FRULLANI, Leonardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRULLANI, Leonardo

Renato Pasta

Nacque il 13 giugno 1756 a San Giovanni alla Vena, presso Pisa, da Domenico e Rosa Batini. Appartenente a una famiglia di piccoli proprietari, ricevette i primi rudimenti d'istruzione da uno zio sacerdote; frequentò quindi l'università di Pisa, dove si laureò in utroque iure il 23 maggio 1776, relatore A. Vannucchi.

Non molto è dato sapere del suo soggiorno pisano. L'ateneo che contava allora tra i docenti legisti G.M. Lampredi, M. Maccioni, L.A. Guadagni e L. Tosi; a Pisa ebbe comunque l'opportunità di coltivare gli interessi umanistici, frequentando la cattedra di lettere greche dello scolopio C. Antonioli (Rigoli, p. 5). Trasferitosi dopo la laurea a Firenze, fece pratica di studio presso l'auditore G. Vernaccini e fu ascritto al ruolo degli avvocati della Curia fiorentina, dove si distinse per la sicura competenza romanistica.

Una lettera più tarda ne attesta i cordiali rapporti con B. Bicchieri Colombi, auditore della rota fiorentina, che gli usò "bontà ed amorevolezza" nei primi tempi della professione (Firenze, Bibl. Moreniana, Mss. Palagi, 382, I, ins. 7, lettera del F. da Livorno, 5 apr. 1798). A una nota famiglia di giuristi fiorentini appartenne anche la moglie del F., Maddalena di Luca Ignazio Ombrosi, sposata il 23 nov. 1792. Dall'unione nacquero sette figli, tra cui Giuliano (1795-1835), notevole matematico, docente a Pisa e direttore delle operazioni per la redazione del catasto, e il letterato Emilio (1807-1844).

L'ingresso del F. sulla scena pubblica avvenne nel 1790, quando fu incaricato di comporre gli interessi materiali di Pietro Leopoldo, già divenuto imperatore, e del figlio Ferdinando, in vista della prossima ascesa di questo al trono di Toscana: mansione che lo segnalò agli occhi del nuovo sovrano, al quale rimase poi legato per tutta la vita. Il rapporto col granduca segnò anche l'avvio della carriera del F. nella magistratura con la nomina ad auditore del tribunale di Livorno in virtù del motuproprio regio del 4 febbr. 1794. Nella città labronica il F. visse gli anni difficili di fine secolo, dando prova di indubbie capacità organizzative e diplomatiche, nonché di fedeltà assoluta alla monarchia. Il 3 nov. 1796 venne intanto promosso auditore consultore di governo con 8.000 lire annue di provvisione: carica gerarchicamente inferiore solo a quella di governatore, le cui funzioni il F. si trovò peraltro a supplire spesso. L'apprezzamento delle autorità per il suo operato è attestato dalle frequenti gratifiche concessegli in quel periodo e da una pensione annuale di 2.000 lire motivata dalla "somma abilità e zelo" con cui aveva saputo disimpegnare i compiti straordinari affidatigli, quasi certamente riconducibili al ruolo svolto durante la prima occupazione francese di Livorno (27 giugno 1796 - 14 maggio 1797), che aveva comportato la rimozione del governatore, F. Seratti, e il temporaneo allontanamento dello stesso F. dalla città (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, filza 1016, prot. 1796, n. 11/2-3; filza 1015, prot. 1796, n. 5/75; e Zobi, III, p. 186). L'anno seguente esercitò per qualche tempo le funzioni di vicegovernatore ed ebbe parte determinante nel ritiro della guarnigione francese, ottenuto grazie al versamento di una cospicua somma (circa 2.000.000 di franchi) raccolta dalla comunità mercantile livornese. Allo stesso anno risale un importante piano sottoposto dal F. a Ferdinando III per l'erezione in Livorno di un tribunale di commercio, insistentemente richiesto dai mercanti locali e avversato dalle magistrature pisane, dalle quali si prevedeva lo scorporo della giurisdizione marittima e commerciale.

