CATTOZZO, Leo

Enciclopedia del Cinema (2003)

Cattozzo, Leo (noto anche come Catozzo, Leo)

Stefano Masi

Montatore, nato ad Adria (Rovigo) il 10 dicembre 1912 e morto a Santa Severa (Roma) il 4 marzo 1997. Fu il braccio destro di Federico Fellini, per i film del periodo compreso tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, mettendo ordine, in fase di montaggio, al disordine creativo del grande cineasta riminese. Ma il suo nome è ricordato dai montatori di tutto il mondo soprattutto in quanto inventore e costruttore della più famosa incollatrice per pellicole, la 'pressa Catozzo', spesso chiamata semplicemente Catozzo, per la quale è stato nel 1990 insignito di un Oscar speciale, il Technical Achievement Award.

Proveniente da un'importante famiglia veneta, figlio del musicista Nino Cattozzo, già soprintendente al Teatro La Fenice di Venezia e al Teatro alla Scala di Milano, C. si laureò in giurisprudenza e coltivò la musica, diplomandosi in violoncello al conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, per poi iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma conseguendovi il diploma in scenografia e regia. Durante la guerra collaborò come sceneggiatore con Mario Mattoli, firmando i copioni della commedia Voglio vivere così (1942) e dei melodrammi Labbra serrate (1942) e La valle del diavolo (1943). Al fianco di Mattoli C. fu anche aiuto regista (in una serie di film con Totò, da Fifa e arena, 1948, a Totò terzo uomo, 1951), poi assistente montatore, regista della seconda unità e infine montatore del film Anema e core (1951). Grazie a Mattoli, entrò in contatto con la casa di produzione Ponti-De Laurentiis, marchio al quale sarebbe rimasto legato per quasi tutta la sua carriera di montatore. Ben più colto della media dei colleghi, offrì un contributo importante alla costruzione del racconto dei film dei pochi registi con i quali scelse di collaborare, Mattoli, Fellini, Mario Soldati (La provinciale, 1953; La donna del fiume, 1954), Alberto Lattuada (Guendalina, 1957; I dolci inganni, 1960; Lettere di una novizia, 1960; L'imprevisto, 1961), instaurando con questi cineasti un rapporto creativo che fece di lui un vero collaboratore alla regia. Nel 1956 ottenne l'American Cinema Editors Award per il montaggio del kolossal Guerra e pace (1955) diretto da King Vidor. Essendo allergico all'acetone (il solvente che negli anni Quaranta e Cinquanta veniva usato per realizzare le giunte dopo aver raschiato via l'emulsione dalla pellicola), e non volendo usare le incollatrici americane a scotch preperforato, C. studiò la possibilità di eseguire le giunte con un normale scotch, successivamente perforato con un punzone a leva, dotato di denti che corrispondevano alle perforazioni della pellicola. Questa macchinetta, fabbricata in forma di prototipo all'epoca in cui stava montando il film Le notti di Cabiria (1957) per Fellini, suscitò grande attenzione tra i montatori italiani. Le insistenti richieste dei colleghi lo costrinsero a fabbricarne un centinaio di esemplari. Alla fine C. brevettò la sua pressa e ne iniziò, nei primi anni Sessanta, la produzione in serie presso una piccola officina, la CIR (Catozzo Incollatrici Rapide). Nei primi tempi della produzione in serie della pressa, C. non abbandonò il mestiere di montatore; anzi, proprio in quel periodo realizzò alcune delle opere migliori della sua carriera, come il montaggio di La dolce vita (1960) e 8 1/2 (1963) di Fellini. Ma con quest'ultimo film abbandonò il mondo della produzione cinematografica al cui ambiente aveva sempre guardato con una sorta di aristocratico distacco. Si dedicò da un lato alla CIR, destinata a diventare un vero e proprio stabilimento industriale per la fabbricazione in serie delle incollatrici rapide; e dall'altro all'antica passione per la musica. Nel giro di pochi anni la sua invenzione, della quale produsse modelli sempre più maneggevoli, leggeri e raffinati, conquistò il mercato mondiale della tecnologia del montaggio. Nel corso degli anni fu costretto a difenderne il copyright dai molti imitatori, sparsi in tutto il mondo, ma si dedicò anche a coltivare il suo talento di inventore, realizzando progetti meno fortunati della famosa pressa, destinata però a diventare un oggetto di modernariato a causa dell'avvento dei sistemi digitali di montaggio, che hanno ridotto al minimo il contatto fisico del montatore con la pellicola.

Bibliografia

S. Masi, Conversazione con Leo Catozzo, in Nel buio della moviola, L'Aquila 1985, pp. 142-49; O. Louw, De Marconi van het celluloid, in "Skrien", 1997, 215, pp. 59-61.

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