OGNIBEN, Leone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

OGNIBEN, Leone

Alessio Argentieri

OGNIBEN, Leone (Leo). – Nacque a Treviso il 21 ottobre 1915, da Leone e da Letizia Perin.

Nel 1936 si laureò in scienze naturali all’Università di Padova con Giorgio Dal Piaz. Divenutone assistente, fu incaricato dei rilevamenti geologici dei Colli Euganei, sulla cui base furono più tardi pubblicati i fogli 50, Padova (Firenze 1947) e 64, Rovigo (Firenze 1950) della Carta geologica delle Tre Venezie alla scala 1:100.000 curata da Dal Piaz. Nel 1938 fu assunto come geologo rilevatore dall’Azienda miniere Africa orientale per ricerche di giacimenti auriferi. L’anno successivo, conseguita a Padova la seconda laurea in chimica, fu arruolato nell’esercito come ufficiale e inviato in missioni in Iugoslavia e Libia.

Nel 1942 passò alla società Montecatini, presso cui prestò servizio per 15 anni, divenendone capo geologo. Tra il 1942 e il 1957 effettuò ricerche per giacimenti minerari in vari distretti del territorio nazionale (Toscana, Dolomiti, Puglia, Romagna, Alpi occidentali, Sardegna, Sicilia, Calabria, Abruzzo, Campania).

Nel frattempo, nel 1946, aveva sposato a Trento Luigina Graziadei, dalla quale ebbe la figlia Letizia. Nel 1946 aderì alla Società geologica italiana.

Dai rilevamenti geominerari condotti in Sicilia tra il 1951 e il 1954 scaturirono le sue prime pubblicazioni scientifiche sulla geologia della zona solfifera. Tra queste si rammentano: Le “Argille brecciate” siciliane, in Memorie degli istituti di geologia e mineralogia dell’Università di Padova, XVIII (1954), pp. 1-92, corposa nota ricca di dati nuovi, sulla base dei quali giunse a conclusioni originali; Petrografia della serie solfifera siciliana e considerazioni geologiche relative, in Memorie descrittive della carta geologica d’Italia, XXXIII (1957) pp. 1-275, monografia ancora oggi di riferimento per lo studio delle evaporiti dell’isola. In esito alle ricerche compiute in Campania produsse alcuni lavori, tra cui Stratigrafia e microfaune del Terziario della zona di Caiazzo (Caserta), in Rivista italiana di paleontologia e stratigrafia, LXIV (1958), 2, pp. 89-142; 3, pp. 199-286.

Tra il 1955 e il 1957, nell’ambito di una cooperazione tra la Montecatini e la compagnia petrolifera statunitense Gulf Oil Corporation, svolse indagini geologiche per la ricerca di idrocarburi in Sicilia. Nel 1957 fu chiamato dall’Azienda nazionale idrogenazione combustibili (ANIC), società appena passata dalla Montecatini al controllo esclusivodell’Ente nazionale idrocarburi, per dirigere l’Ufficio minerario di Palermo, anch’esso destinato, nel contesto delle politiche industriali dell’ENI di Enrico Mattei, a sviluppare la ricerca delle materie prime minerali necessarie al settore petrolchimico, in forte espansione nell’Italia del boom economico. Nei quattro anni trascorsi a Palermo Ogniben coordinò esplorazioni in Italia (Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Romagna, Alpi, Campagna romana) e all’estero (Marocco, Tunisia, Spagna).

Basandosi sui risultati dei rilevamenti condotti in Sicilia, egli scrisse la Nota illustrativa dello schema geologico della Sicilia nord-orientale, in Rivista mineraria siciliana, XI (1960), 64-65, pp. 184-212, sintesi delle conoscenze dell’epoca sulla struttura geologica di quel settore dell’isola. Riconducibile all’esperienza delle esplorazioni minerarie in Calabria è il successivo lavoro, Le argille scagliose e i sedimenti messiniani a sinistra del Trionto (Rossano, Cosenza), in Geologica romana, I (1962), pp. 257-282, mentre nell’articolo Nota sul cristallino antico e sul giacimento di pirite di Calceranica (Trento), in Atti Symposium internazionale giacimenti minerari delle Alpi, II, 3, Trento 1966, pp. 911-927, illustrò i risultati dei rilevamenti effettuati tra il 1944 e il 1949.

Rientrato nella terna dei vincitori al concorso per la cattedra di geologia, nel 1960 fu chiamato dall’Università di Catania, subentrando a Bruno Accordi nel frattempo trasferitosi a Roma. Nei primi anni dell’incarico accademico pubblicò alcuni lavori sui depositi flyschoidi siciliani, fissando importanti vincoli per l’inquadramento delle catene montuose dell’isola nel contesto dell’orogeno appenninico-maghrebide.