Sull'episodio, come in genere su tutta l'attività pubblica del F., risultano indispensabili i materiali conservati tra le carte di famiglia (si veda, in particolare, la Memoria per il trasferimento del Tribunale e del Consolato di mare da Pisa a Livorno [1797], Firenze, Bibl. Moreniana, Archivio Frullani, b. 7, inss. 1, 3-5), di proprietà pubblica, ma attualmente inconsultabili. Nessun dubbio, comunque, che l'iniziativa rifletta i saldi legami del F. con gli ambienti finanziari e mercantili labronici: legami destinati a riemergere nel 1798, durante l'occupazione anglo-napoletana di Livorno, e nel 1799 dopo la liberazione della città a opera delle bande aretine, e ai quali egli rimase fedele anche in seguito. Molto stretti appaiono anche, nello scorcio di fine secolo, i rapporti con la famiglia Corsini, all'ombra della quale si svolse gran parte della carriera del F. in età etrusca e napoleonica, e quelli con personalità di spicco del governo lorenese, da F. Manfredini e V. Fossombroni.

Alla "comprovata intelligenza" del F., ad esempio ricorse lo stesso granduca nel dicembre del 1798, quando gli affidò il delicato incarico di persuadere il generale napoletano D. Naselli ad abbandonare Livorno (Gualtiero, II, pp. 254-264). Dell'"antica amicizia" con casa Corsini è invece testimonianza una missiva del principe Neri Corsini, da poco nominato consigliere di Stato di Ferdinando III, al F., e la nutrita corrispondenza con lui per i periodi 1798-99 e 1809-13 (Firenze, Arch. Corsini, Lettere Corsini sec. XIX, filza XVI, ins. D: in particolare la lettera di N. Corsini al F., Firenze, 1 apr. 1798). In realtà il complesso di testimonianze che è possibile raccogliere mostra nel F. un personaggio di statura tutt'altro che subalterna, capace di notevoli margini di iniziativa autonoma, ascoltatissimo dallo stesso sovrano, in grado di determinare le scelte dell'esecutivo relative ai ruoli e alle funzioni dell'alta magistratura, costantemente e confidenzialmente informato dai vertici del governo sulla congiuntura politica attraversata dalla Toscana.

Più controversa risulta la posizione del F. durante la seconda occupazione francese di Livorno e l'insurrezione aretina del 1799. "Homme d'un machiavelisme connu", nemico asperrimo dei Francesi, lo definì il rappresentante cisalpino a Livorno, Alessandro Sacerdoti, con una critica destinata a ritornare in un memoriale dell'ex giacobino Gaetano Piamonti dopo la caduta del governo etrusco (Mangio, 1991, p. 390 n.; e per la citazione, Parigi, Archives du Ministère des Affaires etrangères, Correspondance politique. Toscane, 151A, c. 185). Certo il 30 apr. 1799, poco dopo l'arrivo dei Francesi, fu costretto ad abbandonare precipitosamente la città "avendo lasciato famiglia ed equipaggio" per rifugiarsi, come egli stesso narra, all'Impruneta (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, filza 687; Affari risolti, fasc. 25, ins. 6). Di segno opposto furono le accuse rivoltegli dopo l'ingresso degli Aretini a Livorno dall'inviato straordinario britannico W.F. Wyndham; rinviato in città per ordine del Senato fiorentino poco dopo la metà di luglio, il F. ne fu definitivamente allontanato proprio su richiesta del Wyndham, che lo accusava di aver consentito la scarcerazione di un gruppo di giacobini, alle origini del tumulto popolare del 22 luglio 1799 (ibid., fasc. 20, ins. 1). A richiamarlo non valse, il 3 agosto, l'accorata supplica al Senato della deputazione di Commercio (ibid., fasc. 20, ins. 9).

Se l'episodio attesta la sostanziale incapacità delle autorità lorenesi di controllare le zone liberate dagli Aretini, il profilo politico del F. resta quello di un notabile filoleopoldino decisamente moderato, costretto a muoversi sul filo di un difficile compromesso tra esigenze degli insorti e rispetto formale della legalità. Assai legato alla tradizione leopoldina e non immune da suggestioni ed echi illuministici il F. si era del resto mostrato qualche anno prima nella tenace opposizione al ripristino della pena capitale nell'ordinamento penale toscano, consegnata a una relazione sul progetto di riforma del codice criminale - la futura "Ferdinandina" del 1795 -, opera del giurista P. Ranucci (Da Passano, pp. 141-143). Il F. finirà per assumere un atteggiamento di compromesso di fronte alle pressioni favorevoli al ritorno della pena di morte, da lui ammessa in casi eccezionali e considerata irrogabile solo tramite la Consulta. Ma tutta la riflessione sull'argomento si sviluppava sulla base di trasparenti calchi dal Beccaria, di cui il F. recuperava a tratti anche la tensione egalitaria e le recisa volontà garantista nei confronti dei più poveri e dei più deboli. Maggior rigore chiedeva, invece, rispetto alla proposta del Ranucci, nella disciplina del fallimento doloso, mostrandosi ancora una volta in sintonia con le vedute della comunità commerciale labronica (ibid., p. 142 e n.).

