DATI, Leonardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DATI, Leonardo

Paolo Viti

Nacque a Firenze da Stagio, o Anastasio, e da Ghita di Ridolfo Taoni intorno al 1365; fu fratello di Gregorio detto Goro, mercante e scrittore. Entrato nell'Ordine domenicano verso il 1375 nel convento fiorentino di S. Maria Novella, fu consacrato sacerdote una diecina d'anni dopo.

Nel 1390 il D. era sottopriore e sacrettano alla cera, dopo aver ricoperto incarichi minori; dall'agosto 1392 fu lettore "pro forma" in S. Maria Novella ed ebbe anche l'incarico di soprintendente ai restauri della scuola del convento; nel 1395 era maestro di teologia. Segnalatosi ben presto anche come predicatore (nel 1400 predicò la quaresima in S. Maria Novella), nel 1401 fu eletto priore del convento, carica che avrebbe tenuto fino all'inizio del 1405. Forse fra il 1399 e il 1412 fu procuratore dell'Ordine (ma altri sostiene che lo fu al tempo del suo provincialato). Durante questo periodo fu lettore di Sacra Scrittura nello Studio fiorentino (1402-1403), raggiungendo grande fama e venerazione, come testimonia una lettera, scritta dal Salutati, della Signoria fiorentina del 21 genn. 1403 (Arch. di Stato di Firenze, Signori. Missive. I Canc. 25, f. 95v) al provinciale dei domenicani per dissuaderlo dall'allontanare il D. da Firenze. Predicò ancora (1403) la quaresima in S. Maria Novella (e di nuovo l'avrebbe predicata nel 102); partecipò ai capitoli provinciali domenicani che si svolsero a Città di Castello e a Cortona. Nel 1408 fu inquisitore a Bologna, e in questa veste - ma anche come teologo e oratore - nel 1409 prese parte al concilio di Pisa, tenendovi, il 25 marzo, il discorso d'apertura. In seguito alla sentenza di deposizione di Gregorio XII e Benedetto XIII il concilio elesse papa Pietro Filargis, e il D., insieme con i domenicani della Toscana, prestò a lui obbedienza.

Nominato, con bolla papale del 25 luglio 1409, provinciale dei conventi della Toscana, col nuovo incarico il D. tornò nel settembre da Pisa a Firenze e nel successivo novembre celebrò in S. Maria Novella il capitolo provinciale; ne celebrò un altro il 29 apr. 1410 (in un precedente capitolo generale a Bologna era stato dichiarato vero provinciale della provincia romana dei domenicani, ancora divisa nell'obbedienza ai due papi). Nel giugno del 1413 il D. fu inviato da Firenze presso l'imperatore Sigismondo ma secondo l'Ammirato - che però attribuisce erroneamente la missione al 1414 - non avrebbe portato a termine l'incarico perché ammalatosi a Venezia. Nel 144, dopo essere stato creato vicario generale dell'Ordine, in seguito alla morte del maestro generale Tommaso Paccaroli, con bolla di Giovanni XXIII del 27 marzo, il D. veniva creato il 29 settembre maestro generale nel capitolo generale celebrato in S. Maria Novella.

Nella duplice veste di maestro generale dell'Ordine e di rappresentante della Repubblica fiorentina, il D. partecipò al concilio di Costanza per tutta la sua durata, dal novembre 144 fino all'inizio del 1418.

