GAVARDO, Lelio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAVARDO, Lelio

Michele Simonetto

Nacque nel secondo o terzo decennio del sec. XVI ad Asola, nel Mantovano, allora nella Repubblica di Venezia. Discendente dell'insegnante di retorica e umanista Gabriele, fratello dell'abate Costanzo, storico e letterato, proveniva da un ramo della famiglia Gavardo originario di Capodistria con terre e giurisdizione a Castelnuovo d'Istria. Si laureò in utroque iure e prese i voti, dedicandosi tuttavia in prevalenza alla letteratura e all'antiquaria.

Furono gli interessi letterari a fare da sfondo all'amicizia con Paolo Manuzio, per il quale sollecitò il permesso di pubblicare alcune lettere del defunto cardinale Pietro Accolti (P. Manuzio, Tre libri di lettere volgari, Venezia, Aldo Manuzio, 1556, c. 26).

Le testimonianze coeve vorrebbero del resto il G. cugino di Aldo junior. Effettivamente il giovane Manuzio, in una lettera a F. Molena del 27 maggio 1587, pare avvalorare la tradizione (Aldo Manuzio, Lettere volgari, Roma, Santi, 1592, p. 123). Dubbi tuttavia rimangono sull'affinità parentale dei due, che pare piuttosto la sanzione di una profonda e sincera amicizia.

Il rapporto fra Aldo junior e il G. ebbe probabilmente inizio intorno al 1560 e fu rafforzato quando, dopo la morte di Manuzio Manuzio, il nipote Aldo si recò nel 1568 ad Asola per raccoglierne l'eredità e, dietro suggerimento del padre Paolo, assunse come consiglieri per il controllo dei raccolti delle terre di Asola i fratelli Gavardo. Di sua iniziativa essi venivano poi nominati procuratori (1578) per il controllo delle terre di Carpi.

Nell'agosto 1575 il G. fu nominato prevosto di S. Zeno a Pavia, dove non pare si distinguesse per zelo religioso e austerità di vita, tanto che anni dopo, nel 1586, il vescovo di Pavia, cardinale Ippolito De Rossi, avrebbe lamentato lo scarso impegno dell'asolano nelle cose della prepositura pavese.

Secondo la testimonianza del barnabita G.A. Mazzenta, il G. fu a Milano alla fine degli anni Ottanta quale maestro di lettere in casa Melzi di Vaprio. Qui vennero nelle sue mani almeno 13 volumi di manoscritti appartenenti a Leonardo da Vinci, parte del lascito pervenuto ai figli dell'allievo F. Melzi, che rischiavano di andare dispersi per l'incuria degli eredi. Il G. portò a Firenze i preziosi cimeli con l'obiettivo di ricavare buon frutto dalla loro vendita al granduca di Toscana, Francesco I de' Medici. Tuttavia la morte di quest'ultimo, nel 1587, mandò in fumo l'affare inducendo il G. a restituire i manoscritti ai Melzi.

Come si evince dalle lettere dedicatorie, il G. curò l'edizione di opere letterarie di C. Turco (Calestri, nell'edizione veneziana di Aldo Manuzio del 1585 e di Treviso del 1603), del perugino Sforza degli Oddi (Prigion d'amore, nell'edizione fiorentina Giunti del 1590 e veneziana, per Girolamo Polo, del 1591), e di Torquato Tasso (Delle rime et prose, nell'edizione veneziana di Aldo Manuzio del 1583 e ferrarese, presso Vasalini, dello stesso anno).

È nel clima della Controriforma che è possibile inquadrare un inedito Discorso delle mutazioni de' Stati et delle cagioni loro, steso dal G. probabilmente negli anni Ottanta (in Bibl. statale di Lucca, ms. 1849, cc. 1r-37r; altra copia parzialmente edita in A. De Maddalena, Fragilità delle istituzioni. "Delle mutazioni de' Stati et delle cagioni loro": un inedito Discorso cinquecentesco, in Riv. stor. italiana, XCV [1983], pp. 314-331).

