DALMATICA, LINGUA

Enciclopedia Italiana (1931)

DALMATICA, LINGUA

Carlo Tagliavini

. Col nome di dalmatico intendiamo l'idioma neolatino preveneto della Dalmazia oggi estinto, formatosi dalla diretta continuazione del latino sulla costa dalmata completamente romanizzata. Dante non fa alcun cenno al dalmatico nel De vulgari eloquentia, ma già alcuni storici delle crociate, viaggiatori, ecc., parlano, dal sec. XII in poi, del "latino" o "romanzo" o "franco" della Dalmazia, e specialmente delle città di Zara, Spalato, Ragusa e Antivari. Per Veglia, il Giustiniani (sec. XVI) afferma che esiste "un idioma proprio, che assomiglia al calmone...".

L'area di questa lingua doveva essere limitata alla costa e alle isole, partendo dal sud di Fiume e giungendo fino a Cattaro, o più probabilmente ad Antivari. In favore d'una maggiore estensione del dalmatico a sud di Cattaro, in territorio ora linguisticamente albanese, parlano i caratteri fonetici dei toponimi latini dell'Albania settentrionale. La lingua dalmatica ha avuto la forza di resistere in quei territorî in cui era meno minacciata dall'invadente slavo, poiché, se è vero che la venuta degli Slavi risale al sec. VII, è altrettanto vero che questi, per lungo tempo, non osarono avventurarsi fino al mare. Premuto dalla parte della terraferma dallo slavo; a sud, sebbene lievemente, dall'albanese, ma specialmente dalla crescente penetrazione veneta, il dalmatico si ridusse ad essere parlato in poche oasi. Quando si spense anche lì? Mancano prove certe per rispondere; a Zara, per es., che subì fortemente l'influsso veneziano, assai presto; a Ragusa, che non fu che brevissimo tempo alle dipendenze dirette di Venezia, solo sul finire del sec. XV, e infine a Veglia, in una parte del popolo minuto, fino ad assai tardi; l'ultimo vecchio che parlava il veglioto, Antonio Udina detto Burbur, morì nel. 1898. I documenti che abbiamo del dalmatico non sono che saggi d'una lingua moribonda. Questa lingua ha tuttavia esercitato, quando era ancora fiorente, un notevole influsso sugl'idiomi che sono venuti a contatto con lei. Nel serbocroato (e specialmente nel dialetto di Ragusa) si trovano numerosi elementi dalmatici, facilmente riconoscibili dai posteriori elementi veneti per le peculiarità fonetiche (per es., kupijerta del serbocroato di Ragusa proviene dal dalmatico - cfr. vegl. kopiarta -, mentre kuverta che si ode ad Arbe, Lombarda, ecc., deriva dal ven. koverta); alcuni elementi dalmatici si conservano tuttora nel veneto di Veglia.

Allo stato delle nostre conoscenze, possiamo distinguere due rami (o dialetti) del dalmatico; uno settentrionale costituito dal veglioto e uno meridionale formato dal raguseo. Salvo indicazione esplicita, citeremo qui le forme vegliote.

Fonetica. - Caratteristico è il vocalismo tonico che si distingue per la frequenza di dittonghi molto aperti. Non solo le vocali aperte, ma anche le chiuse e perfino a si dittongano in sillaba libera, e le vocali aperte (compreso a) si dittongano anche in posizione.

Abbiamo per il lat. á gli esiti seguenti:1. uọ (in sillaba libera), p. es. kuọbra da capra, tuọta da tata; vetruọna da veterana; - 2. u (in sillaba libera, negli ossitoni), p. es. vetrun da veteranu; veklisun "veglisano" (= veglioto); kup da capu, ecc.; 3. u̯á(ìn posizione), p. es. ju̯álb da albu; bu̯árba da barba; su̯áng da sangue, ecc. (e anche nel proparossitono ju̯árbul da arbore).

Per il lat. ĕ, ae, oe: 1. i (in sill. libera). p. es. dik da dece(m); čil da caelu, ecc.; 2. i̯a (in posizione), p. es. fi̯ár da ferru; bi̯ál da bellu; invi̯árno da invernu, ecc.

