LIPPO di Memmo di Filippuccio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LIPPO di Memmo di Filippuccio (Memmi)

Cristina Ranucci

Non si conosce la data di nascita di questo pittore d'origine senese, menzionato per la prima volta in un documento, datato 1317, che ricorda la realizzazione di alcune "figure" nella sala del Consiglio nel palazzo pubblico di San Gimignano. L. è qui detto "figliuolo" del pittore Memmo, citato nel testo come beneficiario del compenso spettante per questo lavoro.

Si tratta senza dubbio del senese Memmo di Filippuccio, attivo a San Gimignano almeno a partire dal 1303 nella collegiata e per il Comune. La decorazione ricordata nell'atto viene concordemente identificata con l'affresco della Maestà, datato appunto 1317 e firmato dal solo L. (Bagnoli, pp. 148 s. n. 132). Nel dipinto sono raffigurati la Madonna in trono col Bambino fra le ss. Agata e Agnese, una schiera di angeli stanti e una teoria di santi, fra i quali Pietro e Paolo, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista. Il trono è allestito sotto un baldacchino, sostenuto da due giovani guerrieri, forse Ansano e Crescenzio, e dal vescovo Gimignano. A destra, il committente dell'opera, Nello di Mino Tolomei, viene presentato alla Vergine da s. Niccolò. Nei margini esterni del quadro si trovano, a sinistra, i santi Antonio abate e Fina e, a destra, il beato Bartolo Buompedoni e Luigi di Francia (figure probabilmente aggiunte negli anni 1366-67 da Bartolo di Fredi). Un intervento di scarsa entità eseguito da Benozzo Gozzoli è attestato da una iscrizione datata 1467 (ibid., p. 149 n. 132). L'opera viene solitamente accostata alla Maestà del palazzo pubblico a Siena, firmata da Simone Martini, eseguita nel 1315 e "riconciata" nel 1321. Se ne distingue per il suo carattere più intimamente iconico, rispondente a un'idea di ordine dal sapore ancora duccesco e arcaicizzante; mentre ne ripropone scientemente peculiarità stilistiche e tecniche e alcune modalità d'esecuzione (ibid., p. 104).

È molto probabile che la prima formazione di L. sia avvenuta presso la bottega del padre e che brani riconducibili ai suoi esordi si conservino proprio a San Gimignano, nella collegiata e nella chiesa di S. Agostino (Bagnoli, pp. 105-113; Leone de Castris, p. 177).

Tra la fine del 1326 e l'inizio del 1327, L. lavorò per il Comune di Siena alla realizzazione di un dipinto raffigurante S. Ansano.

Nella registrazione di pagamento è nominato anche Simone Martini, cognato di L., nella veste di creditore per la stessa opera (Maginnis, 1989, pp. 6, 12 doc. 2). Il dipinto viene generalmente identificato con l'immagine di S. Ansano, perduta, affrescata nel vecchio ufficio della gabella dei contratti nel palazzo pubblico, che recava la firma del solo L. e la data frammentaria "MCCCXX[-]" (ibid., p. 7).

Tra il 1329 o 1330 e il 1333 sono documentate note di pagamenti per lavori pertinenti al trittico su tavola, raffigurante l'Annunciazione e santi (Ansano e forse Margherita), destinato all'altare di S. Ansano nel duomo di Siena, dal 1798 agli Uffizi di Firenze, che venne licenziato nel 1333 e firmato da L. e da Simone Martini.

In particolare, L. ricevette 70 fiorini (212 lire, 6 soldi, 8 denari) per "l'adoramento dele cholone, civori e ciercini"; forse un rimborso per l'acquisto dei materiali per la doratura della cornice (Maginnis, 2001, pp. 72 s., 140). Gli studi sull'Annunciazione degli Uffizi sono stati spesso indirizzati alla definizione dei limiti della collaborazione fra i due maestri o, al contrario, all'affermazione di una cooperazione che per modalità e risultato è apparsa inscindibile. Sulla scorta di quanto testimoniato dalle fonti e certificato dal trittico di Siena, si ritiene che il sodalizio fra L. e Simone Martini sia stato molto stretto. Già Vasari (1550) si sofferma sul problema della parentela artistica esistente fra i due pittori, e pur ricavandone un giudizio che relega L. a epigono meno "eccellente" di Simone, riconosce, comunque, in lui il prosecutore della sua opera e lo ricorda come suo "compagno" in varie imprese.

