Lectura Dantis

Enciclopedia Dantesca (1970)

Lectura Dantis

Aldo Vallone

Vicende storiche. - La difficoltà d'intendere, nell'insieme e nei particolari, l'opera di D., e per essa soprattutto la Commedia, da una parte; dall'altra l'interesse crescente che l'opera stessa ha suscitato, sono i fattori principali che hanno determinato la genesi, l'istituzione e l'incremento della ‛ lectura Dantis '. Lettore e commentatore non si sono distinti mai nel lungo cammino dell'esegesi dantesca, meno ancora nei primi tempi. Leggere, del resto, era ed è interpretare. Naturalmente temi e mezzi sono variati nel tempo e, in un certo senso, anche in modo netto e drastico. Tuttavia la l., più ancora del commento, presuppone oggi come ieri l'immediatezza e la presenza del pubblico, cui il lettore, anche istintivamente, è indotto ad adattare la sua esposizione. Ed è certo storia suggestiva intendere e vagliare tutte le segrete vibrazioni del condizionamento (del pubblico sul lettore e viceversa) dinanzi a un testo di per sé così complesso e pur aperto a plurime considerazioni.

Almeno tre momenti di l. pubblica possono distinguersi nel tempo: quello trecentesco che può accentrarsi attorno al Boccaccio, con Boccaccio protagonista; quello cinquecentesco, auspice l'Accademia Fiorentina; quello moderno, che, avviato a fine Ottocento dopo la costituzione (in Germania e in Italia) delle Società Dantesche, perdura oggi intenso e fecondo. Sono tre momenti che valgono come nuclei, entro cui si matura e da cui promana esemplarmente una diversa lezione di Dante.

La ripartizione in tre nuclei-momenti non solo risponde a un acquisto obiettivo di elementi interni della l. e della fortuna dantesca; ma è anche suggerita da una diversa maturazione storica politica e sociale che porta il testo di D. dalla civiltà comunale al Rinascimento, da questo all'età che celebra l'unità risorgimentale e nazionale.

Il Boccaccio dà inizio alla sua l. il 23 ottobre 1373 in Santo Stefano di Badia. Si giunge a questo incarico, attraverso le consuete trafile burocratiche, per suggerimento e stimolo della pubblica opinione. La petizione, presentata ai priori delle Arti e al gonfaloniere di giustizia e da costoro accettata il 9 agosto 1373, è approvata prima dal Consiglio del capitano e del popolo (con voti 186 a favore e 19 contrari) e definitivamente dal Consiglio del podestà e del comune (con voti 114 a favore e 7 contrari; cfr. I. Del Lungo, Dell'esilio di D., Firenze 1881, 163 ss.). Boccaccio, stanco e malfermo in salute, poté tenere sessanta lezioni, varie e diseguali per contenuto e misura, giungendo sino all'inizio del XVII canto dell'Inferno. Ebbe modo di utilizzare spunti e annotazioni di Pietro Alighieri, di Iacopo della Lana, dell'Ottimo. Raccolse, pur senza vagliare, notizie storiche, e dai cronisti e dalla viva voce del popolo e dei cittadini che si dissero famigliari del poeta. Attorno a lui, in giorni non festivi (a parte la prima lezione inaugurale tenuta di domenica) si raccolse un pubblico composito: mercanti, popolani, iscritti alle Arti, borghesi, artigiani (i sollecitatori pubblici); ma anche eruditi e letterati (forse per polemica e curiosità: e valga la testimonianza del Boccaccio stesso nei quattro sonetti contro i " detrattori "; cfr. A.F. Massera, in " Giorn. stor. " LXI [1913] 353 ss.).

Alla morte del Boccaccio il Sacchetti, tra l'altro, lo rimpiangeva come lettore unico di un testo immortale risorto per suo mezzo: " Come deggio sperar che surga Dante / che già chi il sappia legger non si truova? " (G. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di D., a c. di G. Padoan, Milano 1965, XVI). La l. oscurò i precedenti tentativi, avviati in privato e non pubblicamente, a Firenze Bologna Siena, peraltro fusi con i primi assaggi esegetici dei commentatori e postillatori, e avviò definitivamente, se non il gusto e lo stile, certo l'uso della l. pubblica. E si pensi all'esempio più probante: l'iniziativa del Filelfo in S. Maria del Fiore (O. Bacci, Il Boccaccio lettore di D., Firenze 1913, 14, 32).