Tra di essi si rammentano: Le formazioni tipo wildflysch delle Madonie (Sicilia centro- settentrionale), in Memorie degli istituti di geologia e mineralogia dell’Università di Padova, XXIV (1963), pp.1-58, e Arenarie tipo Taveyannaz in Sicilia, in Geologica romana, III (1964), pp. 125-170.

Dai primi anni Sessanta, come componente del Gruppo di ricerca per la geologia dell’Italia meridionale del CNR, concentrò i suoi interessi sul settore calabro-lucano dell’Appennino e sull’Alto Salento, venendo incaricato della direzione dei rilevamenti per alcuni fogli della Carta geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (II ed.), stampati poi verso la fine del decennio: il 191, Ostuni (Roma 1968), il 200, Tricarico (Napoli 1968), il 201, Matera (Firenze 1969), il 211, Sant’Arcangelo (Napoli 1970), e il 221, Castrovillari (Roma 1971).

Le prime sintesi di carattere regionale che produsse furono lo Schema introduttivo alla geologia del confine calabro-lucano, in Memorie della Società geologica italiana, VIII (1969), 4, pp. 453-763, e Conclusioni sullo stato attuale delle conoscenze nella geologia dell’Appennino, in Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Classe di scienze matematiche, fisiche e naturali, 1973, n. 183 pp. 367-447. Con il voluminoso Schema geologico della Calabria in base ai dati odierni, pubblicato in Geologica romana, XII (1973), pp. 243-585, fornì la sua sintesi sull’evoluzione strutturale dell’Arco calabro- peloritano, oggetto da più di un secolo di un acceso dibattito scientifico. Partendo da un’accurata revisione della bibliografia esistente, elaborò un modello tettonico dell’Arco come struttura a falde suddivisa in tre complessi sovrapposti (Calabride, Liguride e Panormide), formatasi durante l’orogenesi alpina con continuità, dal Cretacico al Neogene, della subduzione oceanica a polarità nord-orientale. Pur superato da studi più recenti, soprattutto riguardo i meccanismi geodinamici, il lavoro è tuttora un insostituibile punto di riferimento sulla geologia regionale della Calabria.

A metà degli anni Settanta curò con Maurizio Parotto e Antonio Praturlon il volume Structural model of Italy. Maps and explanatory notes, edito dal CNR (Quaderni della ricerca scientifica, XC, 1975), pietra miliare della ricerca geologica italiana del XX secolo, di cui scrisse l’introduzione (Introduction to the structural model, pp. 11-16) e il capitolo Lithostratigraphic complexes and evidence for tectonic phases in Sicily and Calabria (pp. 365-408). Dopo quest’opera, che rappresentò la sintesi dello stato di avanzamento della ricerca in Italia e delle conoscenze geologiche e geodinamiche dell’epoca, la sua produzione scientifica calò nettamente: i suoi ultimi lavori pubblicati furono Modello geodinamico “conservativo” della regione italiana, Roma 1985, e Modello geodinamico della regione trentina ed aree circostanti, in Studi trentini di scienze naturali. Acta geologica, LXIII (Trento 1987).

Gli scritti di Ogniben, basati su un’attenta analisi della letteratura geologica precedente, si caratterizzano per impostazione innovativa e netta separazione tra evidenze sperimentali e deduzioni speculative. Sosteneva infatti la necessità di un’evoluzione della geologia da scienza storica, di stampo naturalistico, a scienza fisica caratterizzata da un approccio quantitativo e orientata ad applicazioni di interesse economico, grazie al supporto delle moderne metodologie di prospezione geofisica e dei metodi di modellazione matematica. Pur con lo sguardo rivolto al futuro, dedicò grande attenzione alla tradizione culturale delle scienze geologiche italiane, come testimoniano le analisi bibliografiche sempre approfondite nei suoi studi, nonché la nota Il centenario di Carlo Gemmellaro (1787-1866) e l’evoluzione degli studi geologici, in Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania, s. 6, XIX (1967), pp. 241-267.

Nel 1985, collocato fuori ruolo, lasciò Catania per trasferirsi in Trentino con la famiglia.

Morì a Trento il 6 gennaio 1989.

Fonti e Bibl.: C. Roda, Ricordo di L. O., in Memorie della Società geologica italiana, XLVII (1991), pp. 3-14 (con l’elenco delle opere).

Si ringraziano Maurizio Parotto e Antonio Praturlon.

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