VERNAZZA, Livia

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VERNAZZA, Livia.

Vanna Arrighi

– Nacque a Genova il 26 febbraio 1590 (Sommi Picenardi, 1907, parte I, p. 133; Pieraccini, 1987, che cita in maniera errata Guido Sommi Picenardi, riporta il 26 gennaio) da Bernardo, materassaio residente nella parrocchia di S. Andrea, e da Caterina Chiavari.

La famiglia, pur modesta, non era del tutto priva di mezzi, ma l’educazione di Livia non superò il livello elementare, come si evince dalla scrittura incerta e dalla presenza di «grossolani errori» nelle lettere di sua mano (Pieraccini, 1987, p. 229). All’età di quindici anni fu indotta dalla famiglia a sposare il quarantenne Giovanni Battista Granara, anch’egli materassaio, con il quale i patti dotali furono stipulati il 6 gennaio 1605. Il matrimonio fu burrascoso fin dall’inizio, tanto che Vernazza a circa dieci mesi di distanza, il 2 novembre 1606, fece un primo tentativo di fuga dal tetto coniugale; ne seguirono altri, finché il 30 marzo 1607, dopo un breve periodo trascorso in un istituto religioso destinato alle «mal maritate», ove l’aveva fatta chiudere il marito, riuscì a lasciare Genova, con l’aiuto di un amante, Francesco Bono, il quale fu poi, per questo motivo, arrestato e condannato a morte. Vernazza si diresse a Massa, poi a Lucca, e approdò infine a Firenze, dove, rimasta sola e senza mezzi di sostentamento, si dedicò all’«infame esercizio» della prostituzione (Galluzzi, 1781, p. 244).

Fu in quest’ambito che fece la conoscenza nel 1609 di don Giovanni de’ Medici, figlio naturale del secondo granduca di Toscana Cosimo, nato nel 1567 dalla relazione di questi con Eleonora degli Albizzi. A fare incontrare i due fu Giulio Ricasoli, uno dei rampolli di famiglie patrizie fiorentine che Vernazza frequentava (Goldberg, 2011, p. 15). Giovanni de’ Medici, benché dotato dal padre di un notevole patrimonio, si era dedicato alla carriera militare e aveva trascorso lunghi periodi lontano dalla Toscana al servizio di vari potentati, fra cui la Repubblica di Venezia. Nel 1609 si trovava però a Firenze, richiamatovi dal nipote granduca Cosimo II, che intendeva valersi di lui come consigliere militare. A breve distanza dal suo ritorno egli intrecciò con Vernazza una relazione amorosa, fortemente osteggiata dalla corte granducale, sia per motivi di prestigio sia per valutazioni economiche, dal momento che se Giovanni fosse morto senza eredi legittimi, il suo notevole patrimonio sarebbe tornato nella disponibilità della famiglia Medici.

L’intensità e la durata del legame fra Vernazza e Medici, manifestamente impari per età e livello economico-sociale, fece nascere sospetti di pratiche magiche esercitate da lei per tenere legato a sé Giovanni; tali accuse erano così diffuse e persistenti che in seguito furono accolte perfino dal figlio della coppia Giovanni Francesco Maria (1619-1689). Incurante di queste voci e della palese ostilità nei confronti di Vernazza da parte della famiglia, Giovanni la installò in una casa in via del Parione, non lontano dal proprio palazzo, e poi fece comprare appositamente per lei la villa Le Macine a Montughi, nel suburbio settentrionale di Firenze.

Nel 1615 Medici decise di tornare al servizio militare, al soldo della Repubblica di Venezia, allora impegnata nella cosiddetta guerra di Gradisca (1615-17), che aveva come teatro principale il Friuli. Si fece seguire da Vernazza che, convalescente dopo un aborto spontaneo, si fermò presso Padova per un soggiorno termale. In seguito la coppia fissò la propria dimora sull’isola di Murano, in un palazzo di proprietà della famiglia Cappello, ove Giovanni raggiunse Livia nel novembre del 1617, dopo la fine della guerra in Friuli.

