Sport, lingua dello

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

sport, lingua dello

Domenico Proietti

Il linguaggio sportivo come linguaggio settoriale

Con lingua dello sport o linguaggio sportivo (locuzione, quest’ultima diffusa dall’ultimo decennio del XIX secolo e poi utilizzata da Bertolini 1923), si indicano sia le ➔ terminologie tecniche e specifiche delle singole discipline sportive (relative cioè agli attrezzi e alle azioni per svolgere un dato sport), sia, soprattutto, i diversi generi di discorso orale o scritto finalizzati al resoconto e al commento di eventi e personaggi dello sport (in particolare, le cronache giornalistiche e tra queste, in primis, quella calcistica).

Tale tendenza a caratterizzare il linguaggio sportivo sulla base essenzialmente delle sue manifestazioni giornalistiche risale a un articolo di Devoto (1939) sulle «cronache del calcio», primo di una lunga serie di interventi sulla lingua dello sport da parte di linguisti italiani (cfr. la raccolta di Proietti 1993): il giornalismo sportivo era ricondotto e inquadrato tra le lingue speciali (➔ linguaggi settoriali) non tanto per il lessico tecnico, quanto per «l’insieme degli effetti e dei contrasti stilistici» da cui è animato e soprattutto per gli scambi che, data la sua popolarità e diffusione, è in grado di instaurare con la lingua comune, a cui apporta non solo locuzioni tecniche ma anche «costruzioni scheletriche, telegrafiche» ed «espressioni popolari e affettive» (Devoto 1939: 21).

Tale identificazione della lingua dello sport con la lingua del giornalismo sportivo tuttavia è sostenibile solo a patto di tener conto della particolare natura e funzione della terminologia tecnica delle singole discipline sportive e, soprattutto, di alcune peculiarità dello stesso linguaggio sportivo nell’ambito delle lingue speciali. Innanzitutto, va osservato che la terminologia di una data disciplina sportiva è consustanziale a essa e, insieme alle regole che ne rendono possibile la pratica, contribuisce in maniera determinante a definirne la fisionomia. Inoltre, si tratta di un insieme terminologico stabile e quindi poco esposto a incrementi o mutamenti: l’introduzione di nuovi termini va a incidere sulle regole che definiscono il singolo gioco/sport, alterandone la specificità, fino, al limite, a trasformarlo in qualcosa d’altro. Da questo punto di vista, il linguaggio sportivo differisce radicalmente dal linguaggio (o discorso) scientifico, in cui l’affinamento terminologico è insieme sintomo ed effetto dell’evoluzione epistemologica di una data disciplina. Nel linguaggio sportivo, quindi, risulta inevitabile, anche nei contesti discorsivi meno tecnici, il ricorso, sia pure in misura minima, a termini specifici delle diverse discipline sportive.

D’altra parte, rispetto ad altri linguaggi settoriali, nel linguaggio sportivo il livello propriamente specialistico appare poco sviluppato (essendo limitato essenzialmente ai regolamenti ufficiali e a trattazioni o relazioni tecniche), e quindi poco studiato (ma cfr. Bascetta 1962: 30-37). Sicché, rilevata la difficoltà di distinguere tra livello divulgativo e specialistico (Rossi 2003: 286), si sottolinea (Giovanardi 2009: 295) come il linguaggio sportivo conosca di fatto solo il registro della divulgazione, essendo diretto, attraverso i mass media tradizionali o i nuovi media elettronici, a un pubblico vastissimo e indifferenziato, da raggiungere (tanto nello scritto che nel cosiddetto trasmesso) con comunicazioni insieme attrattive e coinvolgenti. Nel coinvolgimento della massa degli appassionati e tifosi (certo assai più folta di quella degli effettivi praticanti), peraltro, un ruolo decisivo è svolto appunto dai tecnicismi: essi, caratterizzando fortemente la comunicazione sportiva (fino a renderla in diversi contesti discorsivi una sorta di ➔ gergo esclusivo-iniziatico), contribuiscono in tal modo ad accrescere il forte richiamo esercitato dalle diverse discipline sportive.

