FASSONI, Liberato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)

FASSONI, Liberato (in religione Liberato da S. Giovanni Battista)

Carlo Fantappiè

Nacque a Voltri, vicino Genova, il 19 apr. 1721 da Raffaele e da Maria Camilla. Trasferitosi con la famiglia ad Ancona, nel 1732 entrò nel collegio di S. Giuseppe dell'Ordine dei chierici regolari delle scuole pie. Vestì l'abito scolopico il 9 giugno 1737 ed emise la professione religiosa a Roma il 3 ag. 1738. Dopo un breve soggiorno ad Urbino, cominciò per il F. una lunga serie di spostamenti. Il 5 dic. 1738 fu trasferito a Narni; il 17 aprile seguente ritornò a Roma, dove nel 1742 stampò l'Oratio in laudem e.mi card. Capranica. Da Roma fu trasferito ancora una volta a Urbino il 6 nov. 1745, per insegnare filosofia e matematica. Nell'ottobre 1748 ritornò a Roma per insegnare logica nel collegio "Calasanzio", dove succedette al confratello G.B. Beccaria alla fine dell'anno scolastico 1747-48. Qui si distinse per l'impegno didattico e per la cura di allievi come T. M. Viali e C. M. Voenna, ai quali fece discutere alcune tesi di fisica ampiamente annotate (Roma 1750 e 1752). Negli anni scolastici 1753-54 e 1754-55 fu inviato ad insegnare teologia e greco nel seminario-collegio di Senigallia. Oltre all'Oda alcaica occasione exultationis ad sacram purpuram e.mi card. Enriquez ... (Camerino 1754) pubblicò il primo scritto filosoficamente impegnativo: De leibnitziano rationis sufficientis principio dissertatio philosophica (Senogalliae 1754).

L'opera s'inseriva nel momento di trapasso della filosofia cartesiana e di apertura alle tematiche newtoniane e wolfiane, mediate da S. Clarke e dai fisici olandesi W. J. s'Gravesande e P. van Musschenbroek. Nell'Ordine delle scuole pie tale indirizzo innovativo aveva già trovato alcuni precursori nell'insegnamento e nelle opere di 0. Corsini e di U. Tosetti. Dopo aver esposto la natura e l'uso fatto dagli antichi filosofi del principio di ragion sufficiente, il F. attribuiva al Leibniz il merito di averlo spiegato ampiamente prima di ogni altro. Sulla base delle critiche avanzate in varie dissertazioni da R. G. Boscovich, il F. asseriva che tale principio, preso nell'estensione che gli attribuivano i leibniziani, diveniva inconciliabile con l'affermazione della libertà divina ed umana. Anche ammettendo l'utilità del principio di ragion sufficiente per le scienze, rimaneva aperta la questione se nelle cause dotate di cognizione e di libertà la volontà fosse sufficiente ragione di alcuni effetti. Sotto questo profilo, il F. si allontanava dai leffiniziani, ne contestava i corollari e, in specie, quello dell'arinonia prestabilita. La dissertazione del F., che sarà ripubblicata a Buda nel 1767 dallo scolopio A. Horányi, ricevette le critiche di J. C. Gottssched, professore di logica e di metafisica a Lipsia (De obiectionibus v. cl. L. Fassonii contra rationis sufficientis principium, 1760). Risalgono sempre al 1754 la dissertazione filosofica De solis defectu in morte Caesaris, dedicata ad A. Genovesi (Senogalliae) e quella esegetico-teologica De Graeca sacrarum litterarum editione a LXX cognominata interpretibus (Romae), diretta a mostrare la natura leggendaria del racconto relativo alla traduzione della Bibbia ebraica.

La diffusione di "libri irreligiosi" nella penisola a metà del sec. XVIII e la necessità di replicare alle obiezioni degli "ateisti" e dei "deisti" spinsero il F. verso interessi apologetico-teologici. Egli mostrò di aver compreso l'urgenza di sviluppare una risposta agli attacchi al cristianesimo non solo dal punto di vista strettamente filosofico (difesa della possibilità della religione rivelata, dei miracoli. ecc.), ma anche da quello storico-critico (autenticità e attendibilità delle testimonianze sacre). In questo senso, il F. procedette oltre la strada tracciata da D. Concina e, almeno in parte, anticipò la stagione dei nuovi apologisti A. Valsecchi, V. Fassini e N. Spedalieri.