Per il lat. ŏ: 1. u (in sill. libera), p. es. fuk da focu; luk da locu; kur da cor, e anche nel proparossitono, p. es. kukro da coquere; 2. u̯á (in posizione), p. es. nu̯át da nocte; mu̯árt da mortu; u̯áklo da oc'lu, ecc.

Per il lat. ē, i: 1. ai (in sill. libera), p. es. kai̯na da cena; vai̯na da vena; pai̯ra da pĭra; 2. a (in posizione), stale da stellae; drat da directu; basalka da basilica.

Per il lat. ō e in parte per ŭ: 1. au̯ (in sill. libera), p. es. nepau̯t da nepote; kau̯da da coda; -au̯n da -ōne (rasau̯n, botau̯n, ecc.); zau̯g da iugu; krau̯k da cruce, ecc.; 2. a (in posizione, se dal lat. cl. ō), samno da somniu; 3. u (in posizione, se dal lat. cl. ŭ), buka da bŭcca; pulvro da pŭlvere.

Per il lat. ū: 1. ai̯ (in sillaba libera), per esempio dai̯k da dico; kozabrái̯n da consobrinu; farai̯na da farina; 2. e (in posizione) p. es. mel da mille; pedlo "piccolo".

Per il lat. ū: 1. oi̯ (in sill. libera), loi̯k da luce(t); kroi̯t da crudu; -oi̯ra da -ura; 2. o (in posizione), sot da exsuctu; jotro da utre.

Per il lat. au̯: au (in sillaba libera), pauk da paucu ; jau̯ka da auca (avica). (Per aitin posizione mancano esempî sicuri).

Queste le caratteristiche del vocalismo tonico veglioto; per il resto del territorio dalmatico non si può procedere con eguale sicurezza. l'. es., per ciò che riguarda l'a i documenti ci forniscono solo a (ma probabilmente si tratta di un a); a Ragusa si doveva avere invece a > e, p. es. pen da pane; chesa da casa; teta da tata.

Siccome il ritmo del dalmatico era di tipo -́--̀, ne viene di conseguenza che, nel vocalismo atono, la postonica del proparossitono scompare mentre la finale resta; al contrario, nei parossitoni, tutte le vocali finali cadono e solo -a resta. Ma sia nei proparossitoni, sia nei parossitoni, quando la vocale finale per determinate condizioni (per esempio dopo cons. + r, l), non cade, le vocali -e, -i, -o, -u ci dànno l'unico esito -o, p. es. yomno da homine; drakno da duracine; dotko da duodeci. Le protoniche in generale si conservano abbastanza bene (a a, p. es. basalka; e ĕ, ē, ĭ, p. e-. denakle, kenur, meskuar; o ō, ŏ, ŭ, p. es. momiant, monaita, Jongar "ungere"; e ī, fejustro, fenait; o ū, moduonde). Merita speciale osservazione la presenza nel veglioto d'una metafonesi per cui una -a- seguita da una -i finale (primaria o secondaria) si assimila e diviene i, p. es. kin "cani"; kinp, "campi", ecc. (lo stesso mutamento di a in i avviene dinnanzi a consonanti prepalatali, p. es. kis (da caseu [si̯ > s]).