D’altra parte, la crescente diffusione di molti sport (specialmente di squadra, come il calcio, il basket, il baseball, ecc.) ha determinato e rafforzato la pervasività del linguaggio sportivo, la sua forza di penetrazione nella lingua comune e in altri ambiti settoriali (in particolare, il giornalismo e il linguaggio dei politici; ➔ giornali, lingua dei; politica, linguaggio della) e, per converso, la sua prensilità, la sua capacità di appropriarsi, sfruttandole soprattutto a livello lessicale e morfosintattico, delle tendenze e delle possibilità della lingua.

Le parole degli sport: origine, vicende e funzioni delle terminologie sportive

La concezione moderna dello sport (inteso non più come mero svago o gioco legato a feste religiose o ricorrenze civili, ma come pratica rivolta alla salute psicofisica dell’individuo, articolata in discipline tecnicamente regolate e governata da una precisa etica della competizione) si formò, come è noto, nel corso dell’Ottocento in Inghilterra, in Francia e, sullo scorcio del secolo, negli Stati Uniti. Da tali paesi queste innovazioni e il relativo linguaggio si diffusero nelle altre nazioni, tra cui l’Italia, presto postasi in prima fila nel movimento sportivo internazionale: già nel 1844 fu fondata la Reale Società Ginnastica di Torino, che nel 1869 confluì nella Federazione Ginnastica Italiana, in cui erano riuniti le società di tiro a segno, di scherma e i circoli ginnastici; nel 1878 su iniziativa del ministro Francesco De Sanctis venne emanata la legge sull’educazione fisica nelle scuole; nel 1885 nacque l’Unione Velocipedistica Italiana e nel 1893 il Genoa Cricket and Football Club, la prima società calcistica italiana; inoltre, nel 1896 due italiani erano nel comitato organizzatore dell’Olimpiade di Atene.

A un incontro così tempestivo con lo sport moderno l’Italia era sospinta anche da una lunga tradizione di pratica e trattatistica di giochi e attività di carattere (para)militare e ricreativo-sportivo (la scherma, l’equitazione, la lotta, le discipline venatorie, ginniche e natatorie, e i giochi con la palla, dalla pallamaglio ai più recenti pallone o pallamano, al calcio fiorentino, antecedente immediato del football, ecc.). Tale tradizione, su cui solo da poco si è soffermata l’attenzione dei linguisti (oltre alla pionieristica raccolta di Bascetta 1978, cfr. Schweickard 2006 e Arcangeli 2007), ha costituito, in particolare dal Rinascimento alla fine del Settecento, una fonte primaria nella costituzione del lessico sportivo internazionale. Basterà ricordare (cfr. Born & Lieber 2008 e le voci relative in Stammerjohann et al. 2008) tecnicismi della scherma quali fioretto, sciabola, botta, finta, parata (di contro) e sto(c)cata; termini storici nell’ambito di discipline quali l’equitazione (carosello, maneggio, palio, pomata / pomada), il nuoto e altri sport acquatici (trampolino, prima d’ambito ginnico, poi passato nello sci, nei tuffi e nello sci d’acqua; regata); o, infine, vocaboli relativi ad attività ricreative parasportive (boccetta / boccia / boccino; casino, da cui casinò; gambetto, negli scacchi; partita (a carte); tarocco / tarocchi; banco; lotto).