La lezione del Boccaccio lettore, presente nel Buti, nell'Anonimo Fiorentino, nel Landino, è largamente operante anche nei lettori di un'accademia di studi in Firenze, istituita il 1° novembre 1540 a iniziativa di Giovanni Mazzuoli lo Stradino e denominata " Fiorentina " il 14 dello stesso mese. Essa qualifica l'età come prospera e feconda sia per chi militò dentro, sia per chi la fiancheggiò; sia dinanzi alle altre accademie che la precedettero (e valga quella degli Orti Oricellari cui aderì il Machiavelli), sia dinanzi a quelle che l'affiancarono nella fase calante (e si ricordi l'Accademia degli Alterati, dopo il 1570, cui parteciparono anche dantisti di un certo rilievo come L. Corbinelli l'Arido, G.B. Strozzi il Tenero, A. degli Albizi il Vario, S. Ammirato il Trasformato, ecc.). L'attività dell'Accademia si svolse dal 1540 al 1589, dalla l. dei passi di Pg XVII 91-93 a Pd I 1 di F. Verini, a quella di I. Mazzoni su Pg XVII 13-18. Lessero D., oltre i citati, G.B. Gelli, P.F. Giambullari, B. Varchi, G. Galilei e molti altri (cfr. A. Vallone, L'interpretazione di D. nel Cinquecento, Firenze 1969, 141 ss.).

La cultura fu molta e l'abnegazione enorme. Assistette un pubblico ristretto ma attento e polemico. Lo dichiarava, per tutti, B. Varchi dedicando a Cristofano Rinieri la sua Dichiarazione sopra il venticinquesimo canto del Purgatorio: ho introdotto, dice, " tutto quello che, tratto da molti e diversi autori, era stato posto insieme da me, e recato in iscrittura più con ordine e brevità, che con eloquenza e dottrina " (B. Varchi, Lezioni sul D., ecc., a c. di G. Aiazzi e L. Arbid, Firenze 1841, 3). È però indubbio che la l. degli Accademici Fiorentini, pur rivivendo nei secoli XVII-XIX, si presenta fusa e confusa in saggi articoli e commenti. Né vale qui seguirne le tracce.

La l. moderna vera e propria s'inaugura a Firenze il 27 aprile 1899: e si può dire che risorge e s'instaura valida di antiche esperienze e nuove istanze. La lezione del Boccaccio, che è prodotta a stampa nel 1724 da A.M. Salvini, e degli Accademici Fiorentini, a parte le minute e vaganti iniziative nel frattempo sviluppatesi ovunque, valgono però come insigne precedente più che come metro di comparazione e modello. Più direttamente operano, seppure per diverse vie e in plurime direzioni, le l.-lezioni di F. De Sanctis, tenute a Torino e Zurigo, e l'affermazione dell'indirizzo storico-filologico, avvalorato e sostenuto, nel particolare, dalla costituzione della " Deutsche Dante-Gesellschaft " (1865), della Società Dantesca Italiana e delle riviste specializzate (quali il " Bullettino della Società Dantesca ", il " Giornale dantesco ", ecc.; cfr. A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, passim). I due indirizzi, proprio attraverso la l. e col suo mezzo, hanno concorso notevolmente al ridestarsi degli studi danteschi e al loro svolgimento critico. La situazione era allora densa di problemi insoluti e carica di suggestivi temi. All'età dell'edizione lipsiense della Commedia dello Scartazzini " i Commenti al poema che si pubblicavan qui [in Italia] avevano il tanfo d'un'erudizione troppo ristretta, d'un ordine d'idee angusto, d'un pettegolezzo in famiglia; i Commenti antichi rivedevan la luce a rilento e spesso malconci, e ciascuno diveniva l'oggetto d'una predilezione sistematica e fanatica " (F. D'Ovidio, Prefazione a Studii sulla D.C., I, Napoli 1931, XIII-XIV). Vent'anni dopo, molto realisticamente come sempre, M. Barbi, dinanzi alle cento l. tenute in Orsanmichele, ne coglieva lo spirito innovatore sottolineando il " nuovo e singolare commento ai cento canti, adatto alle persone colte che amano sentire nel grande poeta quello ch'è di più bello e di più alto " (Studi d. " I [1920] 166).