Passando al consonantismo, noteremo che esso è tanto conservatore quanto il vocalismo è pieno d'innovazioni. Persiste la pronunzia gutturale di c e g dinnanzi a e; p. es. kaina da cēna; kenur da cenare; dik da dece(m); loik da luce(t); gelut da gelatu, ecc. Dinnanzi a i, ie il veglioto presenta le palatine č e ǧ (e č perfino dinnanzi ai succedanei di u, il che permette di postulare un antecedente ü), p. ess. vičain da vicinu, čil da caelu (ę > ie > i); čenk da cinque; spirač "asparagi"; čol da culu; nenčoin da nec-unu, ecc. Ma questa è una fase seriore del dalmatico settentrionale, giacché i documenti del dalmatico meridionale e i più antichi prestiti entrati nel serbocroato ci provano la persistenza della gutturale (p. es. nei documenti anchider, bachili, ecc., e nel serbocroato, kriješa "ciliegia", plaker, kimenat, ecc.). Manca la lenizione delle sorde intervocaliche (fenomeno importantissimo per la distinzione degli elementi dalmatici dai più recenti veneti, p. es. nel serbo-croato). All'incontro nel veglioto abbiamo qualche esempio di d > t, specialmente in fine di parola. Nei nessi cl, gl, rl, fl, bl la l si conserva, in generale, inalterata (p. es. klamuár da clamare; denakle da genuculu; glas da glacie; plain da planu; ple da plus; bluta da oblata; floim da flumen, ecc. Gli esiti di ct non si possono stabilire con sicurezza giacché guapto da octo deve probabilmente la sua p a siapto da septem, e piakno "pettine" non domanda necessariaimnte una forma peptno, ma può venire anche direttamente da pectno; anche fait (da factu) non può essere del tutto normale. Difficoltà simili presenta anche il trattamento di gn (komnut da cognatus, ma la(i)n da lignu) ove non è facile stabilire quale sia l'esito primitivo e non sempre chiari sono, anche per la mancanza in parecchi casi di esempî sicuri, i nessi con J (eccetto nj > n' e lj > l'). I nessi pt e mn si conservano inalterati (s[i]apto da septem; ninapta da -nupta; damno da damnu, ecc.).

Morfologia. - Fra i pronomi noteremo la presenza di main (da mene) in funzione di accusativo del pronòme di prima persona singolare e la persistenza del comparativo mauro da maior.

Nel verbo si sono conservate le quattro coniugazioni latine (-ur, -uor da are; -ár da -ēre; ′-ro da ĕre; -ér da ire). Il tema del presente è sovente amplificato dai due infissi -ej- ed -esc-; il primo di questi infissi è attestato solo per il veglioto (paskolajo, sperajo, ecc.), il secondo solo per il raguseo.

Il fenomeno morfologico più importante del dalmatico è però l'assenza del futuro di tipo cantare habeo e l'uso in sua vece di continuatori del tipo cantavero (kantu(o)ra). Il presente del congiuntivo è in gran parte perduto. La stessa forma vegliota kantuora ha anche il significato di condizionale, ma allora continua un cantaverim (più probabilmente che cantaveram).

Sintassi. - Si può notare l'uso di bun (da bonu) anche col valore avverbiale di "bene", la presenza dello strano costrutto volo ut canta(vi)sset, che ha riscontro nei dialetti meridionali d'Italia, e infine l'uso del dimostrativo kol "quello" adoperato nel senso di semplice articolo determinativo.

Lessico. - Per quanto le nostre conoscenze del lessico dalmatico siano molto imperfette, possiamo constatare che esso si distingue per una spiccata conservatività dell'elemento latino. Specialmente notevoli sono le concordanze col romeno, con gli elementi latini dell'albanese, e con l'italiano meridionale. Tali concordanze sono sia negative (mancanza dei continuatori di diurnum, laborare, tempestas, testa, pater, ecc.), sia positive (presenza dei continuatori di de-inter, densus, udus, ecc.). Nel veglioto sono numerosi gli elementi veneti più o meno recenti e quelli croati, alcuni dei quali possono essere peraltro voci di nuovissima data (o personali di Udina).

Un problema di capitale importanza è quello della posizione del dalmatico nel seno della famiglia neolatina. In primo luogo colpiscono le somiglianze col romeno e con gli elementi romanzi dell'albanese. Col romeno e con l'albanese (e in questo caso anche col sardo) il dalmatico ha in comune la distinzione fra ŭ e ō (nel dalm. però solo in posizione); con l'albanese il dalmatico ha poi anche in comune la conservazione di k e g dinnanzi ad e e la mancanza di lenizione delle sorde intervocaliche; col romeno concorderebbero mirabilmente gli esiti pt, mn ct, gn se gli esempî di guapto e kumnut fossero meno dubbî. Con l'albanese concorda il trattamento di ti̯ (> s) e la riduzione di u > ü (più tardi o, oi nel dalmatico). Col romeno e con l'albanese sono infine comuni molte parole e molte sfumature di significati: citiamo come esempio i continuatori delle voci basilica, conventare, deramare, nepotia, salitorium, sternere, veteranus, ecc.

