LEUCEMIA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

LEUCEMIA (XXI, p. 2; App. II, 11, p. 190)

Edoardo STORTI

Negli ultimi 10 anni la malattia leucemica è stata oggetto, in tutto il mondo, di un intensissimo fervore di ricerche, giustificate sia dall'inesorabilità del suo decorso - nella completa ignoranza dei suoi fattori etiopatogenetici - sia dal sensibile aumento della sua frequenza.

Alla denominazione di leucemie si preferisce oggi quella di leucosi, intendendo con tale termine un gruppo di malattie dovute a proliferazione di tipo tumorale delle cellule mieloidi o linfatiche o istioemoblastiche e caratterizzate da sovvertimento della struttura degli organi emopoietici, da pressoché costante infiltrazione di cellule ematiche immature ed atipiche nei più diversi organi e tessuti, e da abituale ma non obbligata presenza di dette cellule nel sangue circolante. In base a questi concetti è caduto in disuso anche il termine di pseudoleucemie, col quale si indicavano appunto i casi di leucosi decorrenti senza alterazioni del sangue periferico.

Il moltiplicarsi delle osservazioni cliniche e lo studio bioptico sistematico dei tessuti emopoietici hanno dimostrato infatti che l'essenza di queste forme morbose è rappresentata dalla proliferazione primitiva, generalizzata, irreversibile - con note di anaplasia (arresto del processo di maturazione) e di displasia (errata o atipica differenziazione) - delle cellule leucopoietiche e non già dal numero dei leucociti presenti nel sangue periferico, che può anche essere normale o subnormale. Ai fini del riconoscimento diagnostico assumono semmai importanza maggiore le alterazioni qualitative dei leucociti (presenza in circolo di forme immature o atipiche) che spesso si riscontrano in assenza di alterazioni numeriche dei globuli bianchi.

Il processo leucosico può interessare tutti gli stipiti cellulari costituenti gli organi emopoietici. A seconda del tipo cellulare compromesso si distinguono pertanto leucosi di tipo linfatico, mieloide (coi più rari sottotipi eosinofilo e basofilo), istio-monocitico, plasmacellulare. Ognuno di questi tipi si ricollega poi - per analogie istopatologiche e cliniche - a processi morbosi aventi una fisionomia anatomo-clinica più palesemente neoplastica, ciascuno dei quali può presentare o meno alterazioni del sangue di tipo leucemico: tipici a questo riguardo il linfosarcoma, i plasmocitomi, i reticolosarcomi e il cloroma che si ricollegano rispettivamente alle leucosi linfatica, plasmacellulare, istiomonocitica e mieloide.

Pertanto le leucosi costituiscono un gruppo di affezioni che va considerato nell'ambito del più vasto capitolo delle emoblastosi (neoplasie dei tessuti emopoietici), di cui rappresentano una sorta di nucleo centrale, i cui confini nosologici risultano sfumati e mal definibili (v. schema seguente). A questo proposito si deve infatti ricordare che le leucosi si ricollegano anche - tramite i casi di eritroleucemia - a un analogo processo morboso interessante la serie eritroblastica: l'eritremia (o malattia di Di Guglielmo).

In base alla durata della malattia, alla sua sintomatologia clinica ed alle caratteristiche citopatologiche, le leucosi si distinguono in croniche, subacute e acute, ognuna delle quali può presentare (sia pur con diversa frequenza) un quadro ematico leucemico (più di 25.000 leucociti per mm3), subleucemico (da 10.000 a 25.000) od aleucemico (meno di 10.000).

Per quanto esista in genere una buona correlazione fra rapidità del decorso, sintomatologia clinica ed alterazioni ematologiche, i criterî più validi per la differenziazione delle suddette forme sono quelli desumibili dal quadro clinico e soprattutto dai caratteri delle cellule ematiche (v. tabella), potendosi osservare casi di leucosi acuta o subacuta che, a seguito degli interventi terapeutici o talora anche spontaneamente, consentono una sopravvivenza uguale a quella di alcuni casi di leucosi cronica.

