Leucemia. Fattori prognostici e terapia

Dizionario di Medicina (2010)

leucemia. Fattori prognostici e terapia

Massimo Breccia
Claudio Cartoni

Vengono qui considerati tre tipi di leucemia: le leucemie acute mieloidi (LAM), la leucemia mieloide cronica (LMCr), la leucemia acuta linfoide (LAL), la leucemia linfatica cronica (LLC).

LAM

Sono frequenti nell’adulto con età media superiore ai 60 anni. Si hanno forme primarie o de novo e forme secondarie a patologia mieloproliferativa o a sostanze tossiche. Il gruppo Franco-Americo-Britannico (FAB) ha individuato otto tipi (dalla forma M0 alla M7) in base all’aspetto morfologico e all’origine (monocitaria, eritroide, megacarioblastica, ecc.). La classificazione dell’OMS ha definito 4 sottogruppi: con anomalie citogenetiche ricorrenti; con displasia multilineare; secondarie a chemioterapia e radioterapia; non classificabili. Nel primo gruppo rientrano le LAM con traslocazione (t) dei cromosomi 8 e 21 e con inversione (inv) del cromosoma 16. La forma con anomalia del cromosoma 11q23 (5%) si associa a varie alterazioni citogenetiche; la più frequente è la t (9;11), che coinvolge i cromosomi 9 e 11. La forma con t (15;17), o promielocitica, è caratterizzata dal gene anomalo PML/RARa, da una peculiare sensibilità all’acido retinoico ad alto dosaggio, e ha percentuali di remissione pari al 90%. Per la prognosi, l’età avanzata, le comorbidità e alcune caratteristiche biologiche (precedente mielodisplasia, alcune alterazioni citogenetiche come le monosomie dei cromosomi 7 o 5 e anomalie complesse) sono fattori negativi. Il riconoscimento di lesioni molecolari caratteristiche come le mutazioni che coinvolgono FLT3 (un recettore delle tirosinchinasi) o NPM (proteina nucleare regolatoria) è associato a prognosi rispettivamente infausta o favorevole. L’alterazione di FLT3 si associa a leucocitosi, a forme monoblastiche e a rischio di recidiva precoce molto alto. L’alterazione NPM si associa al cariotipo normale, a buona prognosi con ottima risposta completa alla chemioterapia. Lo scopo della terapia è indurre remissione completa, ossia una percentuale di blasti inferiore al 5%. Poi, si procede con la terapia di consolidamento e con trapianto, dove possibile.

LMCr

Comporta una progressiva proliferazione clonale e accumulo di globuli bianchi maturi, ed è contraddistinta dalla presenza del cromosoma Philadelphia o t (9;22). Ha la massima incidenza tra i 50 e i 60 anni. Può essere: cronica, accelerata (blasti nel midollo inferiori al 30%) e blastica (blasti midollari superiori al 30%). Spesso si rivela da un riscontro occasionale di leucocitosi in analisi di laboratorio. I sintomi, se presenti, in fase cronica sono: senso di ingombro addominale (per splenomegalia) o sintomi legati alla leucocitosi (vertigini, disturbi visivi, trombosi). Durante la progressione possono comparire febbre, sudorazione, dolori ossei, ed emorragie. Il trattamento di prima scelta è l’imatinib, inibitore tirosinchinasico che induce risposte ematologiche nel 95% e citogenetiche in oltre l’80% dei pazienti. Sono inoltre a disposizione inibitori di seconda generazione con potenza superiore, in grado di superare la possibile resistenza farmacologica e gli effetti collaterali. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche consente la guarigione completa anche se è da considerare l’elevata tossicità e mortalità. Con l’impiego degli inibitori tirosinchinasici, il trapianto allogenico è riservato ai pazienti resistenti dopo 2÷3 linee di terapia.

LAL

È la più frequente nel bambino (l’80% di origine B linfoide) con il 70% di possibile guarigione nelle forme pediatriche. Generalmente, l’80% dei pazienti adulti raggiunge la remissione completa e il 30÷40% ha una sopravvivenza a 3 anni con regime di chemioterapia intensivo. Si riconoscono 3 varianti morfologiche (da L1 a L3); immunologicamente si distinguono le forme B (pro-B, common, pre-B, mature) e le T (pro-T, pre-T, corticali, mature). Il 50÷70% mostra un’alterazione citogenetica; nel 20% dei casi la t (9;22) è correlata a una cattiva prognosi. La prognosi è influenzata da diversi fattori negativi: età avanzata, fenotipo B maturo, leucocitosi, mancata risposta iniziale alla terapia steroidea. Il trattamento prevede 3 fasi: induzione, terapia post-remissionale e mantenimento. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche in prima remissione è indicato in pazienti ad alto rischio con donatore compatibile. Per la forma Ph+ ai normali schemi di chemioterapia si associa il trattamento con imatinib.

LLC

Si tratta di una proliferazione di piccoli linfociti (per circa il 98% di tipo B) apparentemente maturi, scarsamente proliferanti, immunologicamente incompetenti e con lunga sopravvivenza. Colpisce i soggetti di età superiore a 60 anni con decorso molto lento a tipo linfocitosi indolente o con segni di compromissione d’organo generalizzata (epatosplenomegalia, linfoadenopatie) insieme a progressiva invasione midollare (pancitopenia). Può inoltre trasformarsi in linfoma non-Hodgkin ad alto grado (sindrome di Richter). I pazienti con cariotipo normale e delezione del cromosoma 13 hanno prognosi favorevole, mentre i pazienti con delezione dei cromosomi 17 e 11 hanno prognosi sfavorevole. I principali fattori prognostici biologici sono: l’espressione mutata o non dei geni per le immunoglobuline, l’espressione della proteina ZAP-70, generalmente espressa dalle cellule linfoidi T normali, l’espressione di alcuni antigeni di superficie (CD38), l’espressione dell’oncogene p53.

L’innovazione terapeutica

Lo scenario terapeutico si è molto modificato con l’introduzione nei primi anni Novanta del secolo scorso degli analoghi delle purine (fludarabina da sola o in associazione), con risposte di lunga durata. In pazienti giovani, in stadio avanzato e con caratteristiche prognostiche sfavorevoli, è giustificata l’associazione di chemioterapici e anticorpi monoclonali e del trapianto di cellule staminali allogeniche e autologhe.

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