CAMITICHE, LINGUE

Enciclopedia Italiana (1930)

CAMITICHE, LINGUE

Carlo CONTI-ROSSINI

. Il gruppo delle lingue camitiche è uno dei più importanti dell'Africa, estendendosi per circa la quinta parte di essa, almeno se si ammettono le inclusioni che molti glottologi vi fanno. E diffuso, sia pure con ampie lacune, dall'Oceano Indiano e dal Mar Rosso al Mediterraneo, all'Oceano Atlantico e alla valle del Niger, con propaggini - si vuole - nell'estremo sud-ovest dell'ampio continente. Naturalmente, anche nel campo camitico l'area linguistica non corrisponde all'area etnica; molti popoli, assai influenzati dai Camiti, non parlano linguaggi camitici; altri, che di sangue camitico hanno o serbano ben poco, parlano linguaggi che sembrano, o che già si possono dire sicuramente camitici.

Il gruppo camitico ha indubbie colleganze antichissime con le lingue semitiche, colleganze dimostrate dall'ossatura grammaticale e del lessico. In generale può dirsi che il camitico riflette uno stadio meno evoluto, più primitivo nello svolgimento storico del linguaggio. Per esempio, al caratteristico triconsonantismo semitico delle radici corrisponde, in camitico, un sistema biconsonantico. Non a torto, sembra, molti glottologi sostengono che camitico e semitico abbiano origini comuni, e la comune culla è ricercata da taluni nell'Africa stessa, da altri in Arabia, in Siria o in altre limitrofe regioni dell'Asia.

Il camitico, invece, è affatto indipendente dalle lingue nilotiche e dalle sudanesi, con le quali la sua area territoriale lo mette a contatto diretto. Così, manca in camitico quella gradazione vocalica, che nel gruppo nilotico vale a far distinguere le diverse persone nei pronomi personali e, conseguentemente, nella coniugazione dei verbi. Inoltre - fatto di capitale importanza - il camitico è già pienamente in possesso della distinzione dei generi grammaticali, che manca nelle contermini lingue nilotiche e sudanesi, salvo che in bari, in māsai, ecc., ove tale distinzione apparisce di formazione recente, e, secondo alcuni glottologi, appunto per influenza camitica.

Assai dubbî sono i rapporti col gruppo delle lingue bantu, che sì grande diffusione e importanza hanno in Africa. Il camitico, infatti, è del tutto sprovvisto di quelle classi di nomi il cui sistema caratterizza appunto il bantu, salvo qualche assai raro, sporadico esempio, che potrebbe anche essere fortuito. Va fatta un'eccezione per il gruppo cui appartiene la lingua ful, nella Nigeria, che presenta un completo sistema di classi di nomi, la cui somiglianza col bantu non può essere casuale, malgrado talune specialità del sistema ful (formazione dei nomi mediante suffissi anziché mediante prefissi; esistenza, oltre alla formazione con suffissi, anche di quattro tipi di formazione con prefissi, per indicare le persone, le cose, gli accrescitivi e i diminutivi, ecc.): la maggior parte dei glottologi tende a ravvisare nel ful la più arcaica forma del camitico, prossima al bantu primitivo; altri lo giudicano, in origine, una lingua negra, costituente, insieme con altre, una speciale famiglia senegalo-guineiana in seno al grande gruppo delle lingue sudanesi.

Controversa è anche la pertinenza dell'antica lingua egiziana, e conseguentemente del copto, al gruppo camitico. I cultori di studi di glottologia camitica la affermano, di regola, in modo risoluto. Altri si limitano a ritenere che un comune soggiorno in Africa, nelle età preistoriche, abbia prodotto analogie fonetiche, morfologiche e sintattiche fra l'egiziano e le lingue semitiche e le camitiche per quanto da alcuni si obbietti che la sproporzione cronologica delle fonti concernenti le ultime, impedisca di precisare i punti di contatto. Quest'ultima osservazione, per quanto concerne l'età dei materiali linguistici a nostra disposizione, sembra di poco rilievo, dacché ben maggiore sproporzione cronologica esiste nei documenti a noi noti sulle varie lingue camitiche, di cui tuttavia è possibile ravvisare la parentela. In realtà l'egiziano è di fondo camitico, pur avendo subito un'evoluzione (e forse un antichissimo influsso semitico) ben maggiore degli altri linguaggi del gruppo.