Una posizione centrale, di spartiacque della sua attività, riveste la De miraculis adversus Benedictum Spinozam dissertatio theologica, edita in prima edizione a Senigallia nel 1753 e in seconda, con molte aggiunte, a Roma nel 1755.

Il F. comincia con l'analisi della definizione di miracolo data da Spinoza, perché ne intende contestare i principi fondamentali - la necessità ed immutabilità delle leggi di natura e l'identificazione di Dio e Natura - in base alla dottrina di s. Agostino e di s. Tommaso. Successivamente passa a difendere, contro Spinoza, i miracoli della Scrittura (dal diluvio universale e dalle piaghe d'Egitto alle resurrezioni di Lazzaro e di Cristo), fondandosi su studiosi cattolici che avevano rilanciato le indagini bibliche e patristiche oppure su studiosi tradizionalisti anglicani come T. Sherlock o J. Stackhouse.

Richiamato da Senigallia a Roma per insegnare eloquenza nel collegio di Propaganda Fide dal 1756 al 1760 e teologia dogmatica nel collegio "Calasanzio" dal 1757, il F. si impegnò a sviluppare le sue ricerche apologetiche su alcune narrazioni bibliche o su alcuni avvenimenti dei primi secoli della Chiesa: De voce Homousion dissertatio, in qua ostenditur vocem illam ab Antiochenis Patribus proscriptam vel repudiatam non esse... (Romae 1755), dove riprende le ipotesi del benedettino P. Mairan per combattere le teorie dei sociniani; De cultu Iesui Christo a magis adhibito adversus Basnagium (ibid. 1756), contro le tesi di R. Simon e di H. Basnage; De cognitione s. Ioannis Baptistae in matris utero exultantis... (ibid. 1757), sempre contro quest'ultimo storico; De veritate atque divinitate historiae magorum, quae est apud Mattheum cap. 2 vers. 1-13... (ibid. 1759) e De tempore adventus magorum ad Christum... (ibid. 1760) contro il deista A. Collins e altri demolitori del racconto evangelico.

La sua reputazione si era nel frattempo accresciuta sia negli ambienti della Curia di Benedetto XIV, davanti al quale aveva avuto l'onore di recitare, nel settembre 1756, la dissertazione, poi stampata, De puellarum monasteriis canone XXXVII Epaonensis Concilii celebratis... (ibid. 1757), sia nel mondo di filosofi come A. Genovesi e L. A. Verney. Il primo fu un fedele estimatore del metodo e delle produzioni del F.: "Io son rapito in leggendo le sue cose - gli scriveva il 1º apr. 1759 -, per la chiarezza dell'idee e dell'incatenamento loro, per la sodezza, e per la bellezza dello scrivere" (Genovesi, Lettere familiari, p. 125); il secondo si manterrà in contatto epistolare col F. e col suo confratello U. Tosetti. Molto probabilmente tali legami erano cementati dalla comune ostilità verso i gesuiti e dalla comune volontà di svecchiamento della manualistica filosofica in stretto rapporto con la fisica moderna.

Nel 1760 fu affidato al F. il delicato insegnamento della teologia morale nel collegio "Calasanzio".

In quello stesso anno cominciò a prender parte ad alcune annose polemiche filosofico-teologiche. La prima chiamava in causa gli opposti schieramenti filocartesiani e anticartesiani intorno la materialità o spiritualità dell'anima delle bestie. Da buon anticartesiano il F. si schierò contro la concezione degli animali come meri autorni e ammise l'esistenza d'un'anima, concepita però non in termini veramente spirituali ma come una sostanza intermedia o possibile tra lo spirituale ed il corporeo (Libro sul'anima delle bestie, Roma 1760).

La seconda polemica, destinata a protrarsi molti anni, era eminentemente teologica e riguardava lo stato delle anime dei santi prima dell'avvento del Cristo. Ci si chiedeva se i giusti dell'Antico Testamento dovessero attendere il giudizio universale per godere la visione beatifica e in quale luogo le loro anime riposasssero nel frattempo. Come aveva gia mostrato L. A. Muratori, nel De Paradiso non exspectata corporum resurrectione... (Savona 1738), i Padri della Chiesa avevano espresso opinioni discordanti o addirittura errate rispetto alla posteriore dottrina cattolica ufficiale. Nel clima di controversia teologica tra rigoristi e lassisti la complessa posizione di s. Agostino dette luogo a un lungo dibattito, che vide ferventi sostenitori della "sana dottrina" del vescovo d'Ippona, come G. Cadonici, G. Lami e G. B. Foggini, contrapporsi al gesuita F. Pallavicini e al F. stesso.