Secondo alcuni studi, L. comparirebbe a fianco del maestro come suo aiuto o giovane apprendista già a partire dagli anni 1313-15 nel cantiere della Maestà di Siena (Bagnoli, pp. 100-102). In seguito, i due pittori potrebbero aver lavorato insieme all'esecuzione del polittico per la chiesa di S. Agostino in San Gimignano, degli affreschi nel transetto destro della basilica inferiore in S. Francesco ad Assisi e del polittico per i domenicani di Orvieto. Viene talvolta ritenuta frutto di collaborazione anche la Madonna dei Raccomandati, opera autografa tradizionalmente riferita alla prima metà del terzo decennio del XIV secolo, o anticipata agli anni 1318-19, per la sua vicinanza stilistica con la Maestà di San Gimignano. Attorno al 1323, infine, L. potrebbe aver ricevuto importanti incarichi dall'Ordine domenicano di Pisa, committente per il quale in quello stesso periodo, o qualche anno prima, lavorava Simone Martini. Rispetto ai rapporti fra Simone Martini e i Memmi (L. e suo padre, come pure si chiamano), va aggiunto che l'ipotetica presenza del primo a San Gimignano negli anni in cui il padre di L. era il maggior referente del Comune (Leone de Castris, pp. 56, 58, 344 s.) consente quanto meno d'intuire l'esistenza di una trama molto articolata e antica d'incontri e relazioni che trova, infine, una qualche conferma nel matrimonio fra la figlia di Memmo di Filippuccio, Giovanna, e Simone Martini (1324). Resta, infine, il dato di fatto di una circolazione libera e capillare, all'interno della produzione certa dei due pittori, non solo di stilemi ma anche di motivi e composizioni, oltre che di vere e proprie invenzioni, come fu quella degli stampini impressi.

Reca la data 1333 e la firma di L. un dittico diviso fra la Gemäldegalerie di Berlino e la collezione Golovin di New York, raffigurante, rispettivamente, la Madonna col Bambino e S. Giovanni Battista.

Una nota conservata sul retro della tavola berlinese ricorda la provenienza del dittico dall'"insigne campo santo de Pisa". Le figure sono inquadrate in una sorta di monofora gotica con suggestioni spaziali che ricordano le soluzioni adottate ad Assisi nella cappella di S. Martino (Meiss) e che tuttavia si dimostrano portato di riflessioni personali sul tema dell'illusione ottica (De Benedictis, 1979, p. 21; Leone de Castris, p. 283). Ulteriori risultati di questa ricerca si riscontrano anche in una tavola esistente nella chiesa dei Servi di Siena, la cosiddetta Madonna del Popolo, che conserva nella cornice una scritta, autentica, in lettere capitali bianche: "Lippus Memi […] pinxit". Qui la volontà d'indagare i temi della volumetria e della spazialità si coniuga con l'adesione al carattere iconico del soggetto.

A questo stesso periodo viene riferita una Madonna con Bambino in trono, anch'essa autografa, oggi ad Altenburg, Lindenau Museum.

Tra l'agosto 1341 e il gennaio 1342, L. e suo fratello, Tederigo, ricevettero la somma di 125 lire, 2 soldi e 6 denari "pro pictura turris" o per la "dipintura dela tore".

Variamente interpretate, queste note di pagamento potrebbero riferirsi alla commissione di affreschi mai iniziati o lasciati incompiuti; comunque esse dimostrano come in quegli anni, oltre ai Lorenzetti, anche i Memmi ricevessero commissioni dal Comune di Siena (Maginnis, 2001, pp. 92, 131, 159). Si tratta, inoltre, della prima attestazione della compresenza dei due fratelli in uno stesso cantiere. I nomi congiunti di L. e Tederigo ricorrono ancora nel 1343-44, nell'atto di acquisto di alcune proprietà (ibid., p. 91; Martindale, pp. 46, 55); nel 1344, quando ricevono dal rettore dell'ospedale di S. Maria della Scala il compenso per tre tavole; e nel 1347, anno in cui firmano un polittico eseguito per Roberto de Busto, già conservato in Avignone (Leone de Castris, pp. 178, 310, 313, 337 n. 14, p. 340 n. 57).

L'inizio di una eventuale società fra L. e Tederigo viene fatto risalire agli anni orvietani, se non addirittura al periodo sangimignanese, e coinvolge, di nuovo, la Madonna dei Raccomandati e gli elementi di due polittici, smembrati e dispersi fra vari musei: l'uno con Santi in faldistorio già in S. Paolo a Ripa d'Arno a Pisa, citato da Vasari come opera siglata da L.; l'altro a doppio ordine con la Madonna e Gesù Bambino tra santi, proveniente da Colle di Val d'Elsa o da San Gimignano (Bagnoli, p. 151 n. 184; Leone de Castris, pp. 58, 176, 178). A loro, infine, spetterebbe la realizzazione, nel corso della prima metà del quarto decennio, del ciclo neotestamentario affrescato nella collegiata di San Gimignano, che la tradizione locale ricordava eseguito da L. (Freuler).

Recava la firma di L. un affresco frammentario, già nel chiostro di S. Domenico a Siena, staccato nel 1971 e oggi conservato nella Pinacoteca nazionale.

L'opera si colloca nella fase tarda dell'attività di L. non solo in considerazione di un'iscrizione vista e trascritta nel 1625 che rammenta la presenza della data MCCCL mutila nel finale, ma soprattutto per le qualità spaziali della composizione e per l'uso di più minute decorazioni a stampino che seguono la moda inaugurata negli affreschi martiniani di Notre-Dame ad Avignone (Bagnoli, p. 145 n. 36).

L'ultima menzione nota di L. si trova in un atto relativo alla transazione di beni a favore della sorella Giovanna, che si concluse nel marzo 1348 (Maginnis, 2001, p. 191). Secondo Vasari, L. morì dodici anni dopo Simone Martini e quindi nel 1356; il fatto però che in un elenco dei migliori pittori senesi redatto tra il 1347 e il 1350 non compaia il suo nome fa ritenere che egli fosse morto durante l'epidemia di peste del 1348.

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