Nell'affidargli il delicato incarico, particolari raccomandazioni gli furono fatte dalla Signoria di Firenze perché nel corso dei lavori del concilio sollecitamente riferisse su qualunque cosa che vedesse o sentisse, e che riguardasse "alla pace e quiete d'Italia, o del contrario, così ecclesiastica come temporale". Il D., partecipando al concilio anche come teologo, fece parte della commissione di undici ecclesiastici incaricati di giudicare sulle accuse rivolte a Giovanni Huss, Girolamo da Praga, Giovanni Petit. Per quanto riguar da i suoi interventi ai lavori del concilio risulta che abbia tenuto un erudito discorso ai padri nella prima domenica di quaresima del 1416; intervenne anche in altre due riunioni in quell'anno e nel successivo sui problemi riguardanti il governo della Chiesa e la figura del pontefice romano. Nel corso del 1417 il D. lasciò temporaneamente Costanza per presiedere il capitolo generale dei domenicani che si tenne a Strasburgo nel mese di giugno; ma poco dopo era già di ritorno a Costanza, ove l'11 novembre fu fra i trenta membri italiani che parteciparono all'elezione del nuovo papa, Martino V, determinando in tal modo il ritorno dell'unità nella Chiesa. A questa unità seguì anche quella dell'Ordine domenicano, perché il nuovo papa, dopo aver promosso a vescovo di Catania il domenicano che fino ad allora era stato maestro generale dell'Ordine d'ubbidienza avignonese, Giovanni de' Puinoix, con bolla del 2 marzo 1418 creava il D. unico maestro generale di tutto l'Ordine domenicano, che dopo molteplici contrasti veniva così a riconoscersi sotto una sola guida. Le parole con cui Martino V nella bolla investiva il D. del nuovo importante incarico sono testimonianza della grande stima di cui egli godeva. Dopo aver, infatti, ricordato la scienza straordinaria, i costumi degni e la prudenza accorta che caratterizzavano il D., il papa elogiava lo zelo e la sollecitudine con cui aveva fino ad allora lavorato per l'estinzione dello scisma. Nell'assumere il nuovo compito, il D. indirizzava una calda lettera ai provinciali esprimendo soprattutto l'intenzione, ora che l'unità era finalmente tornata, di fare il possibile per riformare l'Ordine e assicurarne la conservazione.

Poiché a Costanza il D. agì anche come ambasciatore della Repubblica fiorentina, si deve probabilmente all'attività da lui esplicata se Martino V, nel viaggio di trasferimento da Costanza a Roma, si fermò a lungo a Firenze.

Il 4 apr. 1418 la Signoria, scegliendo l'ambasceria ufficiale che avrebbe dovuto farsi incontro al pontefice, nominava proprio il D. primo degli ambasciatori. Questi, oltre a rendere ossequio al papa e ad esprimergli le felicitazioni della Repubblica per l'avvenuta elezione, avevano il compito di invitare ufficialmente il pontefice a Firenze. L'udienza agli ambasciatori fu concessa da Martino V a Milano il 14 ottobre in un pubblico concistoro, nel quale, come lasciò scritto uno degli ambasciatori, Rinaldo degli Albizzi, "si parlò pubblicamente ... per "dominuni generalem""; e un altro, Filippo Rinuccini, specifica che l'orazione del D. durò circa un'ora e che "v'era forse cento calamai a scriverla mentre che diceva, e fece grandissimo onore a sé e al Comune". Compiuta positivamente la missione, il D. ai primi di novembre era di nuovo a Firenze: da allora egli dedicò ogni cura al completamento dei lavori, già iniziati, nel convento di S. Maria Novella per prepararvi un idoneo alloggio per il papa. E lì appunto Martino V, giunto a Firenze il 26 febbr. 1419, si sistemò e rimase fino al settembre 1420.