La nuova l. fiorentina fu di largo stimolo ed esemplare ad altre iniziative consimili sorte subito dopo in altri centri italiani: a Roma presso la " Casa di Dante " e altrove, a Ravenna auspice l' " Opera di Dante " istituita e voluta dal comune, a Genova, a Milano e via via in altre città. Tutte queste iniziative si traducono poi in apposite pubblicazioni assumendo il nome della città promotrice. A queste, in seguito, si aggiungono anche I. siciliane (dal 1953), napoletane (dal 1953), lariane (dal 1965), ecc. Nel 1955 si ripubblicano in tre volumi le l. di Orsanmichele con l'aggiunta di nuove, a cura di G. Getto. A Roma, presso la " Casa di Dante ", a un primo ciclo (edito dalla S.E.I.) se ne aggiunge un secondo di Nuove letture dantesche (edito da Le Monnier), indipendentemente dalla nuova Lectura Dantis promossa nel 1950 da S.A. Chimenz. A Ravenna si avviano, nel 1967, le nuove Letture classensi (oggi al terzo volume). A Verona si avvia e si conclude (1965) la Lectura Dantis Scaligera, cui si aggiungono i Contributi di critica dantesca. A Pisa si promuove dal 1963 in poi e si realizza la raccolta di varie l. sotto il titolo di Lectura Dantis internazionale. La varietà e la ricchezza non s'intralciano. I legami tra le varie iniziative sono spesso frequenti e strettissimi. La l. acquista e definisce una sua precisa fisionomia. I commenti, come già i precedenti rinnovati al primo Novecento (Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi, ecc.), assorbono i nuovi acquisti: e si pensi a quelli apparsi, seppure assai dissimili tra loro, a partire da quello del Sapegno in poi.

Temi e stile: sviluppi. - La l. si distingue non solo dagli altri singoli studi e contributi di esegesi dantesca, ma anche si articola diversamente e diversamente si presenta nelle tre fasi già storicamente delineate. Quello che v'è di comune e resta è, se mai, non solo l'umiltà del lettore dinanzi a un'opera complessa, come vide il Boccaccio, per l' " artificioso testo ", la " moltitudine delle storie " e la " sublimità de' sensi "; ma anche il disagio di leggere dinanzi " ad uomini d'alto intendimento e di mirabile perspicacia ", fiorentini e non. Resta cioè il senso del pubblico.

La l. del Boccaccio è varia e complessa. Non solo egli utilizza dati e ricerche su D. già da lui raccolti e trattati in altre opere, ma anche fa fluire tutta la sua scienza e cultura, acquistata e sperimentata in un lungo esercizio di dotto e di letterato. C'è, in questo, ossequio e orgoglio. Non può Boccaccio staccarsi da sé stesso e dai suoi tempi. D. è poeta e filosofo, dotto e scienziato: né v'è alcuna distinzione tra le doti. La l., d'altronde, doveva proprio chiarire ogni aspetto e precisarlo. Questo voleva anche il pubblico. L'esposizione letterale del testo è, in genere, sobria esatta compiuta, quando essa si attiene alla vicenda narrata e al filo logico degli avvenimenti; trasmoda, invece, quando si trova dinanzi a vicende storico-geografiche, a temi di cultura e di morale. Il tutto poi si allarga e si condiziona alla ricerca dei sensi nascosti, del significato primario, della simbologia morale e religiosa. C'è, qui, non solo concordanza con i commenti che precedono o seguono la l. del Boccaccio; ma anche la fonte più eloquente vasta e genuina di tutta la simbologia più accreditata dal Trecento a oggi. Si capisce anche che il tutto, se vale a intendere i modi e i tempi di lettura, quali promuoveva e avallava l'età stessa di D. e Boccaccio, determina anche un'incrostazione, come accade per il testo.

Da questo punto di vista, ma con un'adesione incondizionata esperta e consapevole, si possono meditare e certo meglio cogliere i tentativi di l. quattrocentesca e poi, decisamente, le solide prove degli Accademici Fiorentini. D., quando non è respinto o maltrattato, va via via assumendo tono e prosopopea di classico.