Nel campo grammaticale e morfologico, come si è già avvertito, il camitico presenta temi radicali biconsonantici e distinzione dei generi. Dalla radice a due consonanti si traggono altre formazioni grammaticali o lessicali con la reduplicazione del tema (p. es. bilin birbir "bruciare", da bir "esser caldo") o con la ripetizione d'una parte sola del tema stesso. Quanto alla distinzione dei generi grammaticali, si ha la possibilità di risalirne alle origini, venendo considerato di genere mascolino ciò che è grande e forte, mentre il genere femminino implica il concetto di piccolezza e debolezza. La distinzione dei generi è non soltanto nei pronomi di 2ª e 3ª persona, come in semitico, ma talvolta sino in quelli di 1ª persona. Caratteristico elemento per esprimere il femminile è t. Si hanno pronomi personali possessivi, usati come suffissi; per la 2ª persona è caratteristico, come in semitico, l'elemento k. I temi verbali formano un causativo con l'aggiunta di un s, un riflessivo passivo con quella di un t, un reciproco, riflessivo o passivo, con quella di un m: tali elementi sono in talune lingue prefissi, in altre suffissi al tema. La flessione verbale, svolgendosi per due tempi (perfetto ed imperfetto), si accosta alla semitica. Il sostantivo non ha declinazione e forma il plurale mediante suffissi. La numerazione si svolge, almeno in molte lingue, secondo un sistema quinario.

Le lingue camitiche si dividono in tre grandi sottogruppi: 1. egiziano; 2. etiopico o cuscitico; 3. libico-berbero; a cui il Meinhof ed altri aggiungono: 4. masai, ecc., 5. nigeriano; 6. ottentotto.

Del primo sottogruppo (egiziano e copto) già si è detto. È il solo che, sviluppandosi, abbia dato luogo a cospicue letterature. Il copto (v.) ancora parlato dalle donne e dai ragazzi cristiani del Ṣa‛īd (Alto Egitto) nel sec. XV, sparisce nel sec. XVI come lingua parlata, soppiantato dall'arabo; sopravvive però come lingua liturgica.

Il secondo sottogruppo comprende le lingue camitiche dell'Africa Orientale, dalle frontiere d'Egitto alle frontiere del territorio linguistico bantu: caratterizzato dall'inclusione dell'Etiopia, è detto etiopico, e anche cuscitico, nome tratto da Kūš, che la tavola dei popoli del Genesi dice figlio di Cam. Il sottogruppo comprende numerosi linguaggi, parecchi dei quali, nel sud-ovest dell'area occupata da esso, ancora mal conosciuti o anche sconosciuti addirittura. Si hanno: il begia, parlato nella regione a oriente del Nilo, fra l'Egitto e l'Etiopia, con almeno quattro dialetti (bishāri, hadéndoa, benīāmer, halenga); linguaggio che, pur essendo inquinato dall'arabo, per molti aspetti ha una fisionomia propria, nettamente distinta da quelle degli altri linguaggi del sottogruppo; l'agàu (agaw, agåw), famiglia di linguaggi un tempo dominanti sull'altipiano abissino, ma che, battuti largamente dal diffondersi delle lingue semitiche d'Abissinia, sopravvivono qua e là, spesso isolati. La famiglia agàu è talvolta chiamata senz'altro cuscitica, venendo così ad essa riservata tale denominazione, o anche alto-cuscitica, dalla natura montuosa del suo territorio, in contrapposto a quello dei rami seguenti, cui si dà il nome di lingue basso-cuscitiche: il ṣaho, parlato da tribù di pastori nomadi fra il golfo d'Arafali, l'Acchelé Guzai e l'Agamé, e il dánkalī o ‛afar, parlato nella regione che si stende a occidente del Mar Rosso, dal Golfo d'Arafali al Golfo di Tagiura, sino al ciglio dell'altipiano abissino; il ṣaho può considerarsi come un dialetto ‛afar; il somali (ṣōmālī), parlato dalle omonime tribù, fra il golfo di Aden e il Giuba, e che presenta speciali collegamenti con lo ‛afar; il galla, parlato dalle omonime tribù del Sud, del Sud-est e dell'Est dell'Etiopia, e che, a sua volta, si presta a maggiori confronti col ṣōmālī che non con altre lingue; infine la famiglia sidāmā, raggruppante numerosi linguaggi e dialetti in buona parte ancora imperfettamente conosciuti, e provvisoriamente classificati in due grandi suddivisioni, sidāmā orientali (hadiyā, kambáttā, sidāmō) e sidāmā del fiume Omō, o Ométi (walāmo, doko, uba, ara, zāla, gofa, badditu o koira, ecc.), cui va aggiunto il caffa (kaffiččo) coi suoi dialetti affillō e gongā del Nilo Azzurro.