Almeno dal settembre del 1618 si manifestarono in Giovanni de’ Medici i sintomi di una grave malattia che, insieme a una nuova gravidanza di Livia, lo indussero a volerne legittimare la posizione, contraendo regolare matrimonio. Per raggiungere lo scopo c’era tuttavia da superare l’ostacolo costituito dal precedente matrimonio di Vernazza con Granara: dopo aver preso in considerazione e poi scartato l’ipotesi di far uccidere il primo marito (Sommi Picenardi, 1907, parte II, p. 94), fu deciso di inviare alla curia episcopale di Genova un’istanza di annullamento del precedente vincolo matrimoniale. Il motivo addotto era il difetto di consenso da parte di lei, che sarebbe stata costretta a compiere tale passo, anche con minacce, dalla famiglia. La causa fu celermente decisa in loro favore, soprattutto per il fatto che mancava del tutto una controparte che si opponesse alla richiesta, e pertanto la curia dichiarò nullo il matrimonio di Vernazza con Granara con sentenza del 12 giugno 1619.

Nel successivo mese di agosto fu inviato a Venezia dalla famiglia Medici don Garzia de Montalvo, con il compito di distogliere don Giovanni de’ Medici dai suoi propositi matrimoniali; nonostante le sue argomentazioni e nonostante le prevedibili ritorsioni da parte della famiglia granducale, il 25 agosto 1619 fu celebrato il matrimonio di Vernazza con Giovanni de’ Medici nella chiesa di S. Giovanni decollato in Venezia, con dispensa dalle pubblicazioni, accordata loro dal patriarca della città. Le nozze rimasero segrete e benché fossero materia di pettegolezzi e supposizioni tanto a Venezia quanto a Firenze, se ne accertò l’avvenuta celebrazione solo dopo la morte di Giovanni de’ Medici (Goldberg, 2011, p. 289). All’incirca nello stesso periodo nacque l’unico figlio sopravvissuto della coppia, Giovanni Francesco Maria, che fu battezzato il 5 ottobre 1619.

La famiglia Medici decise di ricorrere in appello dalla sentenza di annullamento del matrimonio e sottomise la questione direttamente al pontefice. Per costringere Granara a farsi parte attiva e a promuovere in prima persona la revisione del processo, fu fatto rapire e tradurre a Firenze, ove fu chiuso nel forte di Belvedere. La causa di appello ebbe inizio ufficiale solo dopo la morte di Giovanni de’ Medici, con il breve di papa Gregorio XV del 28 luglio 1621, con cui affidava la revisione del primo processo al vescovo di Sarzana e Luni Giovan Battista Salvago, e si concluse con la proclamazione della validità del primo matrimonio di Vernazza e, di conseguenza, della nascita illegittima del figlio suo e di don Giovanni de’ Medici, sentenza poi ulteriormente confermata dal parere del vescovo di Albenga Vincenzo Landinelli. Minuziose notizie sull’ultimo periodo della vita di don Giovanni e sul comportamento di Livia sono contenute nel carteggio dell’ambasciatore toscano residente a Venezia Niccolò Sacchetti, presente nell’abitazione di Murano anche il giorno della morte di Giovanni, avvenuta il 19 luglio 1621. Il giorno successivo al decesso Sacchetti fece trasferire in casa sua il figlioletto, che poco dopo fu fatto partire alla volta di Firenze; il 23 luglio analoga misura fu presa nei confronti di Vernazza, benché malata e in avanzato stato di gravidanza (nacque una bambina il successivo 16 novembre, battezzata con il nome di Giovanna Maria Maddalena, vissuta soltanto venti giorni). A convincere Vernazza a tornare a Firenze, affrontando l’ostilità della corte, furono le argomentazioni dell’ambasciatore Sacchetti, corroborate da quelle di Garzia de Montalvo, inviato appositamente a Venezia per indurre Vernazza a tornare in Toscana: essi alimentarono in lei la paura, se fosse rimasta a Venezia, di cadere in balia dell’Inquisizione a causa degli studi ed esperimenti di alchimia effettuati da Giovanni, di cui avrebbe potuto essere ritenuta complice.