Nei cinquant'anni circa di vita dell'Accademia Fiorentina l'attenzione è rivolta prevalentemente al pensiero di D., alla sua dottrina filosofica, alla sua scienza. Tuttavia, nell'ambito e nel rispetto dei principi generali, altri aspetti vengono discussi, da riportare alla preparazione, al gusto e alle scelte dei singoli lettori; ma anche al variare delle vicende e al problematizzarsi della cultura via via che si passa dal pieno Rinascimento al suo tramonto, da Bembo a Tasso. Così accade che il trepidante ficinismo del Verini, erede in qualche modo di Vieri Verino, si muta nel blando aristotelismo del Varchi, pur con qualche concessione averroistica, e in quello più rigido del Mazzoni. La grande varietà d'idee e di provenienza, di studi e di scelte, indipendentemente dai singoli risultati dinanzi al giudizio a posteriori, permise tuttavia la costituzione di un gruppo sostanzialmente amalgamato e concorde, non solo nella difesa della lingua per cui lo stesso Bembo si presenta come " presuntuoso " al Gelli; ma anche nell'assunzione di un principio unitario di ricerca e nell'applicazione, su un esemplare come D., del concetto-base di giudizio: l'utile-dulci ragionato e adattato nelle poetiche del secondo Cinquecento. Si deve ascrivere a merito di questi lettori non solo la proposta, audace e rivoluzionaria, di assumere la Commedia come testo di lingua; ma anche di aver ripudiato le ricerche sui misteri dei simboli e delle allegorie, che certo landinismo insistentemente sottolinea nel primo Cinquecento e che prenderà vigore in età più tarda. Il Varchi, che certo è la figura dominante nel gruppo dei lettori fiorentini, si accosta con cautela e determinazione alla Commedia. Significative sono le sue l. di Pg XXV, Pd I e II e sopra alcuni versi di Pg XVIII e Pd XXII. Egli sa bene che per leggere D. occorre avere il possesso di un'idea, di un sistema anzi d'idee, di un pensiero forte e centrale. Solo per questa via egli crede di poter giungere alla chiosa dei particolari e del generale, delle cose oscure e difficili, del bello, apparentemente facile a cogliersi, e dell'utile. Lo dice ai suoi uditori, forse non troppo persuasi o scontrosi e pieni di malumori e riserve. D. è filosofo. Questa presa di posizione del Varchi, se ha valore di fronte al bembismo, può talvolta sembrare esterna e vincolante di ogni indagine diretta. Su questa linea possono incontrarsi Giambullari, Gelli, Lenzoni, Mazzoni, Buonanni, Salviati, Bartoli, Buonmattei e così via (cfr. A. Vallone, L'interpretazione di D. nel Cinquecento, pp. 144-218). Fuori dell'Accademia e a parte il Borghini, l'opera più significativa è la Sposiaione a XXIX canti dell'Inferno di L. Castelveltro, che è peraltro un tipico esempio di commento-lectura. Ai gruppi di versi segue la chiosa ampia, ragionata. L'interpretazione linguistica, prudente e acuta insieme, segue o s'innesta in un discorso sciolto, filosofico-morale. Si cerca il senso letterale, ma non sempre a questo ci si ferma. Richiami e moniti non sono infrequenti. Calcolate sono certe soste riassuntive che collegano la vicenda nel suo svolgersi e moltiplicarsi di temi, come suole accadere proprio nelle l. e nel gusto e la misura di queste. E si potrebbe continuare.

È bene ricordare che nell'ambito dell'Accademia si realizza, per la prima volta, la raccolta di l. varie, per " sentenze degne di quistionevoli ragionamenti ", col titolo Lettioni d'Academici fiorentini sopra D. (Firenze 1547): il curatore è A.F. Doni. Un'iniziativa che non ebbe, purtroppo, seguito.

Ma la l. è ormai nata e anche bene e solidamente istituita. Spetta ora al XIX secolo riproporla e svolgerla senza soluzioni di continuità. Le giovano, dapprima, il rinnovamento generale degli studi e della critica letteraria, lungo un arco che va dal Vico e Foscolo a De Sanctis e Croce; e poi i lunghi tentativi per il recupero del testo, che vede impegnata intensamente tutta la filologia delle scuole europee. Giovano anche, per la l. in particolare, le polemiche per l'istituenda cattedra dantesca in Firenze, soppressa sotto Ferdinando III per ordine di Vienna (" Studi d. " I [1920] 159-163), e in Roma, auspice polemico il Bovio.