L'allontanamento da Livorno aprì una nuova fase nella vita pubblica del F., che Ferdinando III chiamò a dirigere interinalmente le segreterie di Stato, Finanze e Guerra nell'autunno del 1799. Si trovò così ad assumere importanti responsabilità amministrative e di governo a fianco del Senato e della reggenza conservatrice nominata da Vienna e, pur non direttamente implicato nella reazione, fu costretto a lasciare la città e l'incarico al ritorno dei Francesi, il 15 ott. 1800, trovando temporaneo rifugio a Roma. Nulla sappiamo del suo soggiorno nella capitale, che fu comunque accompagnato da vari spostamenti nelle località minori dello Stato pontificio (Firenze, Bibl. Moreniana, Archivio Frullani, s. I, b. G, ins. 9: lettere del F. da Perugia, Foligno, Viterbo al segretario G. Giunti, 1800-01). Il rientro a Firenze negli ultimi giorni del marzo 1801 è invece attestato da una delibera del governo toscano del 29 aprile di quell'anno, che lo reintegra nell'esercizio della carica alle condizioni godute sino all'ottobre 1800.

La collocazione internazionale della Toscana era intanto mutata. Eretta in Regno d'Etruria per volontà del Bonaparte, essa passava sotto la sovranità formale dell'infante di Spagna, Ludovico di Borbone-Parma, giunto a Firenze il 12 ag. 1801. Il cambiamento di regime non scalfì, tuttavia, la posizione del F., che anche col nuovo sovrano seppe stabilire subito stretti rapporti. Intento a una politica di riconciliazione nazionale, e portato a servirsi nei primordi del suo regno di funzionari locali di provata esperienza, Ludovico d'Etruria non ebbe difficoltà ad accoglierne la richiesta "di rientrare nella carriera degli impieghi di giudicatura": e, affidata all'auditore Iacopo Biondi la segreteria di Stato, nominò il F. presidente della Consulta il 23 ag. 1801 (Arch. di Stato di Firenze, Segr. di Stato, filza 1061, prot. 64, n. 5).

Il motuproprio regio poneva il F. alla testa del più importante organo giurisdizionale del Regno. Soppressa nel 1788 da Pietro Leopoldo, che ne aveva addossato gran parte delle funzioni al Buongoverno, e ripristinata da un editto di Ferdinando III il 5 nov. 1793, la Consulta godeva di ampie attribuzioni nella sfera processuale civile e criminale: a essa spettava infatti, oltre al controllo sulle attività e le carriere dei giusdicenti, il compito di fornire l'interpretazione autentica delle norme incluse nell'ordinamento toscano; quello di rivedere e risolvere i dispareri tra Supremo Tribunale di giustizia e tribunali ordinari in materia di sentenze; e la funzione d'appello nei casi in cui la normativa prevedesse il diretto ricorso al principe. Di non minore importanza era poi il compito di vagliare le suppliche e le domande di grazia rivolte al sovrano, che la Consulta poteva rimettergli per la decisione definitiva o respingere senz'appello.