Ferme restando queste coincidenze con la parte più orientale del territorio romanzo, il linguista più benemerito degli studî sul dalmatico (M. Bartoli) si è proposto di dimostrare i rapporti strettissimi con l'italiano meridionale e più precisamente coi dialetti della zona abruzzese-pugliese che, anche geograficamente, vengono a trovarsi di fronte alla Dalmazia. I suoi risultati sono stati accettati da molti studiosi italiani e stranieri; tuttavia c'è stato chi si è opposto a questa teoria (Clemente Merlo) ed ha cercato di dimostrare che il vocalismo e specialmente il consonantismo del dalmatico (veglioto) sono in fondo ladini. Non ci può essere dubbio circa l'esistenza di stretti rapporti col romeno, ma mentre il primo di questi studiosi vede nel dalmatico un membro di quella zona romanza che egli chiama "appennino-balcanica" e che congiunge l'italiano meridionale col romeno, il secondo vede nel veglioto un anello della catena che riunisce il ladino al lontano romeno.

Fonti: Per la conoscenza del dalmatico abbiamo fonti dirette e indirette. Le fonti dirette sono costituite dal materiale documentario, fornitoci specialmente dagli archivî di Ragusa, e, in prima linea, dai saggi di dialetto raccolti da varî studiosi sulla bocca degli ultimi parlanti il dalmatico, limitati purtroppo all'estremità settentrionale del territorio dal matico, dove tale idioma si conservò più a lungo che altrove, nell'isola di Veglia. Le fonti indirette sono costituite dalla toponomastica, e dagli elementi dalmatici incorporati negl'idiomi che si sono sovrapposti all'antico dalmatico (e specialmente nel serbocroato). Il più antico documento dalmatico (per tacere di qualche inventario raguseo del secolo XIII) è costituito da una lettera zaratina del 1397.

