffe, in tessuti che preservavano i manufatti più preziosi e contemporaneamente costituivano un prezioso elemento di separazione e di protezione nello stivaggio dei materiali più delicati. Scarse sono infine le tracce archeologiche di contenitori di fibra naturale, estremamente deperibili: un caso fortunato ha consentito il recupero nel relitto di Yassi Ada, lungo le coste turche, datato all'XI secolo, di grosse gerle di fibra vegetale per il trasporto di rottami vitrei. L'uso del vetro nel commercio transmarino sembra attestato piuttosto tardi, solo a partire dal XIV secolo, a giudicare dal più antico inventario di Murano che menziona grandi contenitori per liquidi, evidentemente una sorta di damigiane.

Bibliografia

Sulle anfore:

S.D. Goiten, A Mediterranean Society. The Jewish Communities of the Arab World as Portrayed in the Documents of the Cairo Geniza, I, Berkeley - Los Angeles 1967, pp. 332-39; G. Pasquali, Olivi e olio nella Lombardia prealpina, in StMediev, ser. III, 13, 1 (1972), pp. 257-65; Z. Brusic, Byzantine Amphorae (9 th to 12th Century) from Eastern Adriatic Underwater Sites, in Archeologia Iugoslavica, 17 (1976), pp. 37-49; S. Ximanes, Étude préliminaire de l'épave sarracine du Rocher de l'Esteou, in CahASubaqu, 5 (1976), pp. 139-50; G. Vindry, Présentation de l'épave arabe du Batéguier (baie de Cannes, Provence Orientale), in La céramique médiévale en Méditerranée occidentale. Colloques internationaux du CNRS, 584 (Valbonne, 11-14 septembre 1978), Paris 1980, pp. 221-26; J. Boardman, The Finds. The Pottery, in M. Ballance et al. (edd.), Excavations in Chios 1952-1955. Byzantine Emporio, Oxford 1989, pp. 88-121; V. Deroche - J.-M. Spieser (edd.), Recherches sur la céramique byzantine, Paris 1989; D. Brentchaloff - Ph. Sénac, Note sur l'épave sarrasine de la rade d'Agay (Saint-Raphaël, Var), in AIslam, 2 (1991), pp. 71-79; P. Arthur, Amphorae for Bulk Transport, in F. D'Andria - D. Whitehouse (edd.), Excavations at Otranto, II, Galatina 1992, pp. 199-217; J.W. Hayes, Excavations at Saraçhane in Istanbul, II. The Pottery, Princeton - Washington 1992; J.-P. Sodini - E. Villeneuve, Le passage de la céramique byzantine à la céramique omeyyade en Syrie du Nord, en Palestine et en Transjordanie, in P. Canivet - J.-P. Rey-Coquais (edd.), La Syrie de Byzance à l'Islam. VIIe-VIIIe siècle. Actes du Colloque International (Lyon - Paris, 11-15 septembre 1990), Damas 1992, pp. 195-218; B. Ciarrocchi et al., Produzione e circolazione di ceramiche tardoantiche ed altomedievali ad Ostia e Porto, in L. Paroli - P. Delogu (edd.), La storia economica di Roma nell'Alto Medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici. Atti del Seminario (Roma, 2-3 aprile 1992), Firenze 1993, pp. 203-46; H. Patterson, Un aspetto dell'economia di Roma e della Campagna Romana nell'altomedioevo: l'evidenza della ceramica, ibid., pp. 309-31; F. Sogliani, Le testimonianze ceramiche tardoantiche e medievali a Bosra (Siria). Per un primo contributo alla conoscenza delle tipologie, in CARB XLI (1994), pp. 433-62; L. Villa, Le anfore tra tardoantico e medioevo, in S. Lusuardi Siena (ed.), Ad mensam. Manufatti d'uso da contesti archeologici fra tarda antichità e medioevo, Udine 1994, pp. 335-431; I. Pastore, La ceramica medievale a bande rosse dal castello e dall'area urbana di Salerno, in E. De Minicis (ed.), La ceramica di Roma e del Lazio in età medievale e moderna. Atti del II Convegno di Studi (Roma, 6-7 maggio 1994), Roma 1995, pp. 252-64.

Sugli altri contenitori da trasporto:

S. Goitein, A Mediterranean Society. The Jewish Communities of the Arab World as Portrayed in the Documents of the Cairo Geniza, I, Berkeley - Los Angeles 1967; E. Schilbach, Byzantinische Metrologie, München 1978; F.H. van Doorninck jr., The Medieval Shipwreck at Serçe Limani: an Early 11th-century Fatimid-Byzantine Commercial Voyage, in Graeco-Arabica, 5 (1986); A. Tchernia, Le vin de l'Italie romaine, Rome 1986, pp. 285-92; Ch. Bakirtzis, Βυζαντινα τσοϰαλολαγημα, Athinai 1989; A. Desbat, Un bouchon de bois du Ier siècle après J.-C. recueilli dans la Saône à Lyon et la question du tonneau à l'époque romaine, in Gallia, 48 (1991), pp. 319-36; G. Messineo, Una singolare forma di borraccia, in E. De Minicis (ed.), La ceramica di Roma e del Lazio in età medievale e moderna. Atti del III Convegno di Studi (Roma, 19-20 aprile 1996), Roma 1998, pp. 65-69.

CATEGORIE