Alla sua partenza la casa di Murano fu immediatamente sigillata per iniziativa di Sacchetti e tutte le proprietà furono prima inventariate e poi vendute o trasferite a Firenze, a eccezione di alcuni pezzi di argenteria precedentemente messi in deposito da Vernazza presso il monastero dello Spirito Santo di Venezia. Ella fu relegata nella villa di Montughi, unica proprietà rimastale, vivendo dei modesti assegnamenti della corte. Patì anche un lungo periodo di detenzione, dal 2 agosto 1623 al 25 giugno 1639, prima nel forte Belvedere e poi nel convento di S. Orsola di Firenze. A quanto risulta, non ci furono accuse ben precise a suo carico, bensì le furono rimproverati «i mali modi da lei usati in Montughi» (Sommi Picenardi, 1907, parte II, p. 133).

Tornata alla villa, fece vita reclusa per il resto della sua vita: poteva uscire dai confini della proprietà solo per le pratiche religiose e ben raramente le fu concesso di vedere il figlio, affidato dal Magistrato dei pupilli alla tutela di Cosimo Baroncelli, che era stato prima scudiero e poi uomo di fiducia di don Giovanni de’ Medici. Il figlio del resto, cresciuto lontano dalla madre, non fu mai in buoni rapporti con lei: nel testamento di Vernazza, rogato il 19 novembre 1652 dal notaio Domenico Capponcini, ella dichiara di essere stata da lui «malissimo trattata e ancora ingiuriata e insidiata della vita, chiamandomi pubblicamente [...] con nome di strega e fattucchiera», ragion per cui ella lo diseredò, lasciando le sue poche sostanze ai monaci celestini di S. Michele Visdomini di Firenze, nella cui chiesa volle essere sepolta.

Morì nella villa di Montughi il 5 agosto 1654.

Le sue vicende sono ricordate in alcune opere letterarie, come G. D’Annunzio, Il secondo amante di Lucrezia Buti, in Le faville del maglio, I, Milano 1924, pp. 598-600, e G. Rosini, La Monaca di Monza: storia del secolo XVII, Firenze 1829, p. 33.

Fonti e Bibl.: R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, V, Livorno 1781, pp. 244-247, 302 s.; P. Litta, Medici, in Famiglie celebri italiane, V, seconda parte, tav. XIV, Milano 1827; Le carte Strozziane del R. Archivio di Stato in Firenze. Inventario. Serie prima, I, Firenze 1884, pp. 265 s.; G. Sommi Picenardi, Don Giovanni de’ Medici, governatore dell’esercito veneto nel Friuli (1565-1612), in Nuovo Archivio veneto, n.s., VII (1907), parte I, pp.104-142; parte II, pp. 94-136; Archivio mediceo del Principato. Inventario sommario, Roma 1951, ad ind.; G. Pieraccini, La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, II, Firenze 1987, pp. 228-233; Amore e guerra nel tardo Rinascimento: le lettere di L. V. a don Giovanni de’ Medici, a cura di B. Dooley, Firenze 2009; Il discorso del sig.re Cosimo Baroncelli fatto a’ suoi figliuoli dove s’intende la vita di Don Giovanni Medici [...] e della sig.ra L. V. moglie del suddetto Don Giovanni de’ Medici, a cura di M. Macchio, Firenze 2009; E.L. Goldberg, Jews and magic in Medici Florence: the secret world of Benedetto Blanis, Toronto 2011, ad ind.; B. Dooley, A mattress maker’s daughter: the Renaissance romance of don Giovanni de’ Medici and L. V., Cambridge (Mass.) 2014.

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