In linea di massima si può dire che in base ai segni clinici è quasi sempre agevole differenziare le forme croniche dalle forme acute. Fra le prime è spesso possibile riconoscere clinicamente anche il tipo linfatico o rispettivamente mieloide; la differenziazione dei diversi tipi di leucosi acute (linfatico, mieloide, emocitoblastico, monocitico, istioide) non è invece mai possibile sul piano clinico, e spesso è molto difficile anche in base ai reperti ematologici, per l'estremo grado di ana-displasia delle cellule leucemiche.

Per quanto attiene all'incidenza delle leucosi, le numerose ricerche statistiche effettuate in diversi paesi concordano nel rilevare un modesto ma progressivo aumento di frequenza della malattia. Tale fenomeno è rilevabile in tutte le età della vita, ma appare particolarmente pronunciato (Cooke) nell'età senile. L'incidenza delle diverse forme leucosiche varia in rapporto al sesso e alle diverse età: le leucosi in genere, e quella linfatica cronica in particolare colpiscono il sesso maschile in misura maggiore di quello femminile, le forme acute predominano numericamente (circa il 50% del totale) sulle forme croniche, fra le quali la forma mieloide è più frequente della linfatica.

Eziologia e patogenesi. - L'eziologia e la patogenesi delle leucosi dell'uomo sono tuttora sconosciute: sull'argomento si possono solo formulare delle ipotesi tratte da argomenti di ordine anatomo-clinico e di ordine analogico con le acquisizioni raggiunte studiando le leucosi di alcune specie animali (in particolare dei polli e dei topini).

Numerose ricerche hanno dimostrato (V. Ellerman e O. Bang; J. Engelbreth-Holm; F. Pentimalli; J. Furth e coll.; E. Storti e coll.) che la leucosi del pollo è trasmissibile da animale malato ad animale sano mediante inoculazione di cellule leucemiche o di materiale leucemico privato delle cellule. Il fattore leucemogeno - di cui è stata dimostrata la natura virale - può indurre, a seconda delle modalità sperimeritali con cui viene inoculato, processi leucemici diffusi o sarcomi localizzati o forme miste leucemico-sarcomatose.

Ancor più interessanti sono i dati riguardanti le leucosi del topino, che hanno polarizzato l'interesse dei cancerologi da quando Maud Slye, mediante successivi incroci fra topini consanguinei, è riuscito ad isolare ceppi puri a diversa e definita incidenza di leucosi spontanea: alcuni pressoché immuni, altri nei quali la leucosi insorge spontaneamente in un'elevata percentuale di animali, che per alcuni ceppi raggiunge il 90%. La malattia può essere trasmessa in serie trapiantando da un animale malato ad un animale sano (purché dello stesso ceppo) sospensioni di cellule o frammenti di tessuto leucosico. La diffusione del processo morboso avviene per metastatizzazione: anche il trapianto di una sola cellula leucosica può provocare la malattia (J. Furth e coll.; J. Engelbreth-Holm e coll.; E. Storti e coll.). La leucosi può venire indotta nel topo anche da idrocarburi cancerogeni, da radiazioni Roentgen o da estrogeni.

In ogni caso, lo stesso agente leucemogeno - a seconda della via e delle modalità di inoculazione - può indurre processi leucosici o neoplasie localizzate o affezioni miste.

Il trapianto delle leucosi ad animali sani di diverso ceppo non è attuabile (per incompatibilità di ordine genetico-immunologico) se non ricorrendo a particolari accorgimenti tecnici, quali la preventiva Roentgen-irradiazione dell'animale ricevente (J. Furth) o l'inoculazione del materiale nel periodo neonatale (L. Gross). La malattia così indotta può essere ritrasmessa per trapianto cellulare ad animali sani del ceppo donatore ma non ad altri animali del ceppo ricevente.

Nel 1954 L. Gross ha osservato che inoculando estratti acellulari di tessuti leucosici provenienti da un ceppo AK (ad elevata incidenza di leucosi spontanee) nei topini neonati di un altro ceppo C3H (avente un'incidenza minima di leucosi spontanee), dopo un periodo di 5-14 mesi di apparente benessere, in un'elevata aliquota (15-80%) dei topini trattati si sviluppava una leucosi la quale poteva comparire spontaneamente anche nelle successive generazioni di animali discendenti dai topini in parola. Per spiegare tali osservazioni L. Gross ammette l'esistenza di un agente virale che viene trasmesso dai genitori ai figli attraverso le cellule germinali (o occasionalmente attraverso il latte materno). Tale agente leucemogeno potrebbe restare latente per lunghi periodi di tempo (pur essendo trasmesso alle successive generazioni) e venire riattivato in determinate circostanze da fattori diversi (ad es. radiazioni ionizzanti, sostanze chimiche, ecc.) dando origine alla malattia conclamata. Si avrebbe in tal modo una trasmissione verticale dell'agente virale, che potrebbe rendere ragione anche dell'esistenza di generazioni apparentemente immuni dalla malattia.