Se è difficile stabilire con certezza quale fosse il ruolo svolto da quest'organo negli equilibri politici e giurisdizionali del Regno etrusco, si ha però la sensazione che sotto la presidenza del F. esso abbia perseguito con notevole coerenza un indirizzo di tutela formale e sostanziale dei diritti soggettivi, opponendosi in particolare all'espressione incontrollata dei poteri di polizia. Così, il sovrano accolse nel luglio del 1802 un parere del F. che rinviava l'accertamento dei poteri di controllo nelle mani del presidente del Buongoverno a una futura riforma della polizia (Mangio, 1988, pp. 189 s.). Similmente, la Consulta si oppose nel marzo del 1803 al progetto di deportazione a San Domingo dei responsabili di un'ampia gamma di reati - dal furto semplice alla rissa e all'insubordinazione nei confronti delle autorità civili - avanzato dal segretario di Stato G. Mozzi e fatto proprio dal presidente del Buongoverno, G. Giusti (ibid., pp. 197 s.). La difesa del principio della legalità della pena e della sua proporzionalità al delitto fu in questo caso alla base dell'opposizione dell'organo presieduto dal Frullani.

La fedeltà all'eredità politica lorenese traspare anche nell'opposizione del F. all'editto borbonico del 15 apr. 1802, che sovvertiva la legislazione ecclesiastica leopoldina concedendo ampie autonomie al clero e agli ordini regolari, ripristinava la censura ecclesiastica sulle stampe e promulgava - di contro alle leggi di manomorta del 1751 e del 1769 - l'inalienabilità dei beni del clero. L'immediata reazione dell'opinione colta spinse Ludovico di Borbone a costituire un'apposita commissione per la revisione del testo di legge, formata dal F., dal segretario del Regio Diritto T. Simonelli e dal segretario del Consiglio di Stato Giunti: deputazione che, pur senza ottenere l'abrogazione dei provvedimenti contestati, riuscì a imporne un'interpretazione più favorevole agli interessi dello Stato (Zobi, III, p. 528 n.; Rigoli, p. 9). Poco più tardi, il 12 apr. 1803, un motuproprio regio poneva il F. a capo di una speciale deputazione per la riforma del corpo dei "reali cacciatori" (Firenze, Bibl. Moreniana, Archivio Frullani, s. I, b. 2).

L'ascesa del F. ai vertici della vita pubblica è confermata dalla nomina a consigliere di Stato e di Finanze a opera della reggente Maria Luisa di Borbone, avvenuta il 28 febbr. 1804, e da un successivo decreto che ne fissava gli emolumenti a 15.000 lire toscane annue (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, filze 1090, prot. 10, n. 41; 1091, prot. 17, n. 34, decr. del 27 marzo 1804) nonché dal motuproprio del 5 luglio dello stesso anno che lo chiamava, insieme con Neri Corsini, a far parte della deputazione economica presieduta da V. Fossombroni per il risanamento delle finanze, in sostituzione di B. Lessi e G. Piombati. Con i due ultimi il F. si trovò a collaborare, tuttavia, nell'ambito di una commissione per la riforma dei ruoli del pubblico impiego parallela e complementare ai lavori della deputazione (copia del motuproprio del 5 luglio 1804 e in Arch. Frullani, s. I, b. 2). Accanto a G. Fabbroni e P. Spannocchi, che completavano l'organico della deputazione economale, e in piena convergenza d'intenti con N. Corsini e il Fossombroni, il F. ebbe così parte nel più importante tentativo riformatore del periodo borbonico. Quanto all'attività della deputazione, essa si riassume in un drastico sforzo di contenimento delle spese, soprattutto di corte, e nel reperimento di crediti sul mercato dei capitali nelle piazze di Livorno e Firenze. Anche in questo caso il ruolo svolto dal F. non fu secondario, se il rappresentante cisalpino a Firenze poté vedere in lui, unitamente al Corsini e al Fossombroni, uno degli elementi di punta della deputazione (lettera di G.C. Tassoni Estense, Firenze, 20 genn. 1805, in I carteggi di Francesco Melzi d'Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, VII, Milano 1964, pp. 268 s.). Non sorprende in questo contesto la nomina del F., il 14 dic. 1804, a direttore delle Finanze al posto del marchese Antonio Corsi: carica che mantenne sino allo scioglimento della deputazione economale il 5 ott. 1805.