A tale patrimonio lessicale andarono ad aggiungersi le compagini terminologiche proprie delle discipline sportive moderne (football, ciclismo, tennis, pugilato e, praticati da cerchie più ristrette, alpinismo e automobilismo), che vennero diffondendosi e definendosi (a livello associativo e regolamentare) nel cinquantennio precedente la prima guerra mondiale. Predominavano nettamente gli stranierismi (➔ forestierismi), ➔ anglicismi e, in misura minore, ➔ francesismi, perlopiù in forma non adattata (➔ adattamento), sia per la provenienza dei diversi sport (di solito dall’Inghilterra, direttamente o attraverso la Francia), sia perché le prime società sportive, i cui primi regolamenti erano di solito traduzioni e adattamenti da originali stranieri, erano fondate o animate da dilettanti stranieri residenti in Italia. Tale prevalenza si rifletteva sin nella ragione sociale dei club (come, oltre al ricordato Genoa Cricket and Football Club, nel Lawn Tennis Club di Bordighera, 1878) e soprattutto nelle denominazioni delle discipline sportive, nelle quali la forma italiana si affermò di solito dopo quella straniera. Così, per il football, che solo nel primo decennio del Novecento (cfr. Panzini 1905: 190) venne progressivamente sostituito dal corrispettivo italiano calcio, sicché la Federazione Italiana Football (fondata nel 1898) nel 1909 assunse la denominazione ancora oggi vigente di Federazione Italiana Giuoco Calcio. Analogamente, solo dai primi anni del XX secolo cominciò ad affermarsi la forma ridotta tennis in luogo di lawn tennis (che peraltro rimase fino al 1946 nella denominazione della Federazione Italiana Lawn Tennis, fondata nel 1910 ed erede della Associazione Italiana di Lawn Tennis, 1894); allo stesso periodo risalgono anche le prime attestazioni del derivato tennista (Panzini 1905: 481). Nel caso della boxe (forma francese, attestata in italiano sin dal 1860, in luogo dell’inglese box o boxing), invece, a livello ufficiale prevalse subito una denominazione italiana (Club Pugilistico Italiano, 1912, poi Federazione Pugilistica Italiana, 1916), derivata dal tradizionale e vitale termine pugilato, a sua volta esito settecentesco del rinascimentale pugile, che, insieme al successivo pugilatore (1871), avrebbe progressivamente sostituito il corrispettivo francese boxeur. Nel caso di ciclismo (attestato sin dal 1893), invece, fu un adattamento dal francese (cyclisme) a soppiantare la precedente voce italiana velocipedismo (così come ciclista, attestato dal 1894, prevalse su velocipedista), sicché all’Unione Velocipedistica Italiana (fondata nel 1884), andò ad affiancarsi (fino a sostituirla) la Federazione Ciclistica Italiana (1912).

Contro questa massiccia irruzione di stranierismi (che in alcuni casi, come nel tennis, costituivano praticamente la totalità della terminologia tecnica) non mancarono reazioni di quanti la consideravano una moda deprecabile, alimentata dalla stampa: già Fanfani e Arlia, condannando come barbarismo (➔ barbarismi) il termine sport, si scagliavano contro i giornali italiani scritti in modo che «non gli può intendere chi non sappia l’inglese e il francese» (Fanfani & Arlia 1877: 403). In realtà, ciò può essere vero per gli ultimi decenni dell’Ottocento, quando sorsero numerosi periodici sportivi, di non larga circolazione e rivolti a praticanti e amatori (tra questi si possono ricordare i settimanali milanesi «Lo sport», 1865-67; «La caccia. Giornale illustrato dello sport italiano», 1876-83; «L’eco dello sport», 1881-83; e il mensile torinese «La rivista velocipedistica», 1883-98). Con l’affermazione di periodici di più ampia circolazione rivolti a un pubblico via via più vasto e socialmente articolato («Sport illustrato», prima serie, settimanale, 1881-97; la «Gazzetta dello sport», 1896, dapprima bisettimanale, poi quotidiano dal 1919), la stampa, al contrario, mirò ad avvicinare il fatto sportivo, anche nei suoi aspetti tecnici, ai lettori. Così, si cominciarono a smussare le asperità degli stranierismi tecnici ricorrendo ad adattamenti grafico-fonetici (specie per i francesismi: ballottata, nell’equitazione, da ballotade; pistaiolo da pistard; treno da train «andatura»), a ➔ calchi (centravanti da centre-forward; fuorigioco da off-side; squalificare e squalifica dal francese disqualifier) o a surrogazioni, cioè traduzioni talora molto lontane dall’originale (mossiere da starter; rivincita in luogo dell’ingl. return-match o dell’anglo-francese retour-match; cfr. Panzini 1905: 421), spesso con oscillazioni poi risolte (quali palla al calcio, poi ridotto in calcio; alzo pesi, calco di weight lifting, presto sostituito da sollevamento pesi) con soluzioni o effimere (calcio col tallone, traduzione di back-heeler, poi colpo di tacco; pedata di partenza, poi calcio d’inizio o d’invio per kick-off) o più durevoli (penalty kick reso con (calcio di) rigore; corner (kick) con (calcio d’)angolo).

