ARPINATI, Leandro

Enciclopedia dello Sport (2002)

ARPINATI, Leandro

Alberto Polverosi

Italia. Civitella di Romagna (Forlì), 29 febbraio 1892-Bologna, 22 aprile 1945

Dirigente federale e uomo politico di primo piano del Fascismo. Deputato in tre legislature, tra il 1921 e il 1934, e sottosegretario al Ministero dell'Interno dal 14 settembre 1929 al 4 maggio 1933, fu nominato presidente della Federcalcio dal presidente del CONI, Lando Ferretti, nel 1926 e per assumere la carica più importante del calcio italiano lasciò quella di vicepresidente della FIDAL. In qualità di podestà di Bologna, nel 1926, contribuì in maniera determinante alla realizzazione dello stadio Littoriale (chiamato poi Renato Dall'Ara). Molto legato al Bologna, proprio per evitare che si speculasse sulle sue frequentazioni bolognesi, fece in modo che il Campionato del 1927, vinto dal Torino e poi revocato per illecito, non fosse assegnato al Bologna, secondo classificato. Trasferì la sede della federazione prima da Torino a Bologna (1926) e poi da Bologna a Roma (1929). Organizzò il primo Campionato a due gironi, non basato su suddivisioni geografiche e, attraverso lo statuto che regolamentava i punti fondamentali dell'ente calcio, la 'Carta di Viareggio' del 1926, impose un solo straniero nel Campionato 1926-27 e squadre tutte italiane a partire da quello successivo. La norma fu aggirata dai dirigenti dei grandi club attraverso l'ingaggio di giocatori sudamericani con origini italiane, ma quando oriundi come Orsi, Cesarini e Monti vennero impiegati in nazionale Arpinati si dichiarò contrario. Nell'estate del 1929, divise il Campionato in due sezioni: le prime nove formazioni dei due gironi furono unite nella serie A, le altre squadre andarono a formare la serie B. Fra il 1931 e il 1933 affiancò alla carica alla Federcalcio quella di presidente del CONI. Nel 1933, anche a causa di una lite con il segretario del partito fascista, Achille Starace, lasciò i due incarichi e abbandonò la carriera politica. Arrestato il 26 luglio 1934, fu mandato al confino a Lipari per due anni. Liberato, rimase estraneo a ogni attività politica, anche dopo le offerte rivoltegli da Mussolini nel 1943. Fu ucciso da un gruppo di partigiani all'indomani della liberazione di Bologna.

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