Meritano qui di essere rammentati alcuni linguaggi della frontiera sud-ovest d'Etiopia, in cui gli elementi camitici si mescolano con quelli nilotici, linguaggi cui si è dato a titolo provvisorio il nome di sub-cuscitici, come il naa e il ghimirra. Nessun linguaggio di questo sottogruppo è assurto a dignità letteraria, sebbene qualcuno si segnali per armoniosità e snellezza; soltanto di alcuni pochi si hanno mediocri documenti del sec. XVIII.

Il terzo sottogruppo è il libico-berbero. Esteso già per tutta l'Africa settentrionale, dalle frontiere egiziane con l'oasi di Giove Ammone alle Canarie, è stato largamente scalzato dal diffondersi della lingua araba, col passaggio delle tribù all'islām; oggi, sparito il libico, e arabizzatisi interamente molti Berberi, i linguaggi berberi si presentano frammentariamente qua e là per l'enorme regione. Il libico ci è stato tramandato da alcune centinaia di brevi iscrizioni, disseminate dal Sinai alle Canarie, più frequenti negli antichi dominî di Cartagine (onde furono dette anche numidiche), spesso anche imperfettamente intese e scritte in un alfabeto consonantico di 30 lettere, non tutte identificate con sicurezza, mentre per altre il confronto coi nomi proprî delle iscrizioni bilingui greche o latine ha permesso di assicurarne il valore: questi documenti risalgono, generalmente, all'età romana. Il berbero è diviso in numerosi dialetti, con un fondo lessicale comune assai commisto con elementi arabi con non sensibili differenze grammaticali e con notevoli varianti fonetiche, tanto che un dialetto riesce spesso incomprensibile a chi ne parla un altro. Sembrano potersi raccogliere i varî dialetti in due raggruppamenti: l'uno comprenderebbe quello del Marocco meridionale (šlöḥ), del Ṣáḥarā (tuāreg), della Mauritania (zenāga) e della Cabilia (cabilo); l'altro includerebbe tutti i parlari del Nord e dell'Est del territorio berbero, meno il cabilo. Come è meglio esposto altrove (v. berberi), durante i secoli scorsi più volte il berbero assunse dignità letteraria, per influssi politici e religiosi. Col libico-berbero viene collegato il linguaggio dei Guanci, parlato nelle Canarie prima dell'europeizzamento di quelle isole, e la cui grammatica e il cui lessico s'intravedono in qualche ancor oscura iscrizione in caratteri libici e in elementi di vocabolario tramandati da autori europei a partire dal sec. XIV.

Il quarto sottogruppo, secondo coloro che lo ammettono, comprende il māsai, parlato dalle omonime tribù dell'Africa Equatoriale orientale ed avente parentela diretta con non pochi linguaggi delle regioni del Nilo Bianco e del Lago Vittoria (bari, latuka, burkenègi, turkana, nandi, ecc.). La comparsa della distinzione dei generi grammaticali e varî altri fenomeni hanno indotto taluni studiosi a considerare il māsai e i connessi linguaggi come camitici; ma questa tesi non potrebbe più sostenersi dopo le più recenti indagini (per esempio, in Italia, del Conti Rossini), che ne hanno constatato il carattere formalmente nilotico.