L'elemento di fondo di ogni l. diviene ormai, decisamente, la ricerca o la consacrazione di D. come poeta. È significativa, in tal senso, la scelta, sofferta e amata, di alcuni personaggi della Commedia da parte del De Sanctis (quali Francesca, Farinata, Cavalcanti, Ugolino) o di alcuni temi (quali il sublime, il comico, l'ironia, ecc.), che si pongono come esemplari perenni in tutto un secolo di ‛ lecturae '. Né si è innovato abbastanza lungo questa direzione, anche se molte l. (e si pensi, almeno, a quelle di Donadoni, Torraca e Momigliano) gareggiano per intuito e finezza. Di fronte a questo ‛ modulo ' un altro, parallelamente, trova spazio per proporsi e per affermarsi: quello che, in armonia al consolidarsi delle indagini storiche e filologiche, appunta sulla vicenda o sul pensiero ogni scandaglio critico ed ermeneutico (e si pensi, almeno, alle l. di D'Ancona, Del Lungo, Zingarelli, Nardi, Paratore, ecc.).

All'uno e all'altro orientamento, meglio ai rischi che l'uno e l'altro possono comportare, anche nel tema particolare della l., si rivolge M. Barbi proprio dinanzi a ‛ episodi ' come Francesca (1932) e Farinata (1924 e 1931), raccomandando di " sempre più star vigilanti, per non prestare a Dante sentimenti o pensieri che eccedano la lettera o non si accordino bene nel contesto " (Il canto di Farinata, in " Studi d. " VIII [1922] 207). E dopo, per Francesca: " Si può dire che dopo trent'anni e più di tentativi per risolvere le difficoltà a cui dà luogo uno dei più belli episodi della Divina Commedia, siamo ancora ben lontani da un accordo in cui poterci quietare " (Francesca da Rimini, in " Studi d. " XVI [1932] 181). Era ed è una lezione di realismo critico, maturata nella scuola fiorentina accanto a Rajna, Parodi, Pistelli, Vandelli, che ha lasciato tracce profonde e feconde.

In questo humus affondano le loro radici le l. d'oggi che più direttamente si presentano come ricerca di struttura del canto (e qui varrà ricordare un significativo precedente, Il canto X dell'Inferno di A. Gramsci, in Letteratura e vita nazionale, Torino 19635, 34-45); o come indagine filologica e stilistica insieme (e si pensi soprattutto alle l. di Spitzer, Terracini, Contini, Pagliaro, Hatzfeld, ecc.); o ancora come vere e proprie lezioni, contemperanti l'uno e l'altro insegnamento in fecondi scandagli psicologici e umani (e si pensi alle l., pur tra loro varie per toni e gradazioni, di Pietrobono, Getto, Bosco, Battaglia, Pézard, ecc.). Comune è anche lo sforzo, oltre ogni orientamento, di guardar dentro al canto e di cogliere l'unità entro la sua misura o fuori di essa, nel problema connesso ad altri problemi. Può accadere, infatti, che un canto non abbia in sé un'unità (spirituale, poetica, stilistica, ecc.); ma l'abbia in rapporto ad altri canti. Nascono così le l. di episodi o di nuclei entro il canto o ancora di nuclei di più canti o di temi e problemi in relazione tra loro (A. Vallone, Studi sulla D.C., Firenze 1955, 45). Sono queste, oggi, alcune prospettive nuove, che propongono un modo diverso di leggere D. e, di conseguenza, un diverso modo di costruire la ‛ lectura '.

Bibl. - M. Barbi, Della fortuna di D. nel secolo XVI, Pisa 1890; O. Bacci, Il Boccaccio lettore di D., Firenze 1913; E. Santini, Vecchia e nuova critica dantesca, in " Convivium " n.s., IV (1956) 16-29; A. Vallone, Con D. tra commenti e ‛ lecturae ' d'oggi, in Studi sulla D.C., Firenze 1955, 41-128; ID., La critica dantesca nel Settecento, ecc., ibid. 1961, 137-210; ID., Presentazione del volume terzo delle ‛ Nuove letture dantesche ', in Nuove lett. IV, ibid. 1970, IX-XII.

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