Liberalizzazione

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

liberalizzazione

Alberto Heimler

Le politiche di liberalizzazione

In attuazione dei principi del liberismo (➔), le politiche di liberalizzazione sono relative all’abolizione delle varie restrizioni alla produzione interna, al movimento dei capitali, al commercio internazionale (➔ p) e interno: dazi, divieti, contingenti, clearing, monopoli statali di produzione, vendita o acquisto di merci e valute, restrizioni all’accesso di mestieri e professioni, condizioni restrittive all’uso di beni o servizi e così via. Sono in genere adottate per eliminare le regolazioni che, se in contrasto con l’interesse generale, ostacolano l’accesso al mercato e impediscono alle imprese di competere liberamente. Come effetto del progresso tecnologico o dell’evoluzione dei mercati, molte regolazioni, anche se inizialmente benefiche, sono un freno allo sviluppo dell’attività economica e fonte di protezione e di rendita.

Il riesame delle regolazioni

Negli anni 2000, è emersa in molti Paesi del mondo la necessità di introdurre obblighi periodici di riesame della regolazione esistente, volti a verificare se essa continui o meno a essere valida. Mentre, per es., in Australia il riesame è stato adottato a metà del primo decennio, in altri Paesi raramente viene effettuata una periodica revisione, sia per le difficoltà di rilevare le regolazioni sparse all’interno dell’ordinamento (a livello centrale e locale e relativamente ad attività, mestieri e settori) sia per lo scarso interesse politico a liberalizzare.

Beneficiari delle liberalizzazioni

Delle liberalizzazioni beneficiano soprattutto due categorie di soggetti, i nuovi entranti e i consumatori, entrambi caratterizzati dall’assenza di una rappresentanza politica ben consolidata. I nuovi entranti, non essendo ancora presenti nel sistema economico-produttivo, non possono esercitare alcuna funzione propulsiva e le forze politiche non traggono alcun vantaggio dal sostenerli; i consumatori guadagnano, individualmente, poco da eventuali liberalizzazioni dei mercati (anche se per il loro complesso i benefici sono sostanziali) e, pertanto, non hanno incentivi sufficienti a impegnarsi politicamente a favore di una maggiore concorrenza. Per questi motivi le liberalizzazioni traggono origine per lo più da vincoli esterni, sorti soprattutto a livello internazionale (per l’Italia, particolarmente a livello europeo).

La situazione italiana

In Italia, una spinta fondamentale alla liberalizzazione dei mercati è giunta dalle richieste europee relative, inizialmente, alle barriere poste dagli Stati agli scambi di beni, ma che successivamente si è estesa anche ai servizi pubblici a rete e a molti servizi privati, innescando ampi processi di allargamento dell’area della concorrenza e del mercato. Alla fine degli anni 1980, le progressive difficoltà delle industrie pubbliche e a partecipazione statale (➔ nazionalizzazione) e i disavanzi crescenti che caratterizzavano le loro gestioni hanno condotto alla privatizzazione (➔ p) di molte imprese. La cessione ai privati delle imprese di proprietà pubblica ha rappresentato l’occasione per una contemporanea apertura al mercato di molte attività e campi, per es. nel settore elettrico, nelle telecomunicazioni e anche nei servizi bancari. Infine, esigenze autonome di modernizzazione dell’economia nazionale hanno sollecitato il legislatore a rimuovere regolazioni ingiustificatamente restrittive, che frenavano la concorrenza in molti mercati, per es. la distribuzione commerciale o i servizi professionali, non interessati da obblighi o iniziative comunitari.

Liberalizzazione e concorrenza

Liberalizzare è un’operazione complessa che, per essere efficace, dev’essere affiancata da misure di accompagnamento. In presenza di contratti di durata, ossia di contratti che rimangono in vigore finché non sono interrotti unilateralmente dal cliente, è necessario accompagnare la liberalizzazione dei mercati con interventi che agevolino il cliente nel cambiare fornitore. La ragione è molto semplice. Il cliente sostituisce il fornitore solo in presenza di costi di transazione modesti; costi di transazione elevati disincentivano il mutamento, contribuiscono a far mantenere al fornitore storico le sue consolidate posizioni di mercato e riducono, talvolta annullandoli, gli effetti delle liberalizzazioni dell’offerta. Favorire la concorrenza dal lato della domanda, diminuendo i costi di transazione associati al cambiamento del fornitore, è pertanto fondamentale. Al riguardo, non è sufficiente eliminare i costi diretti, per es. introducendo la portabilità del numero di telefono nei servizi di telecomunicazione o eliminando quelli di chiusura di un conto corrente bancario, ma è anche necessario che il cliente possa modificare regime senza essere obbligato a contattare preliminarmente il suo fornitore abituale. Se per cambiare banca, assicurazione o gestore telefonico il cliente deve prima, personalmente, interrompere il suo esistente rapporto contrattuale, la banca, l’assicurazione o il gestore di telecomunicazioni possono in quella sede offrire condizioni più vantaggiose al cliente che rischiano di perdere. Dal punto di vista delle strategie concorrenziali delle imprese, obbligare i clienti a chiudere un rapporto contrattuale prima di aprirne un altro produce enormi svantaggi. Ciascun fornitore, infatti, approfitterà della visita di chi intende abbandonarlo per offrirgli eventuali migliori condizioni contrattuali. Pertanto, come avvenuto in Italia, tramite interventi di riforma nel periodo 2005/06 (riforma del ministro P.L. Bersani), è necessario fare in modo che il fornitore sia costretto a estendere a tutta la clientela le migliori condizioni contrattuali e consentire che tutte le pratiche connesse al trasferimento da un fornitore a un altro siano effettuate direttamente dal fornitore prescelto.

Misure strutturali

In alcuni settori, soprattutto nei servizi di pubblica utilità, caratterizzati da investimenti elevati e da una copertura dell’intera domanda nazionale da parte dell’ex monopolista legale, la liberalizzazione dei mercati produce scarsi effetti se non è accompagnata da misure strutturali di separazione orizzontale e verticale, particolarmente efficaci se decise al momento della privatizzazione. Tramite la separazione orizzontale si crea immediatamente un’industria competitiva, per es. in Italia nella generazione di elettricità, dove in alternativa sarebbe stato possibile conseguire una struttura concorrenziale solo con decenni di attesa. Tramite la separazione verticale vengono isolati gli ambiti di monopolio naturale (➔) ed eliminati gli incentivi del monopolista verticalmente integrato per escludere i concorrenti dai mercati liberalizzati, come per es. in Italia, nel caso della rete elettrica, della rete ferroviaria, sino alle liberalizzazioni della rete del gas da parte del governo Monti (novembre 2011). Talvolta, la separazione orizzontale è funzionale allo sviluppo di una concorrenza su mercati collegati verticalmente. La separazione orizzontale, avvenuta nel 1984 negli Stati Uniti, dell’American Telephone and Telegraph (AT&T) Inc., l’azienda allora monopolista dei servizi di telecomunicazione, ha consentito lo sviluppo della concorrenza nei servizi di telefonia interurbana, ossia dei collegamenti tra le 9 entità separate, le Regional Bell Operating Companies, che rimanevano in quel momento monopoli locali, poi successivamente liberalizzati.