Nel trentennio 1915-45, alla diffusione ormai di massa dello sport (favorita per finalità propagandistiche dal regime fascista) e in particolare del ciclismo e del calcio, corrispose una forte espansione e articolazione della stampa sportiva, che divenne canale di propagazione e spesso motore dei radicali cambiamenti che interessarono il linguaggio sportivo. In primo luogo, a livello lessicale, l’adozione in sede di regolamento (anch’essa promossa dal fascismo, ma spesso non riuscita) di terminologie tecniche interamente (ove possibile) o prevalentemente italiane, e il passaggio per estensione di termini e polirematiche (➔ polirematiche, parole) da una disciplina sportiva ad altre. Così, per es., nel pugilato il regolamento federale emanato nel 1936, oltre all’italianizzazione del nome delle categorie (mosca, gallo, piuma, leggero, ecc.), prevedeva (Bascetta 1962: 32-33) denominazioni poi attecchite, come quadrato in luogo di ring, ripresa per round, secondi per soigneurs; mentre minor fortuna ha avuto banditore per speaker (poi reso, anche in ambito non sportivo, con annunciatore) oltre a stranierismi d’uso comune come jab o sparring-partner. Analogamente, nel calcio, tra i corrispettivi italiani di goal (rete, porta, punto), per lungo tempo nei regolamenti prevalse porta (segnare, subire una porta), poi scalzato da rete (è tuttora in uso, invece, il termine meta introdotto nel rugby in luogo dell’inglese essai); nel ciclismo entrarono nell’uso termini o espressioni regolamentari quali stradista (routier) o punzonatura, accanto ai quali sopravvissero forestierismi come surplace e handicap (invano contrastato dalla locuzione ufficiale prove proporzionali).

Tra i passaggi di termini da uno sport all’altro si possono ricordare: tuffo, esteso dagli sport natatori al calcio; dall’alpinismo al ciclismo arrampicata, scalatore e scalata (quest’ultimo passato con senso figurato anche al calcio, col significato di «scalata allo scudetto»); dal tennis al calcio lob (presto sostituito con pallonetto) e servire (nel senso di «passare la palla»). Ancora al calcio, ma dall’atletica, falcata; dal nuoto, sforbiciata (in uso anche nel sollevamento pesi); dal pugilato, incassare; e dalla scherma, parare e parata. Forcing, invece, è tecnicismo di un gioco di carte (il bridge), esteso con slittamento semantico ad altri sport (tra cui il pugilato e, di nuovo, il calcio, nel quale è stato poi affiancato da pressing).

Con ciò abbiamo sconfinato nell’ambito dei tecnicismi collaterali, una delle componenti espressivamente forti e influenti del linguaggio sportivo, che si profila e si sviluppa appunto nel periodo tra le due guerre mondiali. Tipico di questi anni è, nel calcio, il termine espressivo traversone per cross (in uso anche nel pugilato), ma si possono ricordare anche, sempre nel calcio, marcare (in uso anche nel rugby) e smarcare; palleggio (corrispettivo parziale di dribbling, per il quale circolarono anche scarto e si propose persino calceggio, così come per l’hockey discheggio), effetto, entrata (sulla palla) e uscita (del portiere); e, sempre a proposito del portiere, bloccare (coevo al foneticamente affine placcare del rugby).