In questo periodo e negli ami successivi il D. esplicò un'opera riformatrice lunga ed assidua. Del resto già nel corso del capitolo di Strasburgo, durante lo svolgimento del concilio di Costanza, egli, d'accordo coi capitolari, aveva fatto un programma di riforme per l'intero Ordine, e poi lo aveva sottoposto ai padri conciliari perché lo confermassero. Ma quello fu un tentativo senza risultato. Divenuto unico maestro generale, il D., di fronte alle difficoltà che un'azione riformatrice totale avrebbe incontrato, s'impegnò a propagarla non in blocco ma poco a poco. In questa azione sono da ricordare le nomine da lui fatte di vicari generali dell'Ordine, il suo impegno per una regolare e definitiva sistemazione del convento domenicano di Fiesole, precedentemente abbandonato dai frati riformati, la sua pressione perché fosse autorizzata da Martino V l'esistenza di un monastero di suore domenicane. Di particolare importanza fu poi la sua partecipazione nel 1421 al capitolo generale di Metz, dedicato essenzialmente all'attuazione delle riforme. Lo spirito e l'impegno con cui il D. guardava all'immensità del lavoro da svolgere e il calore con cui invitava tutti i frati a parteciparvi sono incisivamente espressi nella lettera che egli indirizzò all'Ordine al termine del capitolo. In essa, che negli atti del concilio porta il titolo di Magistri Leonardi Statii lamentationes de regularibus observandis lapsis, esaltata la nobiltà dello stato dei frati - che per tendere alla perfezione nella pienezza della loro libertà si sono privati di ciò che è permesso agli altri, accettando soprattutto la povertà, la castità e l'obbedienza -, il D. si sofferma con parole d'intensa commozione a delineare il dramma dell'attuale decadenza dell'Ordine. Qui egli vede, infatti, che la vita religiosa è rilassata, l'obbedienza disprezzata, la povertà trasformata in proprietà, la castità spesso trasgredita; ci si rivolta contro l'autorità, ci si lascia andare alle passioni, non si sa più niente delle Sacre Scritture, si ricercano ambiziosamente gli onori; sicché si arriva a creare maestri e dottori uomini che neppure hanno la scienza elementare. Infine, tra frequenti richiami biblici e con grande sapienza retorica, il D. conclude con un'appassionata esortazione ad una nuova vita, invitando tutti i superiori a dare l'esempio delle buone opere e a mostrare ai subordinati quello che bisogna fare e quello che bisogna evitare.

Nella sua attività di maestro generale dell'Ordine rientra certamente anche un viaggio che il D. compì a Roma nell'autunno 1421 per incontrarsi con Martino V; in tale incontro, oltre che gli affari dell'Ordine, il D. trattò anche questioni che interessavano la Repubblica fiorentina - della quale anche questa volta egli fu ambasciatore presso il papa - che in quel tempo desiderava che proprio a Firenze, o nel suo territorio, si tenesse il prossimo concilio.

Oltre alle cure per l'Ordine e per gli affari della Chiesa e di Firenze, non mancò nel D. l'impegno per migliorare e ingrandire il convento di S. Maria Novella: nel 1421, infatti, fece accrescere e meglio sistemare la vecchia libreria del convento, arricchendola anche con donazioni di propri volumi (alcuni di questi sono stati identificati sulla base delle note di possesso o di acquisto del D., come ad esempio i manoscritti Conv. soppr. G. 8. 265 e F. 8. 1225 della Bibl. nazionale di Firenze e il manoscritto 614 della Bibl. Laurenziana di Firenze); nel 1422 costruì, forse a sue spese, una nuova cantina; restaurò e più tardi ingrandì l'infermeria, e costruì le volte del dormitorio e delle camere; fra l'altro commissionò l'esecuzione di alcune pitture nel chiostro grande.

Tornato a Roma all'inizio del 1423, il D., con bolla del 22 febbraio, fu nominato da Martino V, insieme con altri tre prelati, suo legato al nuovo concilio che avrebbe dovuto aprirsi in giugno a Pavia. Ma a Pavia il D. si trovò fino dal maggio per lo svolgimento, in quella città, del capitolo generale dell'Ordine. In seguito allo scoppio della peste, che in giugno investì Pavia, il concilio, dopo la sua apertura, fu trasferito a Siena, dove si sarebbe chiuso il 26 febbr. 1424. Durante la sua permanenza a Siena, il D. per disposizione del papa provvide, nella sua qualità di maestro generale dell'Ordine, a istituire l'inquisitore di Carcassonne in Francia. Ritornò a Firenze dopo la conclusione del concilio e subito dovette affrontare, sulla base di varie bolle papalii la questione di alcuni frati eretici che allora si trovavano nella città. Di questo stesso anno 1424 è l'iscrizione che il D. fece scolpire in marmo sul pilastro di sinistra dell'altare maggiore della chiesa di S. Maria Novella, a ricordo della consacrazione della chiesa stessa, fatta, anche per suo interessamento, il 10 sett. 1420 da Martino V.

Ammalatosi all'inizio del marzo 1425, il D. morì, a Firenze, il 15 dello stesso mese.