Intenti pedagogici, riflessi apologetici, tentativi di interpretazione complessiva di alcuni aspetti fondamentali della fenomenologia politica e statuale si mescolano nell'operetta del Gavardo. Non è tuttavia presente il consueto antimachiavellismo di maniera e il ragionamento del G. pare muoversi, pur nei suoi modesti limiti, all'interno del prudente proposito missionario di "inalveare i nuovi aneliti, fermenti, progetti culturali e spirituali nel solco di una tradizione che non dev'essere completamente abbandonata, se non si miri alla disgregazione totale di costituiti ordini e valori, poteri e "stati"" (ibid., p. 319).

L'adesione, che si può cogliere in filigrana, ai motivi di una certa cultura postrinascimentale nella quale entrano da un lato lo stesso Machiavelli, dall'altro Botero, si rivela per segmenti successivi, tra il detto e il non detto, lungo ventiquattro capitoli intercalati da un numero quasi corrispondente di "considerazioni". Lo sfondo sul quale il G. fa navigare le sue riflessioni politico-filosofiche è quello della storia greca e romana analizzata attraverso l'ottica del più tradizionale aristotelismo.

Sebbene sia arduo stabilire quale fosse lo scopo dello scritto del G. - se era destinato alle stampe e se in qualche modo poteva costituire una composizione diretta a qualche principe - è indubbio che esso si proponeva come la testimonianza di una contraddizione, che è poi quella di una larga schiera di intellettuali laici ed ecclesiastici al passaggio fra il XVI e il XVII secolo. I problemi del potere e dello Stato - nonostante la condanna ufficiale dell'opera di Machiavelli -, posti a confronto con le esigenze della virtù cristiana, riemergono prepotentemente rimettendo in campo le necessità della politica.

Non è da escludere che il Discorso del G. si inserisca nella complessa e tormentata vicenda della sua nomina a rettore dello Studio pisano conseguita nel maggio 1588. L'epistolario di Aldo Manuzio junior per alcuni anni è intessuto di riferimenti alle trattative presso il granduca di Toscana volte a preparare il terreno a una soluzione in favore del letterato asolano. Né si può trascurare la sia pure breve frequentazione che il G. intrattenne con la corte di un personaggio come Alfonso II d'Este duca di Ferrara.

Ci rimane, unica uscita a stampa del G., una Orazione nella partenza di Massimo Valiero dal reggimento suo di podestà e capitanio di Crema (Pavia 1605), nel quale le virtù del principe cristiano sembrano incarnarsi definitivamente nel modello repubblicano di Venezia.

Sconosciuta risulta la data della sua morte che, anche a non volere prestare fede ad alcune testimonianze che vorrebbero il G. incaricato di stampare lo statuto della città di Asola il 26 febbr. 1611, avvenne certamente in tarda età.

Fonti e Bibl.: Asola, Archivio parrocchiale, buste 17, f. 1, 26, f. 9, cart. Gavardo (annotazioni di don Ruzzenenti); Brescia, Civica Biblioteca Queriniana, ms. KV4.VII: G.B. Gramatica, Asola illustre in alcuni suoi personaggi celebri, s.v.; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, II, Pisis 1792, p. 460; A. Grillo, Lettere, Venezia 1608, p. 551; E. Lombardini, Dell'origine e del progresso della scienza idraulica nel Milanese ed in altre parti d'Italia, Milano 1872, p. 22; A. Sanesi, La commedia, I, Milano 1911, p. 347; E. Pastorello, Inedita manutiana 1502-1597. Appendice all'inventario, Venezia-Roma 1960, ad ind.; D. Bernoni, Notizie bibliografiche dei ragguardevoli asolani, Oneglia 1863, pp. 98-101; I Giunti tipografi editori di Firenze 1571-1625. Annali inediti, a cura di L.S. Camerini, Firenze 1979, nn. 175, 186; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, London-Leiden 1965, p. 257; E. Pastorello, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 1483-1597, Venezia-Roma 1957, ad indicem.

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