Il luogo di creazione e affermazione di questi e altri tratti caratteristici (tra cui le oscillazioni di genere nei nomi delle squadre sportive, le indicazioni spesso estrose dei componenti delle squadre – giallorossi, nerazzurri, alabardati, gigliati, lupi, zebre, felsinei, orobici –, gli adattamenti grafico-fonetici di termini stranieri, come forfeit/forfè e giudò, ecc.) naturalmente fu il giornalismo sportivo, che tra le due guerre divenne la forma di giornalismo più seguita, articolandosi in generi ed estendendosi ai nuovi canali comunicativi. Oltre a nuovi quotidiani specializzati di crescente diffusione (tra cui il «Corriere dello sport», 1924, dal 1927 intitolato «Il Littoriale» e tornato al nome originale nel 1943), sorsero riviste illustrate di largo seguito (quali «Il Guerin sportivo», fondato nel 1912, e «Lo sport fascista», 1928-43, entrambi concorrenti de «Lo sport illustrato», supplemento della «Gazzetta dello sport», 1913-67). Ma soprattutto, con l’inizio delle trasmissioni regolari della radio (1924), si affermò il resoconto radiofonico, in particolare nella forma della radiocronaca in diretta (la prima in occasione dell’incontro di calcio Italia-Ungheria, il 25 marzo 1928). Lo sport raccontato nelle sue diverse forme divenne dunque prevalente e cominciarono a emergere le prime penne prestigiose del giornalismo scritto (Emilio De Martino, Orio Vergani e Bruno Roghi) e le prime voci di quello radiofonico (in particolare, il radiocronista, poi telecronista, Niccolò Carosio). Contemporaneamente, letterati e scrittori scoprivano lo sport come soggetto delle loro opere e già nel 1934 apparve La prima antologia degli scrittori sportivi (Titta Rosa & Ciampitti 1934).

Parole sullo sport: il linguaggio sportivo come racconto e resoconto

Nel secondo dopoguerra, la tendenza a risolvere il linguaggio dello sport nella lingua del giornalismo sportivo prende piede anche per la stabilizzazione terminologica conseguente all’intensa opera di revisione e unificazione dei regolamenti delle principali discipline sportive condotta, negli anni Cinquanta, dagli organismi federali nazionali (cfr. Bascetta 1962: 30-37). Da allora il lessico tecnico dello sport italiano, depurato tanto da stranierismi ormai arcaici (quali free-kick «calcio di punizione» e goal average «quoziente reti», nel calcio; tourniquet «tornante», nel ciclismo; crochet per «uncino», nel pugilato) quanto da italianizzazioni poco funzionali o fortunate (filorete per net e servizio / battuta vincente per ace, nel tennis; separatevi in luogo di break, nel pugilato; cesto invece di canestro, nel basket, dove però resta nell’uso cestista), è rimasto sostanzialmente stabile, diffondendosi in tutti i livelli di pubblico raggiunti dal giornalismo sportivo.