Non è assolutamente sicuro se proprio in quei giorni fosse stato elevato alla porpora cardinalizia. Questa notizia è riportata dalla Chronica Ordinis che risale alla fine del sec. XV (in Mon. Ord. praed. hist., VIII, Romae 1899, pp. 30 s.), secondo cui i nunzi apostolici inviati da Martino V a consegnare le insegne cardinalizie al D., quando giunsero a Firenze lo trovarono morto, e quindi deposero le insegne stesse sul feretro. Ben più sfumato e non così affermativo è invece l'accenno che ne fa il Necrologio di S. Maria Novella: "ad apicem vero cardinalatus omnino pervenisset nisi morte fuisset preventus"; nessun cenno, infine, si trova nell'iscrizione posta sulla tomba, iscrizione che si limita a definire il D. "sacre theologie ac totius ordinis magister generalis". Non mancano tuttavia scritti più tardi in cui l'assegnazione del cardinalato è data con maggior sicurezza. Pare dunque probabile che Martino V abbia, sì, deciso di creare cardinale il D., ma che la morte, nel frattempo sopraggiunta, rese nulla quella creazione. Si sa che il corpo del D. fu imbalsamato, e quindi a spese della Signoria si tennero solenni funerali. La salma fu sepolta nella chiesa di S. Maria Novella nel sacello che, secondo il racconto del Borghigiani, il D. si era fatto disporre "avanti la cappella maggiore, pensando così che più agevolmente si ricorderebbero i religiosi di suffragare l'anima sua". Il sepolcro è opera del Ghiberti che così ne parla nei suoi Commentari (Milano-Napoli 1947, p. 43): "feci ancora d'ottone la sepoltura di Messere Leonardo Dati, generale de' frati Predicatori: fu uomo dottissimo il quale trassi al naturale; la sepoltura è di poco rilievo, ha un epitafflo a' piedi": e l'opera, come poi scrisse il Vasari (Le vite, Firenze 1925, p. 265), "piacque e fu lodata".

Sono stati generalmente attribuiti al D. (cfr ad esempio, J. Quétif-J. Echard, pp. 755-758), i seguenti scritti: Sermones duo synodales (discorsi tenuti uno al concilio di Pisa nel 1409, l'altro al concilio di Costanza nel 1415); Quadragesimales de petitionibus animae e Sermones quadragesimales de fiagellis (entrambi stampati a Lione nel 1518 erroneamente sotto il nome di Leonardo Mattei da Udine); Sermones de tempore et de sanctis; Commentarii super libros metheororum Aristotelis; Litterae encyclicae ad universwn Ordinem e Capitulis generalibus quinque quibus praefúit de more scriptae. AlD. fu anche attribuita una traduzione latina delle favole di Esopo, opere invece del cugino Leonardo di Piero Dati, vescovo di Massa Marittima e segretario pontificio.

Sicuramente del D. sono: i Sermones duo synodales (il cuimanoscritto, però, non è stato più rintracciato dopo la soppressione della biblioteca di S. Maria Novella); le Litterae encyclicae; i Sermones quadragesimales de fiagellis (come testimoniano i manoscritti Conv. soppr. G. I. 400, già S. Maria Novella 400, della Bibl. nazionale di Firenze; Vat. Urb. lat. 592, e altri ancora); i Sermones de tempore et de sanctis (ritenuti perduti, ma conservati nei manoscritti Vat. Barb. lat. 695, 696), e i già ricordati. sermoni tenuti a Costanza nel 1416e 1417. In particolare i Sermones quadragesimales, che trattano dei vari vizi o peccati umani, dovrebbero essere stati scritti nel 106 (o poco prima), come indicherebbe la Chronica del domenicano Alberto da Castello (in Archivum fratrum pracdicatorum, XXX [1960], p. 285), composta nei primi decenni del Cinquecento. A queste opere vanno aggiunte quattro lettere a Forese Sacchetti di Arezzo degli anni 1418-19 e altre del 1414 per le nomine di alcuni inquisitori in Lombardia. Più difficile è stabilire l'autenticità del commentario sulle Meteore aristoteliche, e dei Quadragesimales de petitionibus animae, data l'impossibilità (allo stato attuale degli studi) di reperimento o identificazione dei manoscritti; in particolare per i Serinones bisogna tener presente che la vastissima e spesso anonima produzione domenicana di questo genere ne impedisce una sicura attribuzione.