Se le ragioni della soppressione della deputazione economale restano in parte da chiarire, il F. condivise comunque la disgrazia che ne colpì i membri: escluso dalla partecipazione al Consiglio di Stato - pur continuando formalmente a farne parte -, privo di ogni incarico presso la Consulta, dove era stato sostituito come presidente dall'auditore A. Caciotti Banchi, il F. dovette per qualche tempo tornare alla professione legale e alla vita privata. Di questo periodo è uno dei rarissimi suoi scritti a stampa, la Lettera a Giovanni Fabbroni sul problema della libertà di taglio dei boschi alpini, redatta il 6 dic. 1806, ma pubblicata solo nel 1848 (in G. Fabbroni, Scritti di pubblica economia, II, Firenze 1848, pp. 455-461: l'originale è in Arch. Frullani, s. I, b. F).

Il testo prende le mosse dal Ragionamento sugli effetti della libertà e del vincolo sui boschi alpini del Fabbroni, importante scritto programmatico del liberismo toscano del primo Ottocento. Affine per convinzioni ideologiche all'amico, e deciso liberista, come la stessa partecipazione alla deputazione economale del 1804-05 aveva mostrato, il F. inseriva nella Lettera un elogio senza riserve delle "divine leggi della libertà del commercio", uniche garanti "della generosa restituzione alla santa proprietà de' suoi intieri diritti" (pp. 458 s.); ma rifiutava l'astrattezza dottrinaria del Fabbroni e la sua richiesta, in nome dei diritti della proprietà e delle "naturali" leggi dell'economia, della più ampia facoltà di tagli del bosco anche in prossimità dei crinali appenninici. Il F. suggeriva, per contro, un'estrema cautela nell'applicazione del liberismo, destinato irrimediabilmente a scontrarsi con la povertà e il misoneismo delle popolazioni di montagna. In quest'ottica, solo una oculata politica di documentazione sulle condizioni locali e di graduale educazione degli agenti economici avrebbe potuto evitare che la libertà di taglio si trasformasse in una pratica di rapina dalle pesanti conseguenze idrogeologiche.

L'annessione della Toscana all'Impero napoleonico segnò il ritorno del F. alla vita politica, anche se scarse sono le notizie che lo riguardano per questo periodo. Il 16 ag. 1808 un arrêté della giunta per la riunione della Toscana all'Impero lo nominava giudice della corte criminale di Firenze, della quale diverrà presidente agli inizi del 1810. In ottimi rapporti con Neri e Tommaso Corsini, partecipò in prima persona al "ralliement" del notabilato fiorentino a Napoleone e mantenne buone relazioni con Elisa Bonaparte, granduchessa di Toscana: legami che nei primi mesi del 1811 portarono alla sua promozione alla presidenza della corte prevostale di Firenze, istituita il 18 ott. 1810 e dotata di supremi poteri giurisdizionali in materia doganale per i dipartimenti toscani e per quelli degli ex Stati pontifici: incarico che il F. mantenne sino al 1814. A conferma dell'autorevole condizione del personaggio era intanto giunta, il 27 marzo 1813, la nomina a cavaliere dell'Ordine della riunione, una delle più alte onorificenze imperiali (Arch. Frullani, s. I, b. 2, ins. 5).

Sul piano letterario e mondano il F. ricevette riconoscimenti analoghi con l'elezione a socio della classe di scienze morali e politiche dell'Accademia italiana di Livorno (9 ott. 1807), e con la nomina, il 7 luglio 1813, a socio onorario dell'Accademia dei Georgofili. Ma l'impegno maggiore e più continuo fu riservato all'Accademia della Crusca, di cui fu eletto socio il 23 genn. 1812. Membro della commissione incaricata di stilare il nuovo regolamento dell'istituto, fu censore della Crusca nel 1816 e nel 1821 e "massaio", o tesoriere, dal 1812 al 1817. Alla Crusca, il 31 ag. 1813, rivolse anche un discorso sull'importanza della lingua e dell'eloquenza in cui sottolineava il nesso tra sviluppo del linguaggio e progresso dello spirito umano, auspicando anche l'ampliamento del lessico toscano per le voci tecniche e scientifiche (Atti della Crusca, I [1819], p. XXXV).