Quest’ultimo, pur continuando a svolgere la sua originaria opera di mediazione-divulgazione, negli ultimi decenni è diventato la fonte di gran lunga più importante del linguaggio sportivo, acquistando impulso e forza di penetrazione crescenti grazie al mezzo televisivo, che a sua volta è risultato fattore determinante nella trasformazione della pratica sportiva in evento spettacolare (e quindi commerciale) sempre più spesso di impatto globale. In questo processo di spettacolarizzazione il discorso (scritto e trasmesso) sullo sport ha svolto un ruolo decisivo, che a livello linguistico si è esplicato innanzitutto in un forte incremento di numero e funzioni dei già ricordati tecnicismi collaterali, largamente impiegati sia come segnali distintivi del genere della cronaca sportiva, sia per la loro valenza enfatizzante e di richiamo. Così, nel calcio si preferisce conclusione a tiro in porta, marcatura in luogo di rete o goal, realizzare al posto di segnare o, per il calcio di rigore, trasformare. Si ricorre a ➔ neologismi quali verticalizzare «far proseguire in avanti l’azione», a neoformazioni quali palla inattiva, a invenzioni metaforiche come cucchiaio (tiro a pallonetto) o sombrero (tiro fatto in modo che il pallone superi di poco la testa dell’avversario) e a pseudoforestierismi come mister «allenatore» (in inglese coach) o, con, valore iperbolico, goleada. E si rilevano avvicendamenti quali ripartenza per contropiede, giocata per azione e battuta (profonda, debole, ecc.) invece di tiro o calcio. Principale luogo e canale di creazione e diffusione di queste e altre innovazioni sono naturalmente le cronache radiofoniche e televisive, sempre più lontane dalla telegrafica referenzialità degli inizi (la prima telecronaca in diretta è quella dell’incontro di calcio Italia-Egitto, il 24 gennaio 1954): l’unico tratto linguistico che sopravvive è il frequente ricorso allo stile nominale, ormai prevalentemente utilizzato, però, non tanto per la sintesi delle fasi di gioco, quanto come componente essenziale del registro sincopato ed enfatico imposto dall’evoluzione della comunicazione televisiva (cfr. Grasso 2003; Piotti 2008: 361-371). Si è giunti così alla telecronaca a due voci, affiancata e amplificata da programmi di commento, dibattito e svago, in cui (secondo i canoni dell’infotainment) le finalità dello spettacolo e dell’intrattenimento risultano prevalenti su quelle informative, proponendosi in sostanza come la versione mediatica del ‘bar dello sport’.

Veicolato e imposto dalla forza di tali media, il linguaggio sportivo (specie quello calcistico) ha acquisito prensilità e forza pervasiva nei confronti del linguaggio comune e di altri ambiti settoriali. Le dinamiche di questa evoluzione, ben note agli studiosi, sono state più volte descritte (cfr. gli interventi raccolti in Proietti 1993: 10-61; e, più recentemente, Rossi 2003: 295-301 e Giovanardi 2009: 302-305), sicché basterà qui la semplice indicazione delle sue principali direttrici. Dallo sport alla lingua comune (colpo basso «azione scorretta»; seguire a ruota «dappresso, subito dietro»; in zona Cesarini «all’ultimo momento»); dallo sport ad altri linguaggi settoriali, in particolare giornalismo e politica (passare la palla «cedere l’iniziativa»; (essere) la maglia nera «l’ultimo»; (essere) di serie A, B «di categoria o livello superiore, inferiore»); dalla lingua comune alle cronache sportive (addomesticare (la palla), imbastire (un’azione), imbeccare, incornare, insaccare, macinare (gioco), ragnatela (a centro campo), sganciarsi, spazzare (l’area), suggerire); dai linguaggi tecnico-scientifici ai resoconti sportivi (filtrare, fluidificare, intercettare) e dal linguaggio letterario o aulico, di norma con enfatizzazioni epicizzanti (compagine «squadra»; espugnare; svariare; violare).

È essenziale osservare, invece, come anche nei nuovi media informatici lo sport abbia immediatamente trovato una «stabile fascia di utenti» (Ciotti 2003: 324) e come, di nuovo, siano le parole, i discorsi sullo sport a risultare prevalenti e caratterizzanti. Di gran lunga più visitati e animati, rispetto ai portali non interattivi di informazione sportiva e ai siti ufficiali di federazioni e squadre, risultano infatti, non certo per caso, i siti dei campioni delle diverse discipline e delle associazioni di tifosi, aperti ai contributi degli utenti, e soprattutto i blog e i gruppi di discussione (chat e newsgroup). Fino all’estremo dei siti del cosiddetto fantasport, attraverso i quali ogni appassionato può realizzare il suo vero sogno: quello di sostituirsi ad allenatori e commissari tecnici formando la propria squadra (di calcio, di basket, automobilistica, ecc.) e facendola gareggiare.

Fonti

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Studi

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