Bibl.: Per tutto ciò che si riferisce al dalmatico cfr. la fondamentale opera di M. Bartoli Das Dalmatische, altromanische Sprachreste von Veglia bis Ragusa und ihre Stellung in der Apennino-balkanischen Romania, voll. 2, Vienna 1906, che raccoglie tutti i testi noti, le notizie storiche, ecc., e dà uno studio completo della fonetica, morfologia, sintassi, lessico. Ivi si trova raccolta e criticamente esaminata tutta la letteratura preced. Siano solo ricordati qui: G.I. Ascoli, Studi critici, Gorizia 1861, p. 37 segg. e in Arch. glott. ital., I, (1875), pp. 435-446; A. Ive, L'antico dialetto di Veglia, in Arch. glott. ital., IX (1886), pp. 115-187. Scritti posteriori saranno citati più avanti, accennandosi ai singoli problemi. Per la presenza di u > ü, cfr. anche Meyer-Lübcke, Mitt. d. rum. Seminars Wien, I (1914), p. 36 sgg.; M. Bartoli, in Zbornik Jacić (1908), p. 43 sgg.; P. Skok, Ôasopis za slovenski jezik, književnost in zgodovino, VI (1927), p. 1 segg. Per la conservazione delle gutturali dinnanzi ad ē e per la conseguenze che ne derivano per la palatalizzazione nella Romània orientale cfr. Skok, in Zeitschr. f. rom. Phil., XLVI, p. 385 segg.; G. Mayer, Arch. glott. ital., XXIV, p. 1 segg. (ed ivi tutta la letteratura slavistica relativa). Per le concordanze fra il lessico dalmatico e quello romeno cfr. oltre M. Bartoli, I, p. 289 segg. e II, p. 425 segg., anche PuŞcariu, Locul limbii române între limbile romanice, Bucarest 1920, p. 30 segg. Per gli elementi dalmatici nel sebocroato cfr. M. Bartoli, I, pp. 77 segg. 83 segg. e specialmente 259 segg. ed ivi tutta la bibliografia precedente. Si aggiunga: M. Bartoli, in Zbornik Jacić, 1908, p. 30 segg. P. Skok, in Archivio glott. ital., XX, p. 127 segg.; G. Maver, in Arch. Romanicum, VI, p. 241 segg.; id., Slavia, II, pp. 32 segg., 628 segg.; id., Atti R. Istituto veneto, LXXXIV, p. 749 segg.; P. Skok, in Rad jugosl. Akad., CCXXII, p. 114 segg. Per gli elementi dalmatici del veneto di Veglia, cfr. M. Bartoli, I, p. 263 segg. e C. Königes, L'odierno dialetto di Veglia, Budapest (diss.) 1932. Per gli scarsissimi elementi dalmatici nell'albanese cfr. M. Bartoli, I, p. 265; Meyer-Lübke, Mitt. cit., p. 30 segg. e specialmente Jokl, in Litteris, IV, p. 197; per l'ungherese, M. Bartoli, I, p. 266 segg. e Bezard, in Nyelvtudomány, II (1908), pp. 78-79. Per eventuali elementi dalmatici del romeno mancano ricerche, giacché G. Pascu, Relaţiuni între Romîni Şi Dalmati, IaŞi 1912 (Viata Româneasca, dic. 1912) è fondamentalmente errato. Per la questione del posto da assegnare al dalmatico nel sistema neolatino, oltre a M. Bartoli, I, p. 176 segg., v. C. Merlo, in Riv. fil. istr. class., XXXV, p. 472 segg.; M. Bartoli, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXXII, p. 1 segg.; C. Merlo, in Annali univ. toscane, XXX, pp. 1-24 e Vegliotto e ladino, in Rend. Ist. lombardo, XLIII, pp. 271-81; M. Bartoli, in Revue de dial. romane, II (1910), pp. 456-490. Anche dopo questa lunga polemica i due studiosi hanno mantenuto l'identica posizione (cfr. M. Bartoli, Le parlate italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia, Grottaferrata 1919; Ancora Veglia ed aree vicine, in Arch. glott. ital., XX, pp. 132-39; Le Tre Basolche di Ragusa, in Dubrovnik, II [1930-31]; e C. Merlo, in Mem. Acc. Torino, LVIII, p. 149 segg.; L'Italia dialettale, I [1924], p. 15, V [1929], p. 285 segg.). Concorda in generale col Bartoli, l Meyer-Lübcke, in Mitteilungen d. rum Seminars a. d. Univ. Wien, I (1914), p. 1 segg.; Rumänisch u. Romanisch, Bucarest 1931, p. 1 segg. Per i rapporti col romeno cfr. PuŞcariu, Locul limbii române, cit.; Iordan, in Arhiva, XXX, p. 35 segg.; Tagliavini, Studi rumeni, I (1927), p. 8 segg. Per le fonti, cfr. M. Bartoli, II, pp. 1-308. Per la toponomastica, oltre ai materiali contenuti nell'opera del Bartoli, cfr. P. Skok, Studi toponomastici sull'isola di Veglia, in Arch. glott. ital., XXI (1927), pp. 95-106 e XXIV (1930), pp. 19-55; molto materiale di prim'ordine anche nei varî studî toponomastici del medesimo Skok: Studije iz ilirske toponomastike (Studî di toponomastica illirica), in Glasnik zem. muzeja u Bosni i Hercegovini, XXIX, XXXI, XXXII (1917-1920); Prilozi k ispitivanju hrvatskih imena mjesta (Contributi all'indagine dai toponimi croati), in Nastvani Vjesnik, XXII, XXIII, XXIV, XXVI, XXX; Iz toponomastike, in Zbornik Lozanić, 1922; Studike iz ilirske toponomastike, in Archiv za arb. star., I (1923), ecc. Per la lettera zaratina del 139) cfr. M. Bartoli, II, p. 261 (e il facsimile a pp. 308-309); G. Bertoni, in Zeitschr. f. rom. Phil., XXXIV, p. 474 (e XXXVII, p. 231).

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