Problemi sostanzialmente analoghi presenta anche l'attribuzione al D. di un'opera poetica in lingua italiane, dal titolo La sfera, che in molti manoscritti e in tutte le edizioni a stampa del Quattrocento (e non solo di questo secolo) passa sotto il nome del fratello di lui, Goro. Una sintesi, ampia ma incompleta, del problema dell'attribuzione di quest'opera fu fatta da Gustavo Camillo Galletti nell'edizione -da lui curata nel 1861 lasciando aperte entrambe le possibilità, dopo che nella precedente edizione del 1859 lo stesso Galletti aveva pubblicato La sfera senza incertezze col nome di Leonardo. Solo da una recensione completa dei testimoni (che non dovrebbe neppure escludere lo studio dei disegni che accompagnano quasi sempre il testo manoscritto) potrebbero forse venire indicazioni più precise. Fu anche avanzata, fra l'altro, l'ipotesi che al D. dovesse essere attribuito il testo latino della Sfera (del quale però non si hanno notizie; ma che potrebbe anche essere stato confuso col già ricordato commento alle Meteore di Aristotele), e a Goro la traduzione volgare; altra ipotesi è che Goro abbia semplicemente trascritto l'opera del fratello. Ci pare comunque suggestiva, e forse molto attendibile data la vicinanza dei tempi, la testimonianza del domenicano Giovanni Caroli che, scrivendo nel 1461 il Liber dierum lucensium (Bibl. nazionale di Firenze, Conv. soppr. C. 8. 2793 f 37r), dopo aver detto che il D. compose "sermonum preclarissimos libros" e scrisse "egregie" di astrologia e di matematica, aggiunge che il "titulum earurn rerum" presunse di rivendicare a se stesso un suo congiunto, "quidam genere illi coniunctus"; e quindi la supposizione che si tratti di Goro è più che legittima. Pur in questa incertezza è lecito pensare che La sfera sia stata scritta, forse intorno al 1422, proprio dal D., anche per l'intonazione morale e religiosa che la caratterizza, e, soprattutto, per le molteplici implicazioni culturali che sono al fondamento dell'opera e che sono più facilmente attribuibili al D., uomo di studio, che a suo fratello Goro, mercante e politico.

Il poemetto, tramandato in un notevole numero di manoscritti e stampe, ha uno scopo didascalico, e si ricollega alla vasta produzione a carattere astrologico e geografico diffusasi nei secoli precedenti. Presenta però al suo interno sproporzioni e disparità, in conseguenza delle varie e molteplici fonti, classiche e medievali, da cui dipende, e rispetto alle quali ben poco aggiunge di nuovo e di diverso. La sfera è composta da centoquarantaquattro ottave divise in quattro libri, che possono complessivamente distinguersi in due parti: nella prima il D. parla generalmente di astronomia, cosmografia e geofisica; nella seconda compie una descrizione poetica del globo, sulla base di portolani e carte geografiche. Il primo libro ha un carattere essenzialmente astronomico: tratta della disposizione delle stelle dello zodiaco, iniziando dall'illustrazione del cielo con la stella polare e le altre innumerevoli stelle che si collocano fra i due poli. Descritto poi lo zodiaco, dove particolare interesse è rivolto al sole, oggetto di venerazione da parte degli antichi, il D. si diffonde a parlare delle eclissi solari e delle variazioni della luna, fenomeni che hanno una loro influenza sulla natura dell'uomo; a questo proposito nell'ultima parte del libro viene anche affermato il valore della libera volontà umana, per cui l'anima si rende "di tutte queste passioni sicura". Il secondo libro è rivolto ad una descrizione di geografia fisica. Il D. vi esamina gli elementi terrestri, iniziando dal fuoco, dall'aria e dall'acqua per passare successivamente ad un'ampia esposizione sulle piogge, sulla neve, sul vento, fino al mare e agli oceani. La trattazione si occupa del succedersi dei giorni, delle ore e delle stagioni e quindi dell'influenza che le stagioni e gli astri possono avere sul carattere e sugli atteggiamenti dell'uomo: il quale però possiede sempre il libero arbitrio ed ha un destino celeste. Il terzo libro si occupa ancora del mare e della navigazione, e in particolare delle carte geografiche che la consentono. Passa a descrivere la struttura del mondo, che è diviso come la figura di "un T dentro a un 0": la linea orizzontale della T delimita l'Asia mentre quella verticale corrisponde al Mar Rosso, e separa l'Africa dall'Europa. La descrizione si diffonde così sull'Asia e le sue città. Il quarto libro continua la materia del precedente ed è rivolto in particolare alla descrizione dell'Africa; quasi fosse un manuale di navigazione, dà notizia dei più importanti porti e scali del Mediterraneo e del Mar Nero, indicando le rispettive lontananze; né mancano accenni al retroterra. L'opera, che rimase incompiuta e venne continuata da Giovanni Maria Tolosani, ha uno stile monotono, ma generalmente chiaro, che ne accentua il fine divulgativo: e proprio a queste caratteristiche pare si debba attribuire l'amplissima diffusione che La sfera subito ebbe.