Per quanto numerosi motivi non consentano di omologare perfettamente le leucosi degli animali a quelle umane, molte delle osservazioni testé riferite offrono analogie con taluni aspetti delle leucosi umane, che consentono di prospettare un'interpretazione etiopatogenetica di queste ultime.

Ciò vale soprattutto nei riguardi del concetto della natura neoplastica delle leucosi umane, il quale è confortato d'altra parte anche dalle seguenti considerazioni: 1) le leucosi umaue, analogamente ai tumori, hanno sempre decorso irreversibile ed esito infausto, interrotto solo da transitorie remissioni, talvolta spontanee, ma generalmente indotte da trattamenti terapeutici aventi azione antineoplastica; 2) ogni tipo di leucosi può indurre neoformazioni di tipo tumorale, localizzate negli organi emopoietici o in ogni altro organo; esistono poi numerosi casi di transizione fra quadri morbosi schiettamente leucemici e quadri tipicamente neoplastici (linfosarcoma, reticolosarcoma, plasmocitoma, cloroma); 3) le alterazioni isto- e cito-patologiche dei diversi processi leucosici (umani e animali) riproducono, in misura più o meno accentuata, le alterazioni caratteristiche dei tessuti neoplastici.

Negli ultimi anni è stata anche prospettata l'esistenza di un agente eziologico di natura virale delle leucosi umane: ciò per analogia con le leucosi aviarie e murine, ma anche in base all'osservazione che estratti ultrafiltrati di tessuti leucosici determinano nell'embrione di pollo (M. Torrioli e coll.) e nella cavia (F. Magrassi e coll.) una malattia trasmissibile in serie, e che in alcune cellule leucosiche sia dell'uomo (Ch. Oberling e P. Chevallier; J. W. Beard e altri) sia degli animali (L. Dmochowski e C. E. Grey) è possibile dimostrare, al microscopio elettronico, inclusioni citoplasmatiche simili a corpuscoli virali. La rigorosa dimostrazione di un virus responsabile delle leucosi non è tuttavia ancora stata raggiunta, e gli stessi brillanti risultati sopra riferiti sono passibili di altre interpretazioni.

D'altra parte un concetto che va sempre più diffondendosi attualmente è quello di un'eziopatogenesi probabilmente diversa per i diversi tipi di leucosi. Che il problema sia estremamente complesso è desumibile, per es., dalle recentissime osservazioni che in determinati ceppi di topi la leucosi è provocabile mediante inoculazione di acidi nucleici (soprattutto acido desossiribonucleico) estratti da cellule sia leucemiche sia non leucemiche (E. F. Hays e coll.).

Altri fattori che si sono rilevati leucemogeni per alcuni soggetti umani sono le radiazioni ionizzanti (come dimostra l'elevata frequenza di leucemie fra i radiologi e soprattutto fra i sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki) e il benzolo. Tuttora incerta è invece l'importanza, nell'uomo, dell'ereditarietà come fattore predisponente all'instaurarsi di una leucosi.

Terapia. - Il problema terapeutico della malattia è ancora sostanzialmente insoluto. Alla roentgenterapia si sono aggiunti negli ultimi anni numerosi farmaci chemioterapici (uretano, azoipriti,1-4 dimetansulfonilossibutano, 6-mercaptopurina, aminopterina, ecc.) e ormonici (ACTH, cortisone e simil-cortisonici) che, in associazione agli antibiotici ed alle trasfusioni di sangue, consentono di indurre remissioni clinico-ematologiche più o meno complete e durature, ma non riescono a modificare la prognosi inesorabilmente infausta di queste forme morbose.

Bibl.: W. Dameshek e F. Gunz, Leukemia, New York 1958; A. Ferrata e E. Storti, Le malattie del sangue, II, Milano 1958.

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