Il quinto sottogruppo può chiamarsi nigeriano. I principali rappresentanti ne sono la lingua ful, di cui già si è fatto cenno, e il hàusa. Il ful (detto anche pular, fulfulde, fulbere, fula, fulānī, fellāta) è il più diffuso fra i 24 linguaggi costituenti il gruppo senegalo-guineiano, ed è parlato nel Fūta senegalese, nel Bundu e nel Ferlo al Senegal, nel Fūta Giallon (Guinea francese), nel Massina (Sūdān francese), nell'Alto Volta, nell'Adamaua, e in grande numero di colonie disseminate per l'Africa francese, fino a oriente del Ciad, il popolo che lo parla si differenzia per i suoi caratteri dalle vicine popolazioni negre, tanto che gli si vollero attribuire persino origini semitiche, il che è, per lo meno, eccessivo. Una recentissima teoria collega il ful con l'egiziano, anzi con l'egiziano dei secoli meno antichi, e ricerca l'origine del popolo ful appunto in migrazioni o derivazioni dalla valle del Nilo. Gli altri linguaggi di questo gruppo sono, invece, di popoli di razza schiettamente negra, quasi tutti in bassissimo stato di civiltà, e sono parlati nelle regioni meridionali del Niger, fino al mare; tra essi, si menzionano il wolof, parlato nel basso Senegal fino a Dakar inclusa, e il bigiugo o bisago, parlato nell'arcipelago delle Bissagos. Il hàusa (detto anche afno, afnu, kendyi, abakpa, sheshe, zãgwe, maraba) è parlato da un'amalgama di popolazioni negre di varia provenienza, che nel Medioevo pervennero a formare stati abbastanza ragguardevoli; ha particolare importanza, perché, pur restando in patria il linguaggio di una societa relativamente progredita, si è largamente diffuso fuori di essa, diventando così la principale lingua di civiltà e di commercio nel Sūdān centrale, dal Sud algerino e tripolino alle foci del Niger: le sue principali contrade sono Zinder, Sókoto, Gober, Kano, ecc. Il gruppo cui esso appartiene è detto nigero-ciadiano, e va dal Niger al sud-est del Ciad, confinando a nord col territorio linguistico berbero. Vi si attribuiscono, oltre il hausa, altre trenta lingue, fra le quali quelle parlate sui monti dell'Adamaua e del Bauchi sembrano rappresentare con maggior purezza l'antico fondo comune, mentre il hausa ha certamente risentito influssi libico-berberi. Il musgu, parlato sulle due rive del fiume Logone, e il mundang, a oriente di Garua sull'alto Maio-Kebi, rappresentano le estreme propaggini verso sud-est di questo importante complesso linguistico.

Rimane a dire del presunto sesto gruppo, che ha per principale rappresentante il nama o namáqua, più comunemente conosciuto sotto il nome di ottentotto, voce questa di origine olandese (hottentot) che significa "persona balbuziente"; sta di fatto che gli Ottentotti, oltre i suoni articolati con espulsione d'aria, ne hanno altri formati con un'aspirazione boccale, tanto che il Dapper diceva la loro lingua assomigliare più al chioccolio dei gallinacci che ad articolazioni umane. I Nama abitano oggi tra il 24° lat. sud e il corso inferiore del fiume Orange; sono i principali avanzi dei popoli stabiliti in antico a sud dello Zambesi e del Cunene, schiacciati poi dall'irrompere dei Bantu da nord e dall'espansione degli Europei dal Capo di Buona Speranza. Etnicamente, non hanno nulla di camitico. La loro attribuzione linguistica al gruppo camitico, fermamente sostenuta dal Meinhof e da altri dotti, segnatamente in Germania, è fortemente contestata; si preferisce invece collegare il nama coi linguaggi, ancora imperfettissimamente noti, dei Boscimani, e si ammette tutt'al più qualche influenza camitica. Se così fosse, l'esistenza di tracce linguistiche camitiche nel fondo dell'Africa australe sarebbe la più singolare manifestazione del fatto che nelle prime età i Camiti costituirono la grande forza civilizzatrice dell'Africa negra; ma la cosa richiede maggior esame.

Bibl.: L. Reinisch, Die sprachliche Stellung des Nuba, Vienna 1911; C. Meinhof, Die Sprachen der Hamiten, Amburgo 1912; A. Werner, Language families of Africa, 1925; Les langues du monde, sotto la direzione di A. Meillet e M. Cohen, Parigi 1924; per i rapporti fra il gruppo semitico e il camitico, v. A. Trombetti, Elementi di glottologia, Bologna 1912, pp. 38-53, 338-354, con la bibliografia ivi citata.

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