Edizioni: Per le opere del D., oltre a quanto si è detto in precedenza, si vedano le edizioni dei suoi interventi al concilio di Costanza in H. Finke, Acta Concilii Constantiensis, II, Münster 1933, pp. 705-741 e passim, e all'interno dell'Ordine domenicano: Bullarium S. Ordinis praedicatorum, II, Romae 1730, pp. 491-710 passim; Monumenta Ordinis fratrum praedicatorum historica, VIII, Romae 1900, pp. 143-180 passim, ma cfr. anche: Roma, S. Maria sopra Minerva, Arch. generale d. Ordine domenicano, Manoscritti OO, ff. 645-655; LLL, ff. 128-129. Oltre alle numerose edizioni che si sono susseguite fino dal Quattrocento, La sfera è stata stampata da G. C. Galletti, Firenze 1859 e Roma 1863; questo testo è stato poi riprodotto da E. Narducci, Milano 1865.

Fonti e Bibl.: G. Dati, Libro segreto, a c. di G. Gargiolli, Bologna 1840, passim; Commissioni di R. Degli Albizzi, I,Firenze 1867, pp. 291-322 passim; F. Rinuccini, Ricordi stor., a cura di G. Aiazzi, Firenze 1840, p. LVI; per le ambascerie per conto della Repubblica fiorentina cfr. Arch. di Stato di Firenze, Signori. Leg. e comm. 6, ff. 29-31- 43. Un primo, breve ma fondamentale profilo biografico del D. si trova nel Necrologio di S. Maria Novella, pubblicato a cura di S. Orlandi, Firenze 1955, 1, pp. 151 s.; II, pp. 134-166, 325, 506 (a p. 152 del volume I viene riportato erroneamente come giorno della morte il 15 marzo, mentre il ms., presso il convento di S. Maria Novella, c. 58r, ha 16; l'anno 1422 nel ms. è già ridotto allo stile comune con correzione su 1424); Firenze, Convento di S. Maria Novella, V. Borghigiani, Cronica analistica, I, passim; Ibid., Biblioteca nazionale, ms. II, 11, 325: Vita di L. D. (frammento), ff. 2325; A. Pierozzi, Chronicon, III,Lugduni 1637, c. 79v; S. Ammirato, Istorie fiorentine, IV,Firenze 1853, pp. 240-265 passim; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589. p. 133; S. Razzi, Istoria degli uomini ill. del S. Ordine degli predicatori, Lucca 1996, pp. 161, 210; M. Biliotti, Venerabilis coenobi S. M. Novellae de Florentia chronica, in Analecta s. Ordinis praedicatorum, XXIV (1916), pp. 543-548, 623; V. M. Fontana, Syllabus magistrorum Sacri Palatii Apostolici, Romae 1663, pp. 98-100; Id., Constitutiones, declarationes et ordinationes Capitul. generaliuni sacriOrdinis praedicatorum, I,Romae 1655, p. VI; Id., Sacrum theatrum Dominicanorum, Romae 1666, pp. 375 s., 436; A. Ciacconius, Vitae et res gestae Pontificum romanorum, II,Romae 1677, col. 765; R. Badii, Constitutiones et decreta sacrae Florentinae universitatis theologorum, Florentiae 1683, p. 116; G. Palazzi, Fasti omnium cardinalium, II,Venetiis 1701, coll. 202 ss.; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum, I,Parisiis 1719, pp. 755-758; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 356 s.; L. G. Cerracchini, Catal. generale de' teologi dell'eccelsa università fiorentina, Firenze 1725, pp. 44-49, 57; Id., Fasti teologali, Firenze 1738, pp. 49-51; G. D. Mansi, Sacrorum Concil. nova et amplissima collectio, XXVII, Venetiis 1784, p. 114; F. Fontani, Elogio di C. R. Dati, Firenze 1794, pp. 4, 