Lèvi Della Vida, Giorgio

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Orientalista italiano (Venezia 1886 - Roma 1967). Professore in diverse università, è stato uno dei maggiori cultori degli studi islamici e semitici in Italia. Di famiglia ebraica, antifascista, fu destituito dall'incarico di docente (1931) per non aver giurato fedeltà al fascismo. Scrisse importanti saggi di carattere storico, letterario e filologico.

Vita

Professore di arabo nell'Istituto univ. orientale di Napoli (1914-16), di filologia semitica nell'univ. di Torino (1916-20), di ebraico e lingue semitiche comparate nell'univ. di Roma (1920-31, 1944-56); collaboratore (1925-38) dell'Enciclopedia Italiana per le Letterature e civiltà orientali.  A Roma il L. iniziò, a fianco dell'attività accademica e istituzionale un'intensa attività di pubblicista, collaborando fra l'altro  con la Rivista di cultura (poi La Cultura) diretta da C. De Lollis, con scritti di argomento storico-religioso, letterario e orientalista. Allo stesso tempo, scriveva su Il Paese e La Stampa articoli di politica interna ed estera, nei quali espresse la sua netta opposizione al fascismo. Dopo il delitto Matteotti, L. fu tra i firmatari del crociano Manifesto degli intellettuali e aderì all'Unione nazionale di G. Amendola. Nel 1926, tuttavia, dopo il fallito attentato a Mussolini abbandonò l'impegno attivo nell'antifascismo, che avrebbe richiesto l'entrata in clandestinità, per dedicarsi più intensamente all'insegnamento. Nel 1931 fu uno degli 11 professori universitari destituiti dall'insegnamento per essersi rifiutati di prestare giuramento al regime fascista; subito dopo la sua destituzione fu chiamato come collaboratore scientifico della Biblioteca Vaticana, dove esplorò i fondi manoscritti arabi islamici, che illustrò in notevoli opere. Professore nell'università di Pennsylvania dal 1938 al 1945, al suo rientro in italia tornò a lavorare alla Biblioteca Vaticana. Dopo un ulteriore soggiorno negli Stati Uniti dal 1946 al 1948, al suo ritorno definitivo in Italia riprese le lezioni presso l'Università di Roma, dove tenne, fino al 1956, la cattedra di storia e istituzioni musulmane (poi islamistica). Fu socio nazionale dei Lincei (1947).

Opere

La sua attività scientifica si è svolta nel campo della letteratura siriaca (Pseudo-Beroso siriaco, 1910; Dialogo delle leggi dei paesi di Bardesane, 1921, ecc.), dell'epigrafia neopunica e della storia ebraica, ma soprattutto della storia e filologia arabo-musulmana (Studî sul califfato di Alī, 1913; Le livre des chevaux d'Ibn al-Kalbī et Ibn al-Arābī, 1927; Il califfato di Muāwiya in Balādhurī, 1937). Numerosi gli scritti frutto dell'attività svolta presso la Biblioteca Vaticana: Elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, 1935; Ricerche sulla formazione del più antico fondo dei manoscritti orientali della Biblioteca Vaticana, 1939; Secondo elenco dei manoscritti arabi islamici della Biblioteca Vaticana, 1965, ecc.  A una più ampia cerchia di lettori sono dedicati i suoi Aneddoti e svaghi arabi e non arabi (1959), il volume autobiografico Fantasmi ritrovati (1966) e la versione italiana di alcune antiche poesie arabe (Versi antichi di Arabia, 1967).

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