Questi, nella dissertazione De piorum in sinu Abrahae beatitudine ante Christi mortem (Roma 1760), criticava le posizioni del Cadonici e del Lami, i quali avevano difeso s. Agostino dalla taccia di millenarista, affermata come sua la dottrina della visione beatifica dei giusti subito dopo la loro morte e avanzate perplessità circa l'esistenza del limbo. Il F. invece, intendeva mostrare che tale opinione non si trovava in s. Agostino, che era contraria alla tradizione dei Padri e poco conforme alla ragione e alla teologia scolastica. Il suo intervento suscitò diverse critiche: da parte del Lami (Novelle letterarie, XXII [1761], coll. 584 ss.), a cui il F. sembrerebbe aver risposto con un foglio volante (ibid., XXIV [1763], coll. 73 ss.), da parte dello scolopio A. M. Feltri e da parte dell'anonimo autore delle Lettere teologiche spettanti alla controversia tra il signor Giovanni Cadonici, e il padre L. F. delle Scuole Pie, intorno alla beatitudine de' santi patriarchi nel seno d'Abramo, Venezia 1763 (cfr. ibid., coll. 578 ss.). Strascichi ulteriori di questa polemica si avranno tra il 1763 e il 1766, quando le tesi teologiche difese nel collegio "Nazareno" da un ex allievo del F., M. Natali, verranno combattute da T. M. Mamachi come contaminate dalle tesi degli Appellanti di Francia. A Roma il F. pubblicò anche, nel 1761, la dissertazione De Leporii libello atque eius sententia super coniunctione Divinitatis cum corpore triduo mortis Christi..., in difesa della dottrina cattolica sulla discesa di Cristo agli inferi, e, nel 1764, il De vita Iosephi Calasanctii a Matre Dei, opera lasciata incompiuta dal confratello F. M. Bonada e dal F. completata, corretta e migliorata.

L'inasprirsi delle battaglie teologiche a Roma dovette spingere il F. a non proseguire la carriera interna all'Ordine (nel luglio 1763 era stato eletto primo assistente provinciale) e ad accogliere l'invito che il ministro per gli Affari della Sardegna, conte G. B. L. Bogino, gli aveva rivolto, per il tramite dell'arcivescovo G. A. Delbecchi, anch'egli scolopio, di recarsi ad insegnare nella restauranda università di Cagliari. Partito il 30 luglio 1764, il F. fu ufficialmente nominato professore di teologia scolastica morale e di conferenze il 4 agosto successivo. Dal 1766 egli cumulò questa cattedra a quella di teologia scolastica dogmatica e di storia ecclesiastica.

Durante la sua permanenza a Cagliari, durata fino al settembre 1770, il F. s'impegnò attivamente nella riforma degli studi dell'università e della provincia del proprio Ordine in linea con le vedute del Bogino, particolarmente interessato allo svecchiamento culturale e alla diffusione della matematica e della nuova filosofia scientifica. Giunse anche a proporre al Bogino l'impianto a Cagliari d'una "stamperia regia" per corrispondere alle necessità accademiche e a quelle della diffusione culturale.

Nonostante i gravosi oneri didattici, il F. continuò la sua attività pubblicistica. Nel 1765 dette alle stampe a Livorno la De viro laico cum haereticis disputante in 6. Quaestio canonico-moralis..., e, due anni dopo, nello stesso luogo, la più consistente De morali Patrum doctrina adversus librum Ios. Barbeyraci et ad disputationes de ecclesiastica historia introitus.