27-39; F. Palermo, Manoscritti palatini di Firenze, I,Firenze 1853, pp. 591-598; V. Marchese, Scritti vari, II,Firenze 1860, pp. 146-149; P. T. Masetti, Monumenta et antiquitates veteris disciplinne Ordinis praedicatorum, Romae 1864, 1, pp. 382-469 passim; II, pp. 305, 313 (presso il convento di S. M. Novella è conservata una copia del volume con successive aggiunte e correzioni autografe dell'autore; a p. 411 del volume I, ad es., si dà con sicurezza, ma senza citare alcuna fonte, l'anno 1365 come anno di nascita del D.); F. Flamini, L. di Piero D., in Giornale storico della letteratura italiana, XVI (1890), pp. 1 s.; A. E. Nordenskióld, Periplus, Stockholm 1897, tavv. II, III; Id., Dei disegni marginali negli antichi manoscritti della "Sfera" del D., in La Bibliografia, 111 (1901), pp. 49-55; A. Mortier, Histoire des maitres généreaux de l'Ordre des frères Précheurs, IV,Paris 1909, pp. 85-140; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis praedicatorum, Romae 1916, pp. 8, 42; W. Mulder, L. Statius auf deni Konstanter Konzil, in Festgabe zum 70. Geburtstag von H. Finke, Münster 1925, pp. 257-269; A. A. Bemardy, Il libro della Sfera di fra L. D., in Memorie domenicane, XLIV (1927), pp. 87-90; S. Orlandi, La Biblioteca di S. Maria Novella, Firenze 1952, Passim; M. Munsterberg, A Medieval Pilot-Book, M The Boston Public Library Quarterly, VI (1954), pp. 114-117; S. Orlandi, Il convento di S. Domenico di Fiesole, in Memorie domenicane, LXXVII (1960), pp. 19-31; R. Creytens-A. D'Amato, Les actes capitulaires de la Congrégation dominicaine de Lombardie, in Arch. fratrum, p. XXXI (1961), pp. 224 ss.; Th. Kaeppeli, Antiche biblioteche domenicane in Italia, ibid., XXXVI (1966), pp. 59 ss.; W. Brandmüller, Das Konzil von Pavia-Siena, Münster 1968, 1, p. 82; II, p. 1210; J. B. Schneyer, Neugefundene Konstanzer Konzilipredigten, in Annuarium histor. conciliorum, II (1970), pp. 69-75; C. Piana, La facoltà teologica dell'Università di Firenze nel Quattro e Cinquecento. Grottaferrata 1977, pp. 30, 220 ss., 449; G. A. Brucker, Firenze nel Rinascimento, Firenze 1980, pp. 147, 163, 30 s.; Th. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, III,Romae 1980, pp. 73-77 (profilo fondamentale, in particolare per quanto riguarda la documentazione sul D. conservata presso l'Arch. Segreto Vaticano e per l'indicazione dei manoscritti delle opere del D. stesso); G. Pomaro, Censimento dei manoscritti della Biblioteca di S. Maria Novella, in Memorie domenicane, XI (1980), pp. 325-470 passim; XIII (1982), pp. 204-353 passim; L. Bertolini, Censimento dei manoscritti della "Sfera" del Dati. I manoscritti della Biblioteca Laurenziana, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, XII (1982), pp. 665-705; F. Segatto, Un'immagine quattrocentesca del mondo, la "Sfera" dei D., in Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Memorie, s. 8, XXVII (1983), n. 3; L. Bertolini, L'attribuzione della "Sfera" del D. nella tradizione manoscritta, in Studi offerti a Gianfranco Contini dagli allievi pisani, Firenze 1984, pp. 33-43.

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