L'attività principale del F. rimase però quella politica. La fedeltà di fondo ai Lorena emerse alla caduta dell'Impero, quando fu per cinque mesi, dalla fine di aprile del 1814 al rientro, in settembre, di Ferdinando III, il principale consulente del plenipotenziario G. Rospigliosi, di cui temperò gli impulsi reazionari, tentando di salvare quanto dell'apparato giuridico-istituzionale francese poteva adattarsi alle necessità toscane di modernizzazione rispetto all'antico regime. In questo quadro, i buoni rapporti con il granduca diedero immediati risultati: il 18 luglio 1814 il F. era reintegrato nel ruolo di consigliere di Stato e di Finanze, misura che gli affidava di fatto la supervisione delle finanze pubbliche; e il 15 settembre veniva posto a capo della segreteria di Finanze. Il F. si trovò a costituire con V. Fossombroni, segretario di Stato e ministro degli Esteri, e N. Corsini, responsabile degli Interni, una sorta di triunvirato alla testa della politica toscana della Restaurazione. In questa veste, il F. si adoperò per il consolidamento delle finanze e per il ripristino degli orientamenti economici liberisti.

Grande esperto di questioni finanziarie, tuttavia, il F. non fu mai. Giurista di formazione, si lasciò guidare da un'ottica prevalentemente contabile, giungendo in breve a registrare un avanzo del bilancio corrente dello Stato, ma senza consistenti riduzioni degli oneri passivi; mentre getta ombra sul suo ministero lo scarso funzionamento del sistema fiscale e la corruzione dilagante. Ebbe comunque parte in alcune delle maggiori realizzazioni del periodo, quali il catasto toscano, avviato col motuproprio del 7 ott. 1817, e di cui il F. seguì le prime fasi. Sul problema condivise gli orientamenti governativi, difendendo nel 1821 il criterio dell'imposizione sul reddito effettivo delle proprietà dalle critiche di A. Paolini, favorevole a colpire invece la rendita fondiaria (G. Biagioli, L'agricoltura e la popolazione in Toscana, Pisa 1975, p. 61 e n.).

Un ruolo di rilievo il F. ebbe anche nella costituzione della Regia mista delle miniere e magona dell'isola d'Elba, che il 6 sett. 1816 inaugurò la compartecipazione fra Stato e privati nello sfruttamento delle risorse elbane, di recente acquisite alla Toscana. Responsabile ultimo del settore, appoggiò l'indirizzo protezionista del governo, teso alla salvaguardia delle prerogative della Corona anche a scapito della libertà d'impresa dei privati: scelta difforme, come ha notato G. Mori, dal conclamato liberismo del ceto dirigente moderato, ma in sintonia con l'ideale di buon governo maturato nella prima età lorenese e convolata ai presupposti politico-dinastici dell'assolutismo. Anche per questo al F. non venne meno la riconoscenza di Ferdinando III, che il 30 luglio 1815 gli concesse la nobiltà ereditaria, aggregandone la famiglia al patriziato pisano (Arch. di Stato di Firenze, Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, filza 173, cc. 17r-18r).

Il F. morì a Firenze il 4 maggio 1824.

Fonti e Bibl.: Il punto d'avvio per uno studio approfondito sul F. è costituito dalle carte dell'Archivio Frullani, depositato presso la Bibl. Moreniana di Firenze e dotato di un inventario sommario, ma al momento non consultabile. Lettere del F. si conservano a Firenze, Bibl. naz., Autografi Gonnelli, cart. 14, n. 39 (lettera a V. Mugnai, Firenze, 14 maggio 1805); Bibl. Moreniana, Fondo Palagi, 382 (I). 7 (sette lettere a vari, 1798-1817); Ibid., Autografi Frullani, 653 (lettera a B. Ombrosi, 3 dic. 1807); tre lettere del F. al principe N. Corsini per il biennio 1814-15 si trovano nell'Arch. Corsini di Firenze, stanza II, arm. D, f. 121, che ospita anche 121 lettere del Corsini a lui (1798-1814) prive, però, di responsive (Lettere Corsini sec. XIX, filza XVI, ins. D); una lettera del F. a N. Corsini è ivi conservata, mm. 543.5 (Livorno, 27 luglio 1798). Si veda anche: Siena, Bibl. comunale, Autografi Porri, n. 59.38 (lettera a G. Santi, Livorno, 23 genn. 1799); a Filadelfia, American Philosophical Society, Fabbroni Papers, BF 113 n. 1.