Il servizio reso al re di Sardegna e la chiara fama di studioso meritarono al F. nel settembre 1770, il trasferimento alla prestigiosa università di Torino come regio professore di dogmatica e di storia ecclesiastica. Il suo arrivo a Torino fu salutato con soddisfazione sia dai gruppi anticurialisti (si veda il giudizio sul suo insegnamento da parte di G. Morardo, riprodotto in Stella, p. 56) sia dagli esponenti "giansenisti", convinti di trovarsi di fronte a un "nemico dei gesuiti e della loro morale" (si veda la lettera di G. M. Bentivoglio a Bellegarde, 24 ott. 1770 in Il giansenismo in Italia, I, 1, pp. 629 ss.). L'insegnamento dommatico del F. si trova riflesso in un Tractatus de Incarnatione, d'ispirazione tomista (conservato ms. presso la Bibl. naz. di Torino).

Il F. morì a Torino il 4 maggio 1775.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. gen. delle Scuole pie, S. Pantaleo, Reg. gen. B 204, n. 107 (lettere); Ibid., Reg. L.-Sc. N. 280 (due mss. di filosofia), Reg. L.-Sc. N. 281 (dodici mss. di opere edite ed inedite, con altri frammenti); A. Genovesi, Lettere familiari..., Napoli 1788, I, nn. LVII ss.; II, n. II; G. V. Stefani, Novelle letterarie ed ecclesiastiche delle Scuole pie dall'anno 1749 al 1770, a cura di L. Picanyol, Roma 1943, pp. 13 ss.; Parva bibliotheca calasanetiana, XIV (1935), p. 26; Rassegna di storia e bibliografia scolopica, XIII (1950), pp. 43 ss.; Archivum Scholarum piarum, XIV (1950), pp. 36 ss.; A. Genovesi, Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Milano 1962, pp. 125 ss.; Il giansenismo in Italia, a cura di P. Stella, I, 1, Zürich 1966, pp. 630 ss.; [F. A. Zaccaria], Storia letteraria d'Italia..., X, Modena 1757, pp. 130 ss.; XII, ibid. 1758, pp. 303 ss.; XIII, ibid. 1758, p. 315; Novelle letterarie (Firenze), XIX (1758), coll. 813 ss.; XXI (1760), coll. 583 ss.; XXII (1761), coll. 584 ss.; XXIV (1763), coll. 75 ss.; XXV (1764), col. 168; G. Tennemann, Manuale della storia della filosofia trad. dal professore F. Longhena con note e supplementi dei professori G. Romagnosi e B. Poli, Milano 1855, pp. 438 ss.; B. Croce, Nuove ricerche sulla vita e le opere del Vico e sul vichianesimo, in La Critica, XVI (1918), pp. 215 ss.; L. Picanyol, L'antico collegio Calasanzio di Roma, Roma 1938, pp. 27 ss.; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I, Firenze 1941, p. XVII; III, ibid. 1942, p. 825; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, p. 170; L. Picanyol, Biblioteca scolopica di S. Pantaleo, I, Roma 1952, pp. 78 ss.; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958, pp. 56 ss.; E. Garin, Storia della filosofia ital., II, Torino 1966, p. 913; Ephemeridès calasanctianae, XXXVI (1967), p. 323; XXXVIII (1968), p. 303; XI, (1970), pp. 15 ss.; XLI (1971), p. 21; P. Zambelli, La formazione filosofica di A. Genovesi, Napoli 1972, pp. 367 ss.; G. Pignatelli, Cadonici, G., in Diz. biogr. d. Ital., XVI, Roma 1973, p. 92; F. Venturi, Settecento riformatore, II, La Chiesa e la repubblica dentro i loro limiti, Torino 1976, p. 11; S. Giner, Escuelas pias: ser e historia, Salamanca 1978, pp. 31 ss.; F. Colli Vignarelli, Gli scolopi in Sardegna, Cagliari 1982, pp. 9ss. Si Vedano anche: A. Horány, Scholarum piarum scriptores liberaliumque artium magistri, I, Budae 1808, pp. 767 ss.; Biografia universale, XIX, Venezia 1824, p. 444; P. Tola, Diz. di uomini illustri di Sardegna, II, Torino 1838, p. 93; E. Llanas, Escolapios insignes..., IV, Madrid 1899-1900, p. 99; T. Viñas, Index bio-bibliographicus CC.RR. Matris Dei Scholarum piarum..., I, Romae 1908, pp. 258 ss.; H. Hurter, Nomenclator..., IV, i, coll. 71 ss.; Enc. cattolica, V, col. 1054; Diccionario enciclopédico escolapio, II, Salamanca 1983, pp. 220 ss.

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