Materiali per la ricostruzione dell'attività del F. si trovano nell'Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, f. 49, inss. 2, 13, 19, 21; f. 50, inss. 19, 30; Segreteria di Stato, filze 1002, prot. 10, n. 48 s.; 1015, prot. 5, n. 75; 1016, prot. II, n. 2 s. - n. 3 s.; 622, Affari risoluti, 1794, fasc. 2, inss. 10; f. 687, Affari risoluti, 1799, fasc., 25, ins. 6 e 9; filze 1057, prot. 20, n. 66; 1058, prot. 25, n. 25; 1061, prot. 64, n. 5; 1066, prot. 6, n. 26; 1089, prot. 1, n. 1; 1090, prot. 10, n. 41; 1081, prot. 17, n. 34; 1110, prot. 72, n. 7; Segreteria di Stato (1814-1848), filze 1077, prot. 24; 1083, prot. 65, nn. 1 e 4; Carte Ceramelli Papiani, n. 5659, "Frullani"; Deputazione sopra la nobiltà e cittadinanza, filza 173, cc. 17r-18r. Per la data della laurea vedi Arch. di Stato di Pisa, Università, Dottorati 1758-1805, II versamento, sez. D. 11. 8, Una memoria del F. è pubblicata in C. Mangio, Una memoria in difesa della "Nazione ebrea" di Livorno (luglio 1799), in La Canaviglia, luglio-settembre 1980, pp. 91-93.

Informazioni e spunti critici sul F. forniscono le seguenti opere: Atti dell'Accademia italiana di scienze lettere ed arti, I (1810), p. XXVII; L. Collini, L. F., in Antologia, II (1824), pp. 120-128; L. Rigoli, Elegio di L. F., in Storia della Accademia della Crusca, Firenze 1848, pp. 264-268; Atti della Imp. e R. Accademia della Crusca, I (1819), pp. XXIX-XXX, XXXV; III (1829), pp. 245, 250 ss.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, Firenze 1844, pp. 97 s.; F.A. Gualterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani…, II, Firenze 1852, pp. 254-264; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, Firenze 1850-52, II, pp. 560 s.; III, pp. 186, 524 s., 528 n., 613; IV, pp. 26, 42, 130, 182, 196 n., 198; M. Tabarrini, Degli studi e delle vicende della R. Accademia dei Georgofili, Firenze 1856, p. 83; G. Sforza, Il Granducato di Toscana e i suoi vecchi ministri, in Rass. stor. del Risorgimento, I (1920), pp. 581-585; P. Pieri, La Restaurazione in Toscana, Pisa 1922, pp. 10, 12 s., 17 s., 22, 54; G. Drei, Il regno d'Etruria(1801-1807), Modena 1935, pp. 46, 61 n., 89, 240 (che utilizza un'inedita memoria del F. del 1807); A. Aquarone, Aspetti legislativi della Restaurazione in Toscana, in Rass. stor. del Risorgimento, XLIII (1957), pp. 4, 14; L. Dal Pane, La finanza toscana dagli inizi del sec. XVIII alla caduta del Granducato, Milano 1965, pp. 201, 216, 273, 278; G. Mori, L'industria del ferro in Toscana dalla Restaurazione alla fine del Granducato (1815-1859), Torino 1966, pp. 31, 37 e passim; C. Mangio, Politica toscana e rivoluzione. Momenti di storia livornese 1790-1801, Pisa 1974, passim; S. Parodi, Catalogo degli accademici della Crusca, Firenze 1983, p. 249; M. Da Passano, Il diritto penale toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), Milano 1988, pp. 139, 141-143, 146-148; C. Mangio, La polizia toscana.Organizzazione e criteri d'intervento (1765-1808), Milano 1988, pp. 189 s., 197 s.; R. Pasta, Scienza, politica e rivoluzione. L'opera di G. Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, ad Indicem; C. Mangio, IPartiti toscani fra "Repubblica Etrusca" e restaurazione, Firenze 1991, ad Indicem; M. Sessa, La Crusca e le crusche. Il vocabolario e la lessicografia italiana del Sette-Ottocento, Firenze 1991, pp. 112 s. n.; R.P. Coppini, Il Granducato di Toscana. Dagli "anni francesi" all'Unità, in Storia d'Italia (UTET), XIII, Torino 1993, ad Indicem.

CATEGORIE
TAG

Accademia della crusca

Granducato di toscana

Impero napoleonico

Giovanni